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Autore: Sophie__    24/08/2013    0 recensioni
Sophie, una bellissima ragazza, apparentemente molto forte, il cui sorriso meraviglioso, di cui tutti vanno tremendamente pazzi, verrà spezzato da un avvenimento che le porterà via le cose più importanti della sua vita. Lasciandola nel silenzio. Poi qualcosa, o qualcuno, non saprei come meglio definirlo, riuscirà a darle un'alternativa, che non per forza sarà considerata la migliore. Ma riuscirà, anche sbagliando, a ritrovare il suo sorriso? Leggete e lo scoprirete.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ma adesso era li, nonostante tutto – era lì - sotto il sole bollente – bollente -.
Una signora, dalla corporatura robusta, si fermò di fronte a lei. Molto alta, i capelli di un biondo platino – tinto – che le conferivano un aria decisamente snob. Un barboncino altrettanto snob al guinzaglio, rosa. Un sorriso finto stampato sulle labbra rosse – rifatte e rosse - gli occhi scuri – scuri - sulla pelle chiarissima, dov’era adagiato un morbido vestito scollato rosa e blu.
 
“Sophie” la richiamò sulla terra “è tardi, è ora di pranzo, muoviti”
“Non ne ho voglia, non ho fame” tornò ad abbassare lo sguardo sull’asfalto.
“Non mi interessa se ne hai voglia o meno, alzati e andiamo.”
 
Sophie sbuffò, quindi si alzò da terra. Monica la prese per un braccio, stringendola, invitandola ad allungare il passo. Sophie se la scrollò di dosso, fulminandola – com’era solita fare – con lo sguardo.
 
“Non guardarmi così, signorina, non sono mica io che ti ho voluta con me, è un sacrificio per entrambe, è chiaro?”
“Eh si, poverina, un sacrificio fa, ad avere la servetta di turno. Bene, fai a meno di me allora” fece una pausa “zia” sottolineò, prima di girarsi, per allontanarsi a passo veloce, tirandosi dietro Max, a forza, che insisteva nella tortura di Titti, il barboncino.
“Sophie fermati” urlò, ma Sophie la ignorò senza pensarci due volte “Se non ti fermi…”
“Cosa?” si girò, urlandole contro, con aria di sfida.
“Ti tolgo tutto” fece una pausa “Macchina fotografica, uscite, il computer, Max,…” elencava, con fare autoritario, sfiorandosi le punta delle dita.
“Monica, non sei nessuno.” Scosse la testa, quindi si rigirò per andarsene.
“Tuo padre non avrebbe voluto vederti comportare così.” Aggiunse con fare tragico, quindi, come volesse rendere il tutto ancora più melodrammatico, si portò una mano alla fronte, in segno di disperazione.
“Monica, fai poco l’attrice. Sai meglio di me che la tua casa sarebbe stato l’ultimo posto in cui mio padre avrebbe voluto che stessi. Sai bene quanto odio provava verso di te, sai bene che non mi avrebbe mai voluto qui, con te.” Urlava, gesticolando, mentre minacciosamente si avvicinava a Monica “preferirei vivere sola per tutto il resto della mia vita, anche in mezzo la strada, se servisse, pur di stare lontana da te.”
“Fai pure!” urlò a sua volta, con la vocetta stridula che si ritrovava “avrò più soldi e cibo per me, tanto meglio!” si voltò e si allontanò sculettando, in compagnia di Titti, antipatica quanto lei.
 
Sophie scosse la testa e si rivoltò verso il mare “Fantastico” sussurrò “muoviti” si rivolse a Max, strattonandolo ancora una volta.
Arrivò in spiaggia, lentamente si diresse verso la riva. Volse lo sguardo altrove, si sedette a terra, sciolse Max, affondò le mani nella sabbia bagnata, lasciando che l’acqua – gelida – le sfiorasse i piedi e che il sole – bollente – di mezzogiorno le picchiasse sulla testa.
 
Quella sera, tra le lacrime, s’era addormentata li. Su quel marciapiede, freddo, sotto il vento che aveva iniziato a tirare, sotto il vento - quel vento - che fischiava tra gli sportelli socchiusi delle due macchine, di fronte a lei. Si era addormentata e si era risvegliata a casa della zia, Monica, la sorella di suo padre. Tutto, di quella sera, di quell’incidente – tutto – ogni singolo dettaglio, era rimasto un mistero, ma lei avrebbe sofferto troppo – e lo sapeva – se fosse andata a fondo a quella storia. Avrebbe dovuto ritornarci, tornare a pensarci, avrebbe dovuto soffrire ancora, ancora più di quanto già non facesse. Quindi voleva solo lasciarsi quella serata – quella serata che le aveva rovinato la vita – alle spalle. Rimanendo solo con il ricordo, triste, tremendo, orribile, sfiancante, di quella scena, che divampava davanti ai suoi occhi innocenti, gli occhi innocenti di una ragazzina.
I servizi sociali, l’avevano dunque affidata a Monica, l’unica sorella del padre, l’unica zia di Sophie, l’unica, almeno, che non abitasse dall’altra parte del mondo. L’unica a cui sarebbe spettata l’eredità di John, o almeno, prima dei diciotto anni di Sophie. Questo avevano detto, loro, fino a diciotto anni, avrebbe vissuto da Monica. Poi avrebbe preso quel che le spettava, avrebbe preso la decisione che le sarebbe sembrata più giusta, avrebbe ricominciato a vivere, forse. Ma ai diciotto anni, non ci sarebbe arrivata, non sarebbe riuscita a fuggire, perché Monica stava sperperando tutto. Tutto quello che a Sophie sarebbe spettato. Ma forse, a lei, non importava davvero. Avrebbe preferito vivere sotto un ponte fino ai diciotto anni e oltre, senza cibo, pur di non stare con lei, avrebbe preferito morire, pur di non vivere in quella casa, dove arrivava un uomo diverso ogni sera. Dove era la servetta di cui Monica aveva bisogno per spendere i suoi soldi in chirurgia plastica, anzi che in donne della pulizia. Ma Sophie, ancora, aveva solo quattordici anni. Ancora, mancavano quattro, fottutissimi e lunghi anni, prima di poter fuggire.
 
Rimase li, su quella spiaggia, a lungo, quel giorno. Pensava. Si guardava intorno e pensava. Come sempre, da quella sera. Aveva bisogno di silenzio, più di quanto ne desiderasse prima. Pensava, nel silenzio. Perché quando sei sola, nel silenzio, riesci a fare solo quello – pensare. –
Seguiva con lo sguardo Max, che correva lungo la riva, vuota, deserta, di quella spiaggia. Mancava meno di un mese – pensava – avrebbe cambiato scuola, avrebbe cambiato vita, avrebbe cambiato, o trovato - si, più che altro avrebbe trovato- nuove amicizie. L’unica che aveva, l’aveva persa, per sempre. Avrebbe ricominciato. Lo sperava. Ma sapeva di essere diversa. Sapeva di non essere più la stessa di un anno prima. Sapeva che qualcosa era cambiato.
Ora i ragazzi la guardavano - con ammirazione, come sempre, si – con un fare quasi innamorato, si - ma c’era anche quel piccolo velo di pena nei loro occhi - quel velo di pena - che a lei non piaceva affatto. Di pena quando le guardavano le braccia. Quando non la vedevano sorridere, non veramente, come faceva prima.
Le ragazze, al contrario, avevano finalmente trovato una maniera per vendicarsi, avevano finalmente trovato un modo per farla soffrire, un modo per sfogare la rabbia, l’invidia che sempre – sempre - avevano provato verso di lei. L’incidente, le mani torturate - l’incidente - i polsi a pezzi - l’incidente - le braccia rosse - l’incidente - le gambe incise - l’incidente - le labbra morse -  l’incidente.- Quelle erano le loro motivazioni. Quelle erano le cose che le facevano sorridere, e che - a poco a poco - finivano di distruggere lei.
Lei che non aveva mai temuto i chiacchierii della gente, lei che mai aveva fatto caso a ciò che gli altri pensavano, lei a cui non importava o se importava non lo lasciava trasparire. Lei che ora, al contrario, ad ogni insulto, ad ogni risata, ad ogni presa in giro, ad ogni dito puntato addosso, ad ogni sguardo ricco di pena, finiva solo per farsi ancora del male, finiva solo per odiarsi più di quanto non facesse prima, incolpandosi di esser scesa, quella sera, da quell’auto. E finiva in bagno, a farsi del male, ancora, a sperare che quella sarebbe stata la sofferenza definitiva, a sperare nella fine di tutto, una volta per tutte, finalmente.
Sapeva che l’unica persona che avrebbe potuto forse salvarla davvero da tutto quello era lui – Den – lui che ormai era andato via. Lui che era andato via per sempre e mai sarebbe tornato – mai – e questa consapevolezza la distruggeva più – più – di ogni altra cosa.
 
Lo sguardo perso nelle onde – ora - i capelli al vento – ora – le lacrime lungo il viso – ora -.
 
“Sophie!” sentì urlare dietro di lei. Quella voce rauca, piacevole.
Si asciugò velocemente le lacrime con il dorso della mano, si spostò i capelli da un lato, sorrise per nascondere i suoi pensieri e si voltò: Chris.
“Che ci fai qui, sola?” Le sorrise, per poi sedersi accanto a lei, dopo averle, con le labbra, sfiorato una guancia.
“Penso, guardo il mare e penso.”
“Posso guardarlo con te?” sorrise ancora.
“Certo” abbassò lo sguardo, poi tornò a volgerlo alle onde.
Lasciò passare qualche interminabile minuto, ricco di un silenzio imbarazzante, poi riprese a parlare, senza, tuttavia, distogliere lo sguardo dalle onde, in cui ormai s’era perso.
“Come stai Soph?”
“Bene, Chris” lo guardò, sorrise.
“Sorridere non significa stare bene, Sophie”
“Ma io sto bene, davvero dico. Non mi vedi? Non sorriderei se stessi male, davvero, Chris”
Fece passare ancora qualche minuto di silenzio, prima di risponderle.
“Quando si sta male si sorride più di quando si sta bene.”
“Può darsi” fece una piccola pausa “ma io sto bene. Davvero.”
“Stasera verrai al concerto?” si voltò, finalmente, a guardarla.
“No Chris, non credo”
Ancora un minuto in silenzio.
“Ripeto, come stai Sophie?”
“Chris, sto bene.” Lo guardò
“Li so leggere gli occhi di chi soffre”
“Beato te” abbassò lo sguardo
“Sophie, guardami”
“Non ne vedo il motivo”
“Sophie…”
“Si.”
“Guardami”
“No, Chris.”
“Hai paura, non è vero?”
“No, non ho paura.”
“E’ difficile, me ne rendo perfettamente conto, ma non è così che puoi andare avanti Sophie, finirai solo per…”
“Chris” quasi urlò, tra un respiro spezzato ed un altro.
“Si?”
“Li hai visti?”
“Cosa?” la guardò confuso
“Gli occhi.”
“Certo che ho visto i tuoi occhi. E’ per questo che…”
“Chris, non i miei.” Indietreggiò ancora “ti prego, dimmi che li hai visti, anche adesso”
“Sophie, ma cosa stai dicendo?”
“Quelle!” indicò verso il mare. Indicò le due lucine, le due lucine rosse, simili a due occhi, terribilmente rossi, che continuava a vedere, solo lei, ormai troppo spesso, da quella sera, quella sera dell’incidente – quella sera che le aveva rovinato la vita – le stesse luci – gli stessi occhi – che aveva visto accanto a quella macchina, prima di entrare, quella sera.
“Sophie, davvero, non ti sto seguendo.” Era sempre più confuso.
“No, non è possibile Chris.” Fece una pausa. “Io, io non sono matta, te lo giuro!” una lacrima le rigò il viso.
“Nessuno lo pensa Sophie” il velo di pena arrivò a raggiungere anche gli occhi immensamente blu di Chris.
“Si. Pensate tutti che io sia pazza. Che sia inutile. Che sia colpa mia, so che è colpa mia. Mi guardate tutti in modo diverso rispetto a prima, non mi piace quello sguardo. Quello che ora hai anche tu Chris, non mi piace, davvero, non mi piace. Non voglio vivere così, non mi piace più. Sono stanca.” Piangeva, singhiozzava, le lacrime le invadevano le guance, i singhiozzi le spezzavano il fiato, ad ogni parola, diventava tutto più scuro, tutto ancora più difficile.
Chris la abbracciò, la strinse forte a se, la strinse forte tra quelle sue grandi braccia, la avvolse col suo profumo, la sfiorò col suo respiro caldo. Si allontanò per un istante, le baciò la fronte. Le asciugò le lacrime.
“Non penso che tu sia pazza” le diede un altro bacio sulla fronte “Nessuno lo pensa” fece una pausa “Ne tantomeno che tu sia inutile” ancora un bacio “E non è colpa tua, affatto. Non devi neanche pensarlo” ancora uno “Mi dispiace” fece una pausa, la strinse di nuovo a se “mi dispiace davvero tanto Sophie” una lacrima gli scese lungo il viso “non immagini nemmeno quanto” la voce gli tremava.
Si asciugò dalle lacrime, prima di staccarsi da lei. La guardò, quindi, con i suoi immensi occhi blu. Le baciò la guancia. Si alzò da terra.
“Quando vuoi sai bene dove trovarmi, Sophie” si allontanò, lentamente, da lei.
“Chris” lui si fermò, si voltò a guardarla
“Ho litigato con mia zia” Sospirò. “Di nuovo.”
“Se vuoi puoi venire a stare da me, tutto il tempo che vuoi.”
“Grazie, Chris”
“Ci vediamo dopo, allora?” le sorrise, lei fece lo stesso, con più fatica, ma lo fece. Lui si voltò, andò via.
 
Ancora quei due occhi si mossero davanti a lei. Si alzò di scatto. Le lacrime tornarono ad invaderle gli occhi. Indietreggiò terrorizzata.
“Cosa sei?” urlò in un singhiozzo.
Nessuna risposta.
“Cosa?” urlò ancora.
Di nuovo, nessuna risposta - nessuna – ancora.
 
“Max” urlò.
Si accucciò, lo legò al guinzaglio, che strinse, alzandosi di nuovo da terra, nella mano. Si incamminò, lentamente, lungo quella spiaggia deserta.
S’era fatto tardi, tra una cosa e l’altra. Il sole non era più il sole di mezzogiorno, non scottava più. Il vento che tirava era leggero, piacevole, piano muoveva la superficie dell’acqua, che aveva un colore ultraterreno.
Un ombrellone, di fronte a lei. Si fermò di scatto. Vi legò Max. Il vento si stava alzando. Le onde si facevano più grandi e possenti, a poco a poco. Rivolse ancora lo sguardo al mare.
“Ciao Max” una lacrima le scese lungo il viso.
Max abbaiò, più volte, vedendola lentamente procedere verso l’acqua. Quell’acqua che stava prendendo un colore scuro, inquietante, scuro e tremendo.
 
Rimase a piedi nudi. Il vento si alzò forte. Le onde si alzarono all’improvviso. Il cielo si chiuse in un’immensa nuvola nera. Si immerse, nell’acqua - fredda - parecchio fredda.
A passi lenti lasciò che l’acqua le inondasse le gambe, i vestiti, le braccia, il viso. Le bruciavano, quei tagli, sulle braccia, sulle mani. Le bruciava, l’acqua salata che le saltava sulle labbra, le bruciavano le lacrime che le continuavano a scendere lungo il viso.
Ancora le due luci – i due occhi rossi – si mossero intorno a lei. Si girò su se stessa. Cercandoli.
 
L’acqua le arrivava fin sopra la vita, ora, e ad ogni onda, fino alle labbra. Volse le spalle all’orizzonte. Lo sguardo rivolto a Max, che ancora abbaiava, spaventato, sotto la pioggia che aveva iniziato a scendere violenta. Ancora lacrime scesero sul suo viso, mischiandosi alla pioggia - violenta - che insieme al mare, ormai in tempesta, la ricoprivano d’acqua.
Aprì le braccia.
Prese un respiro.
Un altro.
Un altro ancora.
Una lacrima - l’ultima - le rigò la guancia.
Chiuse gli occhi.
Socchiuse la bocca.
I lunghi capelli neri bagnati davanti al viso.
Le gambe le cedettero.
Si lasciò cadere in acqua.
Si lasciò avvolgere dal mare.
Silenzio.
Buio.
E silenzio.
Intorno a lei.
Il mare.
Solo il suono del battito del suo cuore, che a mano a mano si faceva più lento.
Un blocco all’altezza dei polmoni.
Lasciò gli occhi chiusi, avvolta dall’acqua scura.
Buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo.
Aprì allora gli occhi.
Il mare.
La luce del sole filtrava dalla superficie.
Tutto cominciava a farsi appannato.
Non si sentiva neanche più il cuore.
Nulla.
Silenzio.
Vuoto.
Gli occhi si richiusero lentamente.
Lei.
Lei e il mare.
Il mare.
 
 
Aprì gli occhi. Lentamente. Batté più volte le palpebre. Si guardò intorno. Quella casa. La conosceva. Chris.
 
“Come stai?” arrivò dalla stanza accanto, una tazza di the tra le mani.
“Bene”
“Giusto, è questo che rispondi” fece una pausa, le porse la tazza “Dunque cambio domanda, cosa pensavi di fare?”
“Il bagno”
“Con il mare in tempesta. Alle quattro del pomeriggio. Max legato all’ombrellone.”
“Faccio il bagno quando voglio”
“Vestita”
“E come voglio” avvicinò le labbra alla tazza. Bevve.
“Sophie…”
“Chris, cosa vuoi? Perché sono qui?”
“E’ iniziato a piovere. Sapevo non saresti tornata a casa. Sapevo non saresti neanche venuta qui. Sapevo che con la pioggia, in spiaggia, sola, avresti combinato qualche disastro. Sono tornato in spiaggia. Ho visto Max. Poi ho visto te.”
“Fantastico”
“Potresti dire semplicemente grazie”
“Grazie?”
“Grazie.”
“Per cosa? Per avermi salvato la vita? Oh si, grazie, davvero. Era esattamente quello che speravo mentre entravo in acqua. Qualcuno che mi salvasse. Grazie, sul serio dico.” Scosse leggermente la testa, in un sorriso.
“Sophie basta.” Le tolse la tazza dalle mani, la pose sul comodino a fianco al letto dov’era stesa Sophie. Le prese il viso tra le mani grandi. “Basta così.” Le puntò gli occhi blu, fissi nei suoi “Stai facendoti solo più male. E lo stai facendo a tutti quelli che ti vogliono bene”
“Nessuno mi vuole bene” una lacrima le scese lungo il viso “Chi me ne voleva non c’è più.”
“Io sono qui.”
“Tu non mi vuoi bene. Vuoi solo scopare.”
“Sophie. Prima era così.” Fece una pausa, abbassando lo sguardo.
“Adesso no, vero? Adesso no perché ora ti faccio pena” lui la guardò “Vaffanculo, Chris” si liberò dalla sua presa. Indietreggiò sul letto.
“Adesso no, perché ti ho conosciuta. Ora non sei solo la sorella figa del mio migliore amico. Sei Sophie, ora. Sei tu. E io lo so. Adesso.”
“Voglio dormire, vattene.”
“Perdonami, Sophie” si alzò e fece per andarsene
“Per cosa?” lo guardò
“Se ti impedirò di farti del male. Se ti impedirò di ammazzarti. Perdonami, davvero, perdonami se ci tengo a te. Ma non ti permetterò di continuare così.” Sophie deglutii, Chris uscì dalla stanza.
 
 
Le squillò il cellulare. Si svegliò di soprassalto. Guardò il display. “Monica” lesse. Attaccò.
Si alzò dal letto. Uscì dalla stanza. Chris era seduto sul divano, in camera da pranzo, davanti alla tv. Cercò di raggiungere la porta, senza farsi sentire.
Non appena toccò la maniglia, Chris spense la tv.
“Dove vai?” lei si girò a guardarlo, lui aveva ancora lo sguardo rivolto alla televisione.
“Non ti importa”
“Vengo con te.” Si alzò, si avvicinò a lei, aprì la porta, uscì. “Resti li?”
“No” uscì anche lei, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Salirono in macchina. Arrivarono davanti a quella casa. Orribile. Sophie uscì dall’auto. Suonò il campanello. Monica le aprì.
 
“Già di ritorno? Vedi che non puoi fare a meno di stare in questa casa?” rise
“Sono venuta a prendere le mie cose” la scansò e si fece strada verso la sua stanza.
 
Con la coda dell’occhio intravide un uomo, in salone, in boxer, sul divano. Tornò indietro di qualche passo. Si avvicinò.
“Ti ha già detto che ti ama?”
“Salve, mi scusi, io sono” si alzò e le porse la mano, imbarazzato
“Non c’è bisogno di convenevoli, rispondimi piuttosto”
“Chi?”
“Lei, ti ha già detto che ti ama?”
“S-Si” balbettò confuso
“Domani lo dirà ad un altro, come ha fatto ieri, e l’altro ieri.”
“C-Che stai dicendo?” balbettò ancora
“Ci sarà un altro uomo domani su quel divano”
“Cosa? Ha detto che mi ama, che era da tanto che non aveva un uomo in casa, che da quando…”
“Che da quando è morto il suo caro marito con cui è stata per tanto tempo e che amava terribilmente non è stata con nessun uomo. Che appena ti ha visto si è innamorata. Per quello non è riuscita a staccarti gli occhi di dosso, mentre eravate al bar, dove non andava da tantissimo tempo. Era destino che fosse stata li, stamattina, giusto?”
“E tu cosa ne sai…?”
“Non è mai stata sposata.”
“Che?” aggrottò la fronte
“E va in quel bar ogni mattina”
Lui non rispose. Continuò solo a guardarla, mantenendo un’espressione decisamente confusa.
“E domani sarà tanto triste, perché si renderà conto che nonostante la magnifica serata, nonostante la magnifica scopata di questa sera, non è pronta per una nuova relazione”
Lui – ancora - non rispose.
“E ogni sera a casa c’è un uomo diverso. Lo sto dicendo per te. Fai come preferisci, poi”
 
Sorrise malignamente, gli fece un lieve occhiolino, quindi si allontanò dalla stanza.
 
Salì le scale e raggiunse la sua camera. Sentì delle urla. Qualche insulto, una porta sbattere. Le venne ancora da sorridere. Con cattiveria.
Prese una borsa grande, ci mise dentro tutte le sue cose. Ad eccezione della macchina fotografica, che si mise a tracolla. Scese velocemente.
 
“Ciao.” Afferrò la maniglia della porta.
“L’hai fatto scappare, che cazzo gli hai detto?”
“La verità” sorrise ancora, guardandola negli occhi.
“Non avevamo ancora fatto niente, stronzetta.”
“Domani dovrai cercarne due allora, per recuperare. Buon divertimento.” Le fece un occhiolino.
 
Sbatté la porta alle sue spalle. Risalì in auto.
“Mi piaci così” sorrise, quindi mise in moto.
“In certe situazioni mi piaccio anche io.”
 
Fulminò con lo sguardo tutto ciò che era su quella strada, che– veloce – scorreva di fronte alla macchina.
 
 
 
 
  
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