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Autore: Quella che ama i Beatles    25/08/2013    2 recensioni
Una signora anziana come tante, due figli, due nipotini... e un grande amore che ha attraversato gli anni, senza mai spegnersi, senza mai vacillare. In un pomeriggio come tanti questa anziana signora racconta alla nipote Martina di questo suo grande amore, nella speranza che, chissà, ne possa trasmettere un po' anche a lei.
(mi sono immedesimata in questa vivace vecchietta, immaginando che fossi io, immaginando che invece di essere un'adolescente sia una donna anziana... e questo è quello che ne è uscito)
(One-Shot poi trasformata in mini-long)
Martina è cresciuta, ma l'amore per i Beatles continua ad accompagnarla. E un giorno...
(dal cap.2)
- Martina! Cristo, parla, che succede? -
Finalmente, la ragazza sembrò dare segni di vita, e mormorò qualcosa di impercettibile.
- Cosa?! - domandò la mamma, che ovviamente non aveva capito niente. Questo sembrò scuotere Martina, che di scatto balzò in piedi e corse verso di lei.
- C'E' IL CONCERTO DI PAUL MCCARTNEY!!! OH MIO DIO MAMMA!!! TI RENDI CONTO?! IL CONCERTO DI PAUL MCCARTNEY!! PAUL MCCARTNEY VIENE IN ITALIA!! IL VENTICINQUE GIUGNO!! A VERONA!!! OH MIO DIOO!! -
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non posso che dedicare questo capitolo a Paul McCartney. Grazie, perché esattamente due mesi fa ci hai fatto sognare con la tua musica.






25 giugno 2013.
- Marti... -
Martina dormiva della grossa, dopo che il giorno prima era andata a dormire all'una passata, in fibrillazione per quello che sarebbe stato il giorno più bello della sua vita.
- Marti, svegliati... -
Ronfava a bocca leggermente aperta, le labbra curvate in un sorriso inconsapevole. Anche nell'incoscienza il suo cervello macinava immagini e aspettative di come sarebbe stato l'indomani. Tutto perfetto, ovviamente.
- Marti, dai, svegliati. Tuo zio e tua nonna stanno arrivando a prenderti, ed è inutile dire che lei è quasi peggio di te. Sembra una ragazzina... Dai, caspita, non ti ricordi che giorno è oggi? -
La ragazza aggrottò appena le sopracciglia. Una parte del suo cervello le urlava di aprire gli occhi e balzare in piedi. Tutto il suo corpo l'esatto opposto. Che fare?
- Martina, in piedi, a-des-so! Scattare! Sono le sette e mezza del mattino, se vuoi arrivare in tempo dal tuo adorato Paul ti devi muovere a un orario decente! Di qui a Verona sono ottocento chilometri buoni, quindi muovi il sedere e datti una mossa! -
Gli ingranaggi giusti, finalmente, si mossero nella mente di Martina alle parole Paul e Verona. Tutto il suo corpo dimenticò in un attimo la catalessi di sei ore di sonno, così aprì gli occhi di scatto e balzò a sedere, mentre la familiare eccitazione che dimorava in lei da una settimana a quella parte divampava più forte che mai.
- Sono sveglia! - gridò, superando la mamma che stava uscendo dalla sua camera e correndo in bagno a sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti a tutta velocità. Le sembrava che ogni parte del suo corpo formicolasse; avrebbe potuto saltare fino alla luna. - Nonna e zio dove stanno? Si sono mossi già? Non dovranno aspettare niente, sono già quasi pronta! - affermò, mentre correva entusiasta in camera sua a infilarsi i pantaloncini senza accorgersi dello sbaffo di dentifricio che le era rimasto su una guancia.
La madre sospirò e le andò vicino, togliendoglielo con un gesto deciso. - Martina, calmati. Loro stanno a cinque minuti da casa, li ho sentiti poco fa.
Per favore, portati un giubbotto, sembra che pioverà... -
- Pioverà?! - la interruppe lei a bocca aperta.
- Sì. Perciò nello zaino mettiti anche un paio di pantaloni lunghi, e chiaramente l'ombrello. E le scarpe chiuse. E un paio di calzini puliti... -
Lei non la stava ascoltando. Mentre si infilava la maglietta dei Beatles, la sua preferita, contemplava la possibilità che il giorno più bello della sua vita fosse rovinato. Scosse la testa, decisa. Non avrebbe permesso a una cosa banale come la pioggia di disturbare il concerto del suo Paul.
- ... mi stai ascoltando? -
- Certo, mamma - bofonchiò Martina correndo in bagno a truccarsi e anticipando per un soffio il padre che, disturbato dal trambusto, si era alzato e somigliava a uno zombie in pigiama.
Francesca si mise le mani sui fianchi, severa. - E sentiamo, cos'ho detto? -
Alla ragazza fu risparmiato l'arduo dovere di rispondere dal suono del citofono.
- Sono arrivatiiiii - trillò, felice. Corse a rispondere alla nonna che le intimò scherzosamente di scendere entro due minuti "o sarebbero partiti senza di lei".
Volò fino in camera sua per aggiungere gli abiti che le aveva suggerito la madre e farla tacere: le Superga, i jeans lunghi e il giubbotto furono ficcati senza tante cerimonie nell'ampio zaino, insieme al caos che regnava lì dentro - solo il suo prezioso biglietto e il foglio di prenotazione dell'albergo dove avrebbero dormito godevano di una posizione privilegiata in una tasca esterna. Si fermò a riflettere un attimo, poi con un'alzata di spalle aggiunse il suo beauty-case: avrebbe finito di truccarsi in hotel.
Dopo aver controllato di avere tutto si caricò lo zaino in spalla, baciò entrambi i genitori che le augurarono di divertirsi al concerto e volò fuori dalla porta, sbattendosela involontariamente alle spalle. Premette ripetutamente il bottone dell'ascensore, poi decise che non riusciva ad aspettarlo e si precipitò giù per le scale, resistendo alla tentazione di ridacchiare istericamente, cantare a squarciagola o saltare i gradini tre a tre: non voleva fare come quella sfigata di Rivoluzione n.9, il libro che aveva appena letto, dove il giorno del concerto dei Beatles l'intelligentissima protagonista decideva di scivolare lungo il corrimano e si fracassava la gamba. 
O era il braccio...?
In ogni caso, un arto fratturato di certo le sarebbe stato di ostacolo, quindi si limitò a scendere le scale il più velocemente possibile - stava solo al terzo piano, per fortuna - e uscì nel piccolo cortile del suo condominio, aprendo il cancelletto e individuando subito la Volkswagen dello zio: con un sorriso a trentadue denti aprì lo sportello e si sedette accanto alla nonna, che la salutò vivacemente e con un sorriso quasi più largo del suo. Martina la ammirò guardandola: nei suoi settantun anni era sempre bellissima, con quel vestito a fiori semplice ed estivo, il caschetto biondo dei capelli e il trucco leggero che attenuava le rughe di troppo.
- Se Paul ti vede si innamora, nonna - scherzò, facendo ridere sia lei sia lo zio Giovanni.
- In effetti non sarebbe male come terzo marito, dopo la morte del tuo povero nonno - sospirò lei. - Immagino che avrei la tua approvazione, Martina. -
- Totale - confermò lei. 
 
 
Nonostante la fervida eccitazione, Martina si addormentò un'oretta dopo al confine tra la Puglia e il Molise, sulle note di Who Wants to Live Forever dei Queen. Dormì della grossa, e si svegliò quando erano già arrivati in Abruzzo, circondati da colline e montagne più o meno alte che declinavano dolcemente fin nel mare limpido. 
- Bentornata tra noi, dormigliona - la salutò la nonna. - Poco fa Giovanni si è fermato a comprare qualcosa, dato che presumeva che non avessi fatto colazione - disse alzando un sacchetto da dove proveniva un buon profumino di cornetti.
- Hai indovinato, zio - confermò Martina addentando il primo croissant alla marmellata. Si stiracchiò, guardando l'orario: le undici. 
Fra dieci ore esatte probabilmente starò urlando verso Paul che starà entrando sul palco, pensò la ragazza con un tuffo al cuore.
 
 
Il tempo, così come la strada sotto i loro piedi - o meglio, sotto la loro macchina - sembrava non passare mai: le undici e un quarto, e mezza, le dodici, l'una, pausa per pranzare, le due,  l'Abruzzo, le Marche, l'Emilia Romagna. I secondi e i chilometri gocciolavano lenti sotto il sole impietoso di fine giugno; Martina li poteva quasi percepire, che rallentavano apposta per farsi beffe di lei e del suo desiderio di arrivare a Verona il prima possibile. Mandava messaggi, chiacchierava con la nonna e lo zio, canticchiava, ascoltava musica, guardava l'Italia che scorreva sotto i suoi occhi, eppure niente sembrava ingannare il tempo.
Finalmente, in due ore e mezza che le parvero ventidue, entrarono a Verona. Martina sospirò di sollievo, guardando case, persone e negozi sostituirsi alle autostrade e ai grossi cartelli stradali.
- Accidenti, che brutto tempo - commentò la nonna, un filo di preoccupazione nel tono di voce. La ragazza alzò lo sguardo al cielo: effettivamente grossi nuvoloni stavano progressivamente prendendo il posto all'azzurro brillante che aveva dominato fino in Emilia Romagna, e il sole era ormai accerchiato da quell'ammasso grigiastro e inquietante.
Che palle... - Speriamo che non piova - mormorò.
- O meglio, speriamo piova adesso e non stasera - la corresse lo zio.
- Giusto - concordò Martina. 
In qualche minuto arrivarono in albergo, dove ci fu un generale momento di panico quando Martina non trovò i suoi documenti là dove avrebbero dovuto stare; fortunatamente, li ripescò poco dopo da una tasca del suo zaino. Alle cinque meno due minuti aprirono la porta della loro camera tripla, e Giovanni si buttò immediatamente sul letto, sbuffando.
- Che fatica! E' stremante guidare per così tanto tempo. - Sbadigliò. - Svegliatemi fra tre quarti d'ora. -
E senza aspettare risposte, si voltò vestito di tutto punto e iniziò a ronfare.
- Ecco, e neanche le scarpe si è tolto. Ma a tutto io devo pensare... - sbuffò affettuosamente la nonna, sfilandogliele. 
Dopo aver finito di truccarsi, Martina si accucciò accanto a lei, che faceva zapping annoiata, e si mise ad aspettare.
 
 
Un'ora e un quarto dopo, zio, nonna e nipote uscivano dall'albergo riparandosi sotto gli ombrelli da una pioggia torrenziale, che picchiettava senza pietà ogni loro parte scoperta. Man mano che si avvicinavano all'Arena facendo lo slalom tra le pozzanghere Martina notava sempre più persone con magliette, cappellini o borse dei Beatles, e nonostante la pioggia si sentì stringere il cuore in una morsa di euforia feroce; era tutto vero, stava per assistere al concerto di uno dei Fab Four.
Svoltarono un angolo ed eccola: davanti a lei, l'Arena di Verona si stagliava contro il cielo grigio. Notò come esternamente fosse simile al Colosseo, con quei grandi archi a brevi intervalli regolari, sebbene fosse più piccola e quasi del tutta integra, ma la sua attenzione fu catturata quasi subito dalla fiumana di gente che la circondava.
C'erano persone di entrambi i sessi e di tutte le età. Adolescenti che cantavano e ridevano incuranti della pioggia, ragazzini di qualche anno più piccoli di lei mano nella mano coi genitori, uomini adulti che conversavano animatamente, donne anche anziane che tentavano di ripararsi come potevano; persone di ogni tipo, tutti accomunati dalla passione per la musica dei Beatles e di Paul McCartney. Martina si sentì allargare il cuore, e un grande sorriso le sbocciò automaticamente sul volto: era bello vedere quella grande varietà di gente che condivideva la sua stessa passione.
Con un po' di fatica - una parte della strada era transennata - girarono intorno all'Arena e trovarono il cancello indicato sul biglietto, da dove sarebbero dovuti entrare. Martina sospirò profondamente e iniziò l'ennesima attesa della giornata.
 
 
Alle sette, finalmente, aprirono l'ingresso, e d'istinto tutta la gente accalcata intorno ad esso esplose in un boato. 
- Forza, mamma, vieni! - gridò Giovanni prendendole la mano, che a sua volta afferrò Martina in tempo per non essere separate dalla folla che si affrettava intorno all'entrata.
- Teniamoci forte, Marti... non oso pensare a cosa succederebbe se ci perdessimo... -
- Non accadrà, tranquilla - la rassicurò lei, lasciandosi guidare dallo zio che capeggiava la loro piccola fila e si faceva strada a furia di "mia madre è anziana, mi lasci passare, per favore".
- Mi sta facendo apparire come la vecchietta bisognosa di turno - brontolò la donna, attenta a non farsi sentire, e Martina si lasciò scappare una risatina.
Finalmente riuscirono ad arrivare al cancello, e dopo aver fatto controllare i loro biglietti poterono finalmente entrare. La ragazza tirò un gran sospirone di sollievo. 
- Siamo dentro, siamo dentro! - strillò e rise, correndo fino alle scale. 
- Dai, che fra due ore c'è Paul! -
- Aspetta, Martina, non ho più l'età per correre! - sfiatò la nonna e cercò di affrettarsi per raggiungere l'entusiasta nipote, che arrivata in cima alle scale fissava il grosso palco nero con la batteria e gli amplificatori già sistemati sopra. Si immaginò Paul che lo percorreva cantando e un fremito la percorse.
- Forza, venite! - disse a zio e nonna e scese di corsa gli spalti, spostando lo sguardo con attenzione per cercare di individuare i loro posti; dopo cinque minuti di ricerche li trovarono e si sedettero insieme sulle poltroncine, soddisfatti.
Ormai manca veramente poco, rifletté Martina col cuore che le frullava in petto come un colibrì. Sono solo due ore. Due ore, e vedrò Paul!
 
 
Le nove arrivarono e passarono: alle nove e un quarto Paul non era ancora salito sul palco, anche se in compenso sui grandi schermi laterali erano scorse foto e immagini molto artistiche di lui, che lo ritraevano fin dalla sua infanzia, e il pubblico aveva potuto ascoltare canzoni dei Beatles remixate e non, come Twist and Shout e Octopus's Garden. Martina si sentiva come se avesse un porcospino sulla sedia: continuava a fare su e giù, talmente era la sua impazienza. Si domandò se Paul fosse davvero così sadico da lasciarli in attesa più del dovuto.
- Dai, Paul, vieni fuori! Non fare il timido! - gridò, e l'uomo seduto accanto a lei scoppiò a ridere. Lo ignorò. - Ma anche al concerto di Milano del '65 si comportarono così? - chiese alla nonna, che si sforzò di ricordare.
- Sinceramente non lo so - si scusò. - Rammento tutto del concerto, ma dell'attesa ben poco. -
Fu un attimo. Come se lo avessero  chiamato, i riflettori si accesero tutto d'un tratto e Martina si voltò a fissare il palco, il cuore in gola che triplicava i battiti, le mani che tremavano. Ti prego, fa' che sia l'ora, fa' che sia l'ora...
Vide entrare diverse persone, un grosso omaccione di colore, un chitarrista biondo, un altro... e infine fece il suo ingresso sul palco l'uomo che agognavano tutti, i capelli castani ordinatamente pettinati, il volto allegro visibile anche a diversi metri, in giacca e pantaloni scuri. Paul McCartney salutò l'Arena che esplose in un boato, e Martina prima che se ne rendesse conto era scattata in piedi a urlare a squarciagola, le mani al volto, le gambe che le tremavano dallo shock, il freddo che la pizzicava le parti scoperte del suo corpo totalmente dimenticato, perché Paul McCartney era lì, Paul McCartney era lì davanti ai suoi occhi, non falso e distante come tutte le volte che lo aveva guardato in video al computer ma lì, in carne ed ossa, lì, in forma come non mai nonostante i settant'anni passati, e si stava sistemando il basso tra le braccia e la musica di Eight Days a Week iniziò allegra, e Martina senza rendersene conto aveva iniziato a piangere cantando con tutto il fiato che aveva in gola, perché sapeva le parole a memoria, stava cantando in contemporanea con Paul McCartney che era lì, sentiva la sua voce rimbombare nel petto, nel cuore, nell'anima. La lunga attesa era finalmente terminata e non avrebbe mai smesso di ripeterselo, era lì, era lì, era lì, e se si fosse girata avrebbe notato sua nonna che piangeva talmente tanto che non aveva neanche il fiato per cantare, perché non avrebbe mai immaginato di rivederlo, l'amore di tutta una vita, e invece lei era lì e lo ascoltava che cantava, e Paul era lì, era lì, era lì. 
Paul finì di cantare e le note finali di Eight Days a Week vennero sommerse dalle urla dei fan.
- Ciao, Verona! Siete tutti matti! - salutò lui col sorriso sulle labbra, e nonna e nipote risero mentre si asciugavano le lacrime.
 
 
Tre ore dopo Martina usciva dall'Arena completamente stordita, il cuore che batteva furiosamente e gambe e braccia che tremavano. Aveva un sorriso enorme che non riusciva a cancellare dal volto, il volto umido per tutte le lacrime che aveva versato e la gola secca e riarsa per quanto forte aveva urlato e cantato; il suo cervello, scombussolato dall'euforia, non faceva che riprodurre un'unica convinzione: quelle erano state le tre ore migliori della sua vita, senza ombra di dubbio. Quel concerto era stata la cosa migliore che potesse desiderare. Non sapeva quali momenti fossero stati i più belli, se quelli in cui Paul aveva interagito in italiano col pubblico facendoli ridere - ecco un'altra qualità da aggiungere al suo infinito elenco, aveva pensato Martina, è divertente e di spirito - o quello in cui aveva detto nella sua pronuncia zoppicante "dedico questa canzone al mio amico John" e aveva iniziato a cantare Here Today, o quando aveva dedicato a George Something, o il momento in cui Martina si era alzata in piedi con tutta l'Arena cantando con tutta la forza che aveva i na na na na di Hey Jude, o i minuti finali, quando aveva suonato Yesterday e lei, cosciente che Paul stesse per andare via, aveva ripreso a piangere, pensando che l'avrebbe voluto lì in eterno, che avrebbe voluto che quelle ore meravigliose non cessassero mai. 
- E' stato... - sussurrò rivolta a nessuno in particolare, poi le mancò la voce. Non trovava un aggettivo adeguato a quella serata. Inaspettatamente, si sentì stringere le spalle dalla nonna.
- Sì, lo so - confermò lei, e Martina non si sorprese di udire una voce roca e tremante quanto la sua. 
Grazie, Paul, pensarono in contemporanea.
 
 
- Ci saremo al prossimo concerto di Paul in Italia, vero? -
- Certo, Martina. Senza ombra di dubbio. -
 

 
 
ANGOLO AUTRICE:
E così finisce qua la breve minilong delle mirabolanti avventure(?) di queste due folli Beatlemaniache. E' la prima storia a più capitoli che scrivo (anche se i capitoli in questione sono solo tre) e in un certo senso mi dispiace lasciare nonna e nipote, che potrebbero essere entrambe due mie alter-ego, presumo (sono stata attenta a non fare Martina uguale a me, seppure mi assomigli comunque, e la nonna è proprio come mi vedo io da anziana) quindi boh... se mi viene l'ispirazione potrei scrivere qualche altra cosuccia. Non prometto niente, però, tutto dipende dall'ispirazione, appunto. Ultima cosa: ma lo sapete che sto capitolo non mi ha mai convinta del tutto? Fin da quando ho iniziato a scriverlo, qualche settimana fa, ho tentato di aggiustare in ogni modo quella prima parte, ma boh, non mi piace quanto gli altri due. Ma mi ero promessa che il limite massimo era oggi, quindi eccomi qui. 
Oh, altra cosa: il libro Rivoluzione n.9 esiste davvero, io l'ho letto e c'è davvero quella scena. Non la commento perché altrimenti potrei diventare volgare, LOL(?).
Termino qui queste note che fra poco diventano più lunghe del capitolo ^^" hasta luego a todos! :*
   
 
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