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Autore: Flareon24    25/08/2013    5 recensioni
Tratto dal terzo capitolo:
"Qui mi dovetti veramente fermare un momento. Non stavo certo leggendo una filastrocca, bensì l’annunciazione della mia morte. In altre situazioni non avrei creduto ad una sola parola di ciò che stava scritto su quelle tavole. Ma non in quella situazione. Non dopo quello che Cecilia mi aveva predetto, dopo quello che era accaduto. Purtroppo ogni cosa sembrava collegata in modo tale da creare un quadro perfettamente delineato della situazione. Niente era di troppo, niente poteva far saltare o mettere in dubbio ciò che avevo appena letto. Ripresi fiato.
-Dice che lo scontro fra me e questo guerriero è destinato ad avvenire. E...così com’è destinato ad avvenire, io sono...destinata a morire. A meno che io non purifichi metà del il mio sangue-
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scrittura: pensieri, sogni o ricordi non espressi a voce
Scrittura: regolare pezzo di racconto
ATTENZIONE: la storia è puramente inventata da me. Qualsiasi riferimento a testi già esistenti, serie televisive e affini è pura coincidenza.

Fuoco, fiamme e carbonara- 1° parte

Correndo a perdifiato mi sto dirigendo verso un villaggio avvolto nelle ombre notturne. L’erba alta mi arriva fino al fianco e intralcia il mio cammino avvolgendomi le caviglie in una fastidiosa presa. E’una notte senza luna né stelle, niente illumina il mio cammino. L’unica sbiadita luce proviene proprio dal villaggio verso il quale sono diretta. Le poche torce appese alle pareti scrostate brillano smorte ai loro posti mentre le tenebre ne soffocano il bagliore. Il ritmico rumore del mio affannato respiro riempie l’inquietante silenzio che mi avvolge. Sto correndo da chissà quanto in quell’immensa prateria rigogliosa, ma non so perché. Nel cuore si agita un senso di inquietudine e paura che non mi piace per niente. Sono quasi arrivata a quel piccolo gruppo di case. Ce l’ho quasi fatta. Improvvisamente qualcosa mi taglia veloce la strada sfrecciando a corsa. Non faccio in tempo a vederlo sparire alla mia sinistra perché una parete di fuoco e fiamme si innalza davanti ai miei occhi. Mi fermo bruscamente, parandomi il viso dall’intenso calore con le braccia e mi volto per tornare indietro. Di nuovo qualcosa mi passa davanti da destra verso sinistra e incendia l’erba davanti a me. Non posso andare da nessuna parte. Il caldo in quel cerchio di fuoco si fa asfissiante, da volersi strappare i vestiti di dosso. Qualcuno ride oltre il muro di fiamme mentre l’aria comincia a mancare. Improvvisamente una figura enorme balza attraverso l’incendio. La scena è vista a rallentatore ma le rosse lingue di fuoco non mi permettono di distinguere bene cosa sia quella creatura dai tratti felini che sta per arrivarmi addosso.
 
Spalancai gli occhi inspirando una grande quantità d’aria dalla bocca. La ributtai subito fuori espirando pesantemente mentre il sudore mi impregna i vestiti e la fronte. Ansimando mi portai una mano sul viso marmato e mi stropicciai l’occhio sinistro.
Quando il respirò fu tornato più o meno regolare, premetti il bottone della sveglia che proiettò subito l’ora sul soffitto. Le 3:08. Scossi la testa e scesi dal letto diretta in bagno. Accesi la luce e subito mi portai la mano sul viso per coprire gli occhi ancora coccolati dal buio. Sbuffai infastidita e mi buttai sulla cannella del lavandino.
Era da poco iniziato Giugno e faceva un caldo terribile. L’aria era stantia, satura di sudore e appiccicosa.
Quando mi rialzai dalla cannella osservai il mio viso allo specchio. I capelli castani chiari erano fissati sulla testa in una malferma crocchia abbozzata. Il volto imperlato di sudore era pallido e freddo nonostante il caldo impietoso che mi soffocava. Gli occhi marroni, di un verde appena accennato, erano cerchiati di una leggera tonalità di viola. Troppo poco sonno, troppa fatica durante il giorno, troppa fottutissima calura! Mi passai le mani bagnate sul volto trovando un effimero sollievo che durò poco più di 10 secondi. Sbuffai nuovamente, spensi la luce e me ne tornai a letto con le coperte esiliate in fondo al materasso. Mi misi a pancia in su a fissare un vecchio poster che ciondolava dal armadio ponte sopra il mio letto. Tanto sapevo già che lo avrei fissato per tutto il resto della nottata senza più riuscire a chiudere occhio. Il tempo non passa mai quando non si riesce a dormire e io lo trascorsi a tamburellare le dita dove mi capitava e a rigirami come un’ossessa sul materasso che si scaldava troppo velocemente. Finalmente mio padre venne a svegliare mio fratello Davide. Per quanto mi riguardava l’avevo battuto sul tempo. Mi alzai stancamente dal letto e da lì cominciò la mia giornata. Tutto scorreva lento intorno a me, la mia percezione della realtà era sfocata dal sonno e dalla confusione da esso provocata nella mia testa. Ciò che mi circondava mi era totalmente indifferente. Mi sentivo uno zombi con le gambe troppo pesanti per essere sollevate ed il cervello troppo putrefatto per poter essere utilizzato. Forse stavo anche sbavando ma, in ogni caso, non me ne sarei accorta.
Dopo un lasso di tempo che mi parve una mezza eternità, mi ritrovai a trascinarmi per le strade fiorentine accanto a Cecilia, diretta verso scuola. Stava parlando di qualcosa, ma in quel momento mi sfuggiva cosa. Quand’è che aveva cominciato a parlare? E quand’è che ero scesa dalla sita?
-Capisci? Una poi una cosa dovrebbe fare? Arrabbiarsi non serve a nulla, se glielo dico ci mettiamo a litigare! Ma io che devo fare?! Senza contare che…Gea? Ma…mi stai ascoltando?-
Mi voltai a guardarla con aria confusa.
-Scusa Sesì, hai detto qualcosa?-  Cercai di ricordare se avessi effettivamente lasciato mio fratello a scuola o da qualche altra parte. Ha 12 anni, per Diana! Saprà trovarsela da solo la scuola!
Lei mugolò esasperata lasciando cadere le spalle e reclinando la tesa all’indietro. I vaporosi capelli rosa ravanello pallido le arrivarono fino a metà della schiena, malamente fermati dalla bandana verde adibita a passata.
-Niente di che, ti ho solo fatto un intero discorso sui problemi fra me e Tommaso. Tutti particolari trascurabilissimi- rispose sarcastica.
-Scusa, non ho dormito molto stanotte- mi scusai stropicciandomi gli occhi. Non era una cosa nuova ultimamente.
-Di nuovo gli incubi?-
-Sai che novità…- sbottai.
-Che hai sognato stavolta?-
-Bah, cose senza senso. Come sempre del resto. Stavo correndo in un prato, di notte. Ero diretta verso un villaggio quando ad un certo punto…indovina che succede-
-Prende fuoco ogni cosa-
-Già-
-Senti Gea, non è una cosa normale!-
-Cosa, che tu sappia a menadito come finiscono i miei sogni? In effetti è un po’ strano- risposi ironica lasciando andare la tesa all’indietro e chiudendo gli occhi.
-No! Che tutte le notti tu sogni il fuoco-
Tornai a guardare il marciapiede ancora abbastanza sgombro dai passanti.
-Solo recentemente. E non tutte le notti-
-Stanno aumentando da quando sono cominciati. Prima ne avevi uno a settimana. Poi 2…adesso 3! E hai fatto già più di 7 sogni dove qualcosa prende fuoco, scoppiano incendi e cose del genere!-
-Che fai, li conti anche?-
-Certo! E dovresti farlo anche tu! Te lo dico io, questo è un segno!-
Alzai gli occhi al cielo.
-Oh, ti prego Sesì! Ora non ricominciare!-
La nonna di Cecilia faceva di lavoro la cartomante, percui lei era molto suscettibile per quanto riguardava i tarocchi, i segni, le congiunzioni astrali e tutte queste, passatemi il termine, “stronzate” qui. Scurrile ma vero. Ora lei si era impuntata sul fatto che questi sogni erano una segno di ammonizione contro un pericolo imminente. Per me erano semplici incubi, tutto qui. Se poi in tutti quanti era sempre presente il fuoco, per me era semplice coincidenza.
-Ma potrebbe essere uno spirito, un tuo antico parente defunto che cerca di darti un segno su un demone oscuro-
-Si, come quello nel mio armadio quando avevo sette anni-
-Esatto!-
-Sesì, era una felpa! Mi hai fatto fare 4 volte il lavaggio con acqua santa improvvisata a tutto l’armadio!-
- Gea!- Mi si piantò davanti prendendomi le spalle fissandomi con sguardo grave.
-Io non voglio che ti accada nulla di male. Sei la mia migliore amica!- Sorrisi nonostante la stanchezza e il mal di testa. Le misi le mani sulle braccia e avvicinai il mio viso al suo pieno di piercing.
-Cecilia, non mi accadrà assolutamente niente. Sono solo incubi, chiaro?- Le detti alcune pacche sulla spalla, mi liberai dalla sua presa e ripresi a camminare. La ragazza, altissima e vestita in modo improbabile, mi raggiunse a corsa.
-Almeno fatti leggere i tarocchi da mia nonna!-
-Cecilia!- strepitai.
Il discorso andò avanti per un po’. Più che discorso, in effetti, era un monologo visto che Cecilia andava avanti a domande alle quali si dava da sola la risposta. Arrivammo a scuola poco prima che la campanella mi suonasse fastidiosa nell’orecchio e cominciasse a prendere a botte il mio cervello. Io e Cecilia ci separammo per dirigerci nelle nostre rispettive classi, la 5B e la 5L. Piagnucolai rassegnata al fatto che ormai oggi sarebbe stata un giornata tutta così. A partire dalla lezione di inglese con quella cornacchia della Salvemini per poi finire con la Brulli di storia dai leggendari toni altisonanti e sgraziati. In classe si boccheggiava dal caldo. Le cinque finestre spalancate non facevano entrare il benché minimo alito di vento.
All’uscita da scuola fui travolta dalla fiumara di persone che mi spintonarono come un branco di gnu. Con il sole bestiale delle 13 che mi picchiava sulla testa, mi buttai in modo sgraziato sotto l’albero vicino alla pensilina dell’autobus. La panca all’ombra della grande struttura in ferro ero già piena zipilla, così mi accontentai del povero albero di turno.
-Geaaaaaa!- Mi voltai accigliandomi  mentre mi scioglievo la coda che era collassata sino alla spalla. Cecilia stava correndo verso di me con i pantacollant leopardati aderentissimi alle sue gambe impietosamente secche. L’anellino al naso sbrilluccicava festoso riflettendo la luce solare. La minigonna verde acceso, che non c’entrava nulla con le macchie dei pantacollant, saliva sempre di più verso la camicetta bianca. Mi domandai come facesse a stare con il gilet di jeans, anche se era sganciato. Le mille collane argentate e maxi lunghe le arrivavano fin sotto al petto, accecandomi con il loro luccichìo.
-Cecilia, ma non uscivi alle 14?- domandai raccogliendo i capelli sulla nuca il più possibile lontani dal collo. La ragazza mi raggiunse e si mise seduta vicino a me con la mia altrettanta grazia.
-Già, ma il professore di fisica si è rifiutato di fare lezione con quel caldo e ci ha dato il permesso di uscire in segno di protesta. E’ più lavativo di noi quell’uomo. Non mi sorprenderebbe vederlo fuori da scuola con un megafono in mano a strepitare “Occupiamola, occupiamola”-
-Ma se classe vostra è all’ombra?-
-Lo so. Ma non credo che nessuno avesse intenzione di farglielo notare. E poi stava sudando come una grondaia, ci avrebbe annegato col suo stesso sudore-
-Che schifo- obiettai con una smorfia di disgusto. L’idea dei ragazzi che annegavano nel sudore mentre Cecilia utilizzava il banco come zattera mi fece fare una capriola allo stomaco.
-E poi le grondaie non sudano- continuai.
-Dai, sai cosa intendevo!- Si misi a cercare qualcosa nello zaino tirando fuori libri, quaderni, cellulare e qualche assorbente che prontamente nascosi con il piede. Riemerse dalla sua ricerca con una sigaretta in bocca ed un accendino in mano. L’accese e rimise tutto apposto mentre le legavo i capelli. Non la potevo vedere con quella chioma tinta che le copriva metà della schiena. Due miei compagni di classe mi passarono davanti e mi salutarono. Ricambiai il saluto e tornai a sedermi aspettando la Sita.
-Gea…- mormorò Cecilia senza tono.
-Si?- Mi voltai a guardarla. Poi vidi che guardava avanti, lo sguardo assente perso nel vuoto attraverso gli edifici.
-Gea…- ripetè.
-Sesì?- domandai alzando un sopracciglio. Ci fu un momento di silenzio, poi si voltò di scatto a guardarmi.
-Ti sei mai chiesta perché ti chiami così?-
Sobbalzai andando un po’ indietro e portandomi una mano al petto.
-No. Perché, tu ti sei mai chiesta come mai ti hanno chiamato Cecilia?- Mi rimisi dritta distendendo  le gambe soffocate dai jeans.
-Qualche volta. Ma il tuo è un nome…particolare. Gea. Vuol dire terra.-
-Si, lo so. L’ho studiato anche io il greco antico. A mia mamma piaceva e me l’ha dato- risposi facendo spallucce.
-Scusami, non volevo rammentare tua madre-
-Fa niente Sesì-
Era proprio mia madre che mi aveva dato questo nome. Lei si chiamava Cora, che voleva dire sempre terra in greco antico. Sparì quando rimase in cinta. Ricomparve nove mesi dopo, mi dette alla luce e poi sparì nuovamente. Mio padre non sapeva dove fosse andata per tutto quel tempo, ne dove fosse tornata quando sparì la seconda volta. Io non l’ho mai vista, nemmeno in foto. Non era ritratta in nessuna delle cornici a casa. Anche il suo ricordo era sfumato nella memoria di papà. Non ricordava poi così bene cosa fosse accaduto, come se la sua mente avesse lavato via quel periodo e ne fosse rimasto solo un cupo residuo sbiadito. Mio fratello Davide era figlio di una ex di papà. Un “errore” come lo aveva definito quella sgradevole donna. Era successo per caso, 6 anni dopo la mia nascita. Mio padre si era ubriacato e…è successo quel che è successo. Non sono arrabbiata con lui, mi fa quasi pena. È rimasto solo con due figli. In effetti c’è rimasto un po’ di sasso quando questa Lucia è piombata una mattina in casa nostra con un bambino di pochi mesi fra le braccia ed ha preteso che se lo tenesse lui. “Questo è colpa tua!Tu lo hai fatto, tu te lo tieni!” Ovvia! Girò il culo e se ne andò. Mio padre, nonostante tutto, decise di tenerlo. Ed ora eccoci qua, un’allegra famigliola di tre persone; un uomo senza moglie con i suoi due figli senza madre. Evviva la famiglia! Credo che avrei odiato mia madre se solo papà non ne avesse parlato sempre così bene. Diceva che non se ne sarebbe mai andata senza un motivo più che logico e plausibile. Raccontava anche che era una donna di una dolcezza indescrivibile, bella, solare, affettuosa. “Me la ricordi tanto. Hai i suoi stessi lineamenti. Gli stessi occhi, un po’ più scuri” mi diceva qualche volta. Era felicissima di avere una figlia, diceva che così il suoi doni più preziosi sarebbero stati uniti in una cosa sola. Uno di questi doni ero io, ma nessuno sapeva quale fosse quest’altro dono di cui parlava.
 
Tossicchiai e sventolai via una nuvoletta di fumo che si insinuò nelle miei narici interrompendo il flusso di ricordi
-Ma devi proprio fumare?- domandai infastidita.
Non sopportavo il fumo, mi toglieva l’aria. In generale non ho mai sopportato niente che bruciasse, come il fuoco, fiammiferi, fornelli…o sigarette, appunto. Adoravo stare al sole, mi abbronzavo subito. Ma non sopportavo quando quello schifo grigio aleggiava nei dintorni.
-Sto cercando di smettere, ma tutte le volte le sento che mi chiamano “Ceciliaaaaa….Ceciliaaaaa” - Sorrisi e scossi la testa. Per un momento dimenticai la mia stanchezza.
-Sei proprio di fuori Sesì- Continuai a ridere alle stupide battute della mia amica. Ormai era partita e non l’avrebbe più fermata nessuno. Dopo 10 minuti circa arrivò la Sita e io mi alzai spolverandomi i pantaloni. Salutai quella svitata di Cecilia e salii su quel piccolo paradiso viaggiante. Il contrasto fra i 40 gradi esterni ed i 20 interni mi strappò un soffuso gemito di piacere. Mi buttai a peso morto su uno dei posti nella parte più in fondo, spaparanzandomi a mio piacimento. La Sita era vuota per il momento e mi rilassai sullo schienale. Presi le cuffie e le collegai al cellulare, immergendomi nella musica. Pochi minuti dopo chiusi gli occhi e mi addormentai.

Tutto è buio davanti a me. Una distesa completamente nera come il petrolio mi circonda, ma non nasconde niente dietro di sé se non altro buio. Improvvisamente una scintilla nel mezzo del nulla si accende e subito scatena un incendio che brucia e divampa ovunque.

Aprii gli occhi con il cuore a mille. Sospirai tirandomi su con il collo dolorante mentre l’asfalto correva veloce sotto il mio sguardo assonnato. Controllai l’ora sul telefono e mi accorsi che avevamo viaggiato già per una decina buona di minuti. Mi rimisi dritta stirandomi e sobbalzai ritrovandomi mio fratello accanto.
-Davide!- esclamai togliendomi gli auricolari.
-Ciao Gea- rispose assorto nella sua contemplazione delle applicazioni del cellulare.
-Che fai?- domandai allungando il collo sullo schermo. Una macchinina rossa che sfrecciava a trecento in una strada tutta curve mi chiarì subito la situazione.
-Gioco-
Roteai gli occhi e mi rinfilai le cuffie nelle orecchie alzando il volume al massimo. Battendo testate al finestrino ad ogni buca, dosso rallentatore e bozzo sull’asfalto, mi ritrovai a fissare i campi erbosi spettinati dal vento, lontani ormai diversi chilometri da Firenze . Improvvisamente passammo davanti ad un posto un po’ particolare. Era un prato d’erba sgombro da qualsiasi albero, arbusto o cespuglio. Eccetto uno. Era la centro del prato, solitario e verdeggiante. Ma ciò che veramente mi aveva sempre incuriosito di quel giovane albero era la forma. Sicuramente frutto di una prospettiva sfocata ed ingannevole, l’albero appariva a forma di cervo. Accucciato, come in attesa di qualcosa, di qualcuno. Il lungo collo sorreggeva una testa agghindata la lunghe corna costituite da rami. L’effetto era reso meglio d’inverno, dove i rami sembravano vere e proprie protuberanze cornee, ma d’estate lo spettacolo era assai più appariscente. Lo fissai come facevo sempre quando gli passavo davanti. Forse lo avevo fatto anche stamattina nella confusione generale del mio cervello. Dopo pochi minuti chiusi nuovamente gli occhi e mi riaddormentai appoggiata al finestrino tremolante. Fui svegliata da qualcuno che mi stava scuotendo dal braccio sinistro. Aprii gli occhi di scatto e riconobbi il grande prato sulla collina dov’era abbarbicata casa mia. Guardai Davide che si stava mettendo la cartella sulle spalle e mi fissava con quei grandi occhi castani leggermente coperti dal ciuffo corvino dei suoi capelli.
-Vai a fermare il guidatore-
Davide annuì e si diresse a lunghi passi verso l’uscita con andamento traballante a causa delle tante curve. Io mi stirai più che potei, poi mi alzai di scatto e raggiunsi Davide pochi secondi prima che la Sita si fermasse. Salutammo il conducente e ci incamminammo sotto il sole cocente verso casa.

Salve a tutti! Spero che vi sia piaciuto il testo, anche se sono consapevole del fatto che è lento. Lo sarà ancora per un po', ma la fase d'inizio non poteva essere troppo ricca di avvenimenti. I nomi non saranno dei più fantasiosi, ma ero a corti di idee migliori XD
Spero che a qualcuno possa piacere. Vi prego, recensite! Grazie a tutti
Flareon24

  
  
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