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Autore: dontletmeboo    25/08/2013    50 recensioni
Pregherei gentilmente di NON copiare questa storia, come già sta succedendo.
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“69 Days in Love -  Come far innamorare una celebrità in 69 giorni”
Ma se Julie prendesse troppo sul serio questo articolo?
Se al suo lavoro si mischiassero per sbaglio anche dei sentimenti?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Twenty-four
Home.


 


«Siamo arrivati?» chiesi, continuando a guardare fuori dal finestrino il cielo che, da azzurro, era diventato più grigio.
«No» sbuffò Harry.
Annuii, appoggiando i piedi scalzi sul cruscotto della macchina. «E ora?» tentai un’altra volta.
Harry si voltò verso di me, «è la quinta volta che me lo chiedi nel giro di dieci minuti» protestò.
«Hai ragione, scusa» dissi, «è che voglio sapere dove mi stai portando» mi giustificai, appoggiando la testa al finestrino.
Lui rise e ripartì appena il semaforo scattò sul verde.
Passò qualche secondo, in cui cambiai stazione radio, e «siamo arrivati?»
Non mi rispose, si limitò a nascondere un sorriso da ebete stampato sulle labbra.
«Tra poco inizierà a piovere,» anche lui osservò il cielo.
Annuii, «Già. Ma siamo arrivati?»
Questa volta scoppiò a ridere, ma non rispose, rimanendo in silenzio per qualche minuto. Solo dopo aver accostato la macchina se ne uscì con un «ora siamo arrivati,» spense l’auto «più o meno.»
Aggrottai la fronte, aprendo la portiera e poggiando i piedi a terra; immediatamente le mie scarpe furono ricoperte da uno strato di fango e non feci in tempo a chiedere spiegazioni sul suo ‘più o meno.’
«Merda» imprecai, cercando di uscire dalla pozzanghera e sentendo di nuovo le risate di Harry, «e ride» sbuffai, accusandolo.
Mi venne in contro, evitando le pozzanghere di fango.
«Dove mi hai portato? Siamo in un bosco?» riflettei, «mi vuoi uccidere? Io lo sapevo che mi volevi uccidere» piagnucolai, pregando che le mie vans non si fossero rovinate troppo.
Il riccio scosse la testa divertito, «muoviamoci o facciamo tardi, mancano ancora venti minuti di strada.» 
Lo seguii con lo sguardo, «e come-» non feci in tempo a finire la domanda che Harry tolse il telo nero che ricopriva il retro del pickup. 

Sbattei le palpebre più volte, inorridita da quella visione.
«Stai scherzando» risi, riuscendo ad allontanarmi dal fango e cercando di pulire le scarpe con dei fazzolettini di carta.
«Oh no,» con entrambe le mani tirò giù la prima bicicletta e l’appoggiò a terra.
Cominciai a balbettare, andandogli incontro e scuotendo la testa. «Harry, no» protestai.
«Julie, si» fece per prendere anche la seconda bici, «non possiamo arrivarci dalla strada, passiamo per questa scorciatoia.»
Rimasi a fissarlo con gli occhi spalancati. «Ma io non so andare in bici» mi morsi il labbro, grattandomi poi la testa, in imbarazzo.
Alzò lo sguardo su di me e mi parve spaesato, «oh» disse semplicemente, rimettendo al proprio posto una delle due biciclette, quella con il cestino rosa.
Però era carino il cestino rosa.
«Forza, andiamo» esordì, interrompendo i miei pensieri sul cestino.
Corrugai la fronte, confusa, «come?» risi, pensando avesse bevuto «tra poco inizia anche a piovere.»
Come se l’avessi previsto una goccia d’acqua mi arrivò sulla fronte, colandomi poi sul naso.
Una fottuta indovina, ecco cos’ero.
«Prima partiamo, prima arriviamo» alzò le spalle, «sali su.»
Si mise in tasca le chiavi dell’auto e con agilità salì sul sellino della bici.
Ovviamente anche io avevo tutta quell’agilità.
Più o meno.
Il debito in educazione fisica alle superiori non c’entrava assolutamente nulla con la mia efficienza nell’attività fisica. Io amavo fare ginnastica. 
La convinzione fotte le persone, Julie.
«No» incrociai le braccia davanti al petto e misi il broncio.
«Sali» ordinò, di nuovo.
Scossi la testa, feci per protestare, «Julie, ti fidi di me?»
Tentennai leggermente, per poi annuire.
«Allora siediti qui, non pioverà, tranquilla.»


Da quando cazzo mi fidavo di Harry Styles?
Un quarto d’ora dopo mi ritrovai seduta sulla canna della sua bici, con il culo che ormai si era appiattito e aveva preso una forma simile al manubrio.
«Spostati un po’ più a destra» mi disse, per l’ennesima volta. 
Obbedii, ma mi sbilancia forse un po’ troppo, dato che la bici oscillo. 
«Quella è la sinistra» protestò, «se stai al centro non vedo dove stiamo andando.»
Sbuffai, «non ce la faccio più» di lì a poco sarei scoppiata in un pianto isterico, me lo sentivo. Ma chi me l’aveva fatto fare?
Diciamo che dopo essere salita in macchina con Harry mi aspettavo che mi portasse in un posto tranquillo, romantico. Che so, magari al mare.
Non in un bosco pieno di fango, foglie e insetti di cui non conoscevo neanche l’esistenza. Su una bicicletta, in due persone per di più.
«Vuoi che ci fermiamo qualche minuto?» mi chiese.
Mi si illuminarono gli occhi solo all’idea di poter tornare con i piedi per terra e annuii.
«Però ti avviso» lo sentii rallentare e pedalare con meno decisione, «la frenata sarà un po’ brusca.»
Non feci in tempo ad assimilare quella frase e a chiedere spiegazioni che i piedi di Harry si piantarono a terra, la bici oscillò pericolosamente e io scivolai dal manubrio.

Aprii gli occhi, guardandomi poi attorno.
Il fango al di fuori della stradina sterrata sulla quale pedalava Harry arrivava alle caviglie, ed io ero sdraiata a terra.
Mi tappai il naso con le mani, per poi toglierle immediatamente dalla faccia appena le notai anche loro ricoperte di terra. Trattenni un conato di vomito e cercai di tranquillizzarmi. 
«Harry?» dissi a bassa voce, con fin troppa calma «perché non hai usato i freni?»
Lo vidi avvicinarsi a me dopo essere sceso dalla bici, piegato in due dalle risate, mentre entrava anche lui nella palta, incurante dei suoi stivaletti marroni.
«Non ha i freni che funzionano quella bici» la indicò con un cenno della testa, mentre rideva ancora.
Sospirai, imponendomi di calmarmi.
«Va tutto a posto» cercai di convincermi da sola.
«E’ solo un po’ di fango, Julie» alzò le spalle, tossendo e soffocando un'altra risata.
Annuii «solo un po’ di fango» ripetei, allungando poi una mano «mi aiuti ad alzarmi almeno?»
Si avvicinò di qualche passo, afferrando la mia mano. Appena la strinse, con tutta la forza che avevo, lo attirai verso di me.
Harry perse l’equilibrio e mi cadde addosso, mentre imprecava.
Poco dopo si guardò i vestiti tutti sporchi, i ricci che aveva per sbaglio appoggiato al terreno, ancora più ricoperti di terra.
Alzai le spalle appena si girò a guardarmi con la bocca spalancata.
«E’ solo un po’ di fango, Harry» mi stampai in faccia un sorriso innocente.
Lui si morse il labbro divertito, annuendo. «Questo è fango, vero?» non collegai la domanda con i fatti finché non prese della terra con una mano e me la spalmò sulla maglietta.
Sgranai gli occhi, spalancando la bocca e osservando la grossa macchia marrone sulla maglia rossa.
Annuii, «si è fango» cominciai, e con due mani feci quello che aveva fatto lui poco prima «come questo qui» gli centrai anche a lui la maglietta e il resto lo misi sulla sua guancia sinistra.
Sembrò sorpreso e, ancora una volta, si vendicò.

Dieci minuti più tardi eravamo a rotolarci per terra e a lanciarci fango. Non mi ero nemmeno accorta che era iniziato a piovere più forte e gli alberi non riuscivano più a ripararci.

Io e Harry avevamo terra e palta ovunque, sui vestiti, sui capelli e nelle scarpe e la pioggia diventava sempre più fitta. Sinceramente non me ne importava più dello sporco, o dell’acqua. Non mi importava di essere in un bosco pieno di insetti.
Mi importava solo di essere lì, con lui. 



Harry.

Avevamo passato mezz’ora a tirarci fango e foglie e a rotolarci per terra sotto la pioggia.
Ormai i vestiti di entrambi erano fradici e zuppi di qualsiasi cosa, ma era strano come il tempo passasse in fretta quando ero in compagnia di Julie.
Mi guardai intorno leggermente spaesato.
«Dove sei finita?» chiesi, con della terra umida tra le mani, pronto a lanciargliela addosso non appena si sarebbe fatta intravedere da dietro le piante. «Julie?» la chiamai di nuovo, corrugando la fronte.
Non sentii nessun rumore, nessuna risposta.
«Non è divertente» risi, voltandomi di nuovo e guardando dietro un cespuglio, «dove sei?» alzai un po’ di più la voce. Magari non mi aveva sentito.
Anche quella seconda volta non ottenni risposta. In compenso sentii delle urla, non feci in tempo a voltarmi che Julie mi corse in contro, lanciandosi su di me e facendomi cadere a terra.
«Porca puttana» imprecai, sentendo un dolore alla spalla.
Lei, per tutta risposta, scoppiò a ridere. «Secondo i miei piani avresti dovuto tenermi in braccio» si asciugò le lacrime dovute alle risate con la manica della maglietta rossa.
«Mi hai lussato una spalla e bucato un polmone» dissi, con il fiato corto, osservando la macchia di terra che ora si trovava sulla sua guancia, sotto lo zigomo.
Risi anche io mentre, da seduta sulla mia pancia, si sdraiava accanto a me.
«Sta diluviando,» osservò, guardando il cielo e spostando la testa di lato, chiudendo leggermente gli occhi per evitare che la pioggia le arrivasse in faccia.
«Perspicace la ragazza,» ironizzai.
Rise, e sospirò non appena piombò il silenzio.
«Dovremmo andare» mi sedetti, «o congeleremo qui fuori sotto la pioggia» mi alzai poi in piedi, porgendole una mano e aggiungendo un «questa volta evita di farmi cadere» per essere sicuro.
Julie annuì, afferrò la mia mano e si alzò da terra, «grazie.»
Risalimmo sulla bici e ricominciai a pedalare.


«Siamo arrivati?» mi fissò, mentre le mie gambe continuavano a pedale sempre più piano.
Scossi la testa e riaprii leggermente gli occhi appena riuscii ad intravedere meglio la stradina, data la pioggia meno fitta.
«Ora?»
Sbuffai, feci per ribattere, molto probabilmente con un insulto o qualcosa di vagamente simile, poi vidi in lontananza un cancello. Sorrisi, «ora siamo arrivati» dissi, infine.
Sembrò illuminarsi, senza cadere dal manubrio staccò una mano per spostarsi i capelli che, bagnati, si erano appiccicati alla sua fronte «ha quasi smesso di piovere» commentò.
Annuii, e dopo qualche altra pedalata l’avvertii «tieniti forte che dobbiamo frenare.»
Serrò gli occhi e la mascella, stringendo la presa sulla canna della bici e mordendosi un labbro.
Quella volta rallentai e appena appoggiai i piedi sullo sterrato, ci fermammo.
«Puoi aprire gli occhi ora» risi.
Obbedì e si guardò leggermente intorno, cercando, forse, di capire dov’eravamo; scese dalla bici, feci lo stesso e l’appoggiai al cancello di metallo davanti a noi.
«Andiamo» le dissi.
Scosse la testa, «dove siamo? Ora mi uccidi?»
Alzai gli occhi al cielo, «dai, ti fidi di me?»
«In realtà no. L’ultima volta-» fece per obbiettare, ma non terminò la frase; si bloccò appena le afferrai di colpo la mano e cominciai a correre, trascinandola e senza ascoltare le sue lamentele.
Eravamo arrivati. Sinceramente non sapevo perché avevo deciso di portarla con me, ogni tanto me lo chiedevo, non riuscendo poi a trovare una risposta.
Avevo seguito l’istinto.
Avevo seguito il cuore.



Julie.

Mi fermai e appoggiai le mani sulle ginocchia, cercando di calmare il fiatone e sentendo il cuore battere più veloce del normale.
«Eccoci qui» lo sentii dire.
Alzai lo sguardo e mi guardai intorno. 
Alle mie spalle non c’era più né il bosco, né tantomeno la stradina sterrata sulla quale avevamo pedalato. 
Ok, Harry aveva pedalato.
Eravamo su un prato, questa volta non pieno di terra, foglie sparse o insetti. Era curato, come le piccole siepi ai lati e le aiuole di fiori recintate da paletti di legno.
«Ho piantato io quei fiori» esordì, seguendo il mio sguardo.
Risi, «Harry passione giardiniere. Un nuovo gioco per Nintendo ds.»
Fece per ribattere, fingendosi offeso, quando la porta d’ingresso della casa davanti a noi si spalancò.
Sulla soglia apparve una donna che, con un sorriso enorme stampato sul viso, ci venne incontro.
«Piccolo mio» urlò, allargando le braccia.
Harry si grattò la testa imbarazzato, «mamma» l’ammonì, «non sono più un bambino, ho diciannove anni.»
Soffocai una risata, coprendomi la bocca con la mano.
«Rimarrai comunque il mio piccolo» disse lei, testarda, «volevo abbracciarti ma -osservò il nostro aspetto- credo che lo farò più tardi.»
Harry annuì, «siamo passati per il bosco» spiegò, «ah, mamma, lei è Julie» si voltò a guardarmi.
Fui presa alla sprovvista.
«Salve» sorrisi, imbarazzata.
La donna mi squadrò dalla testa ai piedi, in silenzio, e questo contribuì ancora di più a farmi sentire in soggezione. E quando si decise a parlare se ne uscì con uno «mi piace.»
Risi, guardando Harry che alzò immediatamente le spalle.
«Tra qualche ora è pronta la cena, vi conviene farvi una doccia per pulirvi» iniziò, «ma prima» si voltò e raggiunse una cassapanca accanto agli scalini di legno che portavano all’ingresso della casa, l’aprì e tirò fuori un tubo verde, attorcigliato su se stesso. Lo lanciò in mano ad Harry e, «in casa mia con quei vestiti non ci entrate» sorrise e rientrò in casa.

Rimasi a guardare spaesata Harry.
«Cosa dobbiamo farci con quella canna?»
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, per poi avvicinarsi ad un rubinetto attaccato al muro bianco. Non collegai le cose, lo aprì di scatto e aggiunse un «questo.»
Un getto d’acqua ghiacciata mi arrivò addosso e, sorpresa, spalancai la bocca, cominciando ad urlare e innervosendomi ulteriormente sentendo le risate del riccio.
«Brutto bastardo» lo accusai, mentre si avvicinava e cominciava a sciacquarsi anche lui, partendo dai jeans neri.
«Mamma non vuole che entriamo in casa con i vestiti sporchi» si giustificò, alzando le spalle.
I capelli che avevano iniziato ad asciugarsi erano tornati zuppi.
«Me la passi un attimo?» gli chiesi, gentilmente.
Feci per lavare i miei vestiti, per poi colpirlo in faccia con un altro getto d’acqua.
«Me lo sono meritato» annuì, mentre si asciugava il viso con le mani.


«Chi mi dice che non guarderai nella toppa della porta?» alzai un sopracciglio, guardandolo.
Lui sbuffò, «perché dovrei?»
Scrollai le spalle, chiudendo poi la porta a chiave.
«Guarda che ti tengo d’occhio» lo ammonii, togliendomi i vestiti bagnati e aprendo l’acqua della doccia. «Merda» imprecai, appena venni a contatto con l’acqua bollente.
«Giusto, mi sono dimenticato di dirti che per l’acqua calda devi aprire il rubinetto di quella fredda. E viceversa» rise.
«Grazie dell’informazione» dissi con tono acido «ma non mi sarei offesa se me l’avessi detto qualche minuto fa, prima che mi ustionassi una mano.»
Lo sentii di nuovo ridere e appena l’acqua raggiunse la temperatura giusta chiusi gli occhi, rilassandomi e lasciando che il vapore appannasse i vetri trasparenti.

Mi asciugai con un asciugamano gigante, per poi indossare i vestiti che Harry aveva preso in prestito dall’armadio della sorella.
«Ti vanno bene i vestiti?»
Tralasciando il fatto che la sorella avesse una taglia in meno di reggiseno e le mie tette stavano per morire soffocate e scoppiare, sì, mi andavano bene.
«Alla perfezione» dissi, legandomi i capelli bagnati in una coda alta e togliendomi quel poco di trucco che mi era colato sulle guance. «Potevi dirmi di portare dei vestiti» aprii la porta, uscendo dal bagno.
Harry alzò le spalle, «non ci ho pensato.»
Gli feci un verso, guardandomi poi allo specchio e notando dietro di me Harry che rideva.
«Che c’è?» corrugai la fronte.
Alzò le spalle, prese il suo asciugamano e, «hai la maglietta al contrario.»
Abbassai lo sguardo, notando l’etichetta sul davanti. Ecco cosa mi dava fastidio.
Risi, togliendomela e girandola tra le mani.
Solo poi mi ricordai di Harry alle mie spalle e la indossai in fretta, «scusa.»
Non rispose, «vado» indicò il bagno; annuii e pochi minuti dopo lo sentii aprire l’acqua.
«Julie, non è piccolo quel reggiseno?» disse poi, dall’altra parte della porta.
Sgranai gli occhi, «ma-» sentii le guance arrossarsi, «stai zitto» lo ammonii, sentendolo poi ridere.
Scossi la testa, «devo fare una telefonata, arrivo.» Non mi rispose, ma sapevo che mi aveva sentito e, prima di uscire dalla sua stanza lo sentii cominciare a cantare.
Sarei voluta rimanere lì, magari di nascosto, ad ascoltarlo; ma dovevo fare qualcosa di più importante, qualcosa che avrei dovuto fare già da tempo.
Presi il cellulare dalla tasca dei pantaloni e composi il numero del signor Benson.
Gli avrei detto di annullare la stampa e la lettura dell’articolo su Harry. Gli avrei detto di farmi scrivere qualcos’altro, anche la cosa più stupida al mondo.
Mancavano ancora sei giorni prima che l’articolo andasse in stampa e venisse poi pubblicato, potevo ancora bloccare tutto, potevo non farmi scoprire, non tradire Harry. Non potevo far pubblicare quel testo, mi aveva appena portato a casa sua, ad Holmes Chapel, nel Cheshire, dalla sua famiglia.
E non l’avrei fatto. Mi bastava semplicemente parlare con il direttore e tutto si sarebbe sistemato.
Con un sorriso stampato sulle labbra schiacciai il pulsante verde e attesi che rispondesse.
Tutto sarebbe andato perfettamente. Non avrei rovinato nulla.
Feci per parlare appena una voce mi arrivò alle orecchie. 
Ma quel sorriso che poco prima c’era sulla mia faccia scomparve. Scomparve appena mi resi conto che quella era una voce fin troppo metallica per essere reale.

«Buongiorno, questa è una segreteria telefonica. Vogliamo avvisarla che il signor Benson non sarà disponibile durante questo fine settimana a causa di imprevisti personali. La contatteremo tra qualche giorno, salve e buona giornata.»
Merda.

 


  
 
 

  
 
 




Soo waake me up wheen it's aal oover..

Difficile da credere ma sono ancora viva.
E stranamente sono anche riuscita a scrivere questo capitolo. Era un mese che non aggiornavo, un mese. Come facevo a pensare di poter prendere una pausa, non lo so..mi mancava scrivere :') 

In ogni caso..Harry ha portato Julie a casa sua, dalla sua famiglia.
cosa :) succederà :) ? :)
io lo so ouo
e lo saprete anche voi, spero il più presto possibile lol
Vi ringrazio tutte quante, siete fantastiche c':


Come sempre:
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Un bacio, Simo.


 
   
 
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