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Autore: Acinorev    26/08/2013    13 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Don't ignore me

Capitolo 15

 

Piccolo “ripasso”, dato che c’è stata una pausa di un mese:
è il giorno della partenza di Brian e abbiamo lasciato Vicki che incontra Louis a casa di Liam,
dopo un pomeriggio passato con Abbie, che le ha parlato di Zayn e di Kathleen, mettendola in guardia.
Cosa vorrà Tomlinson, adesso?

 
«Rapporti civili, ricordi?» domandò retorico, facendo schioccare la lingua sul palato.
Alzai un sopracciglio e «come?» chiesi, domandandomi cosa diavolo pretendesse da me. Diceva che dovevo stargli lontano, e poi si comportava in quel modo: la coerenza non era di certo una sua prerogativa. Io, intanto, cercavo un modo per scappare, perché i nostri incontri erano sempre troppo imprevedibili e la mia forza di volontà sempre troppo scarsa.
«Credo che sia buon uso salutare, no?» spiegò lui, diminuendo la distanza tra di noi di un gradino.
Sbattei le palpebre più volte: «Davvero, Louis? Stai parlando sul serio?» furono le mie parole, sbalordite quanto me. Non potevo credere che mi avesse quasi rimproverato per non averlo salutato: se era questo, che si aspettava, aveva preso un granchio. E anche bello grosso.
«Non pensi anche tu che sia alla base di un rapporto civile?» domandò, alzando le spalle. Era così tranquillo da farmi saltare i nervi: mi chiedevo, però, se fosse solo una finzione. Se quel sorriso accennato e perenne fosse solo un modo come un altro di nascondere qualcosa: non potevo credere che lui fosse davvero tanto incoerente, doveva per forza provare una certa attrazione nei miei confronti, per quanto essa fosse contrastata dal comportamento contraddittorio del suo proprietario.
Le parole di Zayn presero a rimbombare nella mia testa: se Louis faceva qualcosa, era perché voleva farlo e perché ne aveva un motivo. Il problema era che Louis faceva molte cose, ognuna in contraddizione con le altre. Su quale avrei dovuto concentrarmi, esattamente?
Abbassai lo sguardo, sospirando e scuotendo la testa: dovevo combattere quel suo modo di fare, impormi e fargli capire che mi aveva stancata.
«Primo, io non ho affatto accettato di avere un rapporto civile con te – iniziai, con il tono di voce che tradiva la mia tensione, ma che poteva essere scambiato per sicuro. Avevo ripetuto e sentito pronunciare talmente tante volte quelle ultime parole, che sembravano ancora più ridicole di quanto non fossero già: Louis, intanto, mi guardava in attento ascolto. – Se credi di poter decidere per entrambi, ti sbagli di grosso. Secondo, hai detto che devo starti lontana, no? Bene, è quello che sto cercando di fare» spiegai, cercando di mantenere la calma. Ero sicura che, se mi fossi lasciata prendere dall’emozione, avrei finito per urlargli contro tutta la mia frustrazione.
«Ti ho detto di starmi lontana, infatti – ripeté lui, raggiungendomi sul pianerottolo e fermandosi di fronte a me, con il viso sin troppo vicino. Io feci un passo indietro e lui ne fece uno in avanti, provocando un ulteriore aumento del mio battito cardiaco. – Non ti ho detto di ignorarmi» precisò.
Presuntuoso. Presuntuoso e maledetto stupido.
Cercai di raccogliere un po’ di coraggio e soprattutto la voglia di avere un nuovo confronto con lui: «Peccato che io non sia ai tuoi ordini» ribattei, sforzandomi di spostare gli occhi dalle sue labbra sottili, sulle quali Louis aveva appena passato la lingua e che facevano a pugni con i miei tentativi di rimanere concentrata.
«Be’, allora te lo chiedo» acconsentì, avvicinandosi un altro po’ a me e incastrandomi nell’angolo del pianerottolo. I nostri petti che quasi si sfioravano e io che dovevo controllare il mio respiro per evitare che accadesse, con un’inspirazione troppo ampia. Louis appoggiò una mano alla destra del mio capo, sul muro, e i suoi occhi sembrarono cambiare l’intera espressione del suo viso.
Improvvisamente, ebbi l’impressione di essere davanti al Louis Tomlinson con cui avevo passato una piacevole serata al Luna Park, quella prima volta: il suo volto aveva perso ogni traccia di presunzione, velandosi di qualcosa di diverso che faticavo a decifrare. Sapevo che avrei dovuto spostarmi da lì, ma non ci riuscivo. Non potevo, e una piccola parte di me nemmeno voleva.
Mi appiattii contro la parete quando lui si fece ancora più vicino, quando i suoi occhi si spostarono su ogni particolare del mio viso per poi fermarsi sulle mie labbra: «Puoi non ignorarmi, – cominciò, chiudendo a pugno la mano sul muro. Non c’era contatto tra di noi, ma io lo sentivo su ogni millimetro della mia pelle, ovunque, – per favore?»
Trattenevo il fiato mentre valutavo le sue parole, mentre mi accorgevo che le sue labbra riflettevano una certa tensione, come se Louis si stesse trattenendo dal fare qualcosa, come se… Come se quella richiesta fosse sincera e dovuta ad un reale bisogno.
Quando Louis appoggiò la fronte alla mia, sentii le gambe cedere sotto il peso dei suoi occhi. Abbassai le palpebre e deglutii a vuoto, obbligandomi a respirare con la bocca pur di scampare al suo profumo: per questo riuscii solo a sentire il suo movimento sulla mia pelle, che mi costrinse a tornare a guardarlo. Lasciò dei piccoli baci lungo la mia guancia destra, scendendo verso il mio collo, e io mi ritrovai a pregare mentalmente che la smettesse, perché non ero certa di avere la forza di chiederglielo.
«Non ignorarmi, Vicki» ripeté lui, baciando a lungo e delicatamente il mio collo. Le labbra sottili e un accenno di barba che pungeva leggermente facevano da contorno alle parole sussurrate e penetranti che mi avevano intrappolata.
Avrei voluto dargli ascolto, sul serio: ero tentata di dimenticare tutto e ricambiare quel bacio, ma purtroppo non potevo, perché Louis non mi faceva bene. Mi stordiva e mi confondeva.
Quindi, per quanto il mio istinto masochista e riconosciuto a livello mondiale per le sue scelte discutibili, cercasse di spingermi verso Louis, per una volta mi abbandonai alla mia parte razionale: posai le mani sul suo petto, rabbrividendo a quel contatto, e lo allontanai da me lentamente, riflettendo il mio essere restia a spezzare quel momento.
Mi impressi nella mente le sue iridi confuse e – che Dio mi perdoni – forse anche ferite, e scesi in tutta fretta le scale, raggiungendo Abbie e cercando di convincermi che la frequenza cardiaca alterata fosse dovuta solo all’aver fatto di fretta le scale.
 
Carly e Tyler Tomphson avevano sempre avuto un certo gusto e una rispettabile eleganza nell’arredare la loro villa in campagna, fuori Londra: e a me, da ubbidiente figlia di un chirurgo più che conosciuto e di una cardiologa, non era mai piaciuto né l’uno né l’altro.
Odiavo il tappeto di qualche metro quadrato fatto arrivare da chissà quale paese asiatico, solo per esporlo nel salotto enorme e illuminato da una parete trasformata in una gigantesca finestra: sembrava essere più prezioso di me, o almeno era quella l’impressione che mi dava quando venivo sgridata per bene per averci camminato sopra con le scarpe sporche di fango.
Odiavo anche tutto quello sfarzo, quei soprammobili orrendi che trovavano posto in ogni angolo della casa e che avrebbero potuto fare da palla della discoteca ad una festa, per quanto erano sbrilluccicanti.
In sintesi, non mi piaceva per niente l’ostentazione pacchiana e ipocrita dei miei genitori: per questo motivo, seduta al lungo tavolo della sala da pranzo, continuavo a giocherellare con il cibo con fare nervoso.
Brian, al mio fianco, mi tirava qualche gomitata di nascosto, quando mi perdevo nei miei pensieri e nelle mie rimuginazioni e non sentivo che i miei genitori mi avevano appena interpellata: e io gli rispondevo con un’occhiataccia, perché era solo colpa sua e della sua stupida partenza se io mi ritrovavo a cena nella mia vecchia casa. Ero riuscita ad evitare quello scomodo rituale per parecchio tempo, e lui aveva annullato tutti i miei sforzi in poche ore: sapeva che avrei accettato di accompagnarlo, pur di passare ancora un po’ di tempo con mio fratello.
«Allora, Victoria – esordì mio padre, pulendosi le labbra con un fazzoletto. Sedeva a capotavola, alla mia sinistra, e mi guardava con i suoi occhi scuri e segnati dalla stanchezza: la camicia bianca con il primo bottone fuori dall’asola, nonostante i richiami di mia madre, e i capelli brizzolati che diventavano sempre più radi, lasciando la sua fronte con poche rughe allo scoperto. Puntellò i gomiti sul tavolo e unì le mani per riprendere a parlare. – Come sta andando il lavoro?»
Sospirai pesantemente, alzando gli occhi al cielo e beccandomi un calcio alla caviglia da Brian: possibile che l’argomento dovesse essere sempre quello?
«Bene» risposi soltanto, seriamente infastidita. Ricominciai a mangiare lo stufato che nemmeno mi piaceva più di tanto, e ignorai la sensazione di avere tutti gli occhi puntati su di me. Per qualche secondo l’unico rumore fu quello della mia forchetta che ogni tanto raschiava il piatto.
«Bene? Solo bene?» domandò infine mia madre, senza smentirsi. Sapevo che avrebbe parlato.
Spostai lo sguardo su di lei, con un sopracciglio alzato: i capelli neri a causa della tinta erano intrappolati in un rigido chignon, e la bocca di un rosso innaturale formava una linea dura sul suo viso asciutto. Gli occhi di un verde cangiante erano sicuri e non pronti al compromesso.
«Sì, mamma. Solo bene» la liquidai, sbuffando subito dopo. Non erano nemmeno capaci di farmi credere che si interessassero davvero.
«Allora perché hai rinunciato a quell’incarico?» continuò lei, facendomi spalancare gli occhi.
«Ma perché diavolo sapete sempre tutto di quello che faccio? – sbottai, abbandonando la forchetta nel piatto e passandomi una mano tra i capelli. – Dio santo, devo dire a Christian di farsi gli affari suoi, una buona volta». Ero esasperata da quella situazione: qualsiasi cosa succedesse a lavoro, loro la sapevano, e poi, di conseguenza, pretendevano di parlarne con me. La loro secolare amicizia con il mio capo non era altro che un intralcio.
«Victoria! Regola i toni, in questa casa!» mi rimproverò lei, mentre io potevo vedere con la coda dell’occhio mio fratello che scuoteva la testa con fare arreso e anche un po’ divertito.
«Calmatevi, adesso – intervenne mio padre, tranquillamente. Poi si rivolse a me. – Siamo noi a contattare Christian per rimanere aggiornati, visto che tu non hai intenzione di parlare ai tuoi genitori».
«Be’, mi fareste davvero molto felice se la smetteste, dato che la vita è la mia e sono capace di gestirmela da sola – sputai acida. – E se non vi parlo del mio lavoro, sapete meglio di me il perché».
«Cosa vorresti dire con questo?» squittì mia madre, offesa.
«Andiamo, mamma. Sappiamo tutti che vorreste che io frequentassi medicina e bla bla bla. Non c’è bisogno che sia io a dirvelo: peccato che a me non interessi, perché non è quello che voglio fare. Voglio aprire una benedetta agenzia di catering, quando ve lo metterete in testa? Non mi importa se mi state sul fiato sul collo sperando di portarmi all’esasperazione, né se vi comportate come i soliti maniaci del controllo, perché tanto non mi farete cambiare idea».
«Questa è la ricompensa per le aspettative che abbiamo nei tuoi confronti? Vogliamo il meglio per te, e tu ce ne fai una colpa!» quasi urlò lei, alzandosi dalla sedia con sdegno.
«Ti sbagli di grosso, invece! Io mi lamento solo del vostro comportamento! E poi, siete voi a non capire che il meglio per me, come dici tu, è quello che io voglio fare nella mia vita! Non quello che mio padre e mia madre vorrebbero! Quelli sono i vostri sogni e i vostri desideri, non i miei» sbottai, con il respiro accelerato.
«Bene, allora da oggi in poi scordati qualsiasi tipo di aiuto da parte nostra. Fai quello che ti pare, Victoria, ma non azzardarti a venire a piangere in questa casa quando non concluderai nulla» rispose lei, mettendosi di nuovo a sedere con il fumo che le usciva dalle orecchie e le guance rosse per la rabbia.
«Finalmente» borbottai, impegnandomi a non aggiungere nulla riguardo mia madre che mi sottovalutava. Non riuscivo proprio a capire come mai fosse tanto difficile per loro accettare le mie idee, le mie aspirazioni, per quanto fossero diverse dalle loro: quel lavoro mi piaceva, mi rendeva felice, cosa c’era di sbagliato? Certo, non si trattava di diventare avvocati o grandi leader mondiali, ma era quello che faceva per me, il lavoro per il quale sarei stata quantomeno contenta di alzarmi dal letto ogni mattina.
La sala da pranzo venne invasa da un silenzio ricco di tensione, di sguardi espressivi ed evitati: io rimasi con gli occhi puntati nel piatto per tutto il tempo, ancora troppo arrabbiata e nervosa. Fui costretta a spostarli su mio padre, però, quando parlò dopo circa cinque minuti.
«Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha fatto vedere una foto, Victoria» mi interpellò di nuovo, infatti, masticando dell’insalata. Corrugai le sopracciglia e mi voltai verso di lui, quando aggiunse «diverse foto, in realtà».
«Che foto?» domandai incuriosita, nonostante avessi già un presentimento.
«Tu insieme ai ragazzi di una boyband, se non sbaglio» rispose, pensieroso.
Sospirai e annuii molto lentamente: passavo dalla padella alla brace.
«E in una stavi baciando un ragazzo» aggiunse, con fare malizioso.
Brace? Quello era un vero e proprio incendio.
«Sì, ehm…  Siamo solo amici» biascicai, pulendomi le labbra con il tovagliolo.
«Gli amici non si baciano» intervenne mia madre, tossicchiando per precisare.
«Be’, tra noi è successo. Tutto qui» decretai, ripensando a quel pomeriggio con Zayn.
«Avanti, non vorrete farle il terzo grado» esclamò Brian, finalmente.
«Ah, ma allora ci sei anche tu» lo scimmiottai, guardandolo in cagnesco. Se ne era stato zitto per tutto il tempo, lasciandomi alle fauci dei miei genitori. Lui sorrise e mi scompigliò i capelli.
«Nessun terzo grado – lo corresse papà, con aria sincera. – È solo che non capita tutti i giorni che mia figlia diventi amica, o qualsiasi cosa sia, con i ragazzi di una boyband così famosa» spiegò.
«Almeno sono brava a qualcosa» sussurrai tra me e me, prendendo un sorso d’acqua.
 
«Di’, un po’, ti costava molto dire qualcosa in mia difesa?» rimproverai mio fratello, mentre entravamo in casa. Mi tolsi velocemente le scarpe e mi gettai sul divano, a pancia in giù: avevo mangiato davvero troppo, anche quello che non mi piaceva, pur di concentrarmi su qualcosa che non fossero le chiacchiere dei miei genitori.
«Te la sei cavata benissimo anche da sola» si difese lui, scomparendo in cucina.
«E allora? Avrei comunque gradito un tuo intervento. Dio mio, diventano sempre più insopportabili» continuai, sbuffando per spostare una ciocca di capelli che mi era finita sul volto.
«Sei tu che ne fai una tragedia – mi corresse, avvicinandosi a me e sedendosi sulle mie gambe, a dispetto delle mie proteste. – Sono solo due vecchi genitori che vorrebbero vedere la loro bambina sfondare nel mondo del lavoro».
«Che schifo, hai iniziato a parlare come loro» lo presi in giro, fingendo una smorfia di disprezzo.
«Come osi?» esclamò, fiondandosi a farmi il solletico. Iniziai a ridere come una disperata, più perché non riuscivo a respirare con il suo peso addosso, che per il solletico in sé: quando poi Brian decise che la mia punizione poteva essere sufficiente, si accasciò semplicemente su di me, baciandomi una spalla.
Il mio sorriso si spense, mentre tornavo alla realtà: entro pochi minuti lui sarebbe partito e io sarei rimasta sola in quella casa, senza nessuno con cui litigare o senza sentirlo cantare sotto la doccia, stonato come una campana. Sarebbe partito e chissà quando sarebbe tornato, chissà dove l’avrebbero mandato.
«Brian… - sussurrai, chiudendo per un attimo gli occhi. – Prometti che non farai passare due mesi, prima di tornare» gli chiesi, quasi implorandolo. Non sapevo se lui fosse pienamente consapevole dell’importanza della sua figura nella mia vita.
«Sai che non posso – sospirò lui, lasciando un altro bacio tra i miei capelli e sdraiandosi meglio sul divano per abbracciarmi. – Ma ci proverò».
«Sei uno stupido» decretai, con un tono di voce talmente basso da risultare quasi inudibile. La verità è che avevo gli occhi lucidi e non volevo che lui se ne accorgesse, semplicemente studiando la mia intonazione stentata.
 
Quando il telefono squillò sul letto, mi infilai in fretta la canottiera del pigiama che tenevo in mano e corsi a prenderlo: non potei nascondere a me stessa un certo sollievo nel leggere il nome “Zayn” sul display.
Sorrisi a labbra unite e risposi; «Ciao, Zayn».
«Hey, disturbo?» ribatté lui, mentre io mi mettevo seduta sul letto, guardandomi le gambe nude.
Scossi la testa, come se lui avesse potuto vedermi, e «No, affatto: mi stavo mettendo il pigiama per iniziare questa entusiasmante serata all'insegna del divertimento» risposi, chiedendomi se avesse bisogno di qualcosa. Lo sentii accennare una risata.
«Tuo fratello è già partito?» domandò poi, stupendomi. Davvero se ne ricordava? Glielo avevo accennato durante una chiamata, una delle poche che ci coinvolgevano quando non ci vedevamo, ma credevo che se lo sarebbe dimenticato il giorno dopo.
Mordendomi l’interno della guancia, soppressi un sorriso per quei pensieri: «Sì, da mezz’ora, più o meno» risposi, notando che la sveglia segnava le 21.37.
«E come stai?»
Inspirai profondamente, chiudendo gli occhi per qualche secondo: ero vagamente stordita da quell’inaspettato interesse – non che Zayn non l’avesse mai dimostrato, ma era sempre una sorpresa – e percepivo ancora un velo di tristezza per la partenza di Brian. Quando espirai l’aria con uno sbuffo, lui non mi diede il tempo di parlare.
«Hm, senti, passo a prendere un film e poi ti raggiungo, ok?» propose, con il suo tono di voce profondo e leggermente strascicato.
Io corrugai la fronte, spiazzata, ma non potevo ignorare la voglia di acconsentire a quell’improvviso programma: magari sarei riuscita a tirarmi un po’ su di morale, dato che da sola sarei di sicuro finita a mangiare gelato in cucina, rimuginando su quella giornata.
«Va bene» sussurrai soltanto.
«Allora a tra poco» mi salutò lui, facendomi pensare che stesse sorridendo.
«Sì, però… Zayn, niente horror o cose del genere: una commedia andrà più che bene» lo informai, ridacchiando.
«Agli ordini – rispose, quasi prendendomi in giro. – E tu prepara i popcorn» aggiunse subito dopo, prima di terminare la chiamata.


 



ANGOLO AUTRICE aka I'M BACK BITCHES
 
Sono tornaaaaaaaaaata fjsdkal
Ragazze, non avete idea di quanto abbiano fatto schifo le mie vacanze,
di quanto avessi voglia di aggiornare e di quanto mi siate mancate hahah
E lo so, che questo capitolo poteva venire molto meglio (i’m sorry), ma spero che non faccia poi tanto schifo!
La parte un po’ più importante è quella con Louis: mi dispiace avervi lasciate con il fiato sospeso
con lo scorso capitolo ahahah E comunque ora sarete un po’ più confuse, o forse no?
Louis sembra davvero complicato ai vostri occhi, ma in realtà è molto semplice e spero davvero
che imparerete ad apprezzarlo, dato che per ora non è molto amato hahaha
La cena con i genitori di Vicki, l’ho inserita perché almeno si chiariva la situazione familiare:
loro sono molto apprensivi ed esigenti, i classici genitori che pretendono che i figli seguano
le proprie orme e bla bla bla… Poi vabbè, c’è la partenza di Brian (ho notato che alcune di voi
sono spaventate dal suo lavoro in Marina haha Giuro che non morirà nessuno!)
E alla fine ricompare Zayn: nel prossimo capitolo ci sarà Vayn all the way per la felicità
di molte di voi (Y) Anche se forse non quello che vorreste davvero (:
Detto questo, mi scuso per la velocità di questo spazio autrice, e vi ringrazio tantissimo per tutto!
Siete sempre qui a sostenermi e io vi amo, sul serio fjdsalj
 
Ah, mi rende felicissima sapere che leggere di Kathleen vi emoziona ancora così tanto!
Significa moltissimo per me e forse - parlando in grande - lo scopo di questa storia
non è solo quello di far accettare a Zayn quello che è successo, ma anche un po' a voi :)
Kathleen è una protagonista proprio come tutti gli altri personaggi, anche se non è presente fisicamente
e quindi ricomparirà tantissime altre volte, soprattutto in un'occasione!

Ora me ne vado sul serio ahha
Un bacione,
Veronica.

(questa volta niente gif, perchè volevo mettere questa foto. Immagino capiate perchè hahah)

  
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