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Autore: Euachkatzl    26/08/2013    5 recensioni
2013: la rivista Rolling Stone decide di pubblicare una biografia di uno dei gruppi rock più grandi di sempre, i Guns n' Roses. Ogni ex componente del gruppo viene intervistato singolarmente, vengono poste loro identiche domande. Ad una, però, rispondono tutti allo stesso modo.
"Un periodo della tua vita al quale vorresti tornare?"
"Febbraio 1986"
Ma che è successo, nel febbraio 1986?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Jeanette, c’è qualcuno al telefono per te”
Apro pigramente gli occhi, mettendo faticosamente a fuoco la figura che ho davanti, anche se immaginavo già di chi potesse trattarsi.
“Perché sei sempre tu quello che risponde al telefono, Steve?”
“Non me ne parlare, va a rispondere”
Mi metto  a sedere, mi passo le mani sul viso e finalmente mi alzo in piedi. Vado in salotto, dove tutti i ragazzi sono beatamente stravaccati sul divano o sul tappeto, con un mucchietto di fogli accartocciati a fianco. Do un’occhiata alla piccola sveglia sopra il comò e scopro che sono già le undici e mezza. Quanto cazzo ho dormito?
Afferro la cornetta e la porto all’orecchio.
“Pronto?”
“Jeanette?”
“Sì, sono io”
“Ti ricordi che dovevamo venire per il regalo del tuo amico?”
Merda, il regalo di Duff! Me n’ero pure dimenticata, io.
“Certo. Perché, c’è qualche problema?”
“No no, era solo per dirti che suoniamo al Roxy stasera, per le 10”
“Perfetto. Ci vediamo là”
“Ci vediamo, stella. Un bacio”
Metto giù il telefono e vedo Duff che mi sta fissando esasperato.
“Diglielo pure tu a sto coglione che ‘The grass is green and the girls are pretty’ è meglio di quella roba che dice Slash”
“Dipende, cosa dice Slash?”
Mi appoggio allo schienale del divano, sbirciando il foglio che tiene in mano il bassista. Scarabocchi ovunque, parole cancellate, cerchiate, con una linea sopra, un omino stilizzato disegnato in un angolo del foglio.
“Where the girls are fat and they’ve got big titties”
“Dove le ragazze sono grasse e hanno le tette grandi?”
“Se non ti pare il paradiso quello” commenta il riccio.
“Lascia perdere Slash, non ve la fanno neanche cantare se dite così”
Il chitarrista sbuffa, mentre Duff tutto soddisfatto depenna l’idea dell’amico.
“Chi era al telefono?”
“Il tuo regalo di compleanno”
Scompiglio un po’ i capelli al biondone prima di voltarmi e andare in cucina.
“Comunque dobbiamo essere al Roxy alle dieci” urlo, prima di dedicarmi all’ardua impresa di cucinare un buon pranzetto.
 
“Il primo giorno che eri qui hai fuso la moca, non è che hai bisogno di una mano?”
Steven è appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto.
“Mi hanno detto che anche tu sei un pericolo in cucina”
“Naaaah, balle”
Prende una pentola da un mobile, la riempie d’acqua e ci butta dentro un pacco di pasta.
“Non è che se facciamo bollire l’acqua facciamo prima?”
Steve si gratta la testa un attimo.
“Cottura lenta, è sempre l’ideale”
Scuoto il capo e scolo la pasta, per poi riempire di nuovo la pentola e metterla sopra al fornello.
“Non stai con gli altri a fare le canzoni?”
“No, tanto le mie idee fanno sempre schifo a tutti”
Ignorando completamente Steve, torno in salotto e mi accomodo sul tappeto di fianco ad Axl, che ha in mano un foglio bianco. Immacolato. Glielo strappo dalle mani e prendo una penna, disegno un cuoricino.
“Sei felice, ora?”
“Immensamente”
Rivolgo al rosso un sorriso a trentadue denti.
“Niente idee?”
Tutti sbuffano, roteano gli occhi verso l’alto. Niente idee.
“La cosa che hai suonato ieri era bella, come si chiama?” mi chiede Jeff. Sorrido, abbassando lo sguardo.
“Lascia perdere, è una cazzata”
“No, davvero”
Sospiro, ripensando a come sia venuta fuori quella canzone.
“L’abbiamo scritta io e Steven una sera, in un bordello. Tutti erano impegnati a fare… altre cose, diciamo, e lui si è messo al pianoforte e si è inventato sta roba”
Tutti si voltano verso Steve, ancora fermo sull’uscio della cucina.
“Da quand’è che suoni il pianoforte?” gli chiede scioccato Izzy.
“Ma non Steven lui! Steven Tyler” mi affretto a correggere. Tutti tirano un sospiro di sollievo.
“E com’è che si intitola?”
“Non ha un titolo, è già tanto che abbia un testo”
“E faccelo sentire” mi incoraggia Axl.
“Che è, devo cantare qua davanti a tutti?”
I ragazzi annuiscono, incuriositi dalla canzone. Inizio.
“Bè… all’inizio c’è l’introduzione con il pianoforte… Dopo fa più o meno…”
Mi blocco. Dalla cucina arrivano schiocchi alquanto inquietanti.
“L’acqua della pasta, Steve!”
Corriamo entrambi in cucina a spegnere il gas prima che succeda qualche casino. Di acqua ne è rimasta ben poca. Guardo il biondo, sospiro.
“Non è che possiamo ordinare una pizza?”
“Non vedo perché no”
Mentre Steve ordina le pizze, io torno a sedermi di fianco al rosso.
“Però non sembrava male, parti tutta dolce con il pianoforte e poi dai un attacco più aggressivo. Ti immagini se proprio lo dici urlando? ‘L’acqua della pasta, Steve!’ Secondo me diventerà il nostro miglior singolo”
Ridiamo tutti, Steve incluso.
“No, scusi, non sto ridendo a lei, va bene tra dieci minuti, non c’è problema”
Riaggancia e ci guarda.
“Chi viene con me?”
“Vengo io”
Duff si alza e prende il suo giubbotto dall’attaccapanni.
“Torniamo tra un quarto d’ora, non fate casini amori miei”
“D’accordo papà”
 
La pizzeria è piuttosto vicina a casa nostra, per fortuna. Non avrei sopportato l’idea di farmi chilometri per avere una pizza.
“Però hai visto che sono migliorato? L’ultima volta che ho fatto la pasta ho bruciato la pentola”
“Sì Steve, sei stato bravissimo”
Arriviamo al locale ed entriamo, veniamo subito investiti da un profumo di pizza incredibile. Ci sediamo su un divanetto e aspettiamo placidamente il nostro turno, ascoltando Stairway to Heaven alla radio. Di colpo, Steve si porta una mano alla fronte e si alza in fretta.
“Merda, mi sono dimenticato di fare una cosa. Non è che puoi portarle a casa da solo, le pizze?”
Lo guardo strano, alzo un sopracciglio.
“Ti prego Michael, è importante”
“Va bene, che nome hai dato?”
Vedo Steven ridere sotto i baffi, mi sta venendo un dubbio.
 “Culetto Rosa”
Sbarro gli occhi, ma lui se n’è già andato prima che io possa pensare a qualcosa da lanciargli. E così, mi tocca stare qui, seduto su questo cazzo di divanetto, ad attendere solo che quella cameriera dica il mio nome. O meglio, il nome idiota che Steve ha lasciato. Intanto è partita Bohemian Rhapsody.
‘Mama, just killed a man…’ Freddie, tu mi istighi.
La cameriera si mette a ridere, ho paura che sia arrivato il mio turno.
“Culetto rosa?”
Facendo appello a tutto il mio coraggio, a tutto il mio autocontrollo, a tutta la mia autostima e la mia aria da macho, mi alzo, faccio un cenno con la mano alla ragazza e, senza dire una parola, pago.
“Grazie e arrivederci”
“Arrivederci” mormoro a denti stretti, prima di uscire alla velocità della luce da quella pizzeria dove non metterò mai più piede.

 
Steve entra ridendo e chiude la porta. Lo squadriamo tutti interrogativi.
“Le pizze?”
“Tra un po’ arriva Duff” e, ridendo ancora come un cretino, si lancia sul divano, tra Izzy e Slash. Ci guardiamo tutti l’un l’altro, facciamo spallucce. Poi la porta si apre di nuovo ed entra il biondone, con una pila di scatole in mano. Jeanette si alza e gli da una mano, mentre Steven lo saluta con un appellativo alquanto strano.
“Bentornato, Culetto rosa”
“Fottiti, Adler. Fottiti”
Un altro scambio di sguardi, ma nessuno ha ancora capito nulla del perché Duff sia incazzato nero o del perché quel nomignolo da parte di Steve. E nessuno dei due intende degnarci di una spiegazione.
“Comunque io devo trovarmi un vestito per stasera, e tu devi accompagnarmi” comunica Jeanette a Duffone, che per tutta risposta fa un cenno del capo, mentre si gusta la sua pizza.
 

Finito di mangiare, mi infilo le converse e prendo Duff per mano.
“Andiamo”
“Subito?”
“Sì, andiamo a comprarci quello che mi serve e poi andiamo al Roxy”
Mi fissa stralunato.
“Hai idea di fare shopping fino alle dieci?”
“Ma che, sei scemo? Ci fermiamo a mangiare da qualche parte”
Finalmente si alza e si decide a seguirmi.
“Dove andiamo?”
“Hai presente il posto dove mi hai portato giorni fa? Torniamo lì”
 
Stiamo guardando Shining alla tv. Dico stiamo guardando perché non riusciamo a sentire niente, c’è Slash che continua a rompere le palle.
“Ma non si può guardare qualcos’altro?”
Con un gesto fulmineo mi sfila il telecomando dalle mani e cambia canale. La partita di baseball.
“Ecco, guardiamo qui”
Sbuffo e vado in camera, seguito da Izzy. Mi lancio sul letto, profuma di Jeanette. E la cosa non mi dispiace.
“Com’era la canzone che ha fatto tua sorella ieri?”
Anche Jeff si lancia sul letto, sul suo, che di sicuro non ha quel buon profumo che ha il mio.
“Bo, non mi ricordo. È durata tipo dieci minuti. Secondo me un po’ di chitarra in mezzo ci stava”
“Vabbè, ma le parole?”
“Non ricordo. C’era una specie di ritornello, che però non era sempre uguale, chiedeva tipo se quello a cui era rivolta la canzone non avesse bisogno di un po’ di tempo da solo, perché tutti ne hanno bisogno, di stare per conto proprio… roba così”
Bisogno di stare per conto proprio. Accidenti, se ne ho bisogno. Convivere con cinque persone non ti procura certo molto tempo per conto tuo. L’unico posto dove si ha un minimo di privacy in questa casa è il bagno. Che poi non è che sia così tanta, la privacy. C’è sempre il rischio che mentre ti fai la doccia arrivi qualcuno che deve pisciare. E così si fotte pure quella poca intimità che credevi di avere.
 

“E questo?”
Esco dal camerino con un tubino nero, attillato, che mi arriva al ginocchio.
“Nah”
Duff boccia anche questo vestito, con un ‘Nah’ annoiato. Sbuffo e richiudo la tendina, indosso dei pantaloni neri e un top dorato. Tiro nuovamente la tendina.
“Nah”
E via a chiudere di nuovo questo benedetto camerino. Mi sfilo il top e chiudo gli occhi, mi passo una mano sul viso. Questo giro di shopping sta diventando impossibile. All’improvviso sento un braccio circondarmi la vita, un respiro caldo avvicinarsi al mio orecchio. Sorrido.
“Hai trovato un bel modo di passare il tempo, Duff?”
“Non dirmi che non piace anche a te”
Mi volto velocemente, trovandomi faccia a faccia col viso perfetto del biondone. Struscio il mio naso contro il suo, faccio passare le mie mani attorno alla sua nuca. Lo bacio prepotentemente. Sì, mi piace questo modo di ammazzare il tempo. In fondo non sono nemmeno le quattro, dobbiamo arrivare alle dieci di sera. Le nostre labbra continuano a scoprirsi, le nostre lingue ad andare sempre più a fondo, curiose ed insaziabili. Separiamo le labbra quando ormai entrambi non abbiamo più fiato, ci guardiamo negli occhi per un secondo prima di cadere in un altro bacio. Le sue mani vagano per il mio corpo, toccando ed esplorando qualsiasi curva possa offrire. Senza che me ne accorga, riesce a spingermi contro lo specchio del camerino. Rabbrividisco quando la mia schiena nuda tocca il vetro freddo, ma non ci bado troppo. La mia mente è persa a percepire più emozioni possibili, ad assaporare tutto il piacere che Duff vuole darmi. O che vuole semplicemente dare a sé stesso. Si allontana da me di un passo, giusto il tempo per togliersi la maglietta e farla cadere incurante a terra. Mi stacco dallo specchio e torno da lui. Poso le mie mani sul suo petto scolpito, mentre le sue si avvolgono attorno alla mia schiena e mi attirano ancora più vicina a lui. E poi, curiose e intriganti, scendono, si intrufolano nei pantaloni aderenti che indosso. Appoggio la mia testa su una sua spalla e mi stringo ancora di più a lui. Faccio scorrere un dito sulla sua schiena, lasciando un graffio non indifferente.
“Signorina?”
Alzo la testa di scatto, mi stacco da Duff. Apro un pochino la tendina e metto la testa fuori dal camerino, dove una ragazza con un sorriso gentile mi porge un vestito blu.
“Forse questo le piacerà”
“Non fa niente, prendo questa roba che ho addosso”
“D’accordo, la aspetto in cassa”
Richiudo la tendina e guardo Duff appoggiato allo specchio, ancora a torso nudo. Un lampo di malizia attraversa i suoi occhi.
“Non ci provare, mancava solo che ci scoprissero”
 
“Che ore sono?” chiedo, con la bocca impastata dal sonno. I pisolini pomeridiani ti uccidono, sei convinto di rilassarti e ti alzi che non capisci niente.
“Che ore sono?” ripeto più forte. Odio essere ignorato.
Alzo la testa e mi guardo intorno, in camera non c’è nessuno. Stavo parlando con il muro. O con quel ragno che sta ancora portando avanti il suo ambizioso progetto di ricoprirci il soffitto con la sua bava. Vado in salotto, nessuno nemmeno lì. In cucina, il vuoto. A meno che non siano tutti in camera di Steven a farsi le unghie, devono essere usciti. Giusto per essere sicuro, do un’occhiata nella stanza dei biondoni, ma niente nemmeno lì. Eccola, la privacy che tanto volevo. Faccio schioccare le dita una ad una, soddisfatto. Mi spoglio, lasciando i vestiti per tutto il salotto, e vado in bagno. Una doccia in santa pace, cantando qualsiasi cosa voglia senza nessuno ad interrompermi o registrarmi, è un’esperienza divina.
Dopo tre quarti d’ora di tributo a un po’ di gente, spengo l’acqua e scosto la tendina, guardando soddisfatto l’umidità che appanna lo specchio: non ero mai riuscito a farmi una doccia calda in questo appartamento.
 

Guardo l’orologio che Jeanette porta al polso. Le nove e mezza.
“Non è che dobbiamo andare al Roxy?” Domandina che nasconde l’affermazione ‘Sto congelando su questa cazzo di panchina perché ti ho dato la mia giacca, non me ne può fregare di meno della luna sul mare e voglio avere il mio benedetto regalo’.
“Altri dieci minuti”
Vaffanculo, io non ci sto qua altri dieci minuti.
“Va bene stellina, dieci minuti”
Resto a morire di freddo per questi dieci minuti, che si allungano fino a un quarto d’ora, per poi scivolare a venti minuti, e si sarebbero espansi ancora a lungo se non avessi trascinato via Jeanette di peso da quella panchina.
“Tu non sai cos’è il romanticismo. Mi deludi” si lamenta lei mentre attraversiamo le strisce.
Mi fermo in mezzo alla strada e la bacio. Un’auto inchioda di colpo, illuminandoci con i fari. Sento il guidatore che ci lancia qualche maledizione, Jeanette che vuole andarsene. La stringo più forte e la costringo lì, tra le mie braccia, mentre un’altra auto si ferma ad aspettarci. Quando finalmente concludo il mio schizzo romantico, guardo la ragazza. Le guance arrossate, un sorrisetto timido.
“Andiamo” mi sussurra, ricevendo qualche applauso dai guidatori che stavano solo aspettando che ci levassimo dalle palle.
 

Arriviamo al Roxy alle dieci e tre quarti. Sul palco ancora il gruppo di spalla che suona. Sorrido. Me l’aspettavo.
“Vieni” urlo a Duff, per riuscire a farmi sentire sopra la musica altissima. Lo prendo per mano e lo trascino sul retro del locale, nella zona dei camerini.
Arriviamo ad una porta con attaccato sopra un foglio scritto a mano.
“Ramones” legge Duff, per poi strabuzzare gli occhi quando riesce a connettere il cervello. “Ramones?”
“Ramones” confermo io, aprendo la porta ed entrando in un camerino che, incredibile ma vero, non puzza né di alcol, né di fumo, né di qualche sostanza non identificata. Joey è riuscito ad imporre la sua condotta ferrea, alla fine.
“Jeanette!” mi viene incontro il vocalist del gruppo, stringendomi in un abbraccio e lasciandomi un bacio a stampo sulle labbra.
“Giù le mani, amore mio, non sono più tua”
“Non lo sei mai stata”
Rido e indico Duff.
“Lui è il mio amico, quello che ha compiuto gli anni”
I quattro ragazzi fissano Duff, che sorride con la sua aria da ‘quanto sono figo’, presumibilmente insegnatagli da Axl.
“Mi piace, l’amico” commenta Joey facendo schioccare la lingua, per poi tornare a guardarmi. “Cos’è sta storia che Steven ti ha mollata?”
“Ma niente, mi ha buttata per strada dicendo che ormai aveva visto tutto”
Il cantante ride amaro.
“Mi piacerebbe poter dire la stessa cosa, sai?”
“A tanta gente piacerebbe”
“Quarantacinque giorni, eh?”
Fulmino Joey con lo sguardo.
“Non parliamone” sussurro, facendogli l’occhiolino. “Andate a suonare, adesso”
Gli do una leggera spinta verso la porta. Lui si volta un attimo, prima di andarsene.
“È cambiato?”
“Steven c’è riuscito”
Lo vedo sorridere scuotendo la testa, poi scompare nel corridoio, diretto al palco.
 
“Di cosa parlavate prima, tu e Joey?”
Jeanette mi rivolge una faccia perplessa.
“Della cosa dei quarantacinque giorni…”
“Lascia perdere, è una storia di tanto tempo fa” è la sua risposta. Non me la racconti giusta, stellina.
“Hanno cambiato di nuovo batterista” commenta lei, per deviare il discorso.
“Come mai?” chiedo. Magari l’argomento ‘quarantacinque giorni’ lo riprendiamo più tardi.
“Joey è contrario alla droga. Totalmente. E se qualcuno fa il furbo, peggio per lui”
“Li conosci bene”
“Nah, è una cosa risaputa”
Finisce di bere la sua bottiglia di birra e si alza, mi tende la mano.
“Vieni a ballare?”
“Certo”

 
“Che ore sono?” mi chiede Duff, che è appena crollato su un divanetto.
“Quasi mezzanotte. Non sarai mica stanco”
“È un’ora che saltiamo, sono stanco sì”
Gli lascio un bacio dolce sulla punta del naso, per poi tornare sulla pista.
“Ti do mezz’ora” gli urlo, prima di sparire tra la folla.
 
 
Ciao, sono l’autrice:
Ok, ci ho messo un po’ ad aggiornare, ho fatto un capitolo più o meno osceno, mi beccherò parolacce in turco sulle recensioni, ma vabbè. In fondo, capitemi, una settimana di vacanze dalla nonna ti fanno dimenticare la tua vita reale :33
 
Aggiorno presto, prooooooometto.
Un bacio, Euachkatzl <33
  
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