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Autore: Clahp    26/08/2013    3 recensioni
«Commovente. Sembra quasi che tu mi conosca.»
Il ragazzo si accigliò.
«Be’, sai, in realtà è vero. Io ti conosco.»
«Ah, tu mi conosci
Non era una domanda o un’esclamazione, era quel tipo di affermazione espressa in modo polemico che da sola risultava più pungente di qualsiasi insulto.
[ShikaTema]
[Auguri, seccatura --in voluto ritardo!]
[Partecipante a "The flower bloomed in the adversity" del Black Parade]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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La camera aveva poca luce, e poi era molto più stretta di come laggiù immaginasse

Disclaimer.

1. Il ritardo nella consegna della fanfic è espressamente voluto (e anche un po’ necessario, ma vabbè).

 

2. Nessun Shikamaru è stato maltrattato durante questa fanfic.

    (…O quasi)

 

3. Nessun Venerdì è stato usato a scopi malefici contro il suddetto Shikamaru.

    (…O quasi. 8D)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Ba

ba

ba)

Bambolina

 

 

 

 

 

 

La camera aveva poca luce, e poi era molto più stretta di come da laggiù immaginasse.

Aveva pensato molto a lei lì dentro, e la immaginava sempre sola –chissà con che diritto, poi.

«Mettiti a sedere – gli aveva quasi ordinato. – Cosa vuoi da bere?»

«Quel che è, purché sia forte.»

«Torno fra un momento.»

Cercò un argomento… per recitare la sua parte.

Già, perché c’è sempre una parte da recitare… si farebbe un secolo prima per lui e per lei se lei tornasse vestita soltanto del bicchiere.

Per poi tornare così bella, bella, bella, ed è proprio quella che lui immaginava… E la camera, ora, era impregnata dell’odore di lei… (*)

 

Lei tornò con due bicchieri, ma senza esserne vestita; come promesso quello di lui era davvero forte.

Calò il silenzio.

Shikamaru si guardò attorno. Erano seduti su due scomode sedie in un buio e piccolo salotto, attorno a uno tavolino così scarno e malinconico che l’unico vaso che lo adornava era vuoto; la temperatura rasentava i quaranta gradi centigradi, sebbene fosse quasi notte; e nell’aria certa un certo profumo di fiori, profumo che da quando si erano conosciuti lui aveva associato a lei (sebbene non vi fosse associazione più lontana fra Temari e l’idea di fiori).

Le labbra della ragazza erano sottilissime, i suoi occhi due lastre di ghiaccio, la sua fronte corrucciata; ma quel che era peggio, molto peggio, era la sua posa. Perché essa stabiliva inconfondibilmente e univocamente ciò che Temari non aveva smesso di fare da esattamente tre giorni: aspettava.

Shikamaru, le mani sprofondate in tasca e un’espressione di stanchezza in faccia, prese un profondo respiro.

«Be’, dunque… tu forse aspetti che io mi scusi, ma…»

«Io non aspetto proprio nulla» chiosò lei, incrociando le braccia e accavallando ancor di più le gambe.

Lui sbuffò.

«Oh, andiamo, questo non lo credo proprio. Insomma, me lo stai praticamente comunicando col tuo corpo… è la tua tipica posa da “sto aspettando”.»

L’altra si irrigidì.

«Ah, sì? E quale sarebbe questa tipica posa?»

Il ninja la indicò brevemente e parlò con la sua solita flemma:

«Braccia conserte, gambe accavallate… e una certa freddezza nel modo di parlare. Facile.»

Temari sembrò indisposta più dal suo modo di fare che dalla sua non voluta presenza; si sistemò meglio sulla rigida sedia e disse:

«Commovente. Sembra quasi che tu mi conosca.»

Il ragazzo si accigliò.

«Be’, sai, in realtà è vero. Io ti conosco.»

«Ah, tu mi conosci.» disse ancora lei, sollevando un sopracciglio chiaro. Non era una domanda o un’esclamazione, era quel tipo di affermazione espressa in modo polemico che da sola risultava più pungente di qualsiasi insulto.

Calò il silenzio, ancora. Lo sguardo fiero di lei era incastonato negli occhi scuri di lui in modo così sostenuto che si sarebbe detto che quella scena non accadeva poi tanto raramente.

«Che giorno è oggi, signor quoziente-intellettivo-duecento?» provocò lei.

Shikamaru si grattò l’ampia fronte, socchiudendo gli occhi… le donne e la loro fissazione delle date… maledetta genetica che impediva agli uomini di ricordare un qualsiasi avvenimento… e maledettissima Temari…

«Be’, ecco, non so che giorno sia, perché ho perso un po’ il conto mentre faceva spola fra Konoha e qui, sai» mormorò, accennando vagamente al fatto che ci fossero voluti tre maledettissimi giorni per raggiungere quel suo maledettissimo villaggio da quel maledettissimo giorno in cui aveva guardato per sbaglio un calendario…

«Ti do un piccolo indizio: non è il ventitré agosto.»

In effetti era proprio quello il problema fondamentale: quel giorno non era il ventitré agosto. Né era un accettabile ventiquattro o un quasi passabile venticinque; era un irrimediabile, irresolubile, irreparabile ventisei agosto. Perché tre giorni prima, Shikamaru aveva scoperto troppo tardi che giorno fosse: alle undici e mezzo di sera di quel maledettissimo venerdì ventitré agosto, era passato per purissimo caso davanti a un calendario in casa sua e aveva imprecato ad alta voce. Il resto era stata una folle corsa: una corsa dall’Hokage per ottenere un piccolo congedo di sei giorni dalle missioni, una corsa per farsi un bagaglio, una corsa per arrivare a quel lontano villaggio distante tre giorni dal suo…

Era arrivato fin lì ripetendosi che lei non era tipo da prendersela per certe sottigliezze, e che probabilmente neanche si era accorta della sua dimenticanza: d’altra parte, lui per lei chi era? Un nemico prima, un compagno di guerra poi, nessuno d’importante alla fin fine. Perché mai se la sarebbe dovuta prendere? Le ragazze in generale facevano molta attenzione a date, anniversari, avvenimenti; ma Temari non era una ragazza come le altre… era fiera, orgogliosa e mai vanesia. Sicuramente alla vista a Suna di Shikamaru che si scusava per non averle fatto gli auguri lo avrebbe preso in giro e ci avrebbe fatto una bella risata…

Ma evidentemente lui –ancora una volta- non aveva capito assolutamente nulla di quella dannatissima donna. Temari avrebbe accolto più volentieri una Ino che le chiedeva di andare a fare shopping insieme: doveva esserci sotto qualcosa che Shikamaru non aveva calcolato.

Lui s stiracchiò, sbadigliò leggermente e disse:

«Il motivo per cui sono qui in queste condizioni è proprio quello, sai, seccatura.»

«Potevi ricordartene prima, allora.» rispose secca lei, per nulla impietosita dal suo sonno e dalla sua stanchezza.

Shikamaru si sistemò meglio sulla sedia: quella conversazione lo stava facendo innervosire. Ma che stronza era a reagire così?

«Mi aspettavo anche solo un grazie per essere venuto fin qui con questo caldo, con mille missioni da fare, con la mia pigrizia che tu tanto odi…» sibilò, seccato, facendo sprofondare le mani ancora di più nelle tasche.

«Ripeto: potevi ricordartene prima, come hanno fatto tutti, dai miei fratelli ai tuoi amici.»

«La mia memoria è stupidamente fragile, che vuoi farci?»

«Non è l’unica cosa a essere fragile di te, crybaby»

«Ah, è meraviglioso prendersi congedo dalle missioni una volta nella vita e venire insultato!»

«Oh no, è ancora più meraviglioso stare qui ad assistere a questa messinscena!»

 

Silenzio, ancora.

Lui aprì varie volte la bocca nel tentativo di trovare qualcosa, qualsiasi dannatissima cosa, da controbattere; ma non ne trovò. Si mordicchiò le labbra: quella intollerabile donna doveva avere sempre l’ultima parola…

Eppure, ancora una volta, trovò esagerata la sua reazione: non era da lei comportarsi così. Quando, poco prima, aveva affermato che lui la conosceva non era per dire: Shikamaru pensava veramente di conoscerla. Si erano incontrati tanti anni prima su un campo di battaglia, avevano proseguito a vedersi perché lei faceva da ambasciatrice fra i loro due villaggi, avevano combattuto fianco a fianco nella recente guerra mondiale dei ninja: avevano condiviso gioie, speranze, dolori, paure. A tutti gli effetti, la conosceva. E altrettanto probabilmente, lei conosceva lui.

La stimava da ogni punto di vista: come kunoichi, come compagna di guerra, come stratega… come donna. Perché fare tante storie per un compleanno dimenticato? Per lui un paio di auguri mancati era una cosa così insignificante…

Iniziò a tamburellare le dita sul tavolo; quella conversazione non portava a nulla.

«Non accetteresti neanche le mie scuse?» bofonchiò dopo qualche tempo.

La presa delle mani di lei sui propri avambracci parve diminuire, le gambe divennero poco meno accavallate. Temari guardò altrove.

«Be’, sei arrivato fin qui.»

Nel temarese –il linguaggio che quella lì parlava- questo probabilmente voleva dire “sì”.

«Se le cose stanno così… mi dispiace.»

«“Mi dispiace” non vuol dire “scusa”.»

Un lungo secondo di sconcertato silenzio.

«No, aspetta, sono proprio la stessa cosa…»

«Be’, in realtà no. “Mi dispiace” è come se fosse dovuto a un qualcosa in cui tu non c’entri nulla, come dire, ad esempio, “Mi dispiace che tu sia scemo”…»

«Oh, per favore, ma sono la stessa stupida cosa! Da quando sei diventata così puntigliosa?!»

«Da quando la gente dimentica il mio compleanno e non vuole ammettere la colpa.»

«Ma io ti ho detto che mi dispiace!»

«E io ti ho detto che voglio le tue scuse, non il tuo dispiacere!»

Shikamaru si afflosciò sul tavolo, la fronte oramai consumata da quante volte se l’era grattata: impossibile, impossibile, quella donna era veramente impossibile. E lui, come al solito, si sarebbe piegato al suo volere…

«Be’, allora… scusa

Un piccolo sorriso apparve sulla faccia di Temari: era un’espressione tanto rara da trovare su quel bel viso che l’orgoglio maschile di Shikamaru fu leggermente meno risentito.

 

Uno strano silenzio scese sui due. Ora che aveva fatto quella follia (perché prendersi un congedo di sei giorni dalle missioni per farsi insultare in un villaggio sperduto nel deserto era pura follia) non aveva più scopo per restare lì. Ed evidentemente, se lui conosceva lei tanto bene come in effetti la conosceva, anche lei aveva appena realizzato quell’idea: si stava guardando intorno, nell’attesa di dire qualcosa.

Shikamaru si sgranchì la schiena e si alzò: non aveva più senso indugiare.

«Sappi che se fra un mese non mi farai tu gli auguri ti farò patire altrettanto» borbottò lui, sbadigliando.

«Non lo farò, sta’ pur sicuro» ribatté lei con una certa determinazione.

Lui si stiracchiò ancora e disse, dopo un po’:

«Be’, è ora di andare…»

Si guardarono.

Perché si era creato tanto stupido imbarazzo fra loro? Forse perché lui era piuttosto risentito da come lei lo aveva trattato, forse perché lei non era ancora del tutto sicura di averlo perdonato? O forse perché lei era bella da morire mentre si morsicava un labbro e dondolava distrattamente un piede, seduta su una scomoda sedia in una triste camera, e loro due erano da soli? …Difficile da dirsi.

«Dove pensi di andare? E’ sera e ora nel deserto farà freddo.»

Lui fece spallucce mentre si coricava lo zaino in spalla.

«Mi coprirò. Il mio congedo è di soli sei giorni, e se tre ne ho impiegati per venire fin qui, tre ne impiego per tornare…»

 Temari, finalmente, si alzò in piedi e gli andò vicino; era più bassa di lui di quasi tutta la testa. Una sottile, sottilissima fragranza di fiori pervase la stanza non appena lei si spostò: un profumo tanto femminile quanto poco lo era la padrona.

«Be’, rimani qui stanotte e parti domattina… visto che mi hai chiesto scusa, alla fine.»

Lui deglutì. Non sapeva cosa gli stesse prendendo: il suo cuore era accelerato, era madido di sudore, non ragionava lucidamente… Non che gli andasse molto di rimanere: il comportamento di lei lo aveva proprio deluso, ma… lei era così, così, così… ed era a pochi centimetri da lui… e…

Quella donna lo avrebbe fatto impazzire. Prima lo maltrattava, poi lo insultava, poi pretendeva delle scuse formali, e poi lo invitava a rimanere a dormire. Tutto questo lo avrebbe portato alla follia, era vero, ma aveva anche una certa dose di fascino…

«Ovviamente, riterrai il divano di casa Sabaku molto comodo, vero?» aggiunse con un certo sorriso sardonico.

Non che lui non se lo aspettasse, anzi… Ma… Deglutì ancora, respirò, ritrovò l’intelletto e disse con falsa noncuranza:

«Ok, ma… io non ti ho fatto neanche il regalo…»

«Sei venuto fin qua e mi hai più o meno chiesto scusa, mi basta. Ora, se non ti dispiace, data l’ora vorrei proprio andare a dormire… Gaara arriverà tardi come al solito e Kankuro è in missione, dunque se senti strani rumori nella notte non preoccuparti.»

Si stiracchiò ancora, sbuffò e fece per mettere a posto i bicchieri sul tavolino.

Shikamaru si ridestò dai propri pensieri; in realtà, in realtà… aveva qualcosa per lei… qualcosa che in quella scarna stanza sarebbe andato così bene…

 

Poggiò lo zaino a terra e vi rovistò dentro; lei neanche ci badò mentre lavava i bicchieri nel lavandino, ma dopo qualche minuto di silenzio si girò, incuriosita, e guardò quella figura accovacciata. Lui estrasse un ammasso di un variopinto qualcosa avvolto da garze ed emanante un forte ma piacevole odore; il ragazzo impiegò qualche minuto ad aggiustare un qualcosa di quel qualcosa, si grattò poi brevemente la testa, si alzò il piedi e -nel modo più rozzo possibile- lo porse a lei. Che a sua volta –anche lei nel modo più rozzo possibile- sbottò:

«Avevi detto che non mi avevi fatto il regalo!»

Shikamaru lesse nei suoi occhi un certo senso di colpa mentre osservava avidamente la scena.

Quel qualcosa altro non era che un banalissimo mazzo di fiori. I gambi erano avvolti nelle garze per raccoglierli assieme; le garze erano a loro volta coperte da altre e più spesse garze perché il primo stato era zuppo d’acqua che consentisse alle piante di non appassire.

Il mazzo era tutto tranne che bello. Era folto, molto colorato, molto profumato, molto vistoso… ma non era bello: mancava qualsiasi tipo di simmetria nella disposizione dei fiori, non c’era alcun logico accostamento cromatico…

«Non potrei definire questa roba un regalo» rispose lui, burbero. «E’ un pensiero.»

Deglutì piano, lentamente… lei sarebbe stata al suo gioco così intensamente progettato? Se si fosse presentato con un mazzo di rose rosse, lei lo avrebbe diligentemente mandato a quel paese senza troppo pensarci, perché fra tutti i tipi di regali i fiori non era decisamente quello più adatto a lei; invece in questo modo lui avrebbe forse attratto la sua attenzione…

E in effetti Temari rimase in silenzio ad osservare il mazzo di fiori; dopo un po’ lo prese in mano e ne analizzò in contenuto come se stesse studiando le caratteristiche di un nemico sul campo di battaglia. Shikamaru poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi mentre cercava di decifrare ciò che lui volesse dirle in quel modo così bizzarro.

«Non lo hai preso da un fioraio: gli steli non hanno la stessa altezza» iniziò, scoccando al ragazzo un’occhiata veloce.

Lui annuì, tranquillo. Quella era la parte facile: in effetti nessun fioraio degno di quel nome avrebbe mai potuto concepire una composizione floreale di quel tipo…

«Sono stati strappati dal terreno in momenti diversi: questi qui sono più secchi di questi altri.» continuò, indicandone un paio. «Inoltre le garze sono le garze tipiche di un ninja, perché sono spesse e resistenti. E i fiori utilizzati sono piuttosto comuni, si possono trovare in terreni ricchi di alberi… ma anche nel deserto» Si morse un labbro e gli rivolse un altro sguardo. «E poi… Se fossero tutte rose o tutti tulipani non mi sorprenderebbe, ma… La scelta dei fiori non è casuale, vero? Perché i fiori sono comuni, ma non banali.»

«Chissà» rispose l’altro, sbadigliando.

«In effetti esiste quella idiozia del linguaggio dei fiori… Ma tu non sei appassionato di fiori, come diavolo fai a conoscere…?» borbottò quasi a se stessa, pizzicandosi lievemente il mento, concentrata. «Ah, già. Dimenticavo la tua grande amica fioraia…»

Il tono con cui lo disse lo fece ghignare più di ogni altra cosa.

«Se cresci con lei non puoi non sapere certe cose» spiegò.

Shikamaru ghignò: evidentemente Temari aveva sommato quegli indizi e aveva capito tutto. Ma la cosa più incredibile di tutta quella faccenda era che lei stava parlando in maniera totalmente oggettiva, come se nessun ragazzo fosse piombato in casa sua dopo tre giorni di duro cammino con un mazzo di fiori in mano: Temari stava solamente analizzando la situazione come avrebbe esaminato una strategia per catturare un nemico.

Il mazzo presentava diverse foglie disposte tutte attorno ai fiori centrali, quasi a raccoglierle; ad una prima occhiata sarebbero parse fogliacce prese da terra, ma una più attenta analisi portava a capire che erano foglie di alberi diversi messe in posizioni accurate. Più internamente rispetto ad esse, disposte a cerchio, erano presenti sei enormi fiori rosa con centinaia di piccoli petali spigolosi; più interiormente ancora quattro boccioli arancioni, poi tre giallastri, e infine, al centro, spiccava un’unica, meravigliosa, enorme rosa del deserto (l’unico fiore fra tutti noto alla ragazza, visto che era il suo preferito).

La kunoichi indicò le piante rosa più esterne.

«Questo cos’è? Sembra una rosa…»

«No, è un garofano.»

«Mmmh… se sono sei vuol dire che è una cosa che mi rappresenta bene, o sbaglio?»

Lui sbadigliò ancora e si sbragò nuovamente sulla sedia.

«Orgoglio.»

«E questa qui gialla, a punta? E’ bella…»

«Berberis. Scaltrezza.»

«Le foglie?»

Lei ne indicò un paio particolarmente largo e verdastro.

«Noce… intelligenza.»

Ora invece additò un tipo lungo e secco.

«Alloro. Testardaggine. Vedi quanto ce n’è infatti?»

L’ultimo era invece un tipo di foglia cuneiforme, presente in larga abbondanza in quella strana composizione.

«Cedro, forza.»

Indicò il penultimo fiore rimasto.

«Questa è l’unica che conosco… è la rosa del deserto. Che vuol dire?»

Lui alzò un sopracciglio scuro e sorrise, come se parlando avrebbe detto un’ovvietà; le guance di lei avvamparono e il suo sguardo cambiò direzione.

Fu solo dopo un po’ che Shikamaru disse:

«Ah, i quattro fiori arancioni credo che diventerà il tuo nuovo tipo di fiore preferito… calendule, indicano dispiacere. Che cosa strana però che nessun fiore chieda scusa, eh?»

                                                                                                                                                    

Ancora silenzio. Il resto, rimase nel non detto.

Fra le tante cose che giacevano in questo non detto c’era un’ansiosa, ansiosissima corsa con in testa una sola persona.

Vi apparteneva anche lo sguardo rivolto a ogni singolo fiore, pianta o foglia al suolo di tutti i prati, boschi, colline, pianure, montagne e deserti che erano stati attraversati durante quei tre giorni di marcia.

Per non parlare poi del significato associato a ognuno di essi secondo quel linguaggio dei fiori –che lui conosceva tanto bene a causa di una certa fioraia– e della soddisfazione quando si scopriva che, in effetti, quella qualità ben rappresentava una parte del dolce caratterino di lei.

Facevano parte di quel sottile limbo anche le sonore imprecazioni contro spine nascoste mentre una mano inesperta avvolgeva la pianta intorno a una garza da ninja.

E anche (o soprattutto) tutto il dispiacere provato da lei quando, a mezzanotte e un minuto del ventiquattro agosto, si era resa conto che lui si era proprio scordato della sua esistenza… e il senso di inferiorità da cui era stata grottescamente assalita per aver dato tanta importanza a una persona che evidentemente non ne meritava. Ma questo dispiacere e questo senso di colpa si erano poi riversati con tanta furia su di lui, non appena la kunoichi lo aveva avuto a portata di mano (sebbene queste cose non rientrassero nel non detto, anzi: lei si era fatta dovutamente sentire). In effetti, alla fin fine, non le era importato neanche tanto il fatto che si fosse scordato del suo compleanno, quanto il fatto che l’avesse fatta sentire per la prima volta in vita sua una sciocca ragazzina.

Ci apparteneva di tutto diritto anche il messaggio implicito che quel mazzo di fiori –appassito in certe zone e rigoglioso in altre, pieno di fiori di ogni tipo– portava con sé: “Vedi quante volte ho pensato a te in questi tre giorni?”.

Ma, fra tante altre cose, in quel non detto troneggiava la sfida lanciata da lui a lei: perché lui sapeva che lei avrebbe capito tutto da sola. E lo sapeva perché la conosceva così bene da conoscere che lei lo conosceva altrettanto bene… altrimenti, be’, non si sarebbe mai presentato al cospetto di quella terribile e magnifica donna con dei banalissimi fiori.

Perché lei era la sua bambolina. Ci litigava, la prendeva in giro, l’avrebbe presa a pugni, ci giocava con curiose sfide, la viziava, la assecondava… ma, soprattutto, la conosceva, profondamente e intimamente.

 

In ogni caso, curiosamente, da quel ventisei –no, non ventitrè– agosto non sarebbe stato difficile trovare lo scarno tavolino del salone di casa Sabaku decorato con lo stesso vaso di sempre, ma con fiori nuovi ogni mese, raccolti su terreni differenti e lungo quello che pareva un periodo di tre giorni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Ba

ba

ba)

Bambolina

(ba

ba)

Fammi giocare,

(ba

ba

ba)

Dai, regalami

 un po’ di calore…

 

(Ligabue, Bambolina e barracuda)

 

 

 

 

 

 

Note:

 

(*) Se quanto scritto fin qui vi suona vagamente familiare, un motivo c’è: questo pezzo è stato fedelmente trascritto dal pezzo iniziale di Bambolina e barracuda (versione live) di Ligabue, parola per parola, prosandolo giusto un po’…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

******************************

 

 

 

Ashpaodbhaèbhaèobhèa Q___Q ce l’ho fatta! Questa fanfic è stata un parto.

Forse perché non scrivo una ShikaTema decente da un bel po’ oramai (e sono amministratrice di un forum su di loro –ma son dettagli X°D), o forse perché sono alla casa al mare in cui non prende né cellulare né tantomeno internet per cui postarla su EFP è stato un casino, o forse perché nella suddetta casa ci sono duemila persone –familiari, amici, ospiti- che non si fanno mai gli affarucci propri e che ti chiedono come mai stai con incollata al pc alle due di notte? Non so, scegliete voi XD Io so solo che sto diventando matta.

 

E’ stata ardua da scrivere, non avevo moltissime idee e la parte finale mi ha fatta penare; spero solo che si capisca e che renda quel che voglio dire…

 

Il fulcro di tutto è che i due si conoscono bene, ma così bene che non hanno bisogno di dirsi tante cose: per questo c’è tutta la lista di cose non dette. Poiché il POV era di Shikamaru, non sapevo come mostrare al lettore dove tutti quegli indizi sui fiori hanno portato Temari, ma volevo dire comunque qualcosa sennò non si sarebbe capita una mazza.

Insomma, quel che succede (detto qui un po’ più semplicemente, perdonatemi se sono stata troppo poetica…) è che lui fa questo viaggio di frettissima, ma siccome fra Konoha e Suna ci sono probabilmente diversi tipi di terreni (perché si passa da boschi a deserto e immagino che questo non avvenga all’improvviso, ma magari passando gradualmente da zone fertili ad aride) lui vedrà tantissime piante diverse; grazie a Ino lui conosce il linguaggio dei fiori (magari dei più banali insomma X°D) e quindi ogni distesa di fiori o ogni foglia di alberi che descrivono una determinata qualità che Temari possiede lo fa pensare a lei. Quindi per farle capire “guarda quante volte ho pensato a te durante questi tre giorni!” prende un fiore diverso e li mette assieme, ma non le dice nulla perché vuole che lei ci arrivi da sola.

Lei, da parte sua, al suo compleanno si gasa pensando che sicuramente Shikamaru le farà qualche sorpresa ma questo non avviene minimamente, perciò si sente un’idiota che ha sopravvalutato una persona che non meritava tante attenzioni. Per questo motivo (credo più per il fatto di averla fatta sentire una ragazzina fragile che per il fatto in sé di essersi scordato il compleanno) lo tratta tanto duramente.

 

…Questo è quanto XD un po’ complicato da dire, perciò ci ho messo tanto.

 

In ogni caso: questa fanfic partecipa all’iniziativa “A flower bloomed in adversity” del forum Black Parade, tutto ShikaTema, of course :D Dovevamo scegliere un fiore per il tema del compleanno di Temari e attorno al significato di esso centrarci la fanfic; io naturalmente ho esagerato e di fiori ne ho usati sette X°DD

 

Ringrazio tantissimo la mia sociadelcuore Sacchan che mi ha comunicato i fiori corrispondenti alle varie qualità che le elencavo per sms. GRAZIE, SOCIAH! <3 (e sì, il riferimento a venerdì ventitré agosto è volutissimo 8D anche perché quest’anno il 23 agosto è caduto proprio di venerdì!!)

 

Spero veramente vi sia piaciuta. Ho provato la tecnica americana del “Show, don’t tell”, cercando di far capire al lettore quante più cose non dette possibili. Fatemi capire se non si è capito nulla…

E… mi sono divertita tantissimo a scrivere le prime cinque righe XD come spesso mi accade, la canzone di Ligabue mi ha ispirato tutta la fanfic, per questo ho voluto citarla parola per parola.

 

…Commento? <3

 

 

 

Clahp

  
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