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Autore: blackmiranda    26/08/2013    4 recensioni
[SOSPESA] Heather Compton è una ragazza di sedici anni, perfettamente normale se non fosse per un particolare: nonostante non sia più una bambina, crede ancora nell'Uomo Nero. Heather è costantemente tormentata da incubi spaventosi, tanto da soffrire di insonnia e clinofobia. Nulla, però, le è mai parso tanto destabilizzante quanto le allucinazioni che inizia ad avere: creature invisibili legate all'infanzia che sembra vedere solo lei e che tuttavia potrebbero non essere così inesistenti o innocue come verrebbe da pensare...
Un brivido mi attraversa la schiena e sono costretta a distogliere lo sguardo dal disegno. Qualcosa è andato storto, mentre crescevo: ormai ne sono sicura. Non so bene cosa, ma qualcosa deve essere successo, qualcosa di grave, altrimenti adesso non mi ritroverei con una vera e propria fobia che mi impedisce di vivere normalmente e di dormire serenamente.
Vorrei solo che questa cosa la smettesse di perseguitarmi.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap. 1


I




I'd say “sweet dreams”, but there aren't any left.




Sono bottoni, sulla pancia di una bambola di pezza abbandonata su una sedia. I bottoni sono gialli, forse appartengono ad una salopette. Due simmetrici bottoni gialli, eppure paiono fissarmi.
La bambola è in penombra, non la vedo bene, ma in qualche modo so che è brutta, sgraziata, con un sorriso cucito malamente sulla faccia grigia e quei capelli stopposi, di lana nera – eccola, si sta muovendo, oscilla sulla sedia e quasi cade, apre la bocca e chiede...

“In che anno fu firmato il Trattato di Parigi?”

Sussulto e apro gli occhi. Merda.  

“Signorina Compton. Mi fa piacere constatare quanto le interessi la lezione.”

Come sempre, gli occhi dei miei compagni sono tutti addosso a me. Il professore di Storia incrocia le braccia al petto, aspettando una risposta o quantomeno delle scuse – anche se forse delle suppliche sarebbero più utili.

“Mi... dispiace infinitamente.” mormoro chinando il capo. Vorrei sprofondare. Merda!

L'uomo sospira, mi volta le spalle e ripete la domanda, a cui risponde Jacob Greaves, laggiù dalla prima fila. La lezione riprende, quasi tutti tornano a farsi gli affari loro, a parte un paio di stronzi che continuano a guardarmi come se fossi un alieno. Ignorali. Sfoglio le pagine del libro: sono rimasta indietro di più di qualche facciata. Eppure ho chiuso gli occhi solo per un secondo...

Mi sembra di morire. Dio, cosa darei per un letto morbido. O anche una poltrona, o un cuscino. Ora come ora, dormirei anche sul pavimento. Concentrati. Trattato di Parigi. 1783. Affondo le dita nei capelli e tiro, tiro forte. Non devo addormentarmi, non posso.
 

***

Come sempre, all'uscita da scuola mi sento come una reduce di guerra. Anche per oggi la tortura è finita. Ora devo solo trovare la forza necessaria per arrivare a casa senza crollare per strada. Coraggio, è facile. Basta camminare - piede destro, piede sinistro - e ripetere in sequenza finché non si è arrivati.

Mi sento come il mostro di Frankenstein. In quanto a grazia e agilità siamo identici, e probabilmente anche il colorito è quello.

Se non altro, l'aria invernale mi aiuta a stare cosciente. E' il caldo che mi frega, e in classe sembra di essere in un forno, con i termosifoni perennemente accesi. Insomma, come si fa a non cedere alle lusinghe del sonno? E poi dicono che quando muori di freddo senti caldo e ti addormenti. Aspetta, lo dicono davvero o me lo sono inventato..? Va beh, evidentemente anche questa è una nozione troppo complicata, per il mio povero cervello cotto dall'insonnia.

In qualche modo riesco a farmi strada attraverso la neve accumulatasi per terra tra ieri notte e stamattina. Il pensiero del Natale riesce a risollevarmi un po' l'umore: niente scuola, niente sveglia alla mattina – yay! -, niente rotture di scatole per ben due settimane. Un sogno.

Arrivo nel vialetto di casa – fortuna che papà ha spalato la neve, o avrei seriamente rischiato uno scivolone di quelli da gambe all'aria -, afferro le chiavi, salgo i tre gradini che mi separano dalla porta già inghirlandata, entro. Finalmente.

“Heather!”

Oh, e adesso che ho fatto? Sono appena arrivata a casa!

Che c'è?” Apparentemente, anche la voce è quella del mostro di Frankenstein.

“Ti avevo detto di mettere in ordine la tua stanza una settimana fa, ed è ancora nel caos più completo. I tuoi zii arrivano alle sette, regolati come meglio credi.” Il tono di rimprovero nella voce di mia madre ha quasi il potere di farmi avvampare per la vergogna.

“Adesso vado!” urlo stancamente dall'ingresso, sfilandomi gli stivali pieni di neve dai piedi e barcollando in direzione della mia stanza.

“Tra cinque minuti è pronto!”

“Non ho fame!” Appoggiata alla porta chiusa della mia camera da letto c'è una brandina marrone ripiegata, un po' arrugginita agli angoli. “E questa?” chiedo a voce alta, scostandola dalla porta e appoggiandola al muro.

“Stanotte tu dormi lì, e Kathy dorme nel tuo letto.” risponde mia madre dalla cucina.

“Oh, fantastico! Fai dormire l'insonne nella brandina, sono sicura che dormirà da dio.”

Mia madre sbuffa. “Tesoro, è solo per una notte, non vorrai mica far dormire tua cugina sulla brandina?”

Sbuffo di rimando. “E' una bambina, i bambini dormono ovunque.” Rimango in ascolto in attesa di una risposta, ma tutto quello che sento è un familiare quanto irritante spignattare. Rassegnata, apro la porta ed entro in camera. E' vero, devo riconoscere che è parecchio incasinata: la scrivania è letteralmente sepolta sotto una montagna di vestiti; svariati libri giacciono per terra, abbandonati a se stessi; giusto sotto il comodino, una flora composta da involucri di merendine cresce rigogliosa. Inoltre, nonostante gran parte dei vestiti che uso sia sulla scrivania, l'armadio è pieno da scoppiare.

Corrugo la fronte. Da quanto non apro l'armadio? Faccio mente locale e realizzo che sono passati mesi, dall'ultima volta. Appoggio lo zaino sul letto sfatto (tanto dovrò cambiare le lenzuola, ci deve dormire Kathy) e mi guardo attorno, sconsolata. Non so proprio da dove iniziare, mi gira la testa, vorrei tanto dormire...

Chiudo gli occhi per un istante, un solo – benedetto – istante, ed eccoli lì, i bottoni gialli ci sono ancora, fluttuano nell'oscurità come un paio di...

occhi...

Apro gli occhi di scatto e mi passo una mano sulla fronte. Perché sono andata dallo psicologo della scuola? Cosa cavolo mi è venuto in mente? Forse mi diverto a passare per matta? Ammirate, signore e signori, la sedicenne che ha ancora paura dell'Uomo Nero.

Scommetto che Kathy è più coraggiosa di me, e lei ha otto anni.

Mi giro a guardare l'armadio, con le sue ante in legno scuro e le maniglie di ottone. E' un armadio vecchio, era di mia madre; non l'ho mai cambiato perché non l'ho mai usato molto, ma forse avrei dovuto: sa di vecchio, di polvere, e magari è per questo che mi ha sempre messo un po' di inquietudine addosso.

Prendo un bel respiro e lo apro. Il cuore mi batte forte, ma perché? Ovviamente, dentro ci sono solo vestiti, buttati lì alla rinfusa secoli fa. Ne prendo uno in mano, scettica. E' una vecchia maglietta rossa, probabilmente non mi sta neanche più. Dovrei proprio buttare via un bel po' di roba, tipo i vestiti che indossavo da bambina – sono sicura che ci sono anche quelli, nell'angolo più buio dell'armadio.

“Cosa stai facendo?” chiede mia madre alle mie spalle, facendomi sobbalzare.

“Mamma..! Non ti avevo sentito.” La guardo di sfuggita. “Stavo cercando di...”

“Non c'è tempo per fare le pulizie di primavera, Heather. Fai sparire i vestiti dalla scrivania e basta, l'armadio lo riordinerai un altro giorno.” mi zittisce lei, guardandosi intorno. “Faresti meglio a spazzare per terra, anche. Sotto il letto, soprattutto, da quanto non ci passi la scopa?”

Faccio una smorfia ma resto in silenzio.

“Dai, è pronto. Dopo mangiato ti metti d'impegno e fai quello che ti ho detto, ok?”

“Ok.”


***

Gli zii arrivano puntuali, completi di sorrisi, baci, abbracci e maquantoseicresciuta e checlassefaiadesso. Mia cugina Kathy mi osserva da dietro le gambe di sua madre, sospettosa; se potessi, credo farei lo stesso. La cena è servita, le chiacchiere si sprecano e io mi do dei pizzicotti sotto il tavolo per non cadere, addormentata, nel piatto di zuppa. Kathy continua a fissarmi e io le sorrido nervosamente. Vorrei fare conversazione, ma non so bene cosa dirle. Non sono molto brava a rapportarmi con i bambini.

Solo dopo cena, quando ci congediamo dai nostri rispettivi genitori e indossiamo il pigiama, l'atmosfera sembra rilassarsi.

“Jack Frost!” sussurra all'improvviso Kathy guardando fuori dalla finestra della mia stanza. Il sole è tramontato da un pezzo e ha appena iniziato a nevicare.

“Bella la neve, eh?” le chiedo, avvicinandomi alla finestra per vedere meglio. I fiocchi scendono in un ritmo ipnotico, grandi e fitti.

“E' Jack Frost che manda la neve, vero?” mi fa lei, girandosi a guardarmi con quei suoi grandi occhioni castani.

“Certo!” le dico, sorridendo imbarazzata. Lei ricambia il mio sorriso, tornando ad ammirare la nevicata.

Restiamo ferme a guardare fuori per un bel po' di tempo. “Cosa hai chiesto a Babbo Natale, quest'anno?” domando ad un tratto.

“Una bambola, una carrozzina e delle costruzioni.” risponde, senza distogliere lo sguardo dal cortile innevato. “E tu?”

Scuoto la testa. “A me non fa più regali, sono troppo grande.” le spiego con una punta di amarezza nella voce.

“Oh.”

Le accarezzo piano i capelli scuri. “Dai, vieni a dormire.” le dico, dirigendomi verso la brandina che ho posizionato di fianco al letto. Mi ci stendo cautamente, tirando su il piumino fino al mento. Kathy sale sul letto, imbronciata. “Non mi piace quell'armadio.” confessa una volta sotto le coperte.

“Neanche a me, a dire il vero.” dico sbadigliando. Brandina o no, sto crollando dal sonno: nemmeno la solita lieve inquietudine che mi prende ogni notte riesce ad impedirmi di chiudere gli occhi.

“... Heather?”

“Mmh?”

“Possiamo tenere la luce accesa?”

Apro gli occhi. Kathy mi fissa, nervosa. “Ma certo.” Mi tiro su a sedere. “Stai bene?”

“Ho paura.” mormora mordendosi il labbro.

“Di cosa? Qui siamo al sicuro, le porte e le finestre sono tutte chiuse a chiave...”

“Lo so, ma ho paura lo stesso.”

Annuisco lentamente. “Va bene, sta' tranquilla. Ecco, teniamo la luce accesa, ok?”

“Ok.”

“Ok.” Mi stendo di nuovo. Ho un curioso senso di déjà vu. “Kathy?”

“Sì?”

“Ti capita mai... di fare dei brutti sogni?” chiedo, sentendomi subito un tantino stupida.

“... A volte. A te?”

“A volte.” Spesso. Ok, diciamo sempre. “Beh, se stanotte dovessi avere degli incubi, io sono qui. Svegliami subito, ok?”

“Va bene. Puoi fare lo stesso con me, se vuoi.”

Sorrido. “Ricevuto. Buonanotte, Kathy.”

“Sogni d'oro, Heather.”

Lo spero.


***

“E' difficile, vero?”
Annuisco. Sì, è difficile, e pesante, tanto pesante. Ho la testa pesante.
Qualcosa mi passa vicino, strisciando. Provo l'impulso di scostarmi, ma anche il mio corpo è pesante, non riesco a muovermi.
Ride. Dove sei?
Non risponde. Ma con chi sto parlando?
Un sole nero si alza in un cielo color seppia. Sembra di essere in una di quelle vecchie foto in bianco e nero. Il paesaggio è arido, brullo, e non c'è un alito di vento. Un monolite scuro si staglia all'orizzonte, unico dettaglio rilevante in questa strana e deserta pianura. Si avvicina, ma non lo vedo muoversi. Forse sono io che mi sto muovendo...
“Ti assomiglia.”
Chi?
“Kathy.”
Ma tu, tu chi sei?
Ride, ancora. Non è una risata fragorosa, no: è vellutata, pacata, eppure mi fa rabbrividire. E adesso mi accorgo che quello non è un monolite, è un'ombra che si allunga e si assottiglia, palpitando e tremando, un'ombra con due lunghe braccia -

“Heather, svegliati!”

Trattengo il respiro e riprendo coscienza con la sensazione di stare riemergendo dal fondo del mare. Kathy mi guarda, allarmata, ma è quello che vedo dietro di lei a spaventarmi veramente. Sbatto le palpebre e l'ombra sul soffitto scompare; subito mi domando se l'ho vista davvero o se si trattava solo dell'ultimo rimasuglio del sogno che ho appena fatto.

“Che succede? Stai bene?” chiedo con voce impastata, tirandomi su a sedere.

Mia cugina ha gli occhi lucidi. “Ho fatto un incubo bruttissimo!” piagnucola tirando su col naso. “Posso dormire con te? Ti prego!”

Guardo l'ora sulla sveglia: le due del mattino. “Ma certo. Aspetta.” Do un calcio al piumone e mi alzo in piedi, per poi sedermi ad un lato del letto. “Vieni qui, dai.” Lei mi raggiunge e, dopo un attimo di esitazione, torna sotto le coperte. Le poso una mano sulla spalla, come faceva mia madre quando, da bambina, non riuscivo ad addormentarmi per la paura. “Va tutto bene, ci sono io a fare la guardia.” cerco di rassicurarla.

La sento tirare un sospiro di sollievo. “Heather?” mi chiede socchiudendo gli occhi.

“Sì?”

“L'Uomo Nero non esiste, vero?”

Raggelata, faccio del mio meglio per non tradire il mio turbamento. “Perché me lo chiedi?” Incrocio lo sguardo della me stessa riflessa nello specchio al lato opposto della stanza: una ragazzina impaurita, con due occhiaie pesanti sotto gli occhi castani, i capelli arruffati e un pigiama troppo largo, anche per una figura non proprio esile come la sua (mia?). Corrugo la fronte.

Ti assomiglia.

“E' solo che... non importa. Ma non esiste, vero?” ripete Kathy, speranzosa.

“... No. No, non esiste. E' solo una favola, Kathy.” rispondo, distogliendo lo sguardo dallo specchio.

Bugiarda.

“Adesso chiudi gli occhi e prova a dormire, sono appena le due del mattino.”

“Va bene.”

Mi guardo intorno, aguzzando la vista. La spiacevole sensazione di essere osservata mi opprime come un macigno. Mi passo una mano tra i capelli nel tentativo di riavviarli, almeno un po'. Ho freddo, senza le coperte; mi allungo fino ad agguantare il piumino e me lo stringo addosso, senza lasciare il letto dove Kathy si è nuovamente assopita. Ricordo la delusione che provavo, da bambina, quando mi accorgevo che mia madre o mio padre erano tornati a letto dopo essersi assicurati che mi fossi riaddormentata. Mi sentivo terribilmente tradita, come se a loro non importasse nulla delle mie paure.

Sbuffo. Sembra proprio che questa sarà un'altra di quelle notti passate ad aspettare l'alba.










Torno col primo capitolo, scritto praticamente di getto in poco più di una giornata. Che bello avere l'ispirazione dalla propria parte! ;)
Spero che vi sia piaciuto. Critiche, commenti e suggerimenti sono più che benvenuti!
Arrivederci al prossimo capitolo. :)
   
 
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