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Autore: Water_wolf    26/08/2013    5 recensioni
[STORIA IN FASE DI RISCRITTURA]
Sintesi della mia vita: sfida mortale.
Dopo aver attraversato un fr-- portale magico anticonformista, la lista di persone che mi vogliono morta si sta allungando parecchio.
Perché? Perché sono l'Ereditaria del Segno del Sagittario, e non solo. Oppure perché ho sfiga.
***
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino. [...] Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride. [...] -Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
***
-No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e quello di Giove, non c'è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
***
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
***
Tante coppie shippose e peripezie alla 'Rick Riordan' (non che io sia minimamente brava come lui, che è un colosso çwç)
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.  Attraverso il frigorifero del McDonald’s

Incominciai a strillare come la sirena di un’ambulanza, senza il minimo ritegno. Cercai pateticamente di scappare dalle mie gambe equine e il mio corpo da cavallo, con l’unico risultato che giravo in cerchio sulle piastrelle, inseguita dalle mie stesse zampe.
Credo che quel giorno il pavimento del McDonald’s non fu mai più splendente.
–Ecco, lo sapevo…- commentò il ragazzo.
Pholos prima tentò di fermarmi con parole rassicuranti, poi dolci, infine quasi mi ordinò di smettere.
Ma come potevo? Mi ero appena trasformata in un centauro, e per di più ero nuda!
Pholos tirò fuori da una tasca un corno, ci soffiò dentro e un rumore infernale risuonò per tutto il negozio. Smisi di scappare e rincorrere me stessa.
Lo guardai ansimante per poi gridare:- Che cosa diavolo mi hai fatto, eh?! Neanche nel più sciatto film di fantascienza il padre trasforma la propria figlia in un mostro!
Il viso di Pholos s’indurì, diventando una maschera fredda e gelida. Sotto il  mio sguardo attento, fece ricomparire il suo corpo equino.
Guardarlo dal pavimento faceva spavento, era davvero alto.
Sentii Pride sussurrare:- Ben fatto, Tori.
Scrollai la testa, scacciando via quel soprannome. Era mio padre che m’interessava, o quella creatura mitologica che sosteneva di esserlo.
Temetti che volesse liberarsi di me come aveva suggerito Pride o, per lo meno, darmi una bella lezione.
Invece, si passò una mano sul viso e sospirò: –Dovrai studiare duramente, Victoria, hai grosse lacune.
G-grosse lacune? Ovvio, se non conoscevi ogni creatura fantastica ti trasformavi in un’ignorante.
–Ce la fai a alzarti?- domandò, come se nulla fosse successo.
Be’, aveva i suoi pro avere un papà che si dimenticava subito che l’avevi accusato e insultato indirettamente.
-Sì- risposi.
Okay, mi dissi, non sarà difficile muovere un paio in più di gambe, no?
Riuscii a mettere in assetto le zampe anteriori, ma mi sbilanciai subito, ricadendo con un tonfo a terra. Non era piacevole sbattere il proprio posteriore equino sul pavimento, ma decisi di non protestare apertamente.
–Ehm…non ce la faccio- ammisi. –Un aiutino?- domandai, facendo gli occhi dolci.
Pride ghignò, accostandosi al mio fianco sinistro, mentre Pholos era pronto a destra. Il ragazzo mi diede uno spintone verso l’alto con forza, poi un altro e fui in piedi. Il centauro mi afferrò per un braccio, stabilizzandomi. Il tatuaggio formicolava.
–Ho conosciuto cavalle meno grasse- commentò Pride.
–Oh, sta’ zitto una buona volta- lo rimbrottai, esausta.
Ero di dieci centimetri più bassa di mio padre, con il vello più scuro e lucente. Ma io ero nuda, e stavo gelando. Pholos se ne accorse, si sfilò la camicia e me la porse; accettai riconoscente. Non potei non constatare che mio padre fosse un bell’uomo, atletico, dalla cintola in su, si intende.
–Victoria- esordì. –Il tatuaggio che porti ora sulla schiena è il marchio dell’Ereditaria del Segno del Sagittario. Avrai notato che sembra in movimento, quasi vivo.
-Sì, almeno è carino. In riformatorio c’erano ragazze con disegni a dir poco orrib…- mi interruppi, intercettando un’occhiataccia al mio indirizzo.
–Di solito il marchio è immobile, come un normalissimo tatuaggio. Solo l’Ereditario del Segno del Fuoco ne aveva uno come il tuo.
Lessi tra le righe. –Oh. Sono anche un’Ereditaria del Segno del Fuoco? Che altra diavoleria è questa?
-Non è una “diavoleria”, come dici tu. E’ un privilegio che spetta solo ai più valorosi- mi corresse. –E’ il simbolo che contraddistingue la persona che guiderà gli altri Ereditari, che ci avvantaggerà di fronte alla parte di popolo magico che vuole sterminare gli umani. E’ la forza che ti permetterà di fare la scelta giusta nelle situazioni più difficili.
-Non mi sento per niente valorosa in questo momento. Questa storia è assurda, potrebbe non essere nemmeno vera- protestai.
–Hai assunto la tua forma ibrida, non credo che tu abbia qualcosa con cui ribattere- replicò Pholos.
Colpita e affondata.
Roteai gli occhi.
–Non può farlo Pride?- chiesi, benché avessi già una mezza idea a riguardo.
Mio padre s’incupì, così come il ragazzo-leone.
Mi sentii più instabile sugli zoccoli. Avevo detto qualcosa che non andava, ma non capivo il perché.
Attesi finché non fu Pholos a chiarire. –E’ qui che sta il problema. L’Ereditario del Segno del Fuoco dovrebbe essere uno, non due.
Guardai Pride con occhi sbarrati. Si stavano prendendo gioco di me, era impossibile che quel pallone gonfiato fosse l’altro Ereditario.
Significava collaborare con lui, stare sullo stesso gradino, non poterlo costringere a chinare il capo quando mi pareva… No, non mi piaceva quella storia. Scossi la testa con veemenza, nitrendo un dissenso.
–Levati quella maglietta e fa’ vedere, mi stai prendendo in giro- ordinai, sorvolando sul verso animalesco.
–Come vuoi, Tori- fece lui con un’alzata di spalle. Si svolse con lentezza infinta la sciarpa, si sfilò la t-shirt e le appoggiò delicatamente sul pavimento.
Mi mostrò la schiena nervosa e allenata. I miei ormoni impazzirono per un attimo, perdendosi in fantasie che troncai con forza. Una reclusione in un riformatorio femminile non era un buon motivo per farsi strane idee non appena ti trovavi davanti dei muscoli.
Ghignai alla vista di alcuni segni rossi, lì dove l’avevo colpito cercando di scappare.
Poi, mi concentrai sul tatuaggio che gli percorreva la schiena.
Erano scene che ritraevano leoni che giocavano, leoni a caccia, leonesse che leccavano i cuccioli, leoni oziosi che scacciavano le mosche con la coda, leoni che squarciavano le carni delle antilopi, leoni che facevano la siesta. Erano scuri, sfumati, come ombre cinesi.
Sbattei due volte le palpebre: quelle scene erano un’infinità, tutte minuziosamente riprodotte come i codici minati dei monaci amanuensi, disposte in modo da formare la testa e parte della criniera di un unico, grande leone che spalancava le fauci, mostrando una chiostra di denti aguzzi e una lingua di fuoco.
Pride contrasse i muscoli, e la fiera schioccò le mascelle.
Sobbalzai sul posto, rischiando di perdere l’equilibrio duramente ottenuto. Il mio sguardo fuggiva dalle scene all’occhio del leone gigante: era splendente come il sole, una stella incandescente che brillava più di Sirio.
Immaginai il dolore che aveva straziato il dorso di Pride e rabbrividii. Le costellazioni a forma di freccia che segnavano  la mia, di schiena, erano nulla in confronto a quello spettacolo.
In quel momento, capii che non aveva senso opporsi alla realtà dei fatti, che ciò che i film ritraevano esisteva davvero, che gli abitanti delle favole erano veri.
Pride si chinò a raccogliere i suoi vestiti, facendo scuotere la criniera del leone gigante, e se li rimise senza una parola.
Mi voltai verso mio padre, il mio genitore per metà cavallo.
–Che cosa significa tutto questo?- domandai, nel mio tono non c’era un briciolo dell’incredulità o della rabbia di prima.
Pholos fu costretto a ammettere che non lo sapeva. –Sottoporremo il caso ai centauri nell’altro mondo. A proposito, dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare presto.
Alzò una mano per prevenire le mie domande. –Hai già scoperto abbastanza, per oggi. Forza, vieni. Pride- chiamò, incamminandosi verso la porta della cucina.
Il ragazzo lo seguì, ma io rimasi impalata nel mezzo del negozio.
Come potevo andare da quella parte se non sapevo camminare?
Be’, o la va o la spacca, mi dissi.
Mossi prima una zampa, poi un’altra, compiendo un mezzo giro. Ero nella direzione giusta. Barcollante, mi fidai dell’istinto e camminai dietro Pride.
Era una sensazione strana, ma non estranea: era come se molto tempo prima fossi stata un centauro e avessi imparato a camminare, così adesso ero solo arrugginita. Un po’ come decidere di fare una passeggiata in bicicletta a distanza di anni: la memoria resta, bisogna solo rispolverare le vecchie conoscenze. Anzi, provavo una sorta di piacere arcano nel sentire i muscoli tendersi e risalassarsi sotto la pelle, gli zoccoli non mi sembrarono più tanto diversi dalle mani.
Ci dirigemmo in cucina. Le friggitrici, i forni e alcune postazioni di lavoro erano coperte da sacchi di plastica verde acqua e scotch trasparente.
Il corridoio era stretto o, più semplicemente, non era stato ideato per passaggi straordinari di centauri. Pholos si fermò davanti a un vecchio frigorifero.
Lo osservai scettica. Avevo sentito parlare di un film in cui quattro ragazzini si catapultavano in un altro mondo attraverso un armadio magico, ma un frigo era tutt’altra storia.
Pholos lo aprì, ci sbirciò dentro e fece cenno a Pride di andare. Il suo sguardo si spostò su di me.
–Non ci passo- obiettai.
Sul suo viso si dipinse un’espressione tenera, la stessa compassione che si prova per i cani abbandonati. Battei uno zoccolo a terra, frustai l’aria con la coda, infastidita.
–Se poi rimango incastrata è colpa tua- ammonii.
Mi feci avanti, controllai l’interno e notai una spirale luminosa, che passava dal bianco accecante all’intero arcobaleno. Spinsi la testa più dentro, e il vortice mi attirò a sé.
Cercai di ritrarmi, ma scoprii che era mi era impossibile.
Dovevo andare avanti, per forza. Strinsi gli occhi e assecondai il volere della spirale. Il mio corpo equino entrò senza difficoltà, il vortice iniziò a ruotare furiosamente, creando un gorgo che mi risucchiò. Sollevai una palpebra, e intravidi un cielo trapunto di stelle troppo luminose per essere reali.
All’improvviso, avvertii uno strappo violento verso il basso. Precipitai. Provai a gridare, ma non avevo voce.
Le stelle scomparvero, risucchiate dallo stesso cielo, che si tinse dell’azzurro del mattino. Sentii erba fresca sotto i miei zoccoli, un venticello delicato mi scompigliò i capelli scuri. C’era un’atmosfera magica, rilassata, casalinga…
–Levati, quello è il mio piede!
Mi riscossi. Stavo schiacciando la scarpa di Pride, arrivato lì prima di me.
–Ops, scusa.
Il ragazzo grugnì qualcosa d’incomprensibile, massaggiandosi il piede. Pholos apparve accanto a me, cogliendomi di sorpresa. Chiuse gli occhi e assaporò l’aria.
-Profumo di casa…- commentò in un sussurro.
Non potei che annuire. Indicò un punto indefinito all’orizzonte, una macchia scura nel bel mezzo di una radura solcata da un fiume.
–Dobbiamo andare là, nel nostro territorio. Questa radura è zona franca, ma non è sicura.
Annuii, incamminandomi.
Il vento fresco faceva frusciare la camicia leggera, ma non mi dava fastidio. Anche Pholos, a torso nudo, non sembrava avvertire freddo. Qualcosa si mosse dentro di me, suggerendomi la soluzione: eterna primavera. Uno stato in cui la natura rifiorisce di continuo, in cui le sensazioni negative vengono allontanate dal corpo e rinforzava lo spirito.
La magia iniziava a piacermi.
Trotterellai per la radura, resistendo all’impulso di fermarmi a brucare dei girasoli più in là.
–Senti, Pholos- esordii dopo un po’. –E’ grazie a te se ho gli occhi azzurri?- domandai.
Approfittare di quei momenti per fare conversazione e scoprire qualcosa sul mio passato non poteva farmi male.
Il centauro scosse la testa. –Anche tua madre li aveva dello stesso colore, Victoria, non saprei dire. Ma è più probabile che sia un segno distintivo dell’eredità del Segno del Sagittario: il suo colore è il blu e la sua pietra il turchese. Nel caso del Leone, invece, la pietra è il diaspro giallo e anche il topazio, due pietre color oro.
Avrei voluto chiedergli di mia madre, dov’era, se era una centauressa, se l’avrei incontrata nel luogo dove stavamo andando, ma mi convinsi che Pholos non aveva voglia di parlare di una delle due persone che aveva abbondonato dall’altra parte del frigorifero.
La mia immaginazione compose una fotografia sbiadita di mia mamma, evidenziando gli occhi di un turchese intenso, da cui partivano radiazioni di blu cobalto e verde acqua. Come i miei.
Scossi la testa; un genitore alla volta. Era già piuttosto difficile ammettere di avere un padre centauro che, ne ero convinta, mi voleva bene ma che mi aveva lasciato a marcire in un orfanotrofio.
–Hai detto che ho assunto la mia “forma ibrida”, cosa significa?- cambiai argomento.
-Devi sapere che in origine i centauri potevano trasformarsi sia in umani che in cavalli, oppure mantenere il loro corpo a metà. Oggi, con la nostra reclusione, sono più uniche che rare le persone in grado di ottenere il controllo di tre forme. A seconda della nostra inclinazione sociale e caratteriale, ci siamo stabilizzati sui cambiamenti centauro-uomo o centauro-cavallo. La maggior parte appartiene al secondo gruppo. Tu sei l’Ereditaria del Segno del Sagittario, sarai di sicuro in grado di trasformarti in tutte e tre le forme.
-Quindi posso ritornare umana?- domandai, sollevata.
Annuì. –Esattamente come Pride, che è sia leone che ragazzo che incrocio tra le due razze.
Guardai verso il diretto interessato. –Quindi potevi chiedere di vedermi in forma umana e poi portarmi via, ma hai preferito farmi spaventare a morte diventando un leone.
Alzò le spalle. –Già.
Spalancai la bocca, pronta a insultarlo come si meritava.
Avevo rischiato di morire per colpa del suo comportamento!
–Ti ho osservato in palestra, te la cavi con l’arco- continuò, ostentando un’aria non curante. –Ma mai quanto me con la spada.
-Egocentrico- brontolai, incrociando le braccia.
Sentivo le guance colorarsi di rosso, e me ne vergognai, ma non ci potevo fare nulla. Non capitava spesso a una ragazza in riformatorio femminile che un ragazzo come Pride –che, non si può negare, è decisamente sexy- ti faccia un complimento.
Pholos s’illuminò, scalpitando con gli zoccoli. –Bene!- esclamò, raggiante. –Una delle abilità del Segno del Sagittario si è già rivelata.
Gli scoccai un’occhiata interrogativa, ma il centauro non rispose, troppo immerso nei suoi pensieri. Pride fece schioccare il collo.
–Una corsetta, Tori? Oppure sei troppo imbranata per il galoppo?
Lo incenerii con lo sguardo. Al fiume distavano una centinaia di metri, dopodiché si avvistava un folto gruppo di capanne.
–Mangia la polvere- dissi, e scattai.
La schiena fu attraversata da un brivido. Sbattei le palpebre: mi sentivo gli occhi troppo distanti e non ci vedevo bene, era tutto più grigio. Il suono del fiato affettato di un Pride completamente leone colorò la mia visuale di un rosso intenso. Annusai l’aria: pericolo.
No, ti prego, pensai, non voglio essere una giumenta.
Ma il mio desiderio era vano, ero un cavallo ed era ciò che mi serviva per vincere quella sfida. Spinsi al massimo, ignorando il rosso pericolo nel mio campo visivo, facendo rombare gli zoccoli sul terreno.
A quanto ne sapevo, i leoni facevano fare il lavoro sporco alle leonesse e si avventavano solo alla fine sulla preda, con uno scatto veloce; questo significava che sulle lunghe distanze un cavallo lanciato al galoppo stracciava il re della savana.
Nitrii fiera, orgogliosa dei miei nuovi muscoli e le mie quattro zampe. Recuperai Pride, che mi aveva sorpassato, sfruttando il mio disorientamento.
Il ritmo veloce della corsa mi fece ribollire il sangue nelle vene, il vento mi ghiacciava il collo, la criniera di ossidiana ondeggiava come la bandiera americana sull’asta.
Il fiume era a pochi metri da me. Non mi chiesi nemmeno cosa fare.
Aspettai di essere vicino all’argine, poi saltai.
Fu come volare, magnifico come toccare le nuvole con un dito. Il contatto con la terra mi scosse da capo a piedi, inviandomi una fitta di dolore agli zoccoli.
Pride si era fermato dall’altra parte del fiume, ansimante.
Sorrisi trionfante, non sapendo come sarebbe apparso sul mio faccione da cavallo.
Sagittario uno, Leone zero.

 


Quelle che avevo scambiato per capanne dalla radura erano in realtà stalle singole o per due, in legno e con interni che avevano tutta l’aria d’essere confortevoli. Il villaggio dei centauri, così l’aveva chiamato Pholos, era un grosso anello, verso il centro c’erano gli edifici più importanti e luoghi comuni, in periferia le abitazioni.
Molti si soffermarono a osservarci, a osservare me, la nuova arrivata. Anche quando li superammo, sentii i loro occhi puntati sulla mia schiena.
Pholos ci condusse oltre la periferia, in un boschetto poco distante dal villaggio.
Lì, c’era una casa a due piani con due grosse finestre frontali, squadrata e bianchissima. Era l’unico elemento moderno di quel posto all’insegna del campeggio per boyscout.
–Victoria, questa sarà la tua nuova sistemazione. Quando rintracceremo gli altri Ereditari, anche loro si trasferiranno qui- spiegò Pholos.
-Quindi saremo solo io e Pride- non era una domanda, ma un’amara affermazione.
Il ragazzo sogghignò. –A quanto pare sì, cara Tori.
-Vuoi uno zoccolo in bocca o chiudi il becco da solo?- scattai.
–Pride, accompagnala dentro, devo sbrigare altre faccende qui- ordinò. –E vedete di non uccidervi mentre non ci sono- aggiunse poi in un sospiro.
Mio padre si allontanò al piccolo galoppo, lasciandoci soli. Il ragazzo-leone tirò fuori da una delle tasche dei pantaloni un mazzo di chiavi, ne scelse una e la infilò nella toppa.
La porta si aprì, mostrando l’interno.
Era arredato secondo gli ultimi canoni della modernità: tavolini bassi, un divano con penisola, una libreria a incastro e una televisione enorme; le finestre che percorrevano l’intera sala davano sul bosco, incorniciando immagini da quadro. Trovai il tutto magnifico.
Non avevo mai avuto l’opportunità di avere uno spazio dove c’era privacy, o una tv così. Gli unici film che guardavamo erano per le festività o per istruirci, quando eravamo riuniti in palestra, a terra, davanti a un oggetto dell’anteguerra.
Se il solo soggiorno aveva quell’aspetto, il resto della casa doveva essere la variante terrena del paradiso.
–Guarda che non puoi entrare quando sei un centauro, vedi di diventare umana- mi apostrofò Pride.
–Non l’avevo capito- borbottai.
Ora restava il problema di come trasformarmi. Ero ritornata ibrida finita la corsa, quando l’emozione mi aveva abbandonato, ma non avevo idea di come indurre il cambiamento.
Pensa, ordinai a me stessa.
Di nuovo, lasciai che fosse l’istinto a decidere per me. Rilassai i muscoli delle spalle, immaginai la mia forma umana e un brivido mi percorse la schiena. Il mondo divenne più alto, oppure ero io che mi ero abbassata.
Guardai in basso, notando con successo di avere gambe e piedi al loro posto.
–Allora, entriamo?- incalzai.
Superai Pride, oltrepassando la soglia. Il soffitto era alto, il pavimento di parquet scuro, e una scala a muro portava al piano di sopra. Il ragazzo indicò svogliatamente dov’erano la cucina e il bagno, poi mi condusse di sopra.
Su un lungo corridoio si affacciavano dodici porte, ognuna di un colore diverso dall’altra, con una scritta a lettere cubitali: EREDITARIO/A DEL SEGNO DEL CAPRICORNO, EREDITARIO/A DEL SEGNO DELLA VERGINE
Su alcune c’era una grossa X rossa, e annotato sotto DALLA PARTE NEMICA. Mi intristì il pensiero che quelle camere sarebbero rimaste vuote e disabitate per sempre, a meno che avvenisse un miracolo.
La porta con la scritta EREDITARIO/A DEL SEGNO DEL SAGITTARIO era turchese, mentre quella di Pride di un giallo sfolgorante. Il ragazzo aprì prima la mia poi la sua.
–La cena è alle otto e mezza, se non ti trovo almeno cinque minuti prima non cucino niente per te- disse, ma io avevo la testa da un’altra parte.
La mia stanza. Solo per me. Una reggia per Victoria Williams e nessun altro.
Un letto matrimoniale con il copriletto azzurro, un armadio gigante in legno bianco, un comodino e… un bagno!
Era un sogno. Entrai con il cuore che mi batteva a mille. Controllai che niente fosse finto, mi pizzicai il braccio per assicurarmi d’essere sveglia.
E lanciai uno strillo di felicità, balzando sul letto.
Il materasso mi accolse morbido, facendomi rimbalzare un paio di volte. Mi rotolai tra i cuscini, ridendo senza motivo. Quasi caddi quando incontrai il bordo del letto.
Subito dopo scattai in piedi, aprii le ante dell’armadio e scoprii un mondo di vestiti da donna e da uomo.
Non sdruciti e scoloriti come quelli del riformatorio, oppure di seconda mano come quelli dell’orfanotrofio.
Nuovi, perfetti, mai usati.
Chiusi le ante e andai in bagno, riflettendo che lo spazio era fin troppo.
Le piastrelle piccole, lucide e verde acqua tappezzavano l’ambiente. C’era una doccia con varie regolazioni, un wc pulitissimo, uno specchio e un lavandino così lungo che ci si poteva lavare un bambino di otto anni disteso.
Era magnifico, e non esitai a strillare di felicità per ogni particolare che scovavo.
Finito il momento di follia, notai che Pride mi osservava ghignando malizioso con una spalla appoggiata allo stipite della porta.
-Che hai da guardare?- lo rimbeccai, senza troppa energia.
Il ragazzo fece un gesto vago con la mano. –Niente, solo una ragazzina che impazzisce di fronte a una normalissima camera da letto- rispose.
–Ragazzina, io? Ma scherziamo? Quanti anni avrai tu per sentirti così superiore?
-Quasi sedici.
-Quindi quindici- puntualizzai. -Un anno solo più di me. Chi è il ragazzino, allora?
Pride sgusciò via per qualche minuto, tornando con un cuscino soffice tra le mani.
–Chi perderà questa battaglia- rispose, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Presi il cuscino dal mio letto e lo puntai verso di lui a mo’ di spada. –Ci sto- decretai, ricambiando lo sguardo.
Demmo inizio a una battaglia degna di stare nei libri di storia.
Schivavamo, roteavamo, attaccavamo come  veri maestri di scherma, spingendo prima verso il bagno, poi alla finestra, percorremmo il corridoio a ritroso a forza di stoccate di soffice piume. Costrinsi Pride a fare le scale all’indietro sotto i miei colpi e, mentre tentavamo di sconfiggerci a vicenda, la battaglia era anche di sguardi e occhiate.
Arrivati in soggiorno, puntai alla faccia del ragazzo; lui si abbassò, ruotò su se stesso e mi diede una cuscinata così potente da farmi inciampare sui miei stessi passi.
Incontrai il bordo del divano dietro di me, cadendo a gambe all’aria.
Continuai imperterrita a sfidare Pride, che saltò sul divano, imponendosi sopra di me con una mossa che avrebbe fatto invidia a Jackie Chan.
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino.
Era scorretto, ma non potevo permettermi di perdere contro di lui. Ne andava del mio, di orgoglio.
Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride.
Mi sentii morire e temetti di andare in iperventilazione.
–Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
–Lo so- replicai, con una sfrontatezza infinita.
E proprio quando disse “menomale che non hai mirato più in basso”, che una centauressa fece irruzione nel soggiorno.

***

Angolino dell'autrice
Sono maledettamente pervy, non mi esce un capitolo senza battute sconce^^"
Avevo detto niente relazioni tra Pride e Victoria, ma questo non vuol dire che li caccerò nelle situazioni più disparate. I titoli dei capitoli parlano da soli x'D
E' un capitolo tranquillo, con descrizioni di luoghi che ritroveremo spesso in seguito. Servivano, ecco.
Svelato il motivo della seconda parte del titolo! Ve lo aspettavate? E che conseguenza porterà in fatto di leadership?
Ok, smettiamola con le domanda stile "fine episodio".
Annuncio con la A maiuscola: sto scegliendo dei prestavolto per i personaggi, è difficile visto che i miei pargoli sono molto personalizzati, quindi le immagini saranno solo una linea guida per farsi una fotografia mentale^^
Ecco Victoria *Tori, perché VicTORIa* , immaginatela con gli occhi azzurri e le mashes rosse!


E Pride, con i capelli più ricci e i suoi occhi!

Sì, non sono pienamente soddisfatta ma amen. Se avete consigli sono ben accetti, soprattutto per Pholos.
Quando compariranno gli altri personaggi saranno molto meglio, ve lo assicuro: la mia artdirector Marta è più brava di me a scovare la faccia giusta :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ricordate: le recensioni non mordono!

Water_wolf

  
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