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Autore: The queen of darkness    28/08/2013    1 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un silenzio di piombo cadde nella stanza.
Tracy continuava a fissare con una sorta di strana gioia negli occhi i nuovi arrivati, che non avevano il coraggio di muoversi. Ovviamente, a paralizzarli erano dei motivi differenti: Eva aveva accolto quella voce roca come un eco del passato, il sussurro di un morto che esce dalla propria tomba, mentre Morgan, vedendo lo sgomento e il pallore della collega, non sapeva come agire poiché i suoi ordini erano stati molto imprecisi.
Alla fine, fu lui a prendere l’iniziativa. Prese lentamente posto davanti alla giovane ragazza e aprì un fascicolo, ignorando l’uscita di poco prima. Eva, immobile, assisteva alla scena rintanata in un angolo.
-Guarda – disse Emily, pensierosa, avvicinandosi al vetro: -Sembra che abbia visto uno spettro.
-È vero – intervenne pacatamente Rossi, - ma sono sicuro che Tracy non ne è la diretta responsabile.
-Credi… - cominciò JJ, iniziando a dare l’incipit a parole dei timori di tutti, - … credi che sia coinvolta in questa storia?
Dal momento che nella stanza non volò una mosca, e il silenzio si spargeva anche nella sala interrogatori, la donna continuò con il proprio ragionamento procedendo con estrema cautela: -Insomma, voglio dire…pressioni dall’alto affinchè si unisca alla squadra proprio per questo caso, totale oscurità sul suo passato, nemmeno una presentazione… dico solo che è un po’ strano.
-Non è implicata negli omicidi – tagliò corto Hotch.
-Questo interrogatorio chiarirà molte cose, non è vero? – osservò Emily, con studiata lentezza.
Il capo si limitò ad annuire, facendosi attento agli sviluppi che si stavano alternando davanti ai suoi occhi.
Nel frattempo, Morgan aveva iniziato ad annotare le generalità della ragazza, per confrontarle con i dati appresi durante la pausa da Garcia. La signorina si chiamava davvero Tracy Chamberlain, nata a Bergen il 15 giugno 1996, rimasta orfana all’età di otto anni.
Il resto fu una lettura con voce atona di tutti i piccoli crimini commessi dalla ragazza nell’arco della sua giovane vita e, con un’indifferente sicurezza, lei li confermò tutti quanti, dal primo all’ultimo. Si trattava di reati minori facilmente collegabili al circolo della prostituzione che erano stati già scontati nel riformatorio della città. Nulla di sufficientemente interessante per causare una pena vera e propria.
-Allora, Tracy – disse Morgan, stancamente, - conoscevi il tuo rapitore?
Hotch, dall’altra parte del vetro, fece una smorfia di disapprovazione: non bisognava mai avere un atteggiamento così diretto nei confronti della vittima di un trauma, soprattutto se si vogliono ottenere delle dichiarazioni accurate. Era necessario, e l’agente lo sapeva bene, farla partire dall’inizio, raccontando anche il dettaglio più insignificante che però poteva essere utile alla cattura del vero killer.
Ai presenti, infatti, sembrava ormai quasi certo che l’uomo catturato non era il loro S.I.
La ragazzina, intanto, deglutì sonoramente: -Sì.
-Sai dirci come si chiama? – chiese lui ancora.
-Paul Smith. Fa il fattorino – disse la ragazzina.
Morgan alzò lo sguardo, e la guardò per un attimo. –Potresti descriverlo un attimo? Carattere, il modo in cui l’hai conosciuto, quante volte lo hai visto… - alzò con noncuranza le spalle - … cose così.
In silenzio, Emily approvò quella tattica: quando si aveva a che fare con testimoni molto giovani, trattare la confessione come qualcosa di poco conto, dall’importanza ridotta, faceva sentire chi aveva subito un crimine molto più a proprio agio.
Fu quello che accadde. Mentre Eva prese posto, la ragazza prese a cercare dettagli nella propria memoria al fine di essere il più accurata possibile.
-Allora… ehm… la prima volta che lo vidi era in strada, qualche anno fa. Cercava compagnia. Il giorno dopo Pat, la ragazza con cui era andato, mi disse di evitarlo, perché si arrabbiava facilmente. Da allora ho cambiato quartiere, ma è diventato mio cliente lo stesso. Si comportava bene, ma era maniaco di un sacco di cose.
Morgan si fece interessato: -Che tipo di cose?
Tracy alzò le spalle. –Io e la stanza dovevamo essere pulite, in ordine. Dovevamo profumare di lavanda, quello era obbligatorio… delle volte il profumo me lo dava lui. Delle altre, portava delle parrucche bionde di varie misure, e insisteva che me le mettessi. E poi il peso.
-Il peso? – chiese Eva, disgustata dal fatto che la ragazza e una camera di motel fossero considerate più o meno con lo stesso valore.
Tracy annuì, guardandola appena. –Sì. Se ingrassavo o dimagrivo se ne accorgeva subito, e mi sgridava. Da quando sono rimasta incinta abbiamo smesso di vederci: non gli andavo più bene. 
-E… - continuò Morgan, con esitazione minima nella voce, - … ha mai aggredito seriamente qualcuna di voi? In strada, negli alberghi… nei vicoli.
Tracy annuì di nuovo, deglutendo per la seconda volta
-È successo la scorsa primavera. Robin, una mia amica, era dimagrita moltissimo in quel periodo. Era…rimasta incinta anche lei, ma non le avevano lasciato tenere il bambino. È stata dura fargliela passare.
-E Robin era una delle ragazze frequentate da Smith? – chiese ancora.
-Sì. Piuttosto abitualmente. Quando le ha visto le costole, ha cominciato a gridare, o almeno così mi ha raccontato. Poi l’ha colpita, più di una volta, con un coltello a serramanico; non l’ha uccisa per un pelo.
-Come mai non avete denunciato il fatto?
La ragazzina rise, con un suono aspro. –Lei dovrebbe sapere che questo genere di incidenti sono all’ordine del giorno, agente. E la buoncostume non guarda in faccia nessuno, nemmeno una donna agonizzante, quando si tratta di arresti.
Morgan sollevò appena le sopracciglia, sorpreso, ma la sua espressione ridivenne una maschera subito dopo. Il trucco da lui usato era servito per vedere se l’interrogata stesse dicendo o meno la verità: ovviamente una prostituta non poteva concedersi il lusso di una denuncia, soprattutto con un protettore violento alle spalle.
Eva osservò con una sorta di smarrimento gli occhi vacui e vagamente annoiati della ragazza. Aveva uno sguardo così disilluso da far male; la tipica occhiata che solo le persone anziane reduci da una vita di amarezze potevano concedersi.
-Cos’è successo stamattina, Tracy? – intervenne Eva, per la prima volta da quando l’interrogatorio era cominciato. Se avesse detto “tesoro” invece del suo nome, il tono avrebbe avuto lo stesso suono dolce e rassicurante.
L’interessata la fissò dritta negli occhi, senza ostilità. Parlò con voce ferma.
-Paul venne stamattina dal pappa della zona, Glenn. Nessuno sa il suo cognome. Gli disse di aver bisogno urgentemente di una ragazza, ma a quell’ora era praticamente impossibile: erano finiti i turni già da un bel pezzo.
Come Eva aveva precedentemente spiegato alla squadra, durante un momento di apparente calma, le prostitute lavoravano solo in determinate ore del giorno. Ognuna aveva degli orari differenziati, ma in genere si cominciava dalle nove di sera per terminare, nei casi fortunati, alle cinque della mattina. Le ore che intercorrevano fra quelle “lavorative” erano inviolabili, e servivano alle ragazze per riposarsi e dormire.
-La richiesta – continuò Tracy, con marziale precisione, - gli era sembrata molto strana, visto che aveva appena finito una serata con Regina, che ancora non si era vista. Per questo Glenn si è insospettito, e l’ha cacciato via dallo studio in malo modo.
-Come mai tu hai assistito? – volle sapere Morgan.
-Giorno di paga – disse, con un vago sorriso, prima di continuare il racconto.
-Comunque, Paul sembrava davvero molto nervoso. Tremava, non l’avevo mai visto così. Ha cominciato a dire cose senza senso, a minacciare Glenn e a parlare di “necessità”, “cose che lui non poteva controllare”. Ha tirato fuori una pistola; neppure Glenn era disarmato, ma non voleva problemi: era uscito da poco per possesso di stupefacenti, e non voleva tornare dentro.
Fece una piccola pausa.
-Il resto è successo in fretta. Glenn ha alzato le mani, ma Paul è stato più veloce: mi ha afferrata per un braccio e mi ha puntato la canna alla tempia, dicendo che io potevo andare bene lo stesso. Glenn ha cercato di fermarlo, ma ormai mi aveva già trascinata giù e caricata in macchina. Anche lì dentro continuava a tenermi sotto tiro e a blaterare, ma non lo stavo ascoltando. Urlavo; poi alla fine è stato fermato e… - si strinse nelle spalle, -… e il resto lo sapete.
-Grazie, Tracy – disse Eva, sorridendo. Sembrava un po’ abbattuta, come se si fosse appena trovata sull’orlo di una crisi di nervi.
La ragazza spostò di nuovo l’attenzione su di lei, senza dire niente. La guardava, la scrutava, ma senza accenni di astio. Era semplice curiosità. Le sorrise, ma sembrò solo una smorfia vuota, vista la concentrazione che usava per continuare ad analizzare il suo volto.
-Chi è il padre del bambino, Tracy? – chiese Morgan, a bassa voce, interrompendo la scena.
A malincuore, la ragazzina spostò la propria attenzione su di lui. Sembrava fosse diventata più pallida.
-Glenn – mormorò, in un soffio.
Dall’altra parte del vetro, Prentiss sospirò, e Rossi scosse leggermente il capo. Forse un “non lo so” sarebbe suonato meglio: avere come madre una prostituta minorenne e come padre un protettore tossicodipendente ed ex galeotto non assicurava un futuro luminoso.
 -E lui lo sa? – continuò Derek, con delicatezza.
-No! – esclamò, trafelata, la ragazzina. Poi abbassò il tono: -No. No, e non deve saperlo per nulla al mondo.
Scosse la testa, improvvisamente spaventata. –Non sapete cosa sarebbe capace di farmi, se lo sapesse.
-D’accordo, d’accordo – assicurò l’agente. –Quest’informazione non uscirà di qui, promesso.
-Promesso – ribadì Eva.
-Adesso – disse Morgan, spingendo improvvisamente verso la ragazza un block notes con fogli gialli e una matita, - dovrai scrivere qui sopra tutto quello che hai appena detto. Più cose ti ricordi, meglio è. Questa sarà la tua versione ufficiale… se non te la senti, lo faremo dopo.
  Tracy annuì. Sembrava molto più fragile rispetto a prima, e aveva cominciato a giocherellare nervosamente con uno dei suoi molti braccialetti.
-Posso avere un po’ d’acqua? – chiese, con un filo di voce.
-Naturalmente – si affrettò a rassicurarla l’uomo, facendo un cenno oltre il vetro perché si adoperassero a portargliela.
Hotch, rianimandosi dopo una completa immobilità, incrociò le braccia e corrugò le sopracciglia.
-Paul Smith? – chiese solo, con voce tetra.
-Garcia sta già controllando. Mi ha detto che avrebbe inviato i risultati entro un paio di minuti – disse Prentiss.
-Direi di spostare la nostra attenzione su di lui, adesso – suggerì Rossi, - visto che la ragazza non sa dire nient’altro. Può benissimo darsi che Smith sia implicato, magari persino materialmente, ma la mente è qualcun altro.
-Come fai a dirlo con certezza? – volle sapere JJ.
L’uomo più anziano alzò le spalle. –Intelligenza media, crollo emotivo, era conosciuto da tutti nel quartiere ed era facilmente identificabile. Non è uno che vive nell’ombra come il nostro S.I., non ha le capacità necessarie per fare quello che l’altro ha fatto fino in fondo, ed è troppo disorganizzato; la sua arma è la pistola, non il coltello. E sarebbe seriamente capace di stuprare una donna anche senza l’uso di mezzi estranei.
-Sono tesi sufficienti – concordò Hotch, - ma dubito che ne verrà fuori qualcosa.
Detto questo, uscì dalla stanza con il cellulare già attaccato all’orecchio. Prentiss stava per dire qualcosa, ma Rossi la interruppe con un cenno.
-Lascia stare. Gli passerà.
 
*
 
 
Reid era stato l’unico a non dire niente per tutta la durata dell’interrogatorio. L’unica cosa per cui si era affrettato, ed era un dettaglio che non era stato trascurato, era stato il portare un bicchiere alla ragazzina, prima che tutti la lasciassero sola con i suoi fogli.
Tranne Morgan: avendo stabilito un contatto con lei, era rimasto al tavolo per assicurarsi che stesse bene e potesse fare l’ordine necessario nella sua testa per scrivere tutto. Non aveva nemmeno chiesto un legale, nessuno.
Eva, stremata, si era appoggiata alla parete, chiudendo gli occhi. Lampi confusi di episodi del passato le stavano torturando gli occhi, e fece di tutto per togliersi dalla testa quelle immagini lugubri.
Da ormai mezz’ora, Prentiss e Rossi erano chiusi nella stanza con quel Paul, ma il mutismo di uno e il nervosismo dell’altro prevedevano altrettanto tempo per una qualsiasi informazione. La “Regina” nominata da Tracy era stata effettivamente scomparsa, così come il fantomatico Glenn: a causa dei debiti di gioco si era volatilizzato nel giro di un paio d’ore.
-Caffè? – chiese una voce dolce vicino a lei, e questo la fece sussultare.
Era Laure Dawson. Le stava porgendo un piccolo bicchiere di plastica marrone. Con un sorriso stanco, la ragazza lo prese.
-Ho sentito che avete già interrogato la ragazza – esordì.
Eva annuì. –Giusto. Sembra che adesso abbiamo una pista su cui lavorare.
La risata della donna non si fece attendere. –Non mi sembra molto convinta.
-Sa, non sono la persona più indicata per rispondere a questo. Per me di indizi ce ne sono sempre in abbondanza, e faccio un po’ fatica ad individuare delle strade da percorrere.
L’altra annuì. –Capisco come ci si sente. Sommi questa sensazione ad essere la figlia dello sceriffo e avrà il mio lavoro di ogni giorno servito su un vassoio d’agento.
-Non dev’essere facile – osservò Eva, con una smorfia.
La donna scosse la testa: -Non lo è. Però, se si ha la passione dalla propria parte, allora anche le maldicenze possono diventare sopportabili.
La ragazza sorrise. –Lo penso anch’io.
La donna ricambiò, sorseggiando il suo caffè – macchiato, dall’odore -, e non disse più nulla. In quello stesso istante Hotch, che era scomparso, arrivò in tutta fretta nel corridoio.
-Buongiorno, signorina Dawson – salutò. Attese il cenno del capo dell’interessata prima di continuare: -Eva, prima di incontrare i singori Granger devo parlarti. Questione di dieci minuti.
-C…certo – disse. –Arrivo.
Salutò con un gesto del capo la donna, che rimase nel corridoio, e seguì il proprio capo all’interno dell’ufficio provvisorio, fissando con un leggero sgomento il tavolo ingombro di fascicoli.
-Ho bisogno di te per ri-analizzare tutte le scene del crimine – disse, passando subito al sodo.
-Cosa dobbiamo cercare, in particolare? – chiese, buttando via il resto del caffè acquoso con tanto di bicchiere.
L’uomo scosse la testa: -Qualsiasi cosa: discrepanze, uguaglianze, punti in comune…tutto.
Eva si fece più attenta. Lui aveva usato la parola discrepanze. Nel lavoro di un assassino organizzato come quello che stavano cercando non ce n’erano.
-Mi sta dicendo che sospetta la presenza di due serial killer? – interrogò, leggermente stupita.
Hotch abbassò lo sguardo su un foglio, scorrendo le righe con imparziale urgenza. Sollevò il primo foglio per concentrarsi brevemente sul secondo. Alzò lo sguardo un attimo.
-Ce n’è la possibilità.
Quella frase, come la ragazza intuì subito, era a doppio taglio: da un lato implicava una maggiore mole di lavoro e una modifica del primo profilo, nonché la creazione di una seconda e dettagliata descrizione, dall’altro anche la contraddizione con le forze dell’ordine locali che avevano fretta di chiudere il caso e lo sconvolgimento della popolazione.
-Ok… - balbettò, dopo un attimo di stupore.
“Come primo giorno oggi non è stato niente male” pensò sarcasticamente. Prese il primo fascicolo e l’occhiata vitrea della prima vittima, Elise Granger, le restituì lo sguardo. Gli schizzi di sangue erano identici a come li ricordava.
-Dimmi tutto quello che vedi – le disse Hotch.
La ragazza strinse gli occhi a fessura: -Allora… un vicolo, con doppia uscita. Affianco l’insegna di un negozio di scarpe, dall’altro lato una ferramenta. Pochi metri più indietro, l’insegna della discarica.
Prese la seconda fotografia: -Fil di ferro lasciato sul collo, numerose ferite da taglio sul torace, testa rivolta verso la strada.
Passò all’altra vittima: -Ecco la successiva. Mani incrociate sul petto, sempre nel vicolo fra due negozi, nei pressi della discarica. Fil di ferro attorno ai polsi. Numerose ferite da taglio sull’addome, vestiti sgualiciti, gonna sventrata a metà. Testa rivolta verso al muro.
Terza foto, altro sangue e corpi dilaniati.
-In questa, non è presente il fil di ferro ma ci sono tracce di legamento sui polsi, come la precedente. Lesione da arma contundente alla testa, anche qui moltissimi segni di arma da taglio sull’addome, alcune nell’area genitale. La biancheria intima è stata squarciata e buttata a terra. Testa rivolta verso la parete di uno dei due negozi del vicolo.
-Basta così – tagliò corto, evidentemente soddisfatto. –Considerazioni?
Eva rimase interdetta. Aveva immaginato che il capo volesse un’opinione da lei, ma immaginava che si trattasse di un intervento durante una riunione collettiva. Essere presa singolarmente in esame le dava una certa agitazione, poiché se diceva qualcosa di sbagliato o di impreciso ci sarebbero stati solo gli occhi freddi del suo capo a correggere lo sbaglio, e non l’opinione bonaria di Rossi o magari le osservazioni intelligenti di Prentiss.
Lei deglutì.
-Ecco… alcune vittime sono state legate, tenute ferme. Questo lascia immaginare una persona con problemi di controllo, magari con un fisico debole, o una menomazione. L’arma è la stessa in tutti gli omicidi, solo che colui che lega le vittime ha la premura di nascondersi, mentre l’altro non teme di farsi vedere. Inoltre, sulle ragazze con segni di legamento ci sono state percosse e indici di forte misogninia.
Si stupì dell’aver già cominciato a pensare come se si trattasse di due killer distinti.
-Ottimo. A mio parere, quello più disorganizzato ha cominciato gli omicidi per un impulso personale, per poi vedersi soffiata l’attenzione dal secondo S.I.
-E la questione del peso? – chiese Eva, - Le vittime si assomigliano in modo incredibile, hanno delle caratteristiche praticamente identiche.
-Essendo un infinetesimale dettaglio, forse il secondo killer manifesta il disprezzo per il primo prestando particolare attenzione anche per una cosa del genere – ipotizzò Hotch.
Entrambi si accorsero che sembrava una motivazione debole, ma era l’unica che avevano, per il momento. Eva si mise a rimuginare su quanto il capo le aveva detto, ma le sue riflessioni furono spezzate dall’arrivo improvviso nella stanza da parte di Laure Dawson. Aveva l’espressione mortalmente seria e la pelle era così pallida da farla sembrare malata.
-C’è stata un’altra vittima – esordì solamente, con una vaga traccia di accusa nella voce.
Reid, che era sopraggiunto in quel momento, divenne serio di colpo. Hotch, invece, aveva nello sguardo un’espressione del tutto neutrale, anche se preoccupata.
Eva, invece, si mise le mani nei capelli e fu presa dall’impulso di vomitare. Si sentiva come se l’avesse uccisa lei, con le sue stesse mani.  
  
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