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Autore: Dani85    28/08/2013    4 recensioni
“Questa è la vita! / Un oscillare eterno / Fra paradiso e inferno / Che non s'accheta più.”
(Dualismo - Arrigo Boito)
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Questa è la vita di Remus Lupin, tra inferno e paradiso, dall'inizio alla fine.
Raccolta di istanti, pensieri e sensazioni; attimi per raccontare carezze e schiaffi di una vita intera, orribile e meravigliosa tutt'insieme.
[Famiglia Lupin | Malandrini | Remus/Dora]
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Dalla storia:
#1. Oltre la finestra, la notte continuava a stingere e la stanza cominciò a rischiararsi di bagliori azzurrati: l'alba del 10 marzo si apriva sul sonno dell'ultimo arrivato in casa Lupin.
#3. Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
#4. Cinque, come gli anni di Remus. Cinque, come i desideri di Lyall.
#6. Tutto tornò improvvisamente triste, come nella casa di prima e in quella prima ancora.
#7. «Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
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Storia Incompleta
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope Howell, I Malandrini, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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N.d.A.
Un paio di piccole note introduttive: questa seconda shot non è altro che uno sprazzo di vita quotidiana, nessuna pretesa se non raccontare un attimo di quotidianità: una nonna, un bambino goloso e un po' di magia.Siamo sempre durante l'infanzia di Remus, intorno ai suoi tre anni.
Buona lettura :)
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in HP, appartengono solo a me.
Note: Infanzia di Remus – Citazione iniziale di Novalis

 

Questa è la vita

Questioni di magia


Questioni di magia

Dove c'è un bambino
c'è un'età dell'oro

[Novalis]


Si poteva dire che Martha avesse fatto una certa abitudine alle stranezze, davvero! Il tempo degli svenimenti e delle crisi isteriche era diventato un ricordo ormai, e il fatto che gli oggetti parlassero o che le scope volassero o che i quadri le chiedessero come stava, erano tutte cose che aveva accettato. Ci si era rassegnata insomma, con la stessa fede con cui si crede a qualcosa di incomprensibile.
Eppure, nonostante tutto, avrebbe giurato che l'istinto omicida degli scacchi fosse strano, troppo strano, persino per l'assurdo mondo dei maghi.
«Urgh, quei così... sì, gli scacchi... hanno per caso preso in ostaggio Remus?» chiese la donna, il tono un po' incerto di chi sa di avere appena fatto una domanda da pazzi.
Lyall, accanto a lei, deglutì a vuoto.
«Oh, mmm no... No, certo che no! Sono solo un pochino arrabbiati, ecco... Stavo facendo vedere a Remus come si gioca e lui ha spostato un paio di pedoni, così un po' a caso, e a loro non è piaciuto... Tutto qui!» spiegò confusamente stringendosi nelle spalle.
«Ah, quindi stanno solo cercando di ucciderlo!»
Lyall sobbalzò. Ok, gli scacchi magici avevano un'indole un po' violenta e molto poco accomodante, ma di certo non stavano tentando di ammazzare il suo bambino. Martha stava esagerando.
«Stanno solo protestando per come li abbiamo spostati, niente di più. E poi la Regina ha un debole per Remus!» precisò, come se questo risolvesse tutto, come se fosse una sorta di assicurazione sulla vita, una garanzia per l'incolumità del suo piccolino.
Martha gli rifilò un'occhiata obliqua al di sopra della propria spalla e poi, con le sopracciglia spettacolarmente inarcate, tornò a fissare la scena che aveva davanti.
Remus era ancora lì, premuto contro il divano, le manine aggrappate al bordo e gli occhi spalancati come rotondi piattini da tè, mentre sul tavolino gli scacchi se le cantavano di santa ragione. I pezzi bianchi avevano fastidiosi toni striduli e concitati e puntavano i pugni minuscoli e minacciosi contro il bambino, i pezzi neri sobillavano la rivolta e la Regina strepitava a più non posso al grido di «Lasciatelo stare, ve lo ordino!»
Tutto quello era folle, assolutamente folle. Intanto, Remus si era arrischiato a staccare una mano dal divano e fece ciao ciao alla nonna. Martha sorrise. Lyall sospirò. Un pedone perì sulla scacchiera.
«Va bene, metti via quei così, subito!» intimò la donna, e sottolineò le proprie parole con un precisissimo manrovescio assestato in pieno petto al genero, «Poi, prendi tutte queste buste e portale in cucina!»
Lyall obbedì con la riverenza e il contegno di un perfetto soldato.

 

*


Le buste planarono sul tavolo della cucina in un'allegra processione di stoffa a quadri e si ammassarono l'una accanto all'altra, traboccanti di ogni genere di cose. Lyall si era ormai convinto che sua suocera svaligiasse un paio di negozi babbani ogni volta che andava a trovarli.
«Cosa dobbiamo farci con tutta questa roba?» le chiese divertito, mentre con piccoli colpi della bacchetta annodava i manici di una borsa in un bel fiocco e Remus gli saltellava vicino e tendeva le mani per afferrarla.
«La cuciniamo, no? Che domande...» borbottò Martha, che aveva appena tirato fuori un grembiule da un cassetto. I manici della borsa si afflosciarono senza vita e Remus protestò, rifilando al padre uno sguardo vagamente truce.
«Papà!» si lagnò, pungolando la stoffa con un ditino grassoccio.
Martha osservò, dunque, la busta che aveva appena svuotato svolazzare sul tavolo, ad un soffio dalle manine tese del bambino, che rideva e si spingeva sulle punte dei piedi per acchiapparla. Ed era bella la risata di Remus, limpida e argentina come solo quella dei bambini riusciva ad essere, di quelle che istupidivano i grandi, rendendoli cedevoli e malleabili come argilla.
Proprio come accadeva a Lyall, pensò Martha, che faceva l'idiota con la bacchetta e una borsa di stoffa solo per divertire suo figlio.
«Forza, voi due! Fate i bravi e aiutatemi!» li richiamò alla fine, sbattendo le mani.
«Agli ordini!» ridacchiò Lyall, un ultimo movimento di bacchetta che faceva atterrare la borsa sulle manine aperte di Remus e lo stesso sorriso dispettoso del piccolo, mentre lo guardava allungarla in alto verso la nonna.

 

*


A Martha era sempre piaciuto cucinare, ma ne riscopriva l'assoluto piacere soprattutto durante le feste o quando semplicemente piombava a casa della figlia. Allora, prendeva pieno possesso della cucina, relegava Hope al ruolo di aiutante e spignattava per pomeriggi interi, con Remus che le trotterellava intorno nella speranza di rubarle almeno uno di quei biscotti che portava già pronti da casa. E Remus li aveva già individuati quei biscotti, rotondi e incrostati di pezzettini di cioccolato, costretti dentro un paio di sacchetti trasparenti, in mezzo alle altre cose con cui la nonna aveva riempito il tavolo. Forse avrebbe potuto averli tutti per sé, se solo fosse riuscito a prenderli senza che i grandi se ne accorgessero. Con le manine premute sulla bocca, spiò la nonna che tirava fuori le pentole dalla credenza e poi si allungò in tutti i suoi quasi tre anni, praticamente steso per metà sulla tavola. Agitò le ditina verso i sacchetti ma non arrivò nemmeno a sfiorarli: il papà lo aveva rimesso dritto, inginocchiato sulla sedia.
«Stai seduto bene o ti faccio scendere!» gli aveva detto, un buffetto schioccato sulla punta del suo nasino, e aveva spinto un po' di più la sedia sotto il tavolo.
Remus aveva gonfiato le guance e poi aveva sbuffato, sibilando come un palloncino bucato, mentre la nonna svuotava uno dei sacchetti nel barattolo di vetro accanto alla cucina.
«Dopo, la nonna te ne dà uno!» esclamò Martha rimettendo a posto il barattolo.
«Ora!» provò il bambino, la vocina sottile sottile.
«No tesoro, dopo! Quando ci sarà anche la mamma!»
A Remus parve un po' una fregatura quello che aveva appena detto la nonna, perché la mamma era uscita già da un sacco di tempo e chissà quando sarebbe tornata.
«Per favoooore!» piagnucolò, sfoderando un paio di incredibili occhi dolci.
«Oh...» tentennò Martha, ma poi captò Lyall che si mordeva un labbro per non ridere e si schiarì la voce. «No, dopo! Aspettiamo mamma!» ripeté e registrò con soddisfazione il proprio tono sicuro e deciso, così che non potesse essere accusata di viziare il nipotino.
«Papà, quando viene mamma?» chiese allora Remus, e la sua domanda suonò lamentosa e impaziente.
«È uscita a fare compere, lo sai! Ma sono sicuro che sarà qui tra pochissimo!» lo tranquillizzò Lyall e il figlio annuì serio serio: il pochissimo gli sembrava andasse bene per aspettare di avere il suo biscotto.
«Nel frattempo, tu mi dai una mano a preparare la cena! Tieni!» fece Martha e passò a Lyall un coltello.
L'uomo lo guardò perplesso, come se non avesse ben chiaro cosa dovesse farci, e la suocera lo squadrò con la medesima occhiata indecisa. Era assolutamente certa che anche i maghi usassero i coltelli: quindi che c'era di strano?
«Non lo sai usare?» chiese dubbiosa.
«No no, certo che lo so usare ma, ecco, non come i babbani. Cioè, se devo farci qualcosa di particolare, mi sentirei più a mio agio se potessi incantarlo!» le spiegò lui, un mezzo sorriso storto e le dita che torturavano i capelli sulla nuca.
Ok, aveva un senso o, almeno, le sembrava ne avesse. D'altronde, la casa era sì, babbana in tutto e per tutto, costruita su misura per Hope, ma era pur sempre abitata da un mago abituato a fare le cose in tutto un altro modo e da un maghetto che traboccava di magia e che era capace di farti volare un giocattolo in testa quando meno te lo aspettavi. Bisognava prenderci le misure, in qualche modo. Superato il rischio di infarto, poi, era tutta una questione di abitudini diverse e magia involontaria, di equilibrio e pazienza.
«Be', immagino che tu abbia ragione. Per me puoi anche incantarlo quel coltello, basta che poi peli tutte quelle patate!» concesse infine Martha, e indicò la reticella poggiata in fondo al tavolo.
«Nessun problema!» commentò Lyall e, estratta la bacchetta dalla tasca, incantò il coltello che rimase sospeso a mezz'aria alla sua destra; poi, puntò la reticella, disegnò uno strano simbolo in aria mentre borbottava qualcosa, e le patate si disposero in un'ordinata fila. Una ad una si avvicinarono al coltello, intanto che lui lo teneva sotto controllo, e si lasciarono pelare, la buccia che si srotolava come un nastro.
Remus seguiva la scena ridendo e ogni tanto provava a rompere la fila delle patate, creando scompiglio con le manine tese.
«Ehi? Sono a casa!»
La voce di Hope arrivò squillante dall'ingresso, insieme al tonfo della porta che si chiudeva. Lyall depositò il resto delle patate sul tavolo con uno scatto della bacchetta, poi si alzò e sparì fuori dalla cucina.
«Visto? La mamma è arrivata!» esclamò Martha, guardando il nipotino con la coda dell'occhio, impegnata a far sfrigolare qualcosa in una pentola.
Remus si agitò sulla sedia, dondolando sulle ginocchia. Se la mamma era arrivata, voleva dire che il pochissimo era passato e lui poteva avere i biscotti.
«Biscotto!» mormorò allora, gli occhi chiari socchiusi nel faccino concentrato e le manine allungate quanto più poteva davanti a sé. Il barattolo di vetro si mosse sul mobile e schizzò in aria, ondeggiando allo stesso ritmo con cui il bambino ridacchiava.
«Ciao mamma!»
Il saluto di Hope, comparsa sulla porta della cucina, aveva una strana nota titubante. Incuriosita, Martha abbassò la fiamma sotto un fornello e si girò: il barattolo dei biscotti le stava fluttuando precisamente davanti agli occhi e lei urlò.
Spaventato, Remus si appiattì contro la sedia e perse il controllo del barattolo che cadde a terra in una pioggia di schegge di vetro.
La donna batté un paio di volte le palpebre, come per schiarirsi le idee, mentre Hope e Lyall se ne stavano sulla porta: lei con le mani sulla bocca, lui con la testa incassata nelle spalle.
«Papà, io volevo solo i biscotti...» si difese Remus, anticipando tutti e rivolgendosi a quello che sembrava il meno sconvolto dei grandi.
Martha guardò una volta i biscotti tra i vetri rotti e poi il nipotino: gli occhi verdi chiaro si erano fatti più grandi e lucidi e l'aveva visto tirare su con il naso.
«Oh no, no, amore! Non è successo niente! Il barattolo lo ripara papà, con quel suo incantesimo, riparo, aggiusto, quello che è!» si affannò Martha, incurante degli sbuffi che provenivano dalla porta. Che la accusassero pure di viziare il bambino, non le importava. Del resto, se lei non avesse urlato, Remus non avrebbe lasciato cadere il barattolo: non esisteva che il piccolo piangesse per una cosa di cui non aveva colpa.
«E per i biscotti,» continuò complice, «ecco qui! Tutti i biscotti che vuoi!»
E l'altro sacchettino si aprì davanti a Remus.
«Grazie, nonna!»
E un gran sorriso, uno sguardo solo un po' umido, una carezza tra i capelli e qualcuno che esclamava «Reparo!»

  
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