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Autore: Dalhia_Gwen    28/08/2013    8 recensioni
Questa è la storia di una diciassettenne di nome Gwen che, nonostante tutte le ingiustizie e il passato che ha vissuto, riesce finalmente a trovare la felicità che aveva perso, grazie ad uno dei suoi più grandi hobby, la quale sarà in grado di scalfire il suo ormai cuore di diamante, immune fino a quel momento...
Tratto dal capitolo 28:
“....Cominciò a ticchettare il piede destro sul tappeto color del deserto, rendendosi conto di non riuscire a sopportare tutta quell’ansia che la stava letteralmente mangiando, ma fu proprio in quel momento che avvertì la carica giusta per poter affrontare la competizione nel migliore dei modi. Una mano calda e tremante quanto la sua intrecciò le dita con quelle della mano della gotica, esattamente qualche minuto prima del fischio. Scattò a quel tocco così intimo e che desiderò da fin troppo tempo, per poi girarsi velocemente verso la sua sinistra. Ad attenderla vi erano gli occhi decisamente più luminosi del solito del punk, che nel frattempo era arrossito quanto lei per quel gesto nato spontaneamente..."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Geoff, Gwen | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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E così anche nella bella cittadina Pembroke, l’inverno bussò alle porte senza accettare rifiuti, incupendo anche le giornate più divertenti. Le ore di luce, sempre se ce ne fossero state, diventarono sempre meno, mentre le dominatrici del cielo, le nuvole, avevano sempre la meglio su un ormai sole stanco di splendere, impedendogli ogni via d’uscita, anche quella più piccola.
Quel pomeriggio tuttavia, nonostante il tempo non promettesse nulla di buono, i due fidanzati-corridori si recarono in palestra per allenarsi un’ultima volta, affinché avessero ottenuto il meglio da sfoggiare poi alla seconda competizione che si sarebbe tenuta il giorno seguente.
Innamorati più che mai, mano nella mano fecero il loro ingresso in palestra, per poi dividersi per poco tempo nei loro rispettivi spogliatoi, e rincontrarsi sul campo verde che si estendeva per tutta la palestra.
Ognuno cercava di concentrarsi sulla gara del giorno dopo, cercando di seguire le indicazioni precise e costanti del loro fiero allenatore, che non li perse di vista per un attimo. Eppure, ogni tanto, prima ad uno e poi all’altra, sfuggiva quell’occhiatina dolce rivolta alla persona amata, talvolta accompagnata da sorrisi a trentadue denti, che li fece rischiare molte volte di perdere la concentrazione, soprattutto a Duncan, ma subito tornavano al loro obbiettivo principale che era al primo posto in quel momento.
Tra flessioni, sprint e prove di resistenza il pomeriggio passò, e la gara arrivò senza indugi.
Stavolta i ragazzi dovettero recarsi a San Salvador, una città dell’America centrale, dove era presente una pista d’atletica leggera talmente grande da essere scelta per poter far gareggiare i finalisti degli stati americani partecipanti alla competizione. Solo una squadra avrà l’onore di rappresentare il proprio stato nella gara finale che si sarebbe tenuta tra due settimane e dove vedeva gareggiare tutto il mondo.
Una volta arrivati, i ragazzi avrebbero avuto un mancamento se non ci fosse stato Luigi a sorreggerli: la pista era tre volte più grande di quella che era presente nella loro città, e intorno a loro vi erano ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo dell’America. Gwen tentò più volte di incitare le proprie gambe ad effettuare qualche passo, ma la mente si rifiutava, troppo presa dalla paura di dover percorrere quei interminabili chilometri.
“Avanti ragazzi, non potete bloccarvi a questo punto! Siete riusciti a superare il primo ostacolo con grande temperamento, non potete mollare ora!” Luigi si abbassò fino ad arrivare ai loro volti, per poi poggiare le mani sulle loro spalle.
“Ragazzi, mi fido vi voi” concluse poi Luigi con gli occhi lucidi, che colpirono non poco la coppia.
Stavano per dire qualcosa quando il suono dell’altoparlante invitava i partecipanti di prepararsi glielo impedì, e veloci salutarono l’allenatore per poi andarsi a preparare.
Erano tutti pronti sulla pista, accovacciati con una gamba allungata dietro per dare la spinta.
Gwen faceva dei lunghi respiri per scaricare la tensione, ma le mani con cui si manteneva per terra tremavano e il suo sguardo era fisso nel vuoto. Aveva paura di deludere, di non riuscire a fare il meglio che avrebbe potuto, di non arrivare in finale. Ormai mancava solo questa gara, dopodiché poteva addirittura gareggiare con i migliori dei migliori, tutti più o meno coetanei. Era terrorizzata all’idea di non riuscire a raggiungere il suo obbiettivo: vincere quella gara.
Come se avesse avvertito le paure e i tormenti della sua ragazza, Duncan di girò verso di lei, e con una mano incrociò le dita con quelle della sua amata. A quel contatto Gwen si girò di scatto tremolante, ritrovandosi di fronte quegli occhi che tanto la ipnotizzarono ma che in quel momento la stavano fissando premurosi.
“E…e se non ce la facessi?” disse quasi sussurrando, con una voce che mano mano le stava morendo in gola.
“Ti amerei lo stesso.” Rispose lui sorridendo e col suo solito fare ironico, con l’intento di farla tranquillizzare un po’, riuscendoci. Infatti a quelle parole la ragazza gli sorrise dolcemente appena in tempo, in quanto un fischio d’avvertimento echeggiò nell’aria riprendendo le attenzioni di tutti, per poi essere seguito da un ennesimo più lungo che segnava la partenza.
Scattarono tutti veloci come il vento, ognuno con la propria forza e con la propria determinazione. Gli spalti erano pieni di gente: vi erano genitori, amici e persino sconosciuti appassionati alla disciplina. Tra loro purtroppo Margaret e Mark non erano presenti, in quanto la madre non poteva assolutamente prendere giorni liberi in un momento così delicato per l’azienda in cui era operaia: lo stabilimento infatti aveva minacciato i dipendenti di licenziarli se avrebbero chiesto delle ferie extra in quelle settimane cruciali, dove avrebbero dovuto dare il massimo per fare in modo che la produzione sarebbe andata a buon fine. Di conseguenza anche il fratello non ebbe il privilegio di vedere la sorella gareggiare,ma doveva attendere con impazienza la fine per chiamarla e scoprirne l’esito.
Per quanto riguarda la famiglia del punk, quest’ultima non aveva alcuna intenzione di sostenere il loro figlio in quelle sottospecie di competizioni.
“Ma che razza di gare sono? Non ti rendi conto che è tutta una messa inscena? Figurati poi se proprio tu arrivi in finale…” erano queste le ultime parole che Duncan udì da suo padre Drew, prima di uscire di casa infuriato sbattendo la porta dietro di sé. Era da sempre considerato la “pecora nera” della famiglia, dal preciso momento in cui cominciò a ribellarsi alle imposizioni del padre che gli rovinò gli anni dell’adolescenza, e che continuava tutt’ora che era diventato maggiorenne.



                                                  ***

“Ma che futuro vuoi avere se vai in giro con quella cresta da deficiente e con quel viso bucato?! Vergognati! Non sei degno di essere mio figlio!” esclamò una volta Drew in preda alla rabbia.
“Allora puoi smettere di considerarmi tuo figlio, ho chiuso con te!!!” rispose con lo stesso tono Duncan, all’epoca diciassettenne, con la pazienza oramai ridotta ai minimi termini.



                                                  ***

Da quel momento in poi chiuse ogni rapporto col padre, arrivando addirittura a non rivolgergli neanche la parola. Gli unici con cui andava d’accordo erano il fratello Matthew e la madre Jasmine, dalla quale ereditò tutti i pregi che il ragazzo aveva. La donna infatti l’aveva sempre difeso davanti al marito ed era colei che, con la santa pazienza, andava ogni volta in camera del figlio per consolarlo dopo che il padre lo riempiva di botte ed insulti. All’inizio il figlio la respingeva, ma la povera Jasmine non si perse d’animo, e pian piano conquistò la fiducia di Duncan facendogli capire che lei l’avrebbe amato lo stesso, anche se aveva un ciuffo di capelli verdi fluorescenti e un viso contornato di piercing. E fu proprio lei che ebbe l’onore da Duncan di sapere che lui e una “sua amica” avevano vinto la prima gara e che sarebbero dovuti gareggiare a San Salvador per la seconda, per poi aggiudicarsi un posto nella finale. La donna era al settimo cielo e subito ne parlò col marito, non prima però di pregare il figlio di essere partecipe, ma con una malvagità e un cuore privo di sentimenti l’uomo ebbe il coraggio di rifiutare la proposta di sostenere il punk nella gara.


Lo sforzo con cui i ragazzi mantenevano il ritmo era davvero forte, ma nessuno cedeva. Passarono venti minuti, e i partecipanti fecero i primi 4 giri di corsa su 8 che avrebbero compiuto, con un’adrenalina che alimentava la loro sete di vittoria. Al primo posto vi era un canadese, seguito costantemente dai due fidanzatini: ogni tanto si girava indietro per controllare se davano segni di cedimento, ma incontrava sempre quattro occhi puntati su di lui che lo scrutavano da cima a fondo. Nell’osservarli il giovane provava paura, ma cercava di stare calmo lanciando loro delle stilettate pesanti. Arrivarono al sesto giro e qualcuno cominciava a rallentare per lo sforzo che stava compiendo, ma quando raggiunsero l’ottavo ne rimase davvero pochi in gara. Duncan e Gwen mantenevano sempre il passo dietro al canadese, non riuscendo però a sorpassarlo. Gwen aveva gocce di sudore che le scendevano sulle gote rosse che si ritrovava, mentre la fronte era corrugata per la fatica che stava compiendo. Guardò per un attimo il suo fidanzato alla sua destra, che le è stato costantemente accanto senza mai perderla di vista: aveva anche lui il viso rigato dal sudore, ma la sua espressione era concentratissima e determinata a fare sforzi disumani se fosse stato necessario. Aveva sviluppato molti più muscoli in quel periodo, rendendolo ancora più attraente. Cercò di non soffermarsi su questi ultimi per non perdere la concentrazione, ma oramai le forze la stavano abbandonando e il respiro era sempre più corto. Stava tornando a guardare in avanti, quando ad un tratto vide il canadese davanti a loro che salutava il padre con una mano, una volta che raggiunse il tratto di pista vicino agli spalti.
“Vai figliolo, sono fiero di te per essere arrivato a questo punto!” gridò un uomo decisamente alto dalla tifoseria, mentre il figlio gli sorrideva felice.
A Gwen fece tenerezza quel momento e si girò verso Duncan per trovare conforto, ma quello che vide fu più doloroso della pulsazione delle sue gambe: nell’udire le parole di quel padre felice per il proprio figlio, Duncan ebbe un momento di debolezza, tanto da fargli sfuggire una lacrima. Cominciò a stringere i pugni più forte, mentre strizzò gli occhi per la rabbia.
Mai un complimento ricevuto dal proprio padre.
Mai una carezza.
Mai una risata.
Mai uno scambio di opinioni.
Niente di niente.
Ma nulla di tutto ciò gli pesò come in quel momento: avrebbe tanto voluto udire quelle parole da Drew.
In quel preciso istante la rabbia ribollì in lui come un vulcano in eruzione, cominciando così a correre più veloce nonostante avvertiva nelle gambe pulsazioni dal dolore indescrivibile, come degli aghi infilati nella pelle.
Raggiunse il ragazzo davanti a lui in cinque secondi ma continuò a correre per la rabbia che gli stava avvolgendo l’anima.
Arrivò in un punto impreciso del campo, e si fermò avvertendo l’erba sotto i suoi piedi, segno che non stava calpestando più la pista. Solo in quel momento avvertì le gambe cedere e farsi improvvisamente più pesanti, e a peso morto cadde in avanti, svenendo.

“D-Dove..dove sono?” la voce stanca di Duncan risvegliò la ragazza seduta sul suo letto, che lo vegliò per tutta la notte. Gwen sobbalzò dalla posizione rannicchiata per poi allungarsi sul suo fidanzato.
“Amore ti sei svegliato finalmente!!” la voce allegra di Gwen era spezzata da una nota di paura, mentre con le mani prese il viso di lui baciandolo dappertutto.
“Ti trovi in ospedale, ti sei stancato troppo durante la gara..” proseguì poi lei allontanandosi di qualche millimetro dalla sua bocca.
“Cosa..cosa mi è successo?” chiese nuovamente il punk vedendo gli occhi lucidi della gotica.
“Hai cominciato a prendere improvvisamente velocità, qualche secondo prima dello sprint, dopodiché hai sorpassato il ragazzo davanti a noi e…..HAI TAGLIATO IL TRAGUARDO PER PRIMO!!” esclamò lei in preda alla gioia e stringendolo forte a sé.
Il moro rimase impietrito per qualche istante, per poi realizzare quello che la sua ragazza gli aveva appena detto: AVEVA VINTO! VINTO! Lui, il ragazzo che non sarebbe riuscito a farcela secondo il padre. Ripensò di nuovo alle sue parole, che gli lacerarono il cuore per l’ennesima volta, ma era troppo contento per rovinare quel momento, e come risposta fece avvicinare la fidanzata verso di sé circondandola con le braccia.
“Evvai!! Ahahah non ci posso credere..proprio io?” domandò lui pieno di gioia.
“Sì! E..non so cosa ti abbia turbato prima di quel momento, so solo una cosa: sono fiera di te!!” disse lei accompagnando la frase con un lungo bacio a stampo.
Quando si staccarono, il punk la guardò nei suoi profondi occhi di ossidiana essendole grato per poi stringerla forte a sé e ragalandole un sorriso sincero ed amorevole. Prima che però proferisse parola, la gotica si alzò di scatto euforica.
“Vado a dire al dottore che ti sei svegliato, così possiamo tornare a casa!” e così dicendo sparì dietro l’angolo di quel corridoio.

Dopo aver festeggiato a casa della ragazza e poi con alcuni cari amici, Duncan tornò a dedicarsi maggiormente all’evento più divertente della settimana: la festa. Si stava impegnando al massimo affinché tutto sarebbe andato per il meglio: la mattina si esercitava insieme alla sua band in quelle ore concesse dalla preside, mentre il pomeriggio si riunivano di nuovo a casa del festaiolo per poter provare ancora. Tra l’altro la data era ormai imminente, mancavano tre giorni e i ragazzi sentivano l’ansia prendere possesso delle loro emozioni.
Quel mattino Duncan e Gwen tornarono a frequentare la scuola, anche se controvoglia e, dopo essere stati più volte fermati da alcuni compagni di scuola per congratularsi con loro, si divisero per entrare nelle loro rispettive classi.
Nella 4° A la giornata sembrava trascorrere normalmente: nell’ora di una delle sue materie preferite, Gwen si offrì volontaria per risolvere un difficile problema di geometria che l’insegnante aveva assegnato proprio quella mattina. Non appena ebbe il consenso da parte dell’insegnante, Gwen si alzò felice dal suo banco per dirigersi poi verso la lavagna, mentre tutta la classe puntava i loro occhi pieni di odio su di lei.
Ci mise cinque minuti per risolvere il tutto, e quando ebbe finito si girò verso la professoressa che moriva dalla voglia do congratularsi con la sua alunna.
“Benissimo, non avevo dubbi. E’ risolto in maniera perfetta. Mia cara puoi tornare al tuo posto!” esclamò l’insegnante alzandosi dal suo posto per poi prendere il gesso di nuovo tra le mani.
“Sarà fortunata nella matematica, ma non in amore…” disse a bassa voce Courtney fingendo di parlare con la ragazza seduta accanto a lei, non appena si rese conto che la gotica stava passando vicino al suo banco. Quando lo fece, Gwen non potè far a meno di girarsi e guardare di sottecchi l’ispanica che nel frattempo fece nascere sul suo viso un ghigno malefico che non prometteva nulla di buono, ma la gotica lo ignorò.

Dopo la bella ora di matematica si susseguì quella di storia, che la maggior parte degli alunni non sopportava, compresa Gwen. Quindi per ricaricarsi, decise di prendersi una boccata d’aria lungo i corridoi, e così fece.
Stava attraversando lentamente il lungo piano in cui si trovava la sua classe, intenta a curiosare fuori dalle grandi vetrate della scuola che rendevano quell’ambiente sempre luminoso, quando notò un ragazzo a lei familiare che le veniva incontro.
“Ehi, tu devi essere la ragazza di Duncan, giusto?” chiese il moro dopo che la squadrò da cima a fondo. Ella annuì confusa.
“Bene, questo è per te!” disse e le porse tra le mani un bigliettino, per poi dileguarsi.
Diede un ultimo sguardo dubbioso al ragazzo abbronzato che le diede il foglio, ricordandosi di averlo visto gareggiare contro Duncan alla partita, ma la sua curiosità si spostò al contenuto del biglietto:
“Vieni nell’aula delle prove. Non posso starti lontano.
Duncan”
Rise di gusto, anche se un piccolo dubbio balenò nella sua mente: proprio la mattina stessa lui le raccomandò di non “spiarli” mentre suonavano in quanto i brani sarebbero stati per tutti una sorpresa, e lei non era da meno.
“Bah, a quanto pare ha cambiato idea in fretta..” disse fra sé la gotica arrossendo, dopodiché decise di raggiungere il suo fidanzato.


“Okay ragazzi, a stasera allora!” disse il punk per poi vedere il resto della band spargersi e tornare nelle proprie aule. Come al solito, per l’ennesima volta sarebbe toccato a Duncan mettere in ordine quell’aula colma di spartiti e di strumenti sparsi per tutta stanza. Se fosse stato per lui, avrebbe lasciato tutto così come stava, dato che di batterie ne avevano più di una, ma il problema era un altro: la preside raccomandò loro di spostare ogni volta tutto l’occorrente in un angolo in quanto, secondo la sua convinzione, le bidelle avrebbero dovuto pulire l’aula ogni giorno così come facevano per le altre. Peccato che però, ogni qualvolta che la band metteva piede nella stanza, i cumuli di polvere erano presenti sempre negli stessi punti.
Dopo essersi armato della pazienza necessaria, il moro cominciò a spostare la batteria in fondo alla stanza, per poi spostare tutti i leggii avanti ad esso, il tutto mentre canticchiava il ritornello dell’ultima canzone provata.
Guardò meglio la disposizione creata e, non essendo convinto, tornò ad aggiustare meglio la batteria.
“Adesso va meglio!” si disse soddisfatto il delinquente, mentre osservava lo strumento a braccia incrociate. Stava uscendo da quell’ammasso di oggetti, quando si accorse di una presenza dietro alle sue spalle che gli fece sussultare leggermente.
“Cosa vuoi?” chiese seccato e senza emozioni Duncan guardando la persona di fronte a lui.
“Ma che maniere sono di rivolgersi ad una persona? Dove sono quelle dolci parole che usavi quando mi vedevi arrivare?” rispose l’interlocutrice con la sua solita vocina irritante. Il punk alzò gli occhi stufato.
“Arriva al dunque Courtney,non voglio passare neanche un secondo di più con te.” Rispose lui col medesimo sguardo schifato. A quelle parole, Courtney storse la bocca per l’irritazione, ma avrebbe dovuto mantenere la calma affinché il suo piano sarebbe andato per il verso giusto. Fece un lungo respiro per poi prendere la parola.
“Allora è vero? Organizzerete una festa questo sabato e addirittura vi esibirete! Come ai vecchi tempi…” osservò lei con una punta di malizia nella voce.
“Non è come ai vecchi tempi: la festa si farà a scuola, in palestra. E’ diverso..” rispose lui capendo il contenuto tra le righe delle parole di lei, per poi tornare a guardare un’ultima volta la disposizione degli oggetti.
“E ti sei domandato chi ha permesso tutto questo?” l’ispanica approfittò delle spalle che il compagno le diede per avvicinarsi di più a lui.
“La preside?” chiese di rimando il punk con ilarità. A quelle parole la castana rise.
“Sciocchino, e secondo te chi ha fatto in modo che la preside avrebbe accettato? Io! Scott non sarebbe mai e poi mai riuscito da solo a convincerla a dargli quel permesso. Lo sai meglio di me: Scott non ha una bella reputazione all’interno di questa scuola, e neanche tu. Così ho pensato di essere buona con voi e di parlarle io, persuadendola, e ci sono riuscita.” Si vantò lei osservando i cambiamenti che il moro stava effettuando, ma questi scoppiò a ridere all’improvviso.
“E quindi? Fammi capire. Adesso dovrei ringraziarti?!” chiese lui rimanendo lo sguardo su quello che stava facendo.
“Beh, credo sia il minimo..Duncan ascolta, io l’ho fatto davvero per voi, ma soprattutto per te. Sapevo quanto tenevi a questa festa, sarebbe stato un pretesto per ritornare in pista con la tua band, non puoi negarlo. Ed io desideravo tanto vederti felice, una volta tanto..” spiegò l’ispanica poggiando teatralmente una mano sulla sua schiena, accarezzandola. Quel tocco al moro diede fastidio, così come quelle parole visibilmente false, conoscendo la ragazza.
“Courtney, inutile che usi parole dolci con me, tanto io n..” Duncan aveva appena finito di sistemare per l’ultima volta i leggii e stava tornando a guardare l’ispanica, quando un bacio decisamente spinto da parte di lei gli impedì di finire la frase, prendendolo alla sprovvista. Il moro, sconvolto, voleva indietreggiare ma era impedito in quanto incastrato tra gli strumenti, così pensò che l’unico modo per staccarsi da lei era far allontanare lei, per cui posò le mani sui fianchi di lei, e con delle moderate spinte cercava di respingerla. Courtney però fece finta di non capire, così si avvinghiò ancora di più a lui circondandogli il collo con le sue braccia e pressando ancora di più le labbra del punk. A quel punto Duncan, che non osò mai e né aveva intenzione di usare le maniere forti con una donna, si ritrovò ad andare contro la sua volontà, decidendo quindi di spingere violentemente la ragazza divenuta peggio di una sanguisuga. Una voce spezzata dalle lacrime, però, gli impedì di compiere l’azione, mentre una fitta al cuore lo pietrificò.
“N-no…non p-può essere…”
Ma eccola lì, quella piccola figurina minuta, fonte della sua felicità, quella stessa fonte che adesso però gli stava procurando un dolore insopportabile. Posizionata al centro della porta vi era quindi Gwen, con un aspetto addirpoco spaventoso: le lacrime le avevano sbavato tutto il trucco, creando delle linee nere che le solcavano verticalmente tutto il viso, le sue iridi nere erano contornate rosse dalla rabbia, mentre il suo povero corpicino si manteneva in piedi grazie ad una spalla appoggiata allo stipite.
“O-Oh, proprio non ce la facevi a stare senza di me, v-vero Duncan? Tanto da LIMONARE CON LEI! T-Ti è mancata, giusto?!” disse quasi urlando la gotica, mascherando il dolore con una risatina isterica.
A quelle parole Duncan spinse violentemente Courtney per terra,che ebbe da ridire, e col cuore in gola cercò di avvicinarsi alla ragazza.
“A-Amore io..non è come sembra..” tentò di dire lui spaesato, ma Gwen sobbalzò dal suo posto urlando ancora di più.
A-AMORE?! Ahahah Scordati di chiamarmi di nuovo così, brutto idiota! ‘Gwen ti posso assicurare, è acqua passata con lei.. fidati di me…blah blah blah’. Erano queste le parole che mi avevi detto, giusto? Visto che non sono rimbambita? Oh ma tu ci speravi, non è così? Così mi sarei dimenticata delle tue dolci frasi fatte e rifatte..oh sì. Chissà a quante LE HAI GIA’ DEDICATE! Quanto hai preso in giro, COME ME! Quante hai illuso per poi tornare CON QUELLA! Mi hai tradito! Io mi fidavo di te! I-io…Io ti avevo donato il mio cuore! E tu che fai?! L-Lo c-calpesti..così? Potevi restituirmelo…almeno…” la mora non aveva neanche la forza di parlare, consumata da quella visione che la distrusse completamente. Gli occhi del ragazzo cominciarono ad inumidirsi, mentre il suo cuore accellerò i battiti improvvisamente, tanta era la paura di perderla.
“G-Gwen hai frainteso…io..” lui le arrivò vicino, e tremolante tentò di accarezzarle il viso.
“Lasciami stronzo! Non toccarmi mai più! TI ODIO! T-Tra noi è finita!!” la gotica scattò con le lacrime oramai che scendevano senza fermarsi, per poi scappare via, lontano il più possibile dal ragazzo che ha amato più di sé stessa.
Quelle parole furono talmente assordanti da lacerare i timpani del punk assorbendo anche il minimo delle forze che gli furono rimaste, mentre il cuore si frantumava in mille pezzi. Si lasciò cadere per terra vicino alla porta, sbattendo violentemente le ginocchia sul pavimento, ma non se ne accorse neanche, talmente il dolore interiore avesse preso il sopravvento su tutto. L’ispanica gli passò davanti cauta, mentre lo scrutava con uno sguardo soddisfatto, congratulandosi con se stessa della sua bravura. Pensò di non importunarlo per adesso, avrebbe sicuramente messo a rischio la sua incolumità, data la situazione. Ma si ripromise di rincontrarlo in seguito, perché il suo vero intento era quello di riconquistarlo, a tutti i costi. In punta di piedi uscì fuori dalla stanza, e fischiettando tornò nella sua classe. Così il punk rimase solo a fare i conti col suo dolore e col suo senso di colpa: un grido di disperazione uscì liberatorio dal suo corpo, per poi essere accompagnato dalle prime lacrime versate in tutta la sua vita.
Lacrime rivolte a lei, alla ragazza a cui avrebbe giurato di dare protezione.
Alla ragazza che più che mai lo faceva sentire vivo.
Alla ragazza che avrebbe donato la sua stessa vita, se avesse potuto.
Alla ragazza che ha amato più di ogni altra cosa al mondo, e che ancora amava..








-------------°°°Angolino dell'autrice scoppiata in lacrime°°°------------
*Si soffia il naso tristemente*
Poveri cuccioli... T.T
*si rende conto di parlare col pubblico*
Oh ciaooo fans!!! :'D
Sono tornata! E stavolta con il capitolo più lungo che ho mai potuto scrivere! :'3
Mi scuso a priori per tutti coloro che molto probabilemente si sono addormentati o si sono stufati di leggerlo, ma la mia scelta ha una giusta ragione! U.U
Ora vi spiego: la settimana prossima non ci sarò, partirò per le vacanze, per cui non potevo assolutamente aggiornare in quella settimana.
Così, dato che io sono buona e brava ( :3 ), ho pensato di regalarvi, in un solo capitolo, due avvenimenti che avrei dovuto raccontare separatamente.
Quindi..taaaaaa daaaaaaaaaaaa! ;D
Non so se è stata di vostro gradimento..so solo che i fan della DXG mi uccideranno!!!! T.T
*sgrana gli occhi*
Keep calm ragazzi! Dovevo pur mettere qualche intralcio..o no?
*incrocia le dita mentre si guarda intorno*
Okay credo proprio che adesso mi devo dileguare, finchè sono in tempo!
Ci risentiamo a settembre e....buon proseguimento di vacanze!!! ;*
Spero vi sia piaciuto, dopotutto! :'3
*corre alla velocità della luce*



Dalhia_Gwen
  
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