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Autore: zippo    03/03/2008    2 recensioni
Rebecca era solo una ragazza del liceo quando, ricevendo la visita di un bellissimo ragazzo, scopre di essere un angelo. Le sue radici, la sua storia e la sua stessa anima appartengono ad un altro mondo, ben diverso dal nostro, dove magia e creature mitologiche vivono indisturbate in armonia con i loro abitanti. Rebecca, sotto la protezione del suo maestro, dovrà essere iniziata all’arte della guerra e alla pratica della magia dato che in quello stesso pianeta così perfetto e tranquillo un altro angelo minaccia la sua distruzione. Una storia interessante basata sull’amore, sul coraggio e sul Bene.
Il primo capito della saga: IL BENE
"L'eroe non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi" Jim Morrison
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 5 - UN NUOVO MONDO -

Il nuovo mondo si presentò a Rebecca senza che lei se ne rendesse conto.

Atterrata in una radura si ritrovò sola. Gli altri non c’erano e guardandosi intorno ebbe la piena conferma che quel posto era più simile ad un favola che non alla realtà. Era notte ma non era buio, anzi, una strana luce illuminava tutta la radura sebbene in cielo non ci fossero né stelle né luna, il cielo sembrava semplicemente irradiare una luce tutta sua, brillava di essenza propria e quel mondo ne traeva vantaggio per poter anch’esso risplendere.

Nella radura, tutt’attorno, volavano delle lucciole che come fate sembravano danzare un motivetto classico su una musica appena percepibile. Dietro di lei c’era una piccola montagna di rocce dalla quale, nell’esatto centro, dei fiotti d’acqua uscivano zampillando, formando una rumorosa cascata con attorno uno specchio d’acqua nel quale si riflettevano varie gradazioni di blu. La pace e la magia aleggiavano nell’aria e tutto era decisamente diverso dalla Terra.
Non faceva freddo, sebbene fosse notte inoltrata una lieve arietta vaporosa scaldava i corpi degli esseri viventi. Tutto, era in movimento.

Come guidate da una forza misteriosa tutte le lucciole che prima volavano indispettite sembrarono riunirsi in gruppo e accerchiare la ragazza. Non erano lucciole quelle fonti luminose. Ora che Rebecca le osserva da vicino capì che la sua prima intuizione non era sbagliata: quelle erano veramente delle fate che, con una grazia e una bellezza sovrannaturale, con quei capelli biondi a boccoli, quella pelle gialla e luminosa e quelle tenere ali fatte di rugiada, ora la fissavano spaesate e incuriosite. Alcune iniziarono addirittura a tirarle alcune ciocche di capelli.

“No! Cosa fate? Ferme!”

La ragazza cominciò a buttare le mani in aria per far andare via quelle piccole fate che iniziavano, se vogliamo essere sinceri, a romperle le scatole, e quando Rebecca Burton s’irritava sapeva essere molto devastante.

Le fate non parvero capire quello che la ragazza stava a loro tentando di dire perciò continuarono i loro giri di ispezione sul suo corpo. Nonostante tutto, si lasciò trasportare da quella danza e ridendo chiuse gli occhi continuando a percepire lo sbattere delle ali attorno a lei.

I pensieri iniziarono a prendere forma ma un silenzio tombale riempì la radura. Se prima il rumore delle ali la rilassava ora, non sentendo più nessun movimento, dovette riaprire gli occhi per capire cos’era successo.

Le fate non c’erano più e il cielo si era fatto nero, scuro, freddo. Non c’era più la bellezza fantastica di poco prima, persino il vento parve tagliare quel tepore per portare delle ondate di gelo.

Rebecca iniziò a spaventarsi sul serio e la conferma che era da sola in un posto sconosciuto parve affiorarle alla mente.

Corse, corse e corse.

Non sapeva dove stava andando né tantomeno aveva idea di che tipo di creature o mostri potevano abitare in quel bosco. Sicuramente non avrebbe più incontrato cerbiattini o coniglietti in quell’intrico di alberi, almeno non in quell’incubo.

Stava ormai perdendo ogni speranza di uscire da quel labirinto quando una voce le arrivò ben distinta tra gli alberi. Gabriel la stava chiamando e lei cercò di andare incontro alla sua voce. Quando scorse il ragazzo in un punto poco lontano da lei gli corse disperatamente in contro.

Gabriel non era al massimo del suo aspetto: i capelli erano spettinati e un’ansia gli attanagliava il viso perfetto. Appena si accorse della ragazza la raggiunse con passi veloci.

Rebecca si fermò non appena fu abbastanza vicina da vederlo a pochi metri di distanza ma Gabriel, spinto da una forza improvvisa, non si fermò e le saltò addosso ferocemente. L’abbracciò energicamente nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Aveva avuto paura, paura per lei e per l’inspiegabile senso di ansia che l’avevo preso fin dentro le ossa.

Bec rimase stupita da quel gesto così spontaneo e ossessivamente preoccupato, con gli occhi sbarrati aveva lasciato che le braccia le penzolassero lungo i fianchi come se avesse dimenticato come fare ad abbracciare.

Gabriel non era certo il tipo che abbracciava spesso le persone perché da come la teneva stretta poteva sentire il suo corpo tremare. Lui non sapeva abbracciare perché non aveva mai avuto occasione di manifestare i suoi sentimenti o le sue emozioni a nessuno prima d’allora.
Gabriel in vita sua non aveva mai dovuto dare a vedere niente a nessuno, si faceva la sua vita e anche se aveva una famiglia e delle persone a cui si era affezionato non aveva mai detto una volta “ti voglio bene”. Nemmeno a Rosalie.

Era freddo e glaciale e i suoi occhi azzurri erano la dimostrazione che in lui c’era un cuore di ghiaccio.
Forse, l’unico modo per far battere ancora quel cuore era quello di dargli un enorme calore e, in quell’abbraccio, un po’ di affetto era passato dal corpo di lei al suo.

Con enorme imbarazzo Gabriel si staccò da lei e la guardò smarrito. L’intensità del suo sguardo, la sua bocca semichiusa e perplessa, gli occhi persi e sbarrati e un punto interrogativo scritto in fronte fecero accendere un fuoco in Rebecca che subito diventò distaccata per evitare di avvampare.
Gabriel notò quel cambiamento, fece in modo che si creasse un divario tra di loro, cercando di recuperare un po’ di lucidità e tappando il carico di emozioni che stavano arrivando.

“Vieni”

Come una calamita Rebecca lo seguì addentrandosi nella vegetazione, il suo respiro era ancora sconnesso ma almeno ora si sentiva sicura.

“Ci sono città vicine?”

Gabriel si voltò solo per un secondo, giusto il tempo di verificare se la ragazza vaneggiava o aveva sul serio qualche problema psicologico.

“Hai mai visto un regno incantato con dei grattacieli come sfondo?”

Bec si morsicò il labbro inferiore, era stata una domanda inadeguata però voleva almeno togliersi quel dubbio e sapere di più su quel posto.

“Naturalmente non ci sono né grandi città né piccole città. Questo pianeta è molto piccolo e la maggior parte del territorio è formato da lande desolate, foreste allo stato brado e deserti rocciosi ideali per le battaglie. Ci sono pochi villaggi abitati e civilizzati, villaggi dove gli esseri umani vivono pacificamente, lavorando ancora la terra. Poi c’è il regno di Mortimer che è un’area morta, sempre buia, il sole non c’è, ne vedi solo qualche spicchio di luce durante il giorno. Senza contare le varie tribù di depravati che vivono selvaggiamente dove capita”

Non poteva crederci. Sembrava uno di quei film ambientati nell’ottocento, dove le case dei villaggi erano ancora in legno e dove, per guadagnarsi da vivere, bisognava zappare il terreno umido.

“Scioccata?” domandò il ragazzo.

“Un po’. Credo che per abituarmi mi ci vorrà un bel po’ di tempo”

Dopo aver camminato per quella che sembrò un’eternità s’iniziò a intravedere al di là del bosco uno spiraglio di luce artificiale, sembravano dei lampioni, quelli che vanno ad olio e che la loro luce appare fioca e arancione nella notte. Un grosso vociare di persone attirò la sua attenzione.

Ormai pochi alberi erano rimasti davanti a loro e la visuale del piccolo villaggio con strade battute e case di legno si presentava nitida e vicina. Una grande folla si stava riunendo nei confini del bosco, sicuramente erano gli abitanti del villaggio. I loro vestiti antichi sfiguravano in confronto ai jeans e alla maglietta aderente e alla moda che la ragazza portava addosso in quel momento. La maggior parte delle donne avevano i capelli raccolti dietro la nuca e le loro ampie gonne toccavano il terreno. Gli uomini invece brandivano armi in mano (che alla fine si trattava di zappe e accette) e il loro look era quello tipico e paragonabile dei contadini. Anche Gabriel era vestito in jeans e felpa ma, tanto era bello, non stava per niente male.

“Sono Gabriel” urlò il ragazzo, creando attorno a loro un leggero eco.

A quel nome gli uomini gettarono le armi e le donne sorrisero lanciando urletti di gioia e attesa.

Finalmente i due ragazzi uscirono dal bosco e Rebecca si sentì subito tutti gli sguardi dei presenti puntati su di lei.

Il sorriso suoi loro volti si spense tanto velocemente che sembrava non fosse mai arrivato, ora l’avrebbero presa a botte.

Rebecca si nascose timidamente dietro la possente schiena di Gabriel, sperando che nessuno si accorgesse di lei e che dimenticassero la sua presenza. Tutti la stavano esaminando con la bocca aperta e gli occhi spalancati, il corpo leggermente proteso in avanti e lo sguardo che passava da lei al ragazzo.

Perché la fissavano in quel modo? Cosa si aspettavano? Che arrivasse un uomo con tanto di muscoli e ponente?

Beh, si sbagliavano. Purtroppo per loro gli era capitata una donna, anzi, una ragazza senza un minino di esperienza e senza muscoli attorno alle braccia o lungo le gambe.

A vederla così sembrava più un pulcino spaventato che non al più grande angelo mai esistito, il primo a far continuare la stirpe reale dopo la sua estinzione. La ragazza immaginava come tutti si stessero sentendo e non potè biasimarli. Il loro mondo era minacciato da un potentissimo angelo nero e loro, pieni di speranza, si vedevano arrivare come nemico di Mortimer una ragazza nel pieno dell’adolescenza.

Chissà che duro colpo avevano dovuto incassare.

Ma non tutto andò come la ragazza aveva previsto: gli insulti e le urla di disapprovazione non arrivarono e la gente, dapprima paralizzata, iniziò ad avanzare entusiasta verso di lei. Il primo a stringerle la mano era un uomo sulla quarantina con i capelli brizzolati e gli enormi occhi scuri, aveva un fisico ben piantato e Gabriel, sussurrandole all’orecchio, le disse che quello era il capo-villaggio: Bastian.

Dopo Bastian una serie di uomini, donne e bambini si fecero spazio attorno a lei per poterla toccare, baciare, lodare. Alcune donne con le lacrime agli occhi la benedivano e altre la guardavano ammirate. Gli uomini invece non facevano altro che complimentarsi e le davano cordialmente il ben venuto.

“È da tanto che ti aspettavamo”

“Non sai quanto siamo felici di averti con noi”

“Sei il dono più grande che potessimo ricevere”

“Un angelo! È un miracolo!”

Rebecca rispose con dei sorrisi perplessi e venne strattonata da tutti fino a che si ritrovò a camminare in una delle strade del villaggio. Le luci all’interno delle case erano tutte accese da lumi e le persone che non si erano precipitate ad accogliere i due ragazzi ora aprivano rumorosamente le porte d’ingresso e si catapultavano in strada. Bec fu portata da Bastian e da Gabriel, che la teneva sempre stretta per il gomito, in una capanna più grande rispetto le altre case, doveva essere il punto zero, il punto d’incontro di riunioni paesane e di discussioni, nonché la casa del capo-villaggio.

Il capo-villaggio e Gabriel la trascinarono all’interno di una stanza e si chiusero dietro le porte in modo che i concittadini non potessero entrare. La ragazza vide Gabriel sussurrare qualcosa alla porta e poi, questa, emise un rumore ferroso. Enormi lucchetti comparvero a bloccarla.



***



Bec poteva sentire ancora le urla e le esaltazioni dall’esterno della porta. Si trovava in una stanza quadrata, chiusa e senza finestre. Le pareti erano di legno solido dando un senso di accoglienza e di calore. C’era un’enorme scrivania al centro e delle librerie circondavano i muri tutt’attorno. La luce era data da dei candelabri appesi alle pareti e tutto era decisamente antico.

Si sentiva trasportata all’interno di una storia medievale dove tutto era ambientato all’età della pietra. Ispezionò la stanza e accortasi che mancavano sia telefono che elettricità si sentì straziare dalla mancanza di casa. Gabriel era appoggiato ad una libreria e nella penombra della stanza sembrava ancora più misterioso e inquietante. Bastian invece camminava su e giù per la stanza senza darsi pace. Rebecca, come uno stoccafisso, se ne stava giusto al centro dello studio e non sapeva che fare, semplicemente aspettava che qualcuno iniziasse a parlare.

Alla fine Bastian si fermò e puntò i suoi rotondi occhi acquosi verso la ragazza, lasciando trasparire un profondo rispetto e un’immensa paura.

“È inutile girarci attorno. Tu sai del motivo per cui sei qua, giusto?”

La ragazza cercò lo sguardo di Gabriel ma il ragazzo non si era mosso dalla sua postazione e aveva gli occhi chiusi, anche se era ovvio che stava ascoltando tutto, i nervi erano tesi e il corpo proteso in avanti.

“Sì” rispose Rebecca al’uomo.

“Ottimo. Per il resto ci sono io, ora” disse con un sorrisetto tenero che diede a Bec l’idea di essere finalmente in mano sicure.

“Gabriel, ti dispiacerebbe lasciarci soli?” chiese Bastian, gentilmente.

Il ragazzo, quasi infastidito, si staccò dalla parete su cui era appoggiato e con passi silenziosi, senza dire niente, uscì dalla porta che poco prima sembrava blindata da chissà quale magia oscura.

Bastian si sedette sulla scrivania e fece cenno alla ragazza di fare altrettanto in una delle due sedie che si trovavano davanti a lui. Una volta preso posto il capo-villaggio iniziò a parlare.

“Come avrai visto eravamo tutti molto ansiosi del tuo arrivo. Per noi sei la nostra salvezza, era scritto che un angelo sarebbe ritornato per salvare il mondo dalla tirannia del Male. Abbiamo mandato una squadra a prenderti una volta compiuti gli anni giusti per l’apprendimento della magia, come saprai Gabriel era un angelo e io di lui mi fido ciecamente”

“Aspetta, dove stà scritto che io devo aiutarvi con Mortimer?”

“È un libro antico, è il libro sacro degli angeli. Lì dentro c’è scritta la storia di tutti gli angeli che hanno volato su questi cieli e naturalmente c’era anche un accenno a te, Aidel”

“Aidel?” chiese sorpresa la ragazza, sentendosi chiamare con un nome sconosciuto.

“Aidel era il nome di tua madre…un grande angelo” disse Bastian, lasciandosi andare allo schienale della sedia come preso dai ricordi.

“Mia madre era un angelo? Anche lei?” domandò, stupefatta.

“Oh si, e anche tuo padre. Non lo sapevi?”

“No, decisamente no” disse, delusa che Gabriel le avesse omesso dettagli importanti come quelli.

“Beh, ora non parliamo di loro, piuttosto…”

“Perché a Gabriel sono state tolte le ali?”

A quella domanda l’uomo sbiancò visibilmente e con un tono basso rispose seriamente:

“Non sarò certo io a dirtelo Rebecca, sarà lui a farlo quando vorrà. Non è facile convivere con un peso così grande come quello che ha lui, mia cara. Al momento opportuno, se lo riterrà utile, farà in modo di metterti a conoscenza del perché, molto tempo fa, gli sono state tolte le ali e con quelle, il titolo pieno di angelo”

Rebecca ebbe una sgradevole sensazione, si sentiva a disagio. Non capiva cosa potesse aver fatto Gabriel di così orrendo per essere stato esiliato. Ciò nonostante continuò ad ascoltare l’uomo, con una certa fretta di andarsene.

“Domani stesso inizieremo il tuo addestramento, imparerai ad usare la spada, l’arco, il bastone, qualsiasi arma e ti verranno insegnati anche gli scontri corpo a corpo e le arti marziali che poi ti verranno più facili da praticare quando imparerai a volare”

La curiosità della ragazza si accese come una lampadina in una stanza buia.

“Imparerò a volare! Quando?” chiese impaziente, non vedendo l’ora di poterlo fare, immaginando già di sfrecciare in un cielo azzurro sopra a delle dense nuvole.

Da piccola faceva spesso dei sogni nei quali sapeva volare. Poi, quando si svegliava la mattina dopo rimpiangeva la notte appena trascorsa e ogni volta chiedeva disperata alla madre perché non era nata un uccello.

Già. Sua madre.

Suo padre.

Chissà come stavano…

L’eccitante notizia appena appresa lasciò il posto ad una sofferenza soffocante. Bastian dovette aver capito lo stato d’animo della ragazza, perché rispose alla sua domanda con un po’ troppo entusiasmo, gesticolando e sorridendo.

“La comparsa delle ali avverrà nel tuo corpo quando ci sarà una sufficiente concentrazione di magia per cui potrai permetterti uno sforzo tale per farle nascere”

“Nascere?”

“Oh sì, invocare per la prima volta le tue ali costa molto impegno, e molta magia deve scorrere nelle tue vene. Appena ti sentirai pronta loro compariranno magicamente. Ora sulla tua schiena non c’è nessuna traccia che ti faccia capire la loro presenza, nel momento in cui le chiamerai per la prima volta, quando dovrai richiuderle perché non ti serviranno più, formeranno una specie di involucro dove, in un certo senso, si raggomitolano”

“Si raggomitolano?”

“Sì, se ne staranno racchiuse in una sfera e poi saranno pronte per un nuovo utilizzo” sorrise sornione, soddisfatto della sua spiegazione.

“Capito. Io comunque inizio volentieri questo percorso di magia, apprenderò tutto quello di cui avrò bisogno, poi però mi dovrai spiegare un altro po’ di cose”

“Ad esempio?”

“Beh, per esempio io non ho mai ammazzato nessuno. Non sono capace di strategie né di mantenere il sangue freddo in certe situazioni. Sono stata sbattuta in questo posto che, fra virgolette, è anche il mio posto natale però…insomma, devo ancora abituarmi. Finchè si tratta di imparare da un maestro ok, poi però quando subentrerà la guerra vera e propria avrò bisogno di aiuto da tutti voi. Almeno dovrete farmi capire perché metto in gioco la mia vita, perché senza un motivo logico io non mi butto in pasto ai cani. Devo ancora capire perché sono qui”

“Lo capirai, Aidel”

“Perché mi chiami così? Il mio nome è Rebecca” disse, ringhiando.

“Perché è così che ti chiami”

“Avevo capito che si chiamava mia madre in quel modo”

“Anche”

Dopo un minuto di assoluto silenzio Bastian si alzò dalla sedia.

“Ora vai, Gabriel ti aspetterà fuori da questa porta”

Anche lei si alzò e strinse la mano grande e callosa dell’uomo. Stava per lasciare la stanza quando si bloccò con una mano sulla maniglia della porta.

“Chi mi addestrerà?”

Bastian alzò gli occhi da alcuni fogli che stava frettolosamente osservando.

“Gabriel”

“Ma non dovrebbe addestrarmi un angelo?” chiese, con un soppraciglio inarcato.

“Oh, è come se lo fosse. È come se lo fosse…”



***



Quando Rebecca uscì dalla porta si trovò in un piccolo corridoio in quella che doveva essere la più grande casa di tutto il villaggio, sempre e comunque molto piccola rispetto alle case che c’erano sulla Terra. I muri erano di legno scuro e dall’ufficio di Bastian aveva intravisto un’altra porta con una camera da letto.

Nel corridoio c’erano altre due porte.

Sicuramente un bagno e una cucina, pensò.

Anche se non era scontato che ci fossero i bagni all’interno delle abitazioni. Come di comune accordo, Gabriel l’aspettava appoggiato alla soglia dell’uscita e appena la vide le fece cenno di uscire con lui.

Fuori il cielo era ancora scuro.

“Anche voi avete fate uso degli orologi? Esistono le ore, le settimane, i mesi?” domandò la ragazza, chiedendosi in quel momento che ora potesse essere.

“Parli come se non avessi niente a che a fare con noi” disse lui, serio e inespressivo.

“Beh, sicuramente meno di quanto tu pensi. Dovrò farci l’abitudine prima di poter chiamare questo posto casa”

“Comunque sì, abbiamo le ore che corrispondono alle stesse della Terra, dato che Chenzo è una proiezione del tuo pianeta gli orari e le stagioni non cambiano più di tanto”


“Ma qui non ci sono né stelle né luna, e scommetto che neppure il sole sorge su questo mondo”

“Invece ti sbagli, le stelle raramente non compaiono, di lune ne abbiamo più di una ma appaiono solo in presenza delle stelle e il sole sorge e tramonta durante l’arco di una giornata”

“Che sfortuna però non poter vedere le stelle, ho beccato proprio la notte in cui non ci sono”

“Di solito le stelle splendono sempre. Solamente quando accade qualcosa di brutto non si presentano nel cielo”

Stavano camminando a zonzo nel villaggio quando Rebecca si bloccò.

“Vorresti dire che il mio arrivo è una cosa brutta? Porto sfortuna?” chiese, dimostrandosi offesa e imbronciata.

“Non intendevo dire questo” disse il ragazzo, guardandola stupito.

“Beh, l’hai detto. E pensare che devo anche sacrificarmi per voi…”

“Non ci sei solo tu su questo mondo, può anche essere che Mortimer abbia fatto qualcosa di orribile proprio questa notte”

“Beh, sarebbe più sensato” disse, e riprese a camminare fianco a fianco a Gabriel che le lanciava occhiate preoccupate.



***



“Dove stiamo andando?”

“Ti porto a casa” rispose impaziente Gabriel.

Era da più di dieci minuti che proseguivano a piedi e lei, continuamente come una macchinetta, non faceva altro che chiedere dove stavano andando. Forse lo faceva apposta, voleva vendicarsi e non aspettava un momento per torturare il ragazzo che ogni volta le rispondeva che stavano andando a casa.

“Dove stiamo andando?”

“A casa”

“Ma a casa dove? Io non ho una casa qui” ribatteva lei.

Vedeva che Gabriel non ne poteva più di lei e questo, in un certo senso, le dava una profonda soddisfazione. Ammirava Gabriel ma alcune volte non lo reggeva: troppo misterioso e calmo.
Proprio quando il ragazzo stava ormai per perdere la pazienza e risponderle male, arrivarono a destinazione.

“Siamo arrivati, rompi palle” disse Gabriel, incrociando le braccia al petto e restando fermo, guardando di sottecchi la ragazza che invece lo superò.

Rebecca non poteva crederci.

Aveva visto quasi tutto il villaggio (in quindici minuti lo giri tutto) e tutte le case che aveva osservato erano piccole, vecchie e antiquate. Tutte apparte quella del capo-villaggio che era invece la più grande e spaziosa. Ma quella…quella era troppo bella.

Un po’ fuori dal centro del villaggio la sua casa era grande, su due piani ed era così graziosa con la staccionata e i fiori bassi che non si meravigliò quando vide uscire dalla porta d’entrata la bella Rosalie.

“Ti piace, Rebecca? È la tua casa”



***
  
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