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Autore: Ceci Princessofbooks    29/08/2013    1 recensioni
Isabella ha una mente luminosa, un cuore impavido e un'anima alla ricerca dell'amore; sarebbe perfetta, se non fosse per la sua condanna: infatti è un androide, una bambola di porcellana a cui il suo creatore, Mr. Silvergear, ha infuso la vita con i poteri dell'Alchimia perché fosse una compagna fedele per la sua fragile figlia Catherine. Bella vorrebbe vedere il mondo, ma non può scappare: la sua esistenza dipende dalla carica della chiave che porta sulla schiena, e che il suo Maestro, cosi chiama il suo artefice, custodisce gelosamente. Ma quando arriva Edward, il giovane allievo dello studioso, tutto cambia, e Bella non è più disposta ad accettare un destino da cosa. In una Londra alternativa in cui l'Alchimia è una scienza e i dirigibili solcano il cielo, i due giovane lotteranno per il loro amore, e perché, come ogni essere umano, anche a Bella sia concesso di scegliere la propria strada.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prima pars - Parte prima

Mercurius aut de cogitatione – Mercurio o del pensiero


Assulae tempi – Schegge di tempo


17 settembre 1867


Oggi è una di quelle mattine di Settembre che amo tanto: la luce è una carezza eterea, il cielo e la terra un mosaico di oro e di azzurro. Non appena il Maestro ha caricato la mia chiave, le sfumature delicate del giardino mi hanno salutato con il loro vento di fruscii e sussurri.

Come sempre, ho trascorso le mie prime due ore di veglia a studiare con Mr.Silvergear, nella grande biblioteca di legno scuro: il chiarore dell'alba traluceva dalle alte vetrate istoriate, infrangendosi sul pavimento in un tappeto di scaglie variopinte. La casa era ancora silenziosa, a parte i bisbigli e il lieve scalpiccio delle poche cameriere già sveglie: di fronte a me, seduto sulla massiccia sedia di ontano, il mio creatore leggeva da uno dei volumi poggiati sullo scrittoio, il quinto capitolo della Moderna Alchimia del Fuoco di John Fitzbrigit. Nonostante abbia più di settant'anni, il Maestro conserva l'aspetto di un giovane uomo: capelli corti di un biondo pallidissimo, viso ambrato, una figura eretta e forte sotto la finanziera. La magia l'ha preservato dal tempo, ma non ha potuto impedire ai suoi occhi di invecchiare: il suo sguardo è grigio e antico, pieno d'ombre e di luci da tempo scomparse. Io ero di fronte a lui, e prendevo appunti sul mio largo quaderno di cuoio rosso. Come osservare il mondo, anche dedicarmi allo studio mi preserva dall'amarezza che mi ispira la mia condizione: tutto ciò che mi porta in altri mondi, che mi conduce in luoghi in cui è il mio spirito a contare e non il fatto che la mia pelle sia di porcellana, mi reca piacere. Per questo, mentre la casa è addormentata e la mia carica non si è esaurita, trascorro le ore della notte tra i filari della libreria, immergendomi nelle avventure di Stevenson, di Dickens, delle maschere potenti e insanguinate di Shakespeare. Ma la mia inclinazione per la lettura non oscura quella per le terre di calcoli e limpida ragione dell'Alchimia: anzi, dedicarmi a tracciare un nuovo Disegno, un arabesco per evocare una nuova forza, e vedere il volto del mio maestro accendersi di orgoglio costituisce una delle mie gioie più grandi.

-Molto bene- ha commentato oggi, annuendo -Molto bene. Mi sembra che ormai tu padroneggi piuttosto abilmente la Quarta Evocazione. Domani lavoreremo sulle variazioni. Ma ora vai; non voglio che Cathy si svegli da sola.-

Le due ore sono trascorse in fretta, ed era arrivato il momento di dedicarmi ai miei veri compiti.

Quando scivolai nella camera, Catherine era ancora un gomitolo di lenzuola rannicchiato nel letto a baldacchino, quasi perduto tra i pesanti drappeggi di damasco verde.

Sperando che il mio sorriso fosse abbastanza caldo, mi avviai a passi silenziosi fino alla finestra, e spalancai le tende: una lama di luce gentile guizzò nella camera, rivelando la mia compagna.

Cathy sarebbe assai bella, se la malattia e la paura non la bruciassero: la carnagione è tanto sottile e candida da lasciar intuire le ossa al di sotto, le guance ardono di un rossore malsano, i capelli sono un groviglio selvaggio di riccioli scuri. La camicia da notte, in cui trascorre buona parte del suo tempo, è troppo ampia per il suo fisico minuto, e nasconde la grazia titubante dei suoi gesti. D'istinto, mi avvicinai a lei mentre gemeva nel sonno, ravviandole delicatamente una ciocca: ora, come ogni giorno, l'avrei svegliata piano, le avrei portato il catino dell'acqua e l'avrei aiutata ad acconciare i suoi boccoli in una treccia ordinata. È questo il mio ruolo: essere al tempo stesso una dama di compagnia e una confidente, una cameriera e un'amica. Ma non mi pesano, non davvero. Sono cresciuta insieme a Catherine, se non nel corpo, almeno nello spirito: ricordo ancora che, quando per la prima volta mi sono svegliata, il suo è stato il secondo viso, dopo quello del mio creatore, che io abbia incontrato. E al contrario, sono stata io a farle da madre: sono stata io ad accompagnarla nelle sue esplorazioni in soffitta, a curarle le ginocchia sbucciate, a leggerle le favole prima di dormire. Molti potrebbero dire, e hanno bisbigliato quando pensavano non stessi ascoltando, che ci sia qualcosa di perverso, addirittura di immorale ad affidare una ragazzina ad un'Alba, ad una bambola meccanica. Nonostante siano passati secoli dalla costruzione del primo androide, un corposo numero di uomini e donne continuano a provare un certo disagio, se non vero e proprio disgusto, verso di noi. Altri, e sono i più, ci considerano con l'indulgenza distaccata che riservano ai propri animali: utili, servizievoli, ma certamente incapaci di pensare. E, forse, sono loro a fare più male del disgusto.

Cathy ha mugolato, riparandosi gli occhi con una mano: i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi azzurri, erano pozze d'acqua limpida nel mezzo delle occhiaie. Non credo di averla mai vista in piena luce: dai suoi tredici anni, da quando questa malattia misteriosa l'ha colpita, ha sempre rifuggito il sole, ha sempre protetto il suo sguardo e il suo corpo dal pieno bagliore del giorno. Intorno a lei l'ombra sembra danzare, leggera, sempre presente, come un ricordo, o una maledizione. Immersi una mano in quelle ombre, scuotendola con attenzione. -Cat, sono io, Bella. Forza, svegliati: non vorrai far aspettare tuo padre per la colazione, vero?-.

Un altro gemito. -Oh, no, ti prego, Bella. Lasciami riposare. Sono così stanca...-.

Dentro di me, qualcosa guizzò e bruciò. Serrai le labbra e, se avessi potuto, sarei avvampata di indignazione.

Il sangue le pulsa nelle vene, le sue mani possono accarezzare, le sue narici sentire tutti gli odori complessi ed intensi di cui raccontano i romanzi: come può preferire rimanere qui, tra le coperte, in un limbo così simile alla morte?

-Non dire così, Cat. È una bellissima giornata, vedrai che ti sentirai subito più in forze. Coraggio, ti aiuto a vestirti.-

Mi guardò, e fu uno sguardo colmo di un terrore profondo e sordo che, per quanto mi dilani, non posso guarire. -D'accordo, Bella. Se proprio lo ritieni necessario, lo farò.-

L'ho sostenuta mentre si alzava, il corpo magro e fragile come gesso; le ho districato i nodi dei capelli, e le ho fatto indossare l'abito di velluto blu, quello coi polsini di pizzo che suo padre ama tanto, lasciando tra noi il gradevole silenzio di un'intimità antica.

Quando siamo entrate nella luminosa sala da pranzo, i bovindi colmi di luce chiara, il Maestro ha sollevato il viso, e vi ho visto sussultare un lampo di tenerezza e di dolore, come ogni volta che posa gli occhi su sua figlia. -Ah, cara- esclamò, la voce di solito decisa improvvisamente ovattata -che piacere che tu ci abbia raggiunto. Stavo proprio dicendo con Edward che è il tempo perfetto per una passeggiata in giardino.-

Fu solo allora che mi concessi di voltarmi verso l'uomo che ha risvegliato il mio cuore.

Se Cathy somiglia ad uno schizzo a matita, armonioso ma sbiadito, Edward è un dipinto ad olio: intenso, brillante, ricco. Oggi i suoi occhi nocciola scintillavano di intelligenza, le labbra erano rosse e sensuali, i capelli e le basette una zazzera bionda dai riflessi di miele. Portava, sopra la camicia inamidata, un morbido completo di tweed color senape, coordinato con la cravatta di seta azzurra. Come sempre, la sua vista schiuse qualcosa dentro di me, un bagliore forte e fiero che non conosco ancora. -Buongiorno, Maestro- salutai, abbassando il viso -buongiorno, Edward.-

-Buongiorno, Isabella- rispose con un sorriso; si rivolse a Cathy. -Buongiorno, Catherine-.

-Buongiorno- mormorò la mia amica, accasciandosi su una sedia al tavolo coperto d'organza.

Tutti presero posto, cominciando a servirsi delle pietanze fumanti raccolte sulla tovaglia: salsicce, uova strapazzate, latte e tè in bricchi d'argento, piccoli dolci dorati e tempestati di uvetta. Io mi sistemai alla sinistra di Cat, ma il mio piatto restò vuoto: non ho bisogno di cibo, ciò che mi sostiene è la carica nella mia schiena. -Allora, Edward- cominciò il mio creatore -che cosa pensi delle dichiarazioni del Primo Ministro sul Times? Che ne dici dell'impiego bellico degli Albi?-

-Penso che, come ogni uomo, dovrebbero essere loro a decidere. In fondo, li abbiamo creati per essere come uomini alle nostre dipendenze: perciò è solo logico che possano anche compiere le scelte degli uomini...-

L'allievo e il maestro continuarono a parlare, mentre io assistevo Cathy che, coi gesti lenti di una donna immersa nell'acqua, si portava alla bocca i cucchiai di porridge. I suoi occhi vagavano per la sala, perduti in lontananze fredde e nebbiose che non avrebbe potuto descrivermi. Io le raccontavo sottovoce ciò che avevo appreso con suo padre, lo scricciolo che avevo intravisto dalla finestra del corridoio, il colore del sole al mattino e il fatto che sarebbe andato molto bene per un acquerello. A quell'accenno, una parte di lei tornò indietro: la pittura è sempre stata la sua passione, l'unico strumento con cui sembra riconciliarsi col mondo. Ma anche mentre chiacchieravo, la mia mente sentiva la presenza di Edward, lo schiocco della sua risata, le sue parole equilibrate e pungenti.

Quando arrivarono le cameriere per sparecchiare e il mio creatore si levò dalla sedia, lo studente si alzò, sfiorando il piccolo cammeo d'onice che fermava la cravatta. -Bene, credo che dopo questa colazione pantagruelica andrò a fare una piccola passeggiata; sempre che il Signor Silvergear non richieda subito la mia presenza.-

Il Maestro scosse la mano:-Oh, no, Edward: oggi non ho impegni, perciò potremo studiare dopo che sarai tornato. Vai pure.-

L'allievo si rivolse a noi:-Le signore vogliono per caso unirsi a me? È una mattinata splendida, e forse la signorina Catherine vorrà offrirci il piacere di uno schizzo.-

La mia amica scosse la testa, e sembrò che già questo prosciugasse ancora le sue energie. -No, mi dispiace, signor Edward. Ora sono molto stanca; magari più tardi.-

-Oh, certo, capisco- mormorò Edward: il suo sguardo si appuntò su di me. -E lei, signorina Isabella?-.

Non so perché lo feci. Non sono da me le risposte avventate, e sapevo che il mio dovere sarebbe stato quello di restare con Cathy e tenerle compagnia. Ma erano così poche le occasioni in cui mi si rivolgeva come ad una persona, ed erano così poche le volte in cui potevo parlare davvero con qualcuno. -Sì- sbottai -sarei felice di venire, signore.-. Non mi sfuggì l'ombra di rimprovero che oscurò per un attimo i tratti del mio creatore, ma non me ne curai.

Edward sorrise, e quel sorriso mi ripagò di tutto. -Molto bene, allora. Andiamo pure.-

Salutammo padre e figlia, avviandoci verso la porta a vetri dell'entrata: il cinguettio sonnolento degli uccelli si riversava nella stanza dalle finestre aperte. Mentre uscivamo, inspirò a fondo l'aria, senza abbandonare il sorriso.

Chinai un poco la testa:-L'aria sa davvero di terra e di rugiada, signor Edward?- chiesi, e un istante dopo mi zittii, sconvolta: perché mi mettevo a dare voce a pensieri che di solito nascondo con tanta attenzione? Era qualcosa nel vento leggero, nella dolcezza trasognata di Settembre, o semplicemente nella sua presenza?

Mi osservò a lungo, iniziando ad avviarsi con me lungo il sentiero di ghiaia che si snoda per il parco. -Esattamente, profuma proprio così. Credevo che gli Albi non potessero percepire odori.-

-Infatti- mormorai. -Ma ho letto molti romanzi, e ormai credo di essermi fatta un'idea degli odori e i sapori del mondo...o almeno della città.-

-Bè, vi assicuro che, per ciò che riguarda la città non dovete proprio rammaricarsene. Londra è confusionaria e brutale come uno scaricatore di porto, e puzza altrettanto.- rispose, alzando comicamente le sopracciglia. Non potei impedirmi di ridere, e seppi, d'improvviso, che quello sarebbe stato uno degli istanti che avrei portato sempre con me. -Comunque, voi siete davvero una creatura particolare: accanita lettrice, apprendista dell'Alchimia...penso che ne sappiate, tra l'altro, molto più di me. Credo ci sia molto da scoprire, in voi.-

Mi strinsi tra le braccia. -Io non sono una creatura.-

-Oh, ma certo che lo siete- ribatté, agitando le mani magre e sensibili – non è solo il respiro o il battito di un cuore a fare una vita. Una creatura è tutto ciò che può soffrire e agire, e una creatura umana tutto ciò che può anche pensare ed amare. E mi sembra che voi rientrate completamente nella definizione.-

Mi voltai verso di lui. Ora eravamo nel profondo del giardino, sotto il pergolato del roseto; i rami scuri oscillavano, gravati dalle grandi rose mature. Improvvisamente mi resi conto di quanto fossimo vicini, e di quanto sarebbe stato facile sfiorarci. Così facile. -Voi...voi credete?-.

-Certamente- annuì lui – in questi mesi ho avuto modo di conoscervi, Isabella. E in nessun modo potrei considerarvi una cosa.-

Mi sorrise. Io risposi piano al sorriso, e il momento, qualunque esso fosse, passò. Continuammo a camminare, semplicemente felici della reciproca compagnia e della bellezza di porcellana di quel paesaggio. -Ditemi, anche voi dipingete come la vostra amica?-

-No- risposi, ravviandomi un ricciolo sfuggito al fermaglio -Non so minimamente come muovermi tra colori e pennelli. Credo di preferire le geometrie e le carte dell'Alchimia.-

-Anch'io, anche perchè in campo artistico sono di un'ignoranza imbarazzante- mi lanciò uno sguardo – e devo ammettere di trovarmi molto più a mio agio con qualcuno che condivida le mie passioni, no?-

-Io...- sussurrai -...io credo di sì.-.

Camminammo ancora, sotto le ombre frastagliate del roseto, così simili a quelle di una cattedrale dai pilastri spinosi. Il silenzio con lui era denso, ma in qualche modo vivo: sembrava nascere da un'intimità diversa da quella che condividevo con Cathy, un'intesa che poggiava non su rassegnazione e conoscenza, ma su altri pilastri, sulla deflagrazione di stelle di due anime che si sfiorano. D'improvviso, si fermò, voltandosi verso di me. Con lentezza, posò un braccio sul mio, gli occhi dorati e seri. -Isabella, ho da darvi una cosa.- cominciò, mentre la mia mente guizzava tra le possibilità. Che cosa poteva mai darmi?

-Mr.Silvergear mi ha detto che oggi è l'anniversario del giorno in cui...bè...in cui vi ha dato la vita. Quindi ho pensato che è un po' come se fosse il vostro compleanno, e perciò fosse opportuno un regalo.-

Cercò nella tasca del panciotto, fino a trarne un piccolo involto di carta velina azzurra. Io mi limitai a fissarlo, troppo esterrefatta per parlare. -Non avevo molto a disposizione, e forse non è adatto ad una fanciulla, ma appena l'ho visto nel negozio ho subito pensato a voi. In ogni caso...- continuò, spingendolo nella mia mano -...Buon compleanno.-

Lentamente, dischiusi il pacchetto: dentro c'era un orologio, un orologio da taschino d'argento, con un cuore inciso sul coperchio. Lo aprii: al posto delle ore, le lancette indicavano i simboli astrali dei pianeti, intagliati in un rame cangiante. -Si tratta di un Astromante- spiegò -è uno degli ultimi ritrovati scientifici: a quanto sembra recepisce gli influssi dei diversi corpi celesti e ne indica la forza. Ho pensato che forse vi sarebbe stato utile per gli studi.-

Rimasi immobile, le labbra serrate. Edward si chinò in avanti, preoccupato. -Non vi piace? Mi dispiace, sapevo che non dovevo prenderlo, ma...-

-No, non è questo- mi affrettai a spiegare -è che...nessuno mi aveva mai donato nulla per il mio compleanno. Grazie.-

E in quell'unica parola tentai di riversare tuta la gratitudine e tutto il bisogno che mi stringevano il petto.

Edward sorrise, e fu un'altra stilettata e un'altra goccia di piacere. -Ne sono davvero lieto.-

Lui tese la mano, sfiorando un istante la mia. Le sue labbra erano così rosse, così vive e morbide di fronte a me. Per un attimo, pensai a cosa sarebbe accaduto se le avessi toccate, e se le mie mani potessero sentire. L'incanto svanì, ma un suo frammento scivolò nell'orologio che continuavo a stringere.

Dopo, siamo rientrati in casa, e ognuno di noi ha ripreso il comune sentiero della propria vita. Ora è sera, e io sono sola alla mia scrivania, a scrivere su questo vecchio quaderno verde, ad aspettare che anche oggi la carica si esaurisca e io piombi nel nulla. Sfioro l'orologio, appoggiato al tavolo. Ho paura, come ogni volta che smetto di esistere, ma toccarlo mi infonde forza. Forse il buio sarà meno profondo, se lo affronterò con questa piccola scaglia di magia.

   
 
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