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Autore: Giuliascorner    29/08/2013    13 recensioni
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«E così...Edith» cominciò Harry, enfatizzando il mio nome con un cenno distratto della mano. «Praticamente sei venuta a fare la spia delle nostre vite, giusto?" disse, sistemandosi per bene sulla sedia.
«Te l'ho già detto, non sono una spia, ma una giornalista.» sospirai, rassegnata. «Un'aspirante giornalista, oltretutto.» aggiunsi.
«Non vedo la differenza.» soffiò piantandomi gli occhi in faccia.
«Non scriverò di tutte le ragazze che ti porti a letto, Styles, a me interessa solo il vostro lavoro, è di quello che dovrò parlare nell'articolo finale.»
«Ah sì? Niente vita privata?»
«Niente vita privata.»
«Prometti?»
«Non vedo come la tua vita privata potrebbe interessare a un professore universitario sessantenne!» esclmai sarcastica. Harry abbozzò una smorfia, ma incrociò le braccia al petto e mi fissò in attesa. Dio, quello sguardo. «E va bene, sì, prometto!» sbuffai.
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I giornalisti, si sa, sono i migliori alleati delle fans e spesso i peggiori nemici delle celebrità. Harry lo sapeva bene, e aveva imparato come difendersene; ma come potrà riuscirci quando sarà costretto a convivere con una di loro?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI. Nobody.

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Ci sono dei momenti, nella vita, nei quali si ha come la sensazione di uscire dal proprio corpo e vedere la propria situazione da fuori, come la vedrebbe un estraneo.
Non seppi a cosa dare la colpa, se al caso, all'alcool o alla stanchezza, ma mi accadde una cosa del genere proprio quella notte e non potei fare a meno che sorriderne. Come colpita da un flash mi vidi lì, esausta e un po' brilla, seduta in modo scomposto contro la colonna di un aeroporto con una felpa sotto il sedere. E di fianco a me stava facendo la stessa cosa non una mia amica, non un mio famigliare e neanche uno sconosciuto, bensì un membro della boy band più famosa del mondo.
Neanche uno sconosciuto. Mi chiesi perché non ritenessi Harry uno sconosciuto. D'altronde, io cosa sapevo di lui? Non mi aveva detto niente di se stesso, mai, nemmeno per sbaglio. Avevo provato a conquistare la sua fiducia e ogni tanto mi era sembrato di esserci riuscita; ma tutte le volte mi ero sbagliata, perché Harry sembrava pentirsi di avermi concesso qualcosa di più e tornava ad essere freddo ed ermetico come prima. Appena facevo un passo avanti, lui mi costringeva a farne tre indietro; perciò quando mi fece posto al suo fianco nell'aeroporto non mi sorpresi più del dovuto e mi rassegnai al fatto che ben presto sarebbe tornato a comportarsi come sempre.
Non sapevo se prima o poi avrebbe smesso di considerarmi un nemico.
E non sapevo nemmeno perché ci provavo così disperatamente.

«Grazie, Harry.» mugugnai poco dopo essermi messa comoda.
«Nulla.» mi rispose con un cenno pigro della mano.
L'imbarazzo fra di noi si sarebbe potuto toccare con le mani e se non avessi fatto qualcosa per tenermi sveglia sarei sicuramente crollata dal sonno. Perciò, dopo un quarto d'ora durante il quale entrambi fingemmo di avere importantissime cose da fare per non parlarci, mi alzai in piedi e afferrai la mia borsa dal pavimento.
«Io vado a prendere un caffè. Ti porto qualcosa?» chiesi ad Harry. Sembrò esitare, ma poi fece spallucce.
«Un cappuccino.» rispose semplicemente. «Grande.»
Mi avviai verso lo Starbucks che avevo visto lì vicino e mi sorpresi nel vedere che c'era molta gente seduta stancamente sulle poltrone in pelle scura del locale.
Ordinai il mio frappuccino e il cappuccino di Harry e, al momento di prendere i due bicchieri e uscire, una cameriera giovane con un enorme apparecchio per i denti mi venne vicino e mi portò in un angolo del bar.
«Ciao, scusa...» disse sorridendo. «Per caso tu sei del volo rimandato di Manchester?» bisbigliò, come se mi stesse confidando chissà quale segreto.
«Uhm...sì.» risposi, stranita.
La ragazza s'affrettò verso il bancone, afferrò una biro e un tovagliolo e me li porse entrambi.
«Ti prego, fammi fare un autografo da Harry Styles.» mi chiese guardandomi con occhi supplicanti. «Sto lavorando, non posso uscire da qui...ti prego, dimmi che lo farai, ti prego.»
«Uhm, non lo so...sai, sta praticamente dormendo.» mentii. O forse no?
«Dài, prima eravate seduti vicini, vi ho visti.» affermò decisa. Mi ritrassi leggermente da lei, stupita che qualcuno avesse già notato la nostra sistemazione con le felpe. La cameriera congiunse le mani e mi fissò ancora. «Per favore, solo un autografo. Ah, e mi chiamo Tiffany.»
«Arrivo.» sospirai. Presi i caffè, il tovagliolo, la biro e tornai da Harry.
Il ragazzo, vedendo che gli allungavo una penna e un pezzo di carta come una delle sue tante fans, mi guardò interrogativamente.
«Una ragazza di Starbucks. Si chiama Tiffany. Mi ha quasi pregata in ginocchio.» spiegai velocemente prima che potesse aprire bocca. Harry annuì, firmò rapidamente l'autografo senza nemmeno guardare e mi ridiede il tovagliolo.
Quando lo riportai alla cameriera dovetti dirle più volte di abbassare la voce per quanto stava squittendo. Mi ringraziò un'infinità di volte e mi fece quasi tenerezza quando la vidi rigirarsi fra le mani quel pezzo di carta stropicciato con gli occhi che brillavano. Entrambe ci augurammo buon Natale, e quando tornai a sedermi vicino a Harry ero molto più sveglia e soddisfatta di quando me n'ero andata. Tanto sveglia da avere energie per affrontare una conversazione con Harry, cosa non sempre facile.
«È quasi svenuta.» risi, sistemandomi di nuovo sulla felpa blu elettrico. Harry alzò nuovamente le spalle, un gesto che ripeteva molto spesso, e diede un'altra lunga sorsata al suo cappuccino bollente. Esitai prima di rivolgergli ancora la parola e tossicchiai, ma alla fine presi il coraggio a due mani e parlai. «Posso farti una domanda?»
«Se devi...» sospirò. Si mise a sedere a gambe incrociate, mentre invece io le allungai comodamente per terra. Avevamo tutti e due le schiene e le teste appoggiate contro la colonna con le nostre spalle che si sfioravano; entrambi guardavamo dritto davanti a noi, senza mai girarci verso gli occhi dell'altro.
«Ti sei davvero abituato al successo? Voglio dire, quando le ragazzine svengono davanti a te, piangono, ti dicono che ti amano...ti sorprendi ancora?» chiesi tutto d'un fiato, come se avessi paura che qualcuno mi tappasse la bocca all'improvviso.
«Beh...» tossì Harry, mentre pensava alla risposta. «Mi ci sono abituato perché ormai mi succede sempre, ovunque io vada, ma il fatto che ormai ci abbia fatto l'abitudine non significa che non mi faccia piacere.»
Ottima risposta.
«Ogni tanto vorresti non essere famoso?» chiesi ancora, sfruttando al volo quel piccolo spiraglio che Harry mi stava concedendo.
«Non essere sciocca.» ridacchiò. «Se potessi vivere facendo ciò che ti piace, essere amata da un sacco di gente e guadagnare un sacco di soldi non ti piacerebbe?»
«Effettivamente sì.» riconobbi. «Te lo chiedo perché a volte non mi sembri...soddisfatto.»
Harry sbuffò e scosse la testa, infastidito. «Non cercare di fare psicologia spicciola, Edith. Ovvio che sono soddisfatto. Non posso avere sempre un sorriso da orecchio a orecchio, ti pare?» affermò con un tono di voce deciso.
«Già.» sospirai, richiudendomi nel mio silenzio. Fu lui a ricominciare a parlare, con mia grande sorpresa.
«Come mai tutte queste domande? Intervista improvvisata?» mi prese in giro.
«Sono solo curiosa, tutto qui. La tua vita è così diversa dalla mia, io non c'entro nulla con voi della band...»
«Ti sei integrata bene, però.» ammise, stiracchiandosi un po'. «Piaci addirittura a Louis e Zayn, che è tutto dire.»
Sorrisi, lieta per quello che mi aveva appena detto. Avrei voluto rispondergli che però non piacevo a lui, ma non avevo voglia di sentirmi ripetere che era vero.
«Anche io mi trovo bene in sala, ho imparato tantissime cose. Quando arriverò a casa mia sorella vorrà sapere tutto nel dettaglio, immagino.» dissi rendendomi conto di che interrogatorio senza fine avrei dovuto sopportare una volta tornata a Manchester.
«Tua sorella è appassionata di musica?»
«Mia sorella è appassionata di voi One Direction, è diverso.» spiegai. «Quando le ho detto che avrei lavorato con voi era al settimo cielo, come se dovesse farlo lei stessa.»
«Non ti ha contagiata, però.» disse Harry.
«È diventata una Directioner due anni fa, e io ero già qui a Londra per l'Università.» mi giustificai.
«Hai solo una sorella?» chiese Harry.
Dio. Harry Styles mi stava facendo delle domande personali. Non mi stava rispondendo sgarbatamente. Va bene, non era esattamente la definizione dell'espansività e non mi guardava in faccia, ma era già qualcosa, anche se entrambi continuavamo a tenerci sulla difensiva.
«No, ho anche un fratello più grande. Magari lo vedrai nell'aeroporto di Manchester, viene a prendermi lui.» risposi. «Uhm...tu, invece? Figlio unico?»
«Ho una sorella maggiore.» spiegò. Il tono malinconico della sua voce mi ricordò terribilmente quello di Louis quando mi aveva parlato di Eleanor.
«Ogni quanto vedi la tua famiglia?» gli chiesi. «Sei pieno di impegni e immagino tu non possa durante il tour...»
«Già.» mi diede ragione Harry. «Troppo poco, comunque. Sono passato da vivere in un paese di provincia immerso nel verde a vedere la mia famiglia ogni quattro o cinque mesi.»
«È bello che ti manchino.» sospirai guardando dritto davanti a me. «Cioè, voglio dire, lo so che non è divertente per te, ma quando qualcuno ti manca davvero vuol dire che ha un posto importante nella tua vita.» mi corressi.
«A tutti manca la propria famiglia.» ribatté Harry. Vedendo che non gli rispondevo parlò di nuovo, questa volta in modo più incerto. «A te...no?»
«No. Cioè, sì, un pochino, ma non tanto.» balbettai. Bene, mi stavo accartocciando su me stessa. Presi un respiro e cercai di spiegarmi al meglio. «Io e la mia famiglia abbiamo un rapporto...particolare. Mia madre e mio padre sono stati sempre troppo concentrati a curare la loro vita sociale, che io ho sempre detestato. Mia sorella è identica a mia madre. L'unico simile a me è mio fratello, ma non lo vedo molto spesso perché studia ad Aberdeen.»
«E tu sei scappata a studiare a Londra.» affermò, come se sapesse già la risposta.
Harry aveva capito qualcosa che mia madre e mio padre non avevano capito in due anni.
«Sì, praticamente sì.» risi. «Ho provato a convincere me stessa e i miei genitori che l'Università di Londra fosse di gran lunga migliore di quella di Manchester, ma la verità è che...la verità è che volevo solo andare via.»
Vidi Harry sorridere con la coda dell'occhio, ma non mi scomodai a voltarmi.
«Allora, adesso te la faccio io una domanda.» esordì. «Come mai hai deciso di diventare una giornalista?»
La domanda riguardo al giornalismo. Un classico, e un terreno minato in quel caso. Forse era il momento di cercare di far capire ad Harry che non avevo intenzione di raccogliere più fatti possibili della sua vita privata e sbatterli in prima pagina su un tabloid.
«Perché scrivere è quello che so fare.» risposi passando le mani sulle pieghette dei miei jeans. «È la cosa che mi riesce meglio, che mi soddisfa, che non mi tradisce mai. Ho cambiato tante passioni da quando ero piccola, ho cambiato amici e abitudini, ma se c'è una cosa sulla quale non ho mai dubitato è la scrittura. L'Università l'ho scelta ad occhi chiusi.» aggiunsi sorridendo.
Harry annuì, serio e concentrato come se gli stessi spiegando dei concetti di fisica quantistica.
«La mia è una passione, tutto qui.» continuai a spiegare. «Come la tua per il canto.»
«Tanti tuoi colleghi sono delle teste di cazzo.» affermò senza troppi mezzi termini dopo essere stato zitto per un po' di tempo. Naturalmente si era accorto di essere stato fin troppo amichevole e si era subito rimesso sui suoi passi.
«Anche tanti tuoi colleghi sono delle teste di cazzo, se la metti su questo piano.» ribattei.
«Ma i cantanti sono artisti, sono fuori di testa per definizione.» disse.
«Sarà.» sospirai. Non avevo voglia di discutere, ma il mio tono di voce gli fece capire molto chiaramente che non ero per nulla d'accordo con lui. «Ma tu non sei fuori di testa, però.» puntualizzai.
«Abbiamo diciannove anni, Edith. Abbiamo ancora tempo, io di diventare un cantante fuori di testa...»
«...e io una testa di cazzo. Afferrato il concetto.» conclusi.
Harry si lasciò scappare una risatina a sbuffo. Stava per aggiungere qualcosa quando lo schermo del suo iPhone s'illuminò e Harry dovette rispondere. Andò a parlare lontano, vicino alle vetrate dell'imbarco, e per una buona mezz'ora lo vidi annuire, gesticolare e camminare avanti e indietro; non riuscivo a capire cosa dicesse, ma reclinai la testa contro la colonna, chiusi gli occhi e stetti semplicemente ad ascoltare il suono ruvido della sua voce in lontananza.

«Uhm...Edith?»
Una voce raggiunse le mie orecchie a rallentatore, ovattata, e qualcuno mi scosse. Sbattei le palpebre lentamente e la luce dell'aeroporto mi sembrò quasi accecante. Il caffè evidentemente non era stato abbastanza, pensai, perché nonostante ne avessi bevuto un bicchiere enorme ero riuscita ad addormentarmi.
Solo dopo qualche secondo mi resi conto di avere la testa appoggiata su qualcosa di leggermente duro e un po' scomodo che si alzava e abbassava lievemente e ritmicamente.
Qualcosa tipo una spalla.
Una spalla?
Quando realizzai di avere la testa comodamente poggiata sulla spalla di Harry spalancai gli occhi e mi misi subito a sedere, passandomi una mano sul viso.
«Sono le due, si parte.» mi annunciò soltanto, alzandosi. Non trovai null'altro da dire, la bocca impastata dal sonno; lo imitai e presi le mie valigie dirigendomi verso l'imbarco. Per fortuna Harry non fece commenti sul fatto che lo avessi praticamente usato come cuscino e prima di salire sull'aereo tre o quattro distinti signori gli chiesero un autografo probabilmente -sperai per loro- da portare alle figlie.
Ero talmente abituata a volare in Economy che, quando Harry si fermò nella prima classe, pensai anche che avesse sbagliato. Solo dopo mi accorsi che avremmo dovuto viaggiare uno affianco all'altra ma, vedendo gli occhi verdi del ragazzo molto stanchi, capii che probabilmente si sarebbe addormentato dopo il decollo.
«Dài, un'oretta e siamo arrivati.» incoraggiai forse più me stessa che lui mentre una hostess illustrava tutte le misure di sicurezza in caso di emergenza. Quando ebbe finito, Harry scivolò ancora più in basso sul sedile, si avvolse nella coperta chiara offerta ai passeggeri dall'aereo, si infilò le cuffie e mi rivolse un'occhiata.
«'Notte.» mi disse soltanto. Chiuse gli occhi e qualche secondo dopo sentii della musica rimbombare nelle sue Beats.
Lo guardai per qualche minuto mentre s'addormentava, cullato dall'aereo; dopo poco però chiusi gli occhi anche io e scivolai nel sonno.

I passi di Harry risuonavano sul marmo dell'aeroporto di Manchester. Era chiaro che era abituato a viaggiare spesso; se prima di partire infatti l'avevo visto molto stanco, in un'ora e mezza di sonno i suoi occhi verdi erano svegli esattamente come tutti i giorni e sembrava avesse recuperato tutte le energie. Io ero esattamente l'opposto: avrei voluto sembrare fresca e riposata anche la metà di lui, ma a giudicare dai miei vestiti e dai miei capelli sembrava che avessi subìto una centrifuga dopo essere stata lanciata in una lavatrice.
Uscimmo da una porta che dava sul parcheggio dove avrei trovato la macchina di mio fratello. Appena misi il naso fuori dalla porta vidi che stava ricominciando a nevicare e notai in lontananza l'auto di George con i fari già accesi.
Harry, che camminava davanti a me, si strinse nel cappotto e io mi abbassai ancora di più il cappello sulla fronte per cercare di nascondere le condizioni disastrose dei miei ricci sempre più gonfi per l'umidità. Il ragazzo si voltò verso di me e mi stupii di vedere che era chiaramente imbarazzato.
«Uhm...grazie per la chiacchierata, Edith.» mi disse.
«Grazie per aver chiacchierato con me.» sorrisi alzando le spalle.
«Allora buon Natale.» mi augurò.
Ci avvicinammo goffamente l'uno all'altra, come due bambole che non s'incastrano l'una con l'altra, ma alla fine ci stringemmo in un abbraccio. Per dieci secondi non fui più una "pericolosa" giornalista, lui non fu più una pop star di successo: eravamo noi, solo noi, Harry ed Edith, due diciannovenni che si abbracciano sotto la neve, perché alla fin fine non eravamo nient'altro che quello.
Stavo sciogliendo il nostro abbraccio quando vidi Harry esitare. Non si scostò del tutto da me.
Il mio viso era ancora affianco al suo e prima che potessi allontanarmi Harry si voltò in modo fulmineo e appoggiò le sue labbra sulle mie.
Fu un secondo, un attimo, un battito di ciglia, talmente rapido che, quando il ragazzo riccio si allontanò, mi sfiorai le labbra con le dita come non fossi sicura di ciò che era successo. Magari non l'aveva fatto apposta. Anzi, molto probabilmente. Avrà girato la testa e avrà sbagliato, pensai. Succede tantissime volte.
«Scusami, davvero.» esclamò Harry. Si allontanò da me passandosi nervosamente una mano fra i capelli e guardando da un altra parte. «Sono un coglione.»
La sua espressione era talmente angosciata e contratta che dovetti trattenermi per non scoppiare a ridere. Insomma, non ero propriamente come tutte le modelle che si portava a letto, ma non avrei mai pensato che baciarmi gli avrebbe provocato uno sgomento simile.
«Harry, va tutto bene.» risposi, mordendomi il labbro inferiore per non lasciarmi sfuggire una risata.
«No, ti devo delle scuse. Ho sbagliato, seriamente.»
Manco mi avesse gonfiata di botte.
«Edith, facciamo finta che non sia successo niente. Sono stanco, non volevo, mi dispiace. Non è successo niente. Intesi?» disse Harry tutto d'un fiato, come fanno i bambini per discolparsi per qualche disastro.
«Ma certo. Intesi.» sorrisi. «Buon Natale.»
Presi il mio trolley ed iniziai a camminare verso la macchina lontana di mio fratello che vedevo a malapena a causa della neve sempre più insistente. Caricai la mia borsa nel baule e, mentre salivo in macchina, vidi Harry ancora in piedi che aspettava il suo taxi con le braccia incrociate.
«Dee!» esclamò George stringendomi in un abbraccio appena chiusi la portiera. La barbetta incolta di mio fratello mi solleticò la guancia: stava diventando sempre più uguale a mio padre. «Tutto bene? Com'è andato il viaggio?»
«George, hey, mi stai stritolando!» brontolai. «È andato tutto bene, come al solito con la neve si blocca tutto...»
George mise in moto e prima di partire si voltò verso di me.
«Dee, ma chi è quello? Ho visto che lo salutavi...» chiese indicando Harry.
Nella mia mente comparve il viso pentito e preoccupato del ragazzo riccio dopo avermi dato quel bacio al quale non avevo neanche risposto.
«Nessuno.» sospirai. «Dài, andiamo a casa.»
-
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Ehi! (:
Nuovo capitolo, yeeey! Spero davvero vi piaccia (:
Come tutte le volte ringrazio tanto tutti quelli che hanno recensito e messo la mia storia fra le ricordate/preferite/seguite...grazie davvero! Mi era stato detto di allungare ulteriormente i capitoli; in questo ci ho provato davvero, spero che così vada meglio.
Se avete qualsiasi cosa da dirmi, un complimento, un apprezzamento, una critica, un suggerimento lasciatemi una RECENSIONE, anche piccola piccola...mi fa sempre piacere.
Un bacio! :*

G.

  
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