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Autore: Aries Pevensie    30/08/2013    2 recensioni
Non credo nelle coincidenze, preferisco l'inevitabilità. Ogni evento è inevitabile. Se non lo fosse, non accadrebbe.
Dal prologo:
"Un sentimento a lui sconosciuto cominciò a fargli bruciare lo stomaco, mentre sentiva come una stretta al cuore e il respiro gli divenne doloroso. Era certo di poter resistere a quell’emozione, ma presto dovette ricredersi. Sapeva che doverla vedere tutte le mattine a scuola non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione, corrodendolo dall’interno. Sarebbe esploso, prima o poi. E allora si sarebbe messo una mano sul cuore e avrebbe chiesto il perdono di Janis. Ma come?"
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inevitabile

Ritorni e dipendenze





“Tesoro?”, zia Linette aprì leggermente la porta della camera di Janis e infilò la testa all’interno, scrutando l’ambiente buio e impregnato di fumo di sigaretta, “Jan, ci sono Melory e Carol in salotto. Perché non vieni giù?” disse titubante. Era passata una settimana dal grave lutto che aveva colpito la famiglia Ryan, ormai composta solo dalla giovane Janis, che ancora non era riuscita a superare il trauma e sfogava il suo dolore fumando e dormendo, ignorando completamente i tentativi della zia di portarla alla normalità e a farle mangiare qualcosa.
Come tutte le altre volte, Linette ricevette un lungo sospiro in risposta, ma questa volta le sue parole ebbero effetto sulla nipote, che di fatto si alzò dal letto e barcollò fino alla porta, che la donna spalancò, facendosi da parte per far passare la giovane, commossa dal tentativo riuscito. Colse l’occasione per addentrarsi nella stanza e aprire le finestre per arieggiare e far vedere a quelle quattro pareti un po’ di luce solare.
Melory e Carol erano sedute sul divano, la prima teneva le mani in grembo e si torturava le unghie, l’altra si guardava intorno, pregando che la loro amica scendesse quei pochi gradini e tornasse a farsi vedere, dopo quei sette giorni passati chiusa in camera sua a fare Dio solo sa cosa. Udirono dei passi incerti sul pianerottolo ed entrambe scattarono in piedi, trovandosi davanti la loro amica, quasi ridotta ad un ologramma spaventoso; indossava una maglietta grigia che le arrivava a metà coscia, le gambe ridotte a due stecchini, le borse sotto gli occhi, i capelli spettinati e una terribile puzza di fumo sulla pelle. Si avvicinarono a lei molto lentamente, le lacrime che minacciavano di uscire e il groppo in gola.
“Jan…” mormorò Melory, stringendola in un delicato abbraccio, mentre Carol rimaneva distante qualche passo, aspettando il proprio turno per salutare l’amica.
Si accomodarono sul divano, Janis in mezzo alle altre due, esclusivamente in silenzio, come se qualcosa si fosse incrinato anche nella loro amicizia, oltre che nel cuore della rossa.
“Quando torni a scuola?” domandò Carol, la voce ridotta ad un sussurro, quasi come se temesse che la sua curiosità potesse offendere Janis, che scrollò le spalle e aggrottò le sopracciglia.
“Pensavo di tornare domani…” ammise con un filo di voce, che risultava davvero strana alle orecchie degli altri. Non parlava e, soprattutto, non piangeva dal giorno del funerale e Linette temeva che il suo silenzio sarebbe durato ancora a lungo.
“Allora cosa ne dici di fare una bella doccia e poi ripassare insieme a noi gli appunti che ti abbiamo portato?” propose Melory, alimentata dal desiderio di rivedere Janis vivere la sua vita, facendo tesoro delle sue esperienze, ma senza buttarsi giù.
 
Era raro vedere il sole a Bradford, ma quello che splendeva timido la mattina d’inverno in cui Janis mise piedi fuori casa, bastò a scaldarle le ossa, rimaste troppo tempo al buio. Inspirò a pieni polmoni e si sistemò la borsa in spalla, avviandosi lungo il marciapiede in direzione dell’ingresso della sua scuola. Sebbene l’aspetto esteriore dicesse il contrario, Janis non si sentiva affatto felice e propositiva, ma avvertiva una voragine all’interno del suo petto, il sangue gelato e denso, i muscoli deboli e senza tono.
Una decina di ragazzi si voltarono nella sua direzione, additandola e scambiandosi cenni di assenso. Janis si sentì sotto esame, ma non fece altro che non fosse accelerare per avvicinarsi più velocemente a Melory e Carol, che l’aspettavano sotto al portico, nel solito posto dove si incontravano tutte le mattine. Le due ragazze l’accolsero con un sorriso enorme ed un abbraccio di gruppo, mentre Janis si sforzava di sembrare almeno un po’ felice. Doveva farlo per papà, per mamma e per Oliver. Doveva farlo per zia Linette e per le sue migliori amiche.
Doveva sembrare serena agli occhi del mondo, ma moriva dentro.
Da un angolo del cortile, un ragazzo osservava Janis ricambiare con flemma il saluto delle sue amiche e sospirò, prima di sobbalzare sotto il tocco poco aggraziato di un amico.
“Zayn, è appena tornata e già la mangi con gli occhi?”
Louis e la sua solita delicatezza nel chiedere le cose. Zayn lo fulminò con lo sguardo e stirò un sorriso malandrino.
“Di cosa stai parlando?”, si scrollò di dosso il braccio di Louis, si voltò e si passò una mano sulla nuca, accarezzando i capelli tagliati da poco ed evitando chiaramente di guardare l’amico, che fece schioccare la lingua contro il palato e gli circondò di nuovo le spalle con un braccio.
“Sto parlando della Ryan! Ti crea già dipendenza, quella ragazza: non fai che guardarla” disse con tono ovvio, indicando la ragazza con il bicchiere contenente il suo terzo caffè della mattinata. Zayn sussultò, colto in fallo, sebbene sapesse che Louis aveva frainteso tutto. Lui non stava “mangiando con gli occhi” Janis, la stava controllando. Voleva essere sicuro che stesse bene e aveva capito benissimo che la ragazza stava fingendo, che in realtà dentro di sé aveva una voragine che minacciava di risucchiarla.
“Non vorrei disturbarvi, ma siamo in ritardo!” annunciò Liam. Niall sbuffò e scese dal muretto su cui era seduto, si caricò il suo zaino in spalla e si avviò verso l’ingresso insieme agli altri.
“Sei appena arrivato e già rompi?!” scherzò, per poi esibirsi in una risata sguaiata, che riecheggiò nel cortile.
Passando accanto a Janis, Melory e Carol, Zayn non riuscì a fare a meno di voltarsi e sorridere dolcemente alla prima, guardandola negli occhi segnati da profonde occhiaie. Ed ecco che di nuovo un sentimento forte gli attanagliò le viscere, facendogli passare immediatamente il buon umore. Con uno scatto tornò a guardare davanti a sé, mentre Louis lo trascinava dentro.
Janis aggrottò le sopracciglia e si passò una mano tra i capelli rossicci, sospirando. La campanella sarebbe suonata da un momento all’altro e non c’era tempo per fumarsi una sigaretta e la cosa le scocciava particolarmente. Seguì le sue amiche fino ai loro armadietti, dove depositò tutti i libri, per prendere solo quelli delle ore immediatamente successive.
“Ciao Janis…” mormorò una ragazza alta, i capelli stretti in una coda di cavallo ed il fisico da modella; sul suo viso era dipinto un sorriso falso quanto le banconote del Monopoli e cercava di non lasciarsi sfuggire l’imminente risata, ma gli occhi tradivano tutto il suo divertimento. Marcy Coleman, la ragazza più popolare della scuola, ma anche la più stronza di Bradford.
“Coleman” tagliò corto Janis, infilandosi un pacchetto di Philips Morris nella tasca della felpa e chiudendo l’armadietto con forza. Non aveva alcuna voglia di parlare con qualcuno, tantomeno con Marcy, che da che mondo è mondo non la sopportava e non perdeva un secondo per deriderla.
“Fumare fa male…” continuò l’altra, ma Janis si voltò e si incamminò lungo il corridoio, “Mi hai sentito, Ryan?”
Se c’era una cosa che Marcy Coleman odiava, quella era proprio essere ignorata da chi, nella gerarchia scolastica, le stava sotto. Ma se c’era una cosa che Janis Ryan sapeva fare, quella era ignorare chi non le andava a genio.
“Con chi ce l’ha la tua ragazza?” domandò Louis, avvicinandosi a Zayn, che riempiva lo zaino di quaderni da disegno e matite. Il moro scrollò le spalle e lanciò una veloce occhiata al corridoio.
“Marcy non è la mia ragazza” disse solo, senza staccare gli occhi di dosso dalla schiena dritta di Janis, su cui ricadevano morbidamente i suoi capelli castano-ramati.
“Lei lo sa?” scherzò, battendogli una mano sulla spalla nel momento esatto in cui Marcy si avvicinava facendo ondeggiare i fianchi.
“Ciao Zayn!” salutò con tono languido, allacciando le braccia al collo del moro, che non accolse di buon grado quel gesto e si divincolò in fretta, storcendo la bocca e arricciando il naso. Improvvisamente le attenzioni di Marcy lo rendevano nervoso, insofferente. O forse era il modo in cui lei aveva trattato Janis a dargli fastidio.
“Che ti prende?” squittì lei, sgranando gli occhi. Zayn scrollò il capo e si allontanò, lasciando lì Marcy e portandosi dietro Louis, che aveva assistito alla scena e ne era rimasto perplesso.
 
Le ore sembravano non passare mai e il bisogno di nicotina le faceva tremare le gambe. Aveva bisogno di uscire in cortile, sedersi sui gradini e fumarsi lentamente una sigaretta, lasciando la sua mente libera di vagare.
Quando la campanella del pranzo suonò, Janis non esitò e si precipitò al suo armadietto, in modo da lasciare lì tutto quello che non era il pacchetto di sigarette e l’accendino, per poi uscire nel cortile interno dell’edificio, sedendosi sul muretto che delimitava il portico. Fu lì che rivide il ragazzo che quella mattina le aveva sorriso; si chiamava Zayn Malik e aveva un anno in più di lei, ma per il resto non ne sapeva niente, perché Zayn faceva parte della schiera degli intoccabili, mentre lei era una normalissima studentessa, appassionata di letteratura e musica.
Zayn notò una ragazza dai capelli ramati seduta sul muretto, un ginocchio stretto al petto e l’altra gamba lasciata a penzoloni, mentre teneva una sigaretta tra le labbra e l’accendeva con calma. Sorrise sovrappensiero e decise di avvicinarsi, frenando poi la sua marcia nel momento in cui notò l’espressione persa di Janis, gli occhi colmi di lacrime e il labbro inferiore tremolante. Il cuore prese a martellargli nelle orecchie, la consapevolezza di essere la causa del suo dolore che non lo lasciava libero di respirare regolarmente. Si passò una mano tra i capelli corvini e sospirò, decidendo finalmente di avvicinarsi a lei e rivolgerle la parola.
“Hai da accendere?” buttò lì, anche se la risposta era ovvia. Janis sembrò ridestarsi, rizzò la schiena e sbatté un paio di volte le palpebre, poi annuì debolmente e gli passò il suo accendino rosso.
“Non sapevo fumassi…” continuò il ragazzo, appoggiandosi alla colonna vicino a lei, che aggrottò le sopracciglia e aspirò una boccata di fumo, scrollando le spalle.
“Voglio dire…non ti ho spiata, ma non ti ho mai vista uscire in cortile per farti una sigaretta”
Zayn si complimentò con se stesso per l’eterna figuraccia che aveva fatto, alzò gli occhi al cielo e si accese la sigaretta, per poi porgere l’accendino alla legittima proprietaria.
“Come ti chiami?”, una voce flebile giunse alle orecchie del ragazzo, che drizzò le spalle e guardò in direzione di Janis, che teneva gli occhi ancora puntati davanti a sé, la sigaretta tra le dita e le labbra schiuse a lasciare fuoriuscire un filo sottilissimo di fumo.
“Zayn” mormorò piano, abbassando la testa e passandosi una mano sulla nuca. Janis arricciò le labbra e si voltò lentamente nella sua direzione, osservandolo con gli occhi chiari e un’incredibile voglia di conoscere meglio quello strano soggetto, che sembrava intenzionato a non lasciarla sola durante la sua pausa sigaretta.
“Zayn…” ripeté, dopo aver constatato l’impenetrabilità degli occhi del moro. Janis odiava non poter capire una persona ancora prima di parlarci, c'era sempre riuscita. Ma con Zayn no, lui rappresentava come una membrana impermeabile e il suo sesto senso la metteva all'erta: non poteva essere nulla di buono. 
“Tu?” domandò titubante. Sapeva benissimo il suo nome, ma lei non conosceva lui e, cosa ancora più importante, non era cosciente delle sue colpe, di quello che lui le aveva portato via per colpa di uno stupido drink di troppo e per il quale non stava pagando e non avrebbe pagato.
“Janis, ma dovresti saperlo: non fanno altro che parlare di me…”, aspirò un’altra boccata di fumo e chiuse gli occhi, per poi riaprirli colmi di lacrime.
Zayn si sentì un verme, la coscienza sporca e la faccia tosta di avvicinarsi a lei, sebbene sapesse di essere la causa del suo enorme dolore e di quel labbro tremolante, di quelle lacrime brucianti e di quello sguardo perso. Fece un passo verso di lei, staccando le spalle dalla colonna, si sedette vicino a lei sul muretto e rimase qualche secondo in silenzio, osservando la sigaretta che teneva tra le dita.
“Fregatene” disse semplicemente, incapace di formulare una frase di senso compiuto senza risultare un beota in evidenti difficoltà linguistiche.
“Non sai quanto mi piacerebbe. Mi trattano come un’appestata…”, si guardò i piedi e sospirò, “Forse era meglio se rimanevo a casa…”
“No!” proruppe Zayn con rapidità, forse troppa, perché lei lo guardò confusa e sorpresa.
“Voglio dire, c’è chi sa che non sei un’appestata e che non è colpa tua se sei…” si bloccò. Cos’era lei? Era orfana, era ferita, era sola. Ed era tutta colpa sua.
“Se sono la causa di tutto questo…” terminò lei. Il ragazzo scrollò il capo impercettibilmente. Davvero lei si accusava di quello che era successo, di quel terribile incidente, delle lamiere accartocciate e dell’orribile rumore seguito poi dal silenzio? Davvero lei, la creatura più bella, fragile e complicata che lui avesse mai visto, pensava che sua madre avesse perso la vita per colpa sua?
“Non sei affatto la causa di tutto questo! È stato un incidente” cercò di rincuorarla, ma lo sguardo gelido che lei gli rivolse gli fece morire in gola qualsiasi altra parola.
“Sono rimasta l’unica della mia famiglia. Sono io che porto sfiga e qualsiasi cosa io tocchi, fa la mia stessa fine e mi segue nel baratro.”
Diede l’ultimo tiro alla sigaretta, la buttò a terra e la spense con un piede, poi si voltò verso Zayn, che ancora rimuginava sulle sue parole. Una strana sensazione le fece pulsare il sangue nelle vene, mentre in tutto il corpo sentiva un freddo intenso, come se il suo organismo avvertisse il pericolo. Che Zayn fosse il ragazzo di Marcy non le interessava, ma quella strana emozione di paura le fece rizzare i peli sulla nuca e le scatenò una scarica di adrenalina, per poi farle allungare una mano verso il suo viso tirato; gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, un accenno di barba le pizzicò i polpastrelli, mentre si avvicinava alle sue labbra, tra cui teneva la sigaretta quasi a metà. La prese dolcemente e se la portò alla bocca, prendendone una boccata e restituendogliela. Ancora quella scarica di ormoni, che le fecero chiudere gli occhi e rabbrividire. Sarebbe potuta diventare la sua dipendenza.
Zayn aggrottò le sopracciglia e la osservò allontanarsi velocemente e rientrare nell’edificio, mentre il suo stomaco si contorceva e nella sua testa tornavano le immagini di una donna protesa verso il corpo esanime del figlioletto, sui sedili posteriori dell’utilitaria rossa. 


Aries' corner

Sono un disastro! Guardate qua quanto ci ho messo ad aggiornare, nonostante il capitolo sia una cosetta striminzita ed inutile! Chiedo umilmente perdono e dico solo che è tutta colpa dell'università! Sono dietro con la preparazione al test di ammissione ad infermieristica e non ho avuto uno straccio di tempo per scrivere! Spero mi perdoniate e accettiate le mie scuse! Vi prometto che il prossimo capitolo sarà più corposo e meno ambiguo! Scusate scusate scusate!!

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito e spero che non siate rimasti delusi da questo piccolo obrobrio! 

Al prossimo capitolo!!!

Horan Hugs
Mariuga

 
   
 
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