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Autore: Subutai Khan    01/09/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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18 febbraio 2012.
Credevo di averle viste tutte.
Vecchi e vecchie dall’aura potentissima e spesso rivolta contro di me, tizi dalla lingua mostruosamente lunga e dalla bocca mostruosamente grossa, pattinaggio marziale, ginnastica ritmica marziale, cheerleading marziale... sì, la mia vita tendeva a ruotare attorno a quello. E spiriti gatto, spiriti acquatici, spiriti quelchetipareatechetantounol’hodisicuroincontrato.
Ho sempre avuto una routine a dir poco strana.
Poi quello che credevo avrebbe scardinato ogni limite senza possibilità di essere superato: in un solo giorno, era ottobre, ho visto tutto quello che mi circondava andare in microscopici frantumi. Talmente piccoli che se provi a raccoglierli ti rimane la scheggia sottopelle, di quelle che fanno un male della malora.
In poche ore mi sono morte attorno due delle persone più importanti per me: Akane ed Ukyo.
Ed entrambe per colpa mia.
Più o meno, più o meno. Non le ho di sicuro uccise di mia mano. La mia mancanza è stata più che altro quella di non essere stato abbastanza veloce.
Con Akane non sono neanche riuscito ad accorgermi del pugnale di Mousse che volava imperterrito verso la sua gola e che gliel’ha attraversata.
Con Ukyo non sono proprio stato in grado di levarla di mezzo, di spostarla dalla traiettoria del pugno assassino di Ryoga che avrebbe dovuto colpire me e portare a termine il lavoro di cui si era fatto carico, che era ammazzarmi.
Lui probabilmente pensava che quello sarebbe stato un crimine, una cosa riprovevole. Ma si sarebbe sbagliato. Non era altro che un atto di pietà, un porre fine a quel continuo dolore che da qualche ora era per me il solo atto di respirare.
Ogni inspirazione. Ogni espirazione. Una martellata.
Mi ricordava che Akane non aveva più quel privilegio.
A conti fatti io ero già morto, sin dal preciso istante in cui l’ho vista cadere per terra nel giardino sul retro del Nekohanten, il collo perforato e una macchia rossa che si espandeva di secondo in secondo.
Era solo stupida biologia, e un po’ di stronzaggine, a non darmi la pace del sonno eterno che meritavo.
E allora ho pensato di rimediare a questa grave mancanza. Ho fatto chiamare la polizia e ho detto loro che ero un killer. Ok, non era proprio tecnicamente corretto ma, per quanto mi riguardava, non risultava neanche troppo diverso dalla verità.
Di fronte a un reo confesso -parole di cui ho scoperto il significato solo molto dopo, troppo complicate per me- non hanno avuto altra scelta che portarmi in guardina, se non altro per accertarsi che non fossi un bugiardo seriale o un mitomane. Poi hanno fatto tutte le loro indagini, con i loro stupidi cappelli da Sherlock Holmes e le lenti di ingrandimento e le pipe piene di cocaina, e sono riusciti nella mirabolante impresa di considerarmi colpevole materiale di entrambi gli omicidi. Nonostante non ci fosse una singola prova schiacciante a mio carico.
Era quello che volevo, non ci si lasci ingannare dal tono sarcastico. Dico solo che, a quanto pare, la polizia giapponese è composta da macachi.
Pertanto me ne stavo buono buonino nel braccio della morte attendendo la mia sentenza. Oh già, abbiamo ancora la pena di morte in vigore anche se non viene usata troppo spesso. Per un sedicenne presunto duplice omicida hanno fatto una mezza eccezione, eccezione per la quale li ringrazio. Dicevo, me ne stavo lì bel bello, con il mio lavoro sfiancante di spaccapietre sotto al sole cocente d’agosto quando è suonata la sirena di fine turno e ce ne siamo tornati in cella. Non mi hanno neanche lasciato fumare una sigaretta. Cattivi cattivissimi.
Ero stanco e sudavo acido. Perciò, quando è successo, ho creduto di avere le allucinazioni. Non sarebbe neanche stata la prima volta che mi passavano davanti agli occhi immagini create dalla mia mente.
Solo che questa era un’allucinazione particolarmente ostinata perché non se ne voleva andare. Non se n’è andata ancora adesso, a distanza di parecchie ore.
E cos’è successo? Oh, nulla. Ho solo aperto la porta del bagno della mia stanzetta due per due... ritrovandomi in una casa che non riconoscevo, di fronte a gente che non riconoscevo.
O che credevo di non riconoscere.
Ho avuto bisogno di quattro secondi quattro. Poi una delle tre facce mi ha travolto con la forza di una locomotiva ad uranio: era Akane.
Era. Akane.
Viva, di fronte a me.
Tralasciamo l’inspiegabile spostamento che mi ha portato dal carcere che mi ha fatto da casa nell’ultimo anno e mezzo a quella che, ho scoperto in un secondo momento, è casa Ono. Per ora me ne disinteresserò.
Avevo Akane davanti.
Era praticamente identica al giorno in cui è morta.
Il mio corpo si è mosso da sé e ha deciso che la cosa migliore da fare fosse abbracciarla. Stretta. Più stretta. Ancora più stretta.
Senza neanche sapere bene cosa stessi dicendo le ho chiesto scusa per non aver saputo proteggerla come meritava. Ho idea di averla quasi asfissiata da tutto l’impeto che ci ho messo.
Nessuna domanda su dove fossi finito e sul come, sul perché me la fossi ritrovata davanti, su chi fossero gli altri due. Nessuna. Ho agito per puro sentimento, con buona pace della mia striminzita parte razionale che in quel momento era seduta sulla tazza del wc ad evacuare e non voleva saperne niente.
Ha sussurrato “Mi... mi soffochi...”. E io, da bravo ragazzo quale sono, l’ho prontamente mollata.
Uno dei due che non ho riconosciuto, il maschio, ha d’un tratto levato le tende correndo via. Bof, chissenefrega. Invece l'altra -che comunque non mi era del tutto estranea, ma non riuscivo ad inquadrarla- mi si è avvicinata, mi ha sfiorato la guancia con il dorso della mano e senza preavviso alcuno mi ha stretto le braccia al collo.
È stato il mio turno di essere preso in contropiede.
“Ranma, Ranma... tu non hai idea di quanto mi sia mancato, anche se non so da dove vieni...”.
Eh? Chi sei? Che vuoi?
Ed eccoci qui, ad oggi.
Alla camera di Akane. A lei seduta sul letto e io sulla sua sedia girevole.
Ci guardiamo. E siamo decisamente imbarazzati. Fra l’altro dovrò prima o poi chiedere scusa alla ragazza che ho rischiato di stritolare.
Io poi non sono solo imbarazzato. Sarebbe pretendere un po’ troppo dal sottoscritto. Spero non si accorga che sto sudando.
“Ranma, finalmente abbiamo un momento di pace in cui posso parlarti”.
“Sì, ma io...”.
“Fai ancora fatica a capirci qualcosa, vero?”
“Qualcosa? Non ho capito nulla di nulla”.
“Sei un novellino, è normale. Datti uno o due mesi e ci farai l’abitudine”.
“Uno o due mesi?”.
“Ah già, non ti ho detto da quanto sono qua”.
“Qua? Cosa vuol dire qua? Perché parli come se fossi dove non devi essere?”.
“Ma insomma, nessuno si è preso la briga di dirti qualcosa?”.
“Niente di niente”.
“A Shinichi devo ancora una castagna per quella faccenda lì, ora saranno due. No, ma sul serio. Non ci posso credere. Tu hai dormito in questa casa senza sapere?”.
“Esattamente”.
“Kasumi e Tofu stanno invecchiando, evidentemente. Bene Ranma, comincerò con le domande di rito: quanti anni hai e che anno pensi che sia?”.
Scusa? Che razza di domanda è?
“Non credo di aver capito...”.
“So che ti sembra stupido ma per favore, assecondami”.
No. Non può aver già intuito che non sono in condizione di rifiutare una sua qualunque richiesta. Anche se è castana e con una orribile cicatrice in faccia.
Sì, l’unica cosa che ho capito bene di questo gigantesco casino è che lei è Akane, non l’altra. Devo ancora trovare una spiegazione plausibile al suo essere rediviva. E a un sacco di altri quesiti.
È straniante. Doloroso. Ma è la sola base a cui ho deciso di aggrapparmi con tutte le mie forze, dopo essere stato catapultato in questo posto. Spettro, cyborg, clone o qualunque cosa sia mi ha detto di essere Akane. E questo mi basta. Me lo faccio bastare.
Quindi mi tappo il naso e le rispondo: “Ranma Saotome, classe 1973, diciotto anni. È il 1991”.
Alza la testa al cielo e ride lievemente. Sembra molto divertita dalla mia confusione.
“Gli assomigli davvero molto...”.
“A chi assomiglio?”.
“Non ora. È troppo presto”.
“Ma...”.
“Ho detto non ora. Non disubbidirmi”.
Sì, l’ha intuito. Abbasso la testa.
“Va bene. E posso anche chiederti perché indossi una divisa da carcerato? Certo che Akira o Shinichi potevano imprestarti qualcosa di meno brutto”. A quel poco che ho capito Shinichi è il tipo che stava con loro quando sono arrivato, mentre non ho la minima idea di chi sia questo Akira.
La domanda è molto meno innocua di quella che l’ha preceduta.
Tentenno. Non poco.
Alla fine, dopo false partenze e sillabe mezze mangiate, riesco a formulare qualcosa di minimamente sensato: “Ecco... ero in prigione... perché...”.
“Perché?” mi incalza.
“Perché... io... ti ho uccisa...”.
Salta subito all’indietro, palesemente intimorita.
“Tu hai fatto cosa?”.
“No no, aspetta. Fammi spiegare meglio” mi affretto a correggere. Non mi piace vederla così, in nessun caso e per nessun motivo “Non ti ho davvero uccisa, non materialmente. La colpa, del tutto involontaria, è stata di Mousse. È successo verso la fine del suo duello con Shan-Pu”.
“Duello? Questo... mi accende una lampadina in testa...”.
“Sì, il duello. Si erano sfidati all’ultimo sangue per via di quelle loro leggi del cacchio...”.
“...perché era saltato fuori che erano promessi sposi fin da piccoli ma nessuno dei due voleva saperne mezza”.
...
“Tu chi sei davvero?” le chiedo “Come fai a sapere queste cose?”.
“Io... io mi ricordo di quella scena. Poi per fortuna era arrivata Ukyo e si era messa in piedi quella spassosa finzione del fidanzamento lesbico...”.
Cosa? Fidanzamento lesbico?
Ma... ma veramente no.
“Un’altra domanda: prima di questa cosa, del... duello, sarà mica successo che Mousse aveva sconfitto Shan-Pu in allenamento proprio nel momento in cui io e te passavamo per caso di lì?”.
La pianti di leggere i miei ricordi, strega?
Non posso che confermare. È andata proprio così.
“Capisco. Evidentemente le nostre storie personali collimano fino a quel momento, per poi assumere strade diverse. Finisci di raccontare”.
Beata te che capisci. Io son più sperduto di un bambino in mezzo al bosco, da solo, di notte, col lupo mangiabambini che lo insegue.
Diamole corda, mi sembra comunque una che sa cosa sta facendo. Ed è Akane. Anche volendo non potrei fare nient’altro.
“Beh, quella è semplicemente stata la peggior giornata della mia vita. In poche ore ho visto morirmi davanti agli occhi te ed Ukyo, lei sventrata da un pugno di Ryoga che mi stava pestando a sangue dopo che gli ho raccontato cosa ti era successo. Poi quell’imbecille è andato a perdersi da qualche parte e io, per la seconda volta, sono rimasto accasciato per terra con il cadavere di una persona cara davanti”.
Mi trattengo un attimo. Rievocare tutto fa più male di quanto sospettassi. Lei è ovviamente sconvolta, con tanto di mano sulla bocca e occhi sgranati.
“Allora ho deciso di farla finita: l’ho portata nello studio del dottor Tofu, ho fatto chiamare la polizia e mi sono costituito per la sua e la tua morte. Mi hanno sbattuto in galera e, dopo un processo abbastanza ridicolo, condannato alla pena capitale. Stavo aspettando la mia meritata fine quando... è successo questo”.
In un primo momento non riesce a dire nulla, e io di sicuro non gliene farò una colpa. Poi pare scuotersi un attimo, mi guarda e mormora: “Porca eva... dalle tue parti la vita ha assunto una piega fin troppo tragica”.
Allora, la vogliamo piantare di parlare per enigmi?
“Scusa la brutalità, ma che cazzo vuol dire dalle tue parti? Ti degneresti finalmente di spiegarmi cosa mi sta accadendo? Cosa devo pensare di te, per esempio? Sei un’illusione, un fantasma, un parto della mia mente schiacciata dal senso di colpa? Perché ti vedo respirare di fronte a me quando il mio ultimo ricordo di te è un coltello che ti perfora la gola uccidendoti sul colpo?”. Freno a stento una lacrima che sento salire prepotente.
Bello. Sono ancora capace di piangere, allora.
Non fa una piega mentre si sistema in una posizione più comoda e si fissa verso di me: “Ok Ranma, è tempo di farti comprendere per bene come stanno le cose. Tu credi alla storia secondo la quale il mondo in cui vivi non è l’unico dei mondi possibili, ma anzi è solo uno dei tanti che realmente esistono?”.
Supposizioni da fantascienza di serie Z? Sul serio? Che cavolo le devo rispondere?
“A dire il vero non ci ho mai dato importanza. Con la vita piena che ho avuto sin dal mio arrivo a Nerima avevo altre urgenze. Dovresti saperlo”.
“In effetti sì, capisco. E non sei neanche il tipo da porsi certe domande. Allora lascia che risponda io per te: quella storia è vera. Esistono infiniti mondi paralleli”.
... quanti anni pensa che abbia, due e mezzo?
“Mi prendi per il naso, vero?”.
“Ti piacerebbe. No, è proprio così. Io ne sono la dimostrazione”.
“Tu?”.
“Io sono Akane Tendo, che tu ci voglia o possa credere o meno. Tu provieni da un mondo in cui sono morta in quella maniera orribile, io evidentemente no. Ranma, fammi capire bene: con tutto quello che hai passato fra specchi greci, serpenti a otto teste, marmocchi che sparano fuoco, acqua maledetta... è davvero così inconcepibile credere a una cosa del genere?”.
A metterla così no, neanche troppo. A ben guardare ho visto e avuto esperienza di cose altrettanto bizzarre.
“Ti dirò di più. Non solo io provengo da un altro mondo, ma tu e io siamo nella stessa situazione. Ci troviamo in un terzo mondo non nostro. E qui a nessuno dei due è andata bene. In questo momento della storia Akane Tendo e Ranma Saotome risultano deceduti da ventitré anni”.
...
È ufficiale: sono finito in una candid camera.
Non credo a quanto ho appena sentito. Non ci credo.
“Menti”. La mia è un’affermazione. Devo convincermene.
“Immaginavo avresti reagito così, per questo mi sono premunita. Girati e guarda cosa c’è sulla scrivania”.
Faccio come mi è stato detto e ci trovo un giornale.
“È il quotidiano di oggi. Prova a leggere la data”.
18 febbraio 2012.
Non sembra essere stata modificata in alcun modo.
Ma questa non è una prova. Sono solo delle cifre.
“Hai ancora lo sguardo del miscredente. Perfetto, ho il metodo per convincerti. Dammi due secondi”. Detto ciò estrae dalla tasca dei pantaloni un... cacchio è quell’affare? Non riesco a capirlo.
Pasticcia un po’ e se lo porta all’orecchio.
“Kasumi? Sono Akane. Sì, scusa se ti telefono mentre ci troviamo nella stessa casa, ma mi servirebbe un piacere. Potresti salire in camera mia?”.
“...”.
“Grazie mille. Ti aspettiamo”.
“Che cos’era quella trappola?”.
“Questo, intendi? È un cellulare. Un telefono portatile. Sono la norma nel ventunesimo secolo”.
“Sì, vabbè. Piuttosto, perché hai chiamato tua sorella?”.
“Lei non...”.
“Eccomi, Akane” ci interrompe qualcuno aprendo la porta. E ho di nuovo di fronte a me quella stranissima Kasumi. Stranissima perché... dimostra una quarantina d’anni.
Uhm. Aspetta, che in matematica sono sempre stato lento come un mulo da soma. Se è davvero il 2012...
Punto sotto la colonna Akane non sta mentendo.
Però, cavolo... l’ultima volta che l’ho vista Kasumi mi ha trapassato da parte a parte con uno sguardo glaciale. Mi sembra anche ovvio, era il momento in cui ho riportato a casa Tendo il corpo senza vita di sua sorella. La capisco. Ora invece mi osserva pacifica, un mezzo sorriso in volto. Mi ci devo riabituare.
“Urca, sei stata rapidissima. Grazie”.
“Ci mancherebbe. Con il nostro nuovo... ospite, ho pensato che fosse necessario”.
“Ti prego di scusarci, Ranma, ma prima di cominciare con la parte che ti riguarda avrei una domanda per lei”.
Mi limito a un cenno affermativo con la testa. Spero solo che non ci metta troppo.
“Kasumi, di grazia... perché avete lasciato questo poveretto all’oscuro della sua situazione per un’intera giornata? Con me, Akira e Genma non era andata così”.
In questo marasma di novità fa piacere vedere che l’espressione solare di Kasumi è sempre la stessa. Salterò a piè pari la citazione del nome di mio padre, per ora non ne voglio sapere nulla.
“Vedi Akane, con Tofu abbiamo deciso di darti un po’ di spazio... privato. E poi, senza offesa Ranma, il tuo aspetto non era dei più rassicuranti e ci è sembrato necessario prenderci un po’ di tempo per appurare che tu non potessi rappresentare un pericolo per la nostra famiglia. Sai, quello che indossi ci ha spaventati”.
“Sì, ma se fosse stato un malintenzionato ci avrebbe potuti sopraffare con facilità”.
“A quel punto non sarebbe cambiato nulla. L’unica che avrebbe avuto una pallida speranza di fermarlo saresti stata tu, noi saremmo stati del tutto impotenti. Abbiamo giocato col fuoco ma ci è andata bene”.
“Non vi facevo così temerari. Addirittura non farlo neanche cenare assieme a noi”.
Sì, quello è stato parecchio scortese. Ci sono rimasto piuttosto male, non lo nego.
“È stato anche per non sovraccaricarlo di troppe informazioni. Colpevole o innocente che fosse, era palese che qualcosa gli era successo. Tu te la saresti sentita di buttargli in faccia la verità a bruciapelo?”.
“Beh...”.
“Vedi?”.
“Ok, ok. Il vostro ragionamento non fa una grinza. Ora torniamo a noi, però. Kasumi, ho appena esposto a Ranma la situazione mia e di Akira, che ora condividiamo anche con lui. Però il mascalzone non ci crede troppo e...”.
“Veramente non ci credo per nulla” mi permetto di inserirmi.
“Fai silenzio, solo per un attimo”.
“Signorsì signora”.
“E allora ho pensato che il tuo apporto potesse giovare alla causa. D’altronde si sa come Kasumi sia incapace di mentire, non è vero Ranma?”.
Come la posso contraddire?
“Allora, potresti raccontare a questo incredulo come sono andate le cose in zona? E come io e il mio caro fratellino siamo piombati nella vostra routine?”.
“Certamente. Ranma, premetto che posso intuire quanto dev’essere difficile per te credere a quanto sto per narrarti. Ma come ha giustamente sottolineato lei, sai che ho una certa politica riguardo le bugie. Ebbene, qua tu e Akane avete imboccato la via del martirio. Voi due, Ryoga, Ukyo, la vecchia Obaba, Mousse e persino Kuno. Tutti voi. Fra l’8 marzo e il 27 luglio del 1989 siete venuti a mancare, uno dopo l’altro, a causa di quel maledettissimo Torneo... oh santo cielo, dopo tutti questi anni fa ancora un male del diavolo...”.
Si interrompe e comincia a singhiozzare. Akane si alza dal letto e le si avvicina per confortarla, tirando fuori un fazzoletto e porgendoglielo. In pochi istanti è un continuo e rumoroso soffiarsi il naso.
Io... porca miseria, non volevo. Non posso farla stare così.
“Va bene, va bene” dico alzando le mani “Puoi anche fermarti qui, non serve proseguire. Ci credo. Ci credo”.
Entrambe si voltano verso di me, un poco meravigliate.
Poi succede una piccola cosa che mi lacera il cuore: Akane mi sorride. Deve aver apprezzato la mia delicatezza.
Che i kami mi portino via adesso se non si divertono a vedermi mentre mi squaglio tipo pozzanghera a terra.
La congeda gentilmente, ringraziandola ancora per lo sforzo.
Quando siamo di nuovo soli si riposiziona sul materasso, stavolta più vicino a me. Nascondo maldestramente l’avvampare che si impossessa delle mie guance. Da questa distanza la sua cicatrice mi sembra ancora più brutta.
Cazzo. Solo ora realizzo appieno la situazione che sto vivendo: ho davanti a me Akane. Se allungo un braccio posso toccarla. Se allungo la faccia posso baciarla.
Pensavo che una simile gioia mi fosse stata strappata per sempre. E invece mi trovo nella condizione di dover ringraziare questo imprevisto, pazzo, insensato stato di cose che mi ha concesso di poterlo rifare. Non che l’abbia mai fatto quando ne avevo l’occasione, ma le seconde possibilità devono avere un gusto totalmente diverso.
Deglutisco. Non è il momento. Neanche so se lo sarà mai.
Perché continui a sorridermi, dannato maschiaccio? Sai quanto mi sconvolgi?
“L'increscioso incidente non era previsto. Dopo provvederò a scusarmi con lei, mi è spiaciuto farle rivangare eventi dolorosi del suo passato. Non è la stessa cosa ma, visto che so bene come si sono svolti i fatti, mi metterò al posto suo”.
“È... è spiaciuto anche a me...”.
“Si è notato. È stato un bel gesto da parte tua, grazie”.
Un altro minuto così e mi esplode la testa, lo giuro.
Smettila. Smettila di sorridermi. Non lo reggo.
“Ranma? Tutto bene?”. Ce l’avrò scritto in faccia che mi sta venendo una crisi isterica.
Ed ecco, la cosa che non ti aspetti: lei capisce. O almeno credo capisca. Qualunque sia il motivo, mi fa il carissimo piacere di scostarsi un po’ all’indietro e di togliersi quel meraviglioso sorriso, sostituendolo con uno sguardo appena appena dispiaciuto.
“Ranma, non volevo metterti a disagio. Perdonami. È che... sono più di quattro anni che non ti... che non lo vedo”.
Checcosa? Quattro... anni?
“Q-quattro?”.
“Sì, quattro. Io e Akira siamo capitati in questo mondo nel 2007. Nel loro 2007. Da quel fottuto 10 dicembre...”.
Tutto ad un tratto scopro... riscopro la facoltà di percepire dolore che non sia il mio.
“Io e lui... stavamo assieme, alla luce del sole... eravamo finalmente riusciti a superare la nostra stupidità e a dichiararci, facendoci forza con i nostri soli sentimenti... non hai idea di quanto mi sia sentita felice in quel momento, quando abbiamo preso a calci tutto quell’immenso cumulo di orgoglio, ottusità e paura e ci siamo appropriati di noi stessi e di quello che condividevamo...”.
Ok, questa sensazione è nuova.
Sono geloso di me stesso. Se ce l’avessi davanti cercherei di ammazzarlo.
“Io... io mi vergogno... ma una parte di me... sta cercando di convincermi a saltarti addosso, buttarti sul letto... e strapparti i vestiti... so che è sbagliato... per un miliardo di motivi... ma faccio... una fatica incredibile... a controllarmi...”.
...
...
...
Non so se devo spaventarmi, eccitarmi o tutte e due le cose.
“Allora... forse è meglio se tolgo il disturbo... non credi?”. Ho scelto di spaventarmi e credo di aver fatto bene.
“Sì, penso... sia meglio”.
“Con permesso”.
Mi alzo e mi avvio verso la porta. Da un momento all’altro mi aspetto che succeda qualcosa. Che lei mi afferri il polso, mi giri verso di sé e mi soffochi con un bacio disperato.
Ma, per fortuna, non succede.
Mentre esco sento indistinto l’inizio di un pianto.
Appena sono sicuro di essere fuori dalla sua portata visiva scappo via come un ladro. In uno sprazzo di lucidità mi rendo conto di non dovermi nascondere da nulla, non ho colpe di nessun genere. Questa volta non ho contribuito alla morte di nessuno, non posso rimproverarmi neanche volendo. E nonostante questa consapevolezza, capisco che la nostra convivenza sarà a dir poco tumultuosa. Troppe emozioni inespresse o conflittuali.
Suona impossibile, ma quasi rimpiango la mia situazione di prima. È vero, ero in attesa della condanna a morte per due omicidi che non ho commesso ma, a conti fatti, ero più tranquillo di quanto possa mai essere adesso. Rassegnato e indurito, attendevo solo quella che vedevo come una liberazione.
Adesso, invece, qualche divinità dispettosa ha deciso che devo soffrire. E lei con me.
Siete dei figli di puttana.
Per caso finisco in salotto e ci trovo Kasumi, impegnata ad essere la propria brutta copia. Seduta e con le mani nei capelli, neanche si accorge della mia presenza.
Forse non è il caso che la disturbi.
“Ranma...”.
Oh. Allora non sono trasparente.
Per un istante sono indeciso. Poi vedo in lei una possibile ancora di salvezza, una momentanea distrazione.
Mi avvicino e mi accomodo al suo fianco sul divano.
“Stai bene? Hai una cera orrenda” mi chiede. Santa donna, preoccupati un po’ per te stessa ogni tanto.
“Volevo fare il paio con te. Ascolta, mi spiace davvero per...”.
“Sssssh. Non è colpa tua e non è neanche colpa di Akane. È solo ancora tanto doloroso, persino dopo due decenni”.
Ma cribbio, è possibile che proprio adesso mi debba salire la curiosità di sapere cos’era il fantomatico torneo a cui ha accennato prima? Sei proprio un pezzo di piombo, Ranma.
“Kasumi, io...”.
“Vuoi sapere, vero?”.
Cos’è, sono un libro aperto?
“Se ti dicessi di sì?”.
“Diresti la verità”.
“E allora ti lascerò a bearti del tuo micidiale intuito”.
“Raccontamela tutta. È successo qualcosa di brutto con Akane, vero?”.
La domanda mi mette in sincera difficoltà. Non lo so se è successo qualcosa di brutto. Di sicuro non era bello.
“Diciamo di sì. Sono saltati fuori particolari... pesanti da digerire. Per tutti e due”.
“Non voglio entrare nei dettagli, sono fatti vostri. Ti dirò solo questo: dalle tempo. E datti tempo. È una situazione nuova e da esplorare per entrambi. Dovete abituarvici e...”.
“Kasumi, io... nel mio mondo... l’ho vista morire”.
Silenzio tombale.
“Questo... non me lo aspettavo. Ti va di parlarne?”.
Ottimo interrogativo. Potrebbe farmi bene o potrebbe annientarmi definitivamente.
I suoi occhi sono colmi del desiderio di aiutarmi, nonostante il suo attuale stato emotivo. Mi chiedo da quale strato celeste sia scesa questa signora, perché non può essere umana.
“Ne sei sicura? È una storia molto poco piacevole”.
“Se mi offro volontaria me la sentirò”.
“Apprezzo l’intenzione, ma temo di...”.
“Stai zitto e spiegati. In cambio, quando avrai finito, ti dirò quel che vuoi sapere su questo mondo”.
Proponiamo un baratto, eh? Lo accetto.
“Va bene, come vuoi”.
E comincia una lunga, lunghissima chiacchierata. Al termine della quale ci troviamo accasciati l'uno sulle spalle dell'altra, in lacrime.
   
 
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