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Autore: xyoumakemesing    01/09/2013    8 recensioni
La vita di Louis sembra una grigia e infinita giornata di pioggia; ma quando vede Harry, giura, il sole sembra sempre far capolino da dietro una nuvola per accarezzargli una guancia.
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Harry/Louis | Homeless!Louis
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nel corso dei suoi ventuno anni di vita, Louis ha perso piccoli pezzi di se stesso lungo il suo cammino: i suoi pensieri, le sue idee, la sua famiglia. Spariti chissà come, persi chissà dove – magari sotto le panchine in cui è solito dormire, o dentro le stazioni della metropolitana dove si rifugia quando il freddo si fa largo sotto la sua felpa, fin dentro alla sua pelle, mangiandosi le sue ossa. A Louis è rimasto poco della sua vita passata, quella fatta degli abbracci di sua madre e delle sue sorelle e del profumo del pane tostato a colazione: solo un paio di foto di quando era più facile sorridere, un portafoglio quasi vacante, un disegno stropicciato di Phoebe, il suo lettore mp3 e qualche t-shirt e indumento intimo di ricambio. Tiene tutto gelosamente custodito dentro il suo Eastpack grigio che ha decisamente visto giorni migliori, da cui non si separa mai perché è l’unica cosa che sa di casa.
Louis è come uno di quei ragazzi che, ad un certo punto delle loro vite, si sono persi. Che hanno fatto un mucchio di scelte sbagliate, che hanno letteralmente perso ogni appiglio e si sono ritrovati da soli in mezzo ad un mare in tempesta, nessun faro all’orizzonte, nessuna luce che indichi la via di casa e nessun salvagente che possa tenerli a galla. Ma Louis ha fatto le sue scelte e non può lamentarsi: gli rimangono ancora le sue sigarette, i suoi tatuaggi, il suo amor proprio e, quando è fortunato, anche una minestra calda in qualche istituto di beneficenza, l’unico posto in cui i giocattoli rotti come lui vengono accolti senza remore e pregiudizi.
A Louis piacciono quei posti. Sono caldi, al riparo da qualunque intemperia, profumano di buono e gentilezza e la gente sorride, sorride sul serio e ti tratta come se fossi ancora un essere umano.
A Louis piacciono quei posti, sì. Soprattutto perché lì ha incontrato Harry, con i suoi ricci e i suoi occhioni verdi; le sue guance rosse e le sue labbra carnose che Louis vorrebbe mordere; il suo cuore grande, enorme; le sue dita affusolate che si preoccupano sempre di sfiorare le sue intorpidite dal freddo, quando gli porge di nascosto la seconda razione del tiramisù che lui stesso ha preparato.
 
Gli occhi di Harry sono come un cielo stellato, lucidi e malinconici quando Louis, per la prima volta, gli racconta a bassa voce il motivo per cui, alla sua giovane età, si sia trovato a dormire in mezzo alle strade trafficate di Londra. Le dita di una mano giocherellano distrattamente con un lembo del maglione largo che indossa mentre con l’altra stringe quella di Louis, da sotto il tavolo, lontano dagli occhi indiscreti degli altri. Harry è innocente. Harry è quel coraggioso raggio di sole che viene fuori per primo dopo un temporale, che scaccia i nuvoloni grigi e pesanti di pioggia e urla hey, toglietevi di mezzo, ci sono io adesso.
Louis dice sempre ad Harry di non innamorarsi di lui, lo dice nascondendo il suo tono serio e anche il per favore, fallo invece nascosto da qualche parte dentro i suoi occhi con una piccola risata; Harry si limita solo a scrollare le spalle, a disegnare con il pollice piccoli cerchi sul dorso della sua mano e a dirgli che è solo questione di tempo prima che accada, che comunque lui non ha paura. Poi si alza dal tavolo dove Louis è solito sedersi, gli rivolge un sorriso splendente e torna a posizionarsi dietro il carrello, a distribuire cibo agli altri sfortunati giocattoli rotti che nessuno reclama più.
La vita di Louis sembra una grigia e infinita giornata di pioggia; ma quando vede Harry, giura, il sole sembra sempre far capolino da dietro una nuvola per accarezzargli una guancia. Sua madre lo diceva sempre, quando ancora sorridere era facile e Louis pensava davvero di poter conquistare il mondo: quando trovi il tuo sole non lasciarlo mai andare, per nessuna ragione al mondo.
Quindi a Louis non dispiacerebbe davvero se Harry, un giorno, si innamorasse di lui. Una piccola stilla di speranza prende posto nei meandri del suo petto: glielo riscalda un po’, lo fa sentire meno solo. E quando si alza, dopo aver terminato la sua zuppa di pollo e il suo tiramisù, e si avvia fuori dall’istituto, lo sguardo attento di Harry lo segue in silenzio e Louis pensa che il freddo di Ottobre potrebbe pure rompergli le ossa, finché Harry sia poi disposto ad incollargliele di nuovo insieme.
 
Louis non è mai stato un poeta, benché ai tempi delle medie, per cercare di corteggiare quella Eleanor Calder con gli occhi da cerbiatta e i capelli ondulati abbia seriamente preso a comporre stupide poesie piene di allegorie e rime baciate che, alla fine, non lo hanno portato da nessuna parte (men che meno dentro le sue mutandine). Però di notte, quando si accovaccia sui sedili della stazione ferroviaria, stretto nella sua coperta rossa di pile che ha sgraffignato ad un vecchio barbone incontrato casualmente alla stazione di Hammersmith, pensa che se lo fosse, un poeta, scriverebbe sul serio miliardi di sonetti e ballate romantiche sulla sfumatura di rosso che le labbra di Harry assumono quando lui se le morde; o qualcosa riguardo alla costellazione di stelle e pianeti e nebule nascoste dentro i suoi occhi verdi – avrebbe fatto anche tanti pensieri d’amore su quella sua pelle d’alabastro, sulle sue fossette da bambino, sui suoi ricci scompigliati.
Scriverebbe qualcosa pure sul suo sorriso, ovviamente, così splendente che nemmeno le luci di Piccadilly Circus o Times Square potrebbero eguagliarlo; scriverebbe che Harry è come una piccola e timida primula dai petali soffici e delicati, magari bianchi con qualche piccola sfumatura di viola, che cresce dentro il suo stomaco, il suo petto, il suo cuore, che fiorisce attraverso le fessure delle sue costole. Che porta un po’ di Primavera nell’Inverno che è diventata la sua vita.
E Louis vorrebbe essere il suo sole, vorrebbe donargli linfa vitale per farla crescere ancora, ma è probabilmente solo un altro fiore, secco però, che al minimo tocco si sgretola facilmente diventando polvere.
                             
Tutte le sere, Harry lo aspetta con un sorriso ricamato sulle labbra piene, cibo caldo e un abbraccio – libertà che si è preso praticamente da subito, perché i tuoi occhi sono profondi e freddi come l’oceano, gli ha detto, forse così si riscalderanno un po’.
Louis non si è mai tirato indietro, tuttavia. Ama i suoi abbracci, molto più delle doppie razioni di cibo che gli riserva. Harry profuma di buono, di pulito, dell’innocenza che Louis ha perso insieme a tutte le altre cose; gli piace affondare il naso nell’incavo del suo collo, mentre le braccia di Harry si stringono intorno alla sua vita, e inspirare il suo odore.
Louis s’imbarazza un po’, alle volte, perché lui vive per strada e non ha esattamente un buonissimo odore – anche se cerca sempre di non trascurare troppo la sua igiene personale, lavandosi velocemente nei bagni dei fast food o delle stazioni – , ma ad Harry non importa e fa sempre finta di non accorgersene.
“Ti aspettavo,” gli dice Harry, quando Louis scivola via dal suo abbraccio e fa un passo indietro. Si guarda un po’ intorno sistemandosi lo zaino sulle spalle, il confortevole brulicare di persone dalle storie e dalle voci diverse lo fa quasi sentire a casa. Quasi. “Oggi abbiamo preparato la pizza. E poi vorrei che tu venissi a casa mia.”
Louis si volta di nuovo a guardare Harry, sorpreso. Incontra i suoi occhi verdi, il suo sorriso gentile, le sue fossette da mordere, e sente un nodo alla gola perché , vorrebbe subito rispondere, ma “No” mormora invece. “Harry, non—”
Harry gli afferra una mano e scuote la testa, i ricci che gli incorniciano il viso da cherubino si muovono velocemente davanti ai suoi occhi. “Mangia prima. Decidi dopo.”
Louis si sente trascinare verso il suo solito tavolo, la voce di Harry che saluta allegramente le persone che incrociano il suo cammino. Quando Harry lo fa sedere e gli mette davanti un piatto con tre tranci di pizza al pomodoro, Louis solleva lo sguardo per incrociare i suoi occhi.
Vorrebbe ringraziarlo, ma Harry si morde lievemente il labbro inferiore e “Buon appetito” sorride, prima di correre frettolosamente dall’altra parte della stanza.
 
“Non innamorarti di quelli come me, Harry” Louis si passa una mano tra i capelli sporchi, si gratta distrattamente il polpaccio destro con la punta rovinata della sua Vans sinistra e fa scorrere gli occhi sul piccolo salottino, ordinatissimo e dal tocco un po’ vintage, di Harry. “Siamo come delle bombe pronte ad esplodere. Ti rovinerò le pareti, tutti questi bei mobili e la tua vita.”
Harry ride mentre si toglie la giacca, non capisce. Louis sospira.
“E ce ne andiamo,” dice poi, quando Harry si avvicina a lui per sfilargli lo zaino dalle spalle. C’è tutta la sua vita, o quello che ne rimane, dentro il suo Eastpack grigio e rovinato, ma lo cede comunque ad Harry. Potrebbe facilmente vederla come una metafora, pensa.
Harry preme la lingua contro l’interno della sua guancia e, con gli occhi che gli scintillano sotto la luce del neon appeso al soffitto, gli dice che può approfittare del suo bagno, se vuole; e Louis allora annuisce perché Harry ha un buon profumo e lui, nonostante cerchi di non trascurare troppo la sua igiene personale, è pur sempre un barbone che puzza di marciume e solitudine.
“Quelli come me se ne vanno sempre, Harry.” Continua con un fil di voce. Harry esala un piccolo sbuffo annoiato, gli schiocca un bacio all’angolo delle labbra e poi circonda il suo polso con le dita, conducendolo in bagno.
Harry lo spoglia, con mani ferme e decise, e Louis vorrebbe afferrargli le braccia e dirgli di nuovo che non può, non può, ma invece è lì, come un bambino bisognoso di cure, che si lascia sfiorare e riempire di amore. Le guance di Harry diventano rosse quando Louis rimane con addosso soltanto i boxer, balbetta qualcosa e poi “Ti lascio fare da solo. Vado a prenderti un asciugamano” dice tossicchiando nervosamente, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
Se potesse, Louis riavvolgerebbe il tempo, tornerebbe indietro di alcuni secondi per continuare a bearsi dei soffici tocchi di Harry; ma invece non può, quindi rimane immobile per attimi interminabili, ignorando volontariamente il suo riflesso allo specchio, gli occhi fissi sulla parete piastrellata di fronte a lui. Arriccia le dita dei piedi, facendole sprofondare tra le setole del tappeto, e scuote la testa.
 
Louis avrebbe dovuto sapere che quella serata sarebbe finita così:  con il suo corpo nudo e ancora mezzo bagnato tra le lenzuola di Harry mentre quello, sopra di lui, lo bacia come se da quel gesto dipendesse la sua intera vita.
Harry bacia così come parla. Lentamente, con gentilezza, come se avesse tutto il tempo del mondo. I suoi baci sono un discorso che va a rilento, premuto sulla bocca di Louis, si prende il suo tempo, si prende anche qualche piccolo pezzettino di anima e Louis sente il cuore fluttuare.
Harry strofina lentamente il bacino contro il suo, gemendo sulle sue labbra e facendo scorrere le falangi tra i suoi capelli umidi e spettinati; è nudo anche lui e Louis affonda i polpastrelli sulla carne morbida dei suoi fianchi sperando di lasciarci dei lividi, sperando che possa rivendicare quel corpo perfetto come suo. Harry succhia un bacio sul suo petto, gli stuzzica un capezzolo e poi sorride contro la sua pelle mentre le mani di Louis gli afferrano le natiche per spingerlo ancora di più contro la sua eccitazione.
Louis pensa ancora che Harry non dovrebbe innamorarsi di quelli come lui perché tutto quel che fanno è dimenticare il loro nome, la loro provenienza, e perdersi nella disperazione. Camminano diritti contro un uragano, a testa alta perché quando non si ha niente non si ha niente da perdere; amano, amano tanto, ma sono vigliacchi e scappano via. Sempre.
Lo ripete di nuovo quindi, “Non innamorarti di me”, lo sussurra contro l’orecchio di Harry prima che strizzare le palpebre e gemere ad alta voce. Il riccio non risponde, butta la testa all’indietro invece, sussurrando a bassa voce una litania di LouisLouisLouis.
Louis si perde di nuovo, è un po’ un’abitudine ormai, stavolta però lo fa sotto il corpo di Harry, intorno a lui, dentro di lui. I baci che continuano a scambiarsi sono come una boccata d’aria che riempie i polmoni quando si sta annegando, un bicchiere d’acqua ghiacciata quando stai attraversando un deserto sotto il sole cocente, o tornare finalmente a casa dopo una lunga vacanza.
Harry si alza e si abbassa ripetutamente sulla sua erezione, il viso stravolto e arrossato e i capelli selvaggi. Louis preme il palmo della mano sulla base del suo collo per avvicinarlo a sé, baciarlo di nuovo e respirare.
 
Louis mugola qualcosa a labbra chiuse, stanco e ancora con la mente annebbiata dopo l’orgasmo. Harry ha la testa poggiata sopra il suo petto, le gambe avviluppate tra le sue, le dita che tracciano disegni astratti sul suo addome. Soffoca uno sbadiglio contro il collo di Louis e il più grande sorride appena, scompigliandogli i ricci.
“Non voglio che tu torni sulla strada,” Harry solleva la testa per guardare Louis, il respiro ancora un po’ affannato. “Potresti rimanere qui. Con me.” offre con un piccolo sorriso.
Louis scuote la testa. “Non devi innamorart—”
Harry rotea gli occhi, gli dà un leggero pizzicotto e “Smettila di ripeterlo” brontola. “Non puoi continuare a dirmi di non innamorarmi di te dopo questo” indica con un cenno della mano i loro corpi nudi e premuti vicini sotto le lenzuola. Una piccola ruga gli increspa la pelle tra le sopracciglia e Louis vorrebbe baciargliela via.
Vorrebbe anche scappare, tuttavia, uscire fuori dall’appartamento di Harry e non guardarsi più indietro; il cuore gli batte quasi dolorosamente contro la cassa toracica, fa anche un po’ fatica a respirare e sente i palmi delle mani prudere dall’impellente voglia di toccare il ragazzo di fronte a lui che continua a guardarlo, aspettando una risposta.
“La mia vita non è facile. Preferisco la solitudine” Dice infine, dopo qualche minuto trascorso in silenzio. Harry annuisce comprensivo e gli bacia una guancia.
“Lo so,” mormora piano. “Ma la solitudine ama la compagnia.”
Louis affonda le dita tra i suoi ricci, massaggiandogli lentamente lo scalpo. Nessuno parla per un po’, ognuno immerso dentro la propria testa; è un silenzio confortevole, non uno di quelli tesi ed imbarazzanti, interrotto di tanto in tanto dal rumore umido delle labbra di Harry che baciano la sua pelle.
“Quando mi sveglierò domani mattina tu non ci sarai, vero?” Domanda poi Harry, guardandolo con occhi rassegnati. Louis si morde l’interno di una guancia, le dita sempre immerse tra i suoi capelli, e non risponde.
 
Harry ha ragione, comunque. Quando il mattino seguente spalanca gli occhi, la seconda piazza del letto è vuota, le lenzuola ormai fredde.
Louis è già a Trafalgar Square, seduto sul bordo della fontana centrale, ad ammazzare il tempo ascoltando il suo lettore mp3, a fumare una sigaretta rullata e a guardare il curioso e diverso assortimento di persone che passa davanti ai suoi occhi.
Pensa ad Harry, più di quanto in realtà vorrebbe, pensa alla notte appena trascorsa, al suo corpo caldo e ai gemiti soffocati tra le lenzuola. Pensa anche che sarebbe stato bello rimanere, reprimere ogni suo istinto di scappare via, e svegliarsi con i dolci baci di Harry, con il profumo della sua pelle, rimanere a letto tutto il giorno facendo e rifacendo l’amore.
Louis sospira, tamburella l’indice della mano destra sulla sigaretta per far cadere la cenere e fa un altro tiro. I suoi occhi si perdono ancora una volta in mezzo alla folla, la sua mente va di nuovo a trovare Harry, la sua vita è sempre ferma a quel Dieci Aprile di un anno prima.
Louis sospira di nuovo: è tutto quello che può fare.
 
La pioggia di Londra non risparmia Louis – be’, non risparmia nessuno a dire il vero. I suoi capelli ricordano vagamente il pelo di un pulcino bagnato e sta tremando come una foglia, coperto solo dalla sua vecchissima felpa nera e dai suoi jeans sbiaditi e ormai fradici, mentre, immobile sul marciapiede pieno di gente che corre da una parte all’altra reggendo sopra la loro testa valigette e borse nel disperato tentativo di non bagnarsi, fissa l’ingresso del centro dove Harry fa volontariato.
“E’ perché ho fame,” Louis si dice, prendendo un lungo sospiro prima di entrare dentro. Strofina le suole bagnate delle scarpe sullo zerbino ed esala un respiro tremante, percependo immediatamente il piacevole calore proveniente dalle caldaie sparse per la sala.
Si trascina in direzione del numeroso gruppetto di persone incappottate che, disposte in un’ordinata fila indiana vicino al bancone dove Lou – una stravagante donna dai capelli lilla che fa volontariato lì circa tre volte a settimana – sta spartendo il cibo, aspettano pazientemente il loro turno. Harry è accanto a lei, un grembiule bianco e sporco di sugo allacciato in vita, le mani impegnate con piatti e mestoli, i ricci tirati indietro da una bandana con la stampa della bandiera americana, sempre circondato da quella sua solita splendente aura di calore e gentilezza.
Sente dei brividi scorrergli lungo la schiena e “Solo perché ho fame.” ricorda a se stesso con insistenza. Tuttavia, però, quando gli occhi di Harry – Louis giura che un giorno ci scriverà davvero qualcosa di poetico su quei fottuti occhi – si posano accidentalmente su di lui, si lascia convincere che la fame non c’entra davvero nulla. E’ Harry l’unico motivo. E’ sempre Harry.
 
Il piatto di ravioli al sugo che Lou ha consegnato a Louis, accompagnato da un sorriso, una forchetta e una bottiglietta d’acqua naturale, giace ormai vuoto davanti ai suoi occhi.
Sente lo stomaco piacevolmente pieno, i muscoli ancora un po’ intorpiditi dal freddo, ma Harry è lì, seduto accanto a lui e Louis non può fare a meno di concentrarsi sulla pressione del palmo della sua mano sulla propria coscia, sulla morbidezza della sua voce che lo invita di nuovo a passare la notte nel suo appartamento. Non sembra offeso né arrabbiato che Louis, quella mattina, sia praticamente scappato via, lasciandolo da solo; anzi, gli lascia persino un bacio sulla guancia prima di alzarsi per correre ad aiutare Lou. E Louis si ritrova ad annuire allora, perché è Harry e questo, per lui, è abbastanza.
Quindi incrocia le caviglie sotto il tavolo, si sistema meglio sulla sedia di plastica in cui è seduto e guarda Harry legarsi intorno alla vita il grembiule e tornare al suo posto dietro il bancone. Quasi senza pensarci afferra un tovagliolo di carta pulito, fruga dentro la tasca esterna del suo zaino alla ricerca di una penna e si dice che se deve aspettare, tanto vale iniziare a far finta di essere un poeta e magari riuscire a scriverci davvero qualcosa su quegli occhi verdi.
(L’unica cosa che ne esce fuori, alla fine, è qualche stupida metafora che ha a che fare con le foglie bagnate dalla rugiada e con le notti passate davanti al camino quando fuori piove. Louis sa di non essere un poeta, e mai lo sarà, ma è contento del risultato.)
 
Harry è proprio lì dove Louis avrebbe voluto che fosse: sotto di lui, nudo, con il viso arrossato e stravolto e i ricci appiccicati alla fronte, che sospira contro le sue labbra quando raggiunge l’orgasmo, le pareti del suo retto che si stringono intorno alla sua erezione mandandolo in estasi. Louis gli bacia il collo, la mascella, la tempia, mentre affonda ancora dentro di lui, ancora alla disperata ricerca del suo piacere, ma lentamente, senza fargli male. Preme i polpastrelli sulle ossa sporgenti dei suoi fianchi magri, respira l’odore della sua pelle, si bea dei miagolii disperati che sfuggono dalle labbra gonfie e rosse come fragole mature di Harry.
Quando, ormai sfinito, sudato e appagato, crolla sopra il corpo del riccio, la testa poggiata sul suo petto, ancora sepolto dentro la sua carne, Louis soffoca uno sbadiglio mordendosi il labbro inferiore e lascia che Harry immerga le dita tra i suoi capelli. Quelle di Louis, invece, si muovono impercettibilmente lungo una sua coscia, sentendo la pelle drizzarsi ad ogni piccolo tocco.
“Mi sei mancato” Si sente dire, con voce rauca e ancora un po’ affannata. Louis china un po’ la testa per nascondere il lieve rossore comparso sulle sue guance, si muove un po’ a disagio, guadagnandosi un gemito basso da parte di Harry. Si scusa sfiorandogli la spalla con le labbra e Harry piega un po’ il collo per guardarlo meglio e poi alza gli angoli della bocca all’insù.
“Hai fame?” Gli chiede poi, e Louis vorrebbe annuire, il suo istinto di sopravvivenza che gli urla di approfittarne perché non sa quando o se potrà mangiare ancora il giorno dopo, ma si limita solamente a lasciare un umido bacio sopra l’ombelico di Harry e nascondere il volto contro la sua pancia. Harry stringe le labbra in un nuovo sorriso e inizia a disegnare, con le dita, cuori nello spazio tra le sue scapole. “Pensi mai a tua madre?”
Louis s’irrigidisce visibilmente. Harry non ha mai fatto domande sul suo passato; ha sempre ascoltato in silenzio quel poco che Louis era pronto a tirare fuori dal suo petto, annuito di tanto in tanto e stretto spasmodicamente la sua mano, a mo’ di conforto.
Quindi è strano, pensa. E’ strano che gli abbia fatto una domanda del genere.
Si solleva un po', strofina il naso sulla curva tra il collo e la spalla di Harry e “No” sussurra piano. Ma sta mentendo e anche Harry lo sa. Pensa sempre a sua madre, alle sue sorelle, a tutto quello che ha lasciato a Doncaster… come potrebbe non farlo?
Il riccio annuisce e preme entrambi i palmi delle mani sulla base della sua schiena, cercando di farlo rilassare di nuovo. “So che pensi a lei, Lou. E’ tua madre, è normale.”
“Quello che non è normale è che lei mi abbia cacciato via di casa dopo aver scoperto che sono gay.” Ribatte stizzito Louis, stringendo le lenzuola tra i pugni. Harry apre di nuovo la bocca ma Louis lo interrompe immediatamente con un brusco “Non voglio parlarne” e un morso sul fianco. Harry fa presto a serrare le labbra e ad annuire, lanciandogli un’occhiata di scuse.
Louis lecca il segno che i suoi incisivi hanno lasciato sulla pelle bianca del ragazzo, intreccia insieme le loro dita e poi esce fuori dal suo corpo, lasciandosi cadere sul materasso e avvolgendola figura magra e dinoccolata di Harry con le sue braccia.
Sembra uno stupido e anche un po’ patetico cliché quanto i loro corpi sembrano incastrarsi perfettamente tra loro, quasi fossero due pezzi dello stesso puzzle. Ma Louis cerca di non pensarci troppo, perché la vita non è una scatola di puzzle – e se lo fosse, comunque, Louis sarebbe senza ombra di dubbio il pezzo difettoso.
 
Fanno sesso di nuovo e di nuovo e di nuovo. Louis pensa che, se proprio deve perdersi, preferirebbe farlo dentro il corpo di Harry.
“Te ne andrai di nuovo?” Harry sa già la risposta, ma chiedere non ha mai ucciso nessuno. Louis annuisce appena, baciandogli la tempia e stringendoselo ancora di più addosso. “Ma ti vedrò all’istituto, vero? Domani–” Harry corruga la fronte, lancia un’occhiata alla sveglia sul comodino e poi ridacchia piano. E’ mezzanotte passata. “–voglio dire oggi, Lou e io prepareremo i tacos. Devi assaggiarli.”
Louis esala un mmhmh d’assenso, le palpebre pesanti che minacciano di chiudersi da un momento all’altro e la mente annebbiata dalla stanchezza. Harry ridacchia ancora, gli sfiora il mento con un dito e gli posa un bacio all’angolo della bocca.
“Vorrei che rimanessi qui, vorrei che ti lasciassi andare” mormora piano, imbronciando le labbra. Louis sospira. Anche lui vorrebbe rimanere lì, sul serio, stretto tra le lenzuola che profumano di pulito e della pelle di Harry, ma non può: è facile abbassare la guardia ed infatuarsi della prima persona che sazia il suo ingordo bisogno di sentirsi amato, e Louis non può permetterselo. Non può rischiare di essere scacciato di nuovo.
Harry sembra leggergli dentro la testa quando “Non sono come tua madre, se è questo che temi. Se è questo che ti impedisce di fidarti. Non ti manderò via” respira sulla pelle del suo collo, lasciando lì una scia di baci umidi che prosegue fino al petto. Prende la mano di Louis e preme i loro palmi insieme, “La tua mano è piccolissima” osserva, soffocando un sorriso contro la clavicola di Louis.
Louis grugnisce un non è vero, è la tua ad essere gigantesca ma Harry non lo sente nemmeno; gli accarezza le dita, invece, si porta la mano vicino alle labbra e comincia a baciargli le nocche, una ad una, bagnandole appena di saliva, mentre Louis sente un’intensa sensazione di calore bruciargli il petto – come se avesse bevuto tutto d’un sorso una tazza di caffè bollente.
Forse è così che si ci sente quando qualcuno ci ama, si ritrova a pensare.
 
Continuano così per quasi due  mesi: Louis si presenta al centro, Harry lo accoglie con un sorriso e un piatto colmo di cibo e poi, quando lui finisce le ore di volontariato, s’incamminano insieme verso il suo appartamento, proteggendo le loro mani dal gelido freddo di Dicembre tenendole intrecciate durante tutto il tragitto.
Fanno l’amore, parlano, rifanno l’amore, una sera Harry gli chiede di aiutarlo ad addobbare l’albero di Natale e Louis pensa sia una cosa intima, una cosa da coppietta innamorata, ma Harry lo guarda con i suoi occhi grandi pieni di trepidante aspettativa e Louis allora cede - finiscono per farci l’amore sotto quell’albero, alla fine; le loro pelli un arcobaleno di succhiotti sotto la luce soffusa delle lucine colorate.
Proprio quella sera, mentre sono sdraiati sul pavimento, stretti pigramente l’uno all’altro, Louis si lascia sfuggire accidentalmente che il suo ventiduesimo compleanno cade proprio il giorno della Vigilia. Harry si solleva sui gomiti, le guance rosse e il basso ventre ancora sporco del suo sperma, “Organizziamo una festa!” propone con slancio, rotolando sopra il corpo di Louis che si lascia scappare un ow! col fiato spezzato. “Posso invitare alcuni miei amici, potrei preparare una torta—”
Louis rotea gli occhi e “Harry” borbotta, nel vano tentativo di frenarlo.
“—  chiamerò Lou, la conosci, no? Fa volontariato insieme a me. Le chiederò di portare Tom e la piccola Lux; e—oh, inviterò anche Liam e Niall, sì!”
Harry.
Harry lo ignora ancora una volta, troppo occupato a blaterare e a battere le mani come un bambino eccitato il giorno di Natale. “Preparerò la cena e gli addobbi per la festa e—”
“Harry!” Louis urla più forte di quanto in realtà avrebbe voluto fare, e Harry si zittisce immediatamente. Spalanca leggermente le labbra, si stringe nelle spalle, gli occhi che si abbassano per la vergogna, le dita che sfiorano timidamente i peli chiari sul petto di Louis. Sembra un bambino che è appena stato sgridato dalla madre mentre lo guarda di sottecchi con la sua aria triste e colpevole; Louis gli accarezza il labbro inferiore con il pollice, baciandogli una guancia.
“Non voglio che tu faccia nulla per me,” dichiara con voce ferma ma gentile, soffice.
Harry annuisce, mordendosi l’interno della guancia. “Volevo solo—” inizia piano, ma Louis scuote la testa e interrompe le sue parole con un altro bacio, stavolta sulle labbra. Le dita di Harry stringono forte le sue spalle e per un po’ il suono umido delle loro labbra, delle loro lingue che si toccano, è l’unica cosa che rompe il calmo silenzio della stanza. Si abbracciano, si toccano, premono i loro corpi fino a fonderli insieme; Harry si sistema meglio sopra le gambe di Louis, nasconde la testa nell’incavo del suo collo e strizza gli occhi, le ciglia che gli accarezzano la pelle, quando il più grande entra di nuovo dentro di lui, ansimando piano contro il suo orecchio.
“Non andartene—” Harry quasi singhiozza, butta la testa all’indietro e stringe le cosce intorno ai fianchi di Louis. “—domani mattina, non andartene.”
Louis gli posa un delicato bacio sulla spalla e “Shh” soffia sulla sua pelle, alzando ritmicamente il bacino, stoccate languide e lente che incendiano il corpo di Harry, facendolo tremare di piacere. “Vieni per me, Harry. Vieni per me.” Louis continua a parlare, le sue mani ancorate ai fianchi magri di Harry, così forte che è quasi certo ci lascerà dei lividi. Il riccio continua a muoversi freneticamente sopra di lui alla ricerca del suo orgasmo che sembra non arrivare mai, il fiato corto e le lacrime agli angoli degli occhi per l’intensità di quel momento.
Louis continua a baciare la sua pelle sudata e a mormorare paroline incoraggianti dentro la conchiglia del suo orecchio finché Harry viene copiosamente tra i loro ventri e si abbandona poi sfinito tra le sue braccia.
Non gli ripete di rimanere perché sa già – oh, se lo sa -  che Louis non lo farà.
 
Louis non si presenta al centro né la sera seguente né quella dopo ancora né la Vigilia né la mattina di Natale. Passa le feste in compagnia di se stesso e di qualche altro barbone sconosciuto, fuori dai cancelli della metropolitana di Shepherds Bush, una bottiglia di Jack Daniel’s e lo stomaco vuoto. L’ultima cosa che ha mangiato è una mela rubata dalla bancarella di un fruttivendolo a Portobello; quindi si ubriaca, si ubriaca davvero tanto, e comincia  a parlare di Harry ad un tizio che dovrebbe chiamarsi Zayn – ma non è poi così tanto sicuro –  che non apre mai la bocca se non per chiedergli un goccio di whiskey.
Louis non è nemmeno così sicuro che Zayn lo stia davvero ascoltando ma non gli importa granché. Gli dice che vorrebbe portare Harry al cinema o in un ristorante carino dove servono del buon vino, e vorrebbe pagargli i popcorn e il biglietto del film o la cena, e poi passeggiare tenendolo per mano e baciarlo davanti a tutti. Gli dice che si farebbe anche un tatuaggio per Harry, glielo dice dopo aver mandato giù due sorsi di liquore, la testa che comincia a girargli lievemente, e Zayn risponde che se vuole, lui ha una macchinetta per tatuaggi dentro il suo zaino.
Quindi Louis lo fa. Zayn tira fuori la sua macchinetta, le sue boccettine d’inchiostro nero e il suo talento e gli incide una bussola sul braccio. “Scrivici Home qui” Louis si copre la bocca con il palmo della mano per soffocare un rutto, “— e non farmi male. Anzi sì, fammi male. Forse così smetterò di pensare almeno per un fottuto secondo a lui.”
Zayn sorride, la lingua tra i denti, mentre finisce di ritoccare la bussola. “Sei innamorato?” Chiede poi, improvvisamente.
“Non lo so” sospira, abbandonando la testa contro il muro. “Harry è la prima persona che mi abbia trattato come— come se valessi qualcosa. E non lo merito, so per certo che non lo merito. Me ne vado sempre perché spero che lui si dimentichi di me, che capisca che sono una perdita di tempo ma—” Louis si passa una mano sul viso, il ronzio fastidioso della macchinetta per tatuaggi che quasi copre il rumore dei suoi pensieri. “— ma lui continua a volermi e— non lo so.”
Zayn solleva gli occhi dal suo braccio, lo guarda attraverso le sue ciglia folte e “E’ la notte di Natale, Louis. Perché sei qui a farti tatuare da me sui gradini della metro quando puoi andare da lui?” domanda. Louis pensa che quella sia frase più lunga che gli abbia sentito dire quella sera.
“Perché non lo merito, sta meglio senza di me.” Risponde cocciuto, afferrando la bottiglia ormai quasi vuota di whiskey e trangugiandone un sorso. Si asciuga le labbra con il dorso della mano e grugnisce quando l’ago gli pizzica forte la pelle. “Fa’ piano” borbotta.
Zayn alza le spalle come a dire hey, calmo, non è colpa mia e “Forse dovresti lasciare decidere lui. Se sta meglio senza di te, intendo” pondera, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro, una ruga di concentrazione tra le sopracciglia scure.
“Da quando sono sulla strada ho fatto delle cose di cui non vado fiero. Ho spacciato per pochi spiccioli, rubato e—” Louis si ferma, le guance decisamente rosse per l’umiliazione, ma Zayn sembra capire comunque. “Harry si merita qualcuno migliore di me.”
“Ma forse lui vuole te, ci hai mai pensato?”
Louis sbuffa. “Ha diciannove anni, cambierà presto idea.”
Zayn scuote la testa e rotea gli occhi, ruba un ultimo sorso di liquore, il suo fiato caldo che si condensa in piccole nuvolette di fumo quando schiude le labbra sottili, poi “Il tatuaggio è finito” dichiara, rimettendo la macchinetta dentro lo zaino e buttando via i guanti neri di lattice.
“Non ho soldi” mugugna Louis, attaccandosi di nuovo alla bottiglie. Zayn alza le spalle con noncuranza. “Posso offrirti delle sigarette però.”
“Vada per le sigarette, allora.”
 
Bussa alla porta di Harry alle quattro del mattino, proprio quando i primi fiocchi di neve iniziano ad imbiancare i tergicristalli delle auto. Non proviene alcun rumore dall’appartamento e, per un attimo, Louis teme che Harry sia fuori, forse a dormire dai suoi genitori; ma quando la porta si spalanca e un Harry con i capelli scompigliati, l’aria assonnata e un maglione con le renne addosso fa la sua comparsa, Louis tira un sospiro di sollievo.
Harry si stropiccia un occhio con la mano, arriccia le dita dei piedi, nudi sopra il pavimento freddo, e poi “Lou?” biascica con voce rauca. Louis si morde il labbro inferiore e annuisce.
Il riccio gli regala uno dei suoi sorrisi tutto denti e fossette – Louis pensa sia il miglior dono di Natale che abbia mai ricevuto -  e poi gli salta addosso. Lo bacia ripetutamente sulle guance, sulla punta del naso, sulle labbra, sulla fronte; poi sospira contro la sua pelle e gli dice che ha sentito la sua mancanza e che “Non sparire mai più. Mi hai fatto preoccupare.”
Louis annuisce, fa scivolare entrambe le mani sulle sue natiche e lo solleva di peso, guadagnandosi un gridolino sorpreso da parte del più piccolo.
Chiude la porta d’ingresso con un calcio e poi lo trasporta fino alla camera da letto. Lo stende sulle lenzuola spiegazzate, gli solleva il maglione e preme le labbra sulla sottile peluria che scende fino all’elastico dei boxer.
“Rimarrai domani mattina?” La voce di Harry trema un po’ mentre le dita di Louis s’intrufolano dentro i pantaloni del suo pigiama. E Louis, allora, annuisce. Annuisce.
Harry spalanca gli occhi, un po’ incredulo, ma poi gli prende il viso tra le mani e inizia a baciarlo come se non ci fosse più un domani.
Ma un domani c’è e, finalmente, Louis si sveglierà accanto a lui.
Le labbra di Louis si muovono velocemente lungo la pelle di Harry, carezzandone ogni centimetro, ogni neo, ogni succhiotto quasi svanito che ha lasciato lì nei giorni passati, e sta parlando – sussurrando qualcosa che il riccio non riesce a comprendere. Aggrotta la fronte per un attimo, perplesso, ma poi capisce.
Louis sta cantando:
 
Let me come home,
Home is wherever I’m with you.
 
 
 
 
 
*
 
 
  
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