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Autore: past_zonk    02/09/2013    24 recensioni
Tutto ebbe inizio in quell'imbarazzante mattinata, per colpa d'un ritardo.
Sakura aveva sempre voluto vedere Kakashi senza maschera, ma questo era un tantino troppo persino per la sua curiosità.
Un'avvincente storia (d'amore?), tra incomprensioni, problemi sessuali, mutandine, missioni, soap opera, probabili futuri, partenze e ritorni.
Traduzione; Kakasaku; Romantica. 21 capitoli.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Un po' tutti
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Image and video hosting by TinyPic...Ok, suppongo di dovervi molte scuse. Infinite scuse. Sono passati quasi sei mesi dal mio ultimo aggiornamento, e molti di voi mi hanno contattato per sapere il destino di questa traduzione. Non sapevo come rispondervi, ero terribilmente imbarazzata, quindi ho pensato di parlare con i fatti e riuscire finalmente a tradurre (o dovrei dire ri-ri-tradurre) questo capitolo.
Non sto qui a rompervi le scatole con le mie mille scuse e motivazioni, solo che questo capitolo è stato piuttosto ostico. Ho perso per ben due volte i miei hard-disk esterni con tutti i dati sopra, e non so se sapete quanto sia irritante tradurre per più volte consecutive un lungo capitolo come questo, sopratutto dopo averlo riletto e ricorretto fino alla nausea.
Mi dispiace, veramente :c
Ringrazio voi per tutto - cazzo! - le 72 persone che seguono questa traduzione e le 44 che l'hanno messa tra le preferite! Per non parlare di tutte le vostre recensioni, che in serata conto di rispondere individualmente. Davvero, davvero, davvero grazie.
Non vi farò aspettare così tanto per il nuovo capitolo, lo prometto!
Evey.

 


 
The window.
Capitolo undicesimo ~ I semi d’arancia del destino.
Sakura se ne stava seduta fuori casa di sua madre ben prima di osar bussare. Faceva freddo, aveva la pelle d’oca sulle braccia che pungevano di brividi, e di tanto in tanto una goccia d’acqua atterrava sul suo ginocchio, mentre il cielo minacciava di riempirsi di pioggia come aveva fatto per tutto il giorno. Ma, ora come ora, il massimo che faceva era lasciar cadere qualche goccia.
Si sentiva un’estranea, su quel gradino, anche se aveva passato metà della sua esistenza seduta proprio in quel punto, parlando con Ino nei giorni d’estate mangiando un gelato, o aspettando lì coi brividi di freddo nei giorni autunnali, quando i suoi genitori stavano litigando dentro (perché anche se solo entrando avrebbe normalmente interrotto la discussione, a Sakura piaceva illudere se stessa e i suoi genitori di non sapere niente dei loro problemi).
Niente era cambiato da quel punto di osservazione. La casa di fronte era la stessa vecchia casa che era sempre stata lì, con la sua porta blu e i tubi di scarico grigi. Il vicino sulla sinistra manteneva ancora il giardino in perfette, meravigliose condizioni, mentre quello sulla destra collezionava ancora sul prato i resti di vecchie biciclette e giocattoli rotti con i quali Sakura era cresciuta. Quei bambini erano grandi ormai, e avevano probabilmente abbandonato da lungo le loro case, eppure i loro giocattoli erano rimasti nello stesso posto...come se aspettassero il loro ritorno.
La casa di Sakura non era neanche lontanamente così accogliente. Aveva quasi sperato che, rimanendo seduta per così tanto tempo sull’uscio, sarebbe stata in qualche modo trasportata alla sua infanzia, quando la vita era semplice e tutto ciò che la circondava era sicuro. Dove essere una kunoichi era un sogno romantico al quale s’era sempre ancorata, e dove i suoi genitori almeno convivevano pacificamente quel minimo da andare avanti. Ma alla fine del giorno, aveva ancora diciotto anni, era ancora seduta sul vecchio uscio della sua casa, sognando ancora un sogno del passato perché temeva la realtà del futuro.
Sognare non aveva mai aiutato nessuno, comunque. L’inattività era sempre stata la rovina della sua vita, quindi era finalmente giunto il momento di alzarsi e provare a riprendere il suo destino nelle sue mani, col rischio di sembrare uno dei personaggi di quelle mielose soap-opera che guardava.
Proprio in quel momento, iniziò a piovere.
Sakura si alzò e bussò alla porta decrepita. Era aperto, e sapeva di poter entrare e baciare sua madre sulla guancia come faceva di solito, ma questa volta voleva che fosse sua madre a venire da lei. A considerarla.
Dopo una pausa decisamente troppo lunga, la porta si aprì e la faccia di sua madre la scrutò dalla fessura in un misto di confusione assonnata e fastidio. Era molto simile alla faccia che aveva visto nella visione che il jutsu di Kakashi le aveva dato, ma Sakura suppose che non fosse così male, dopotutto. Sua madre era, in qualche modo, ancora una donna attraente, specialmente quando non era accigliata, quando non fumava o non si addormentava senza struccarsi. Tre cose che faceva abitualmente, purtroppo.
“Sai che ore sono?” chiese sua madre.
“Non è così tardi” ribatté Sakura “Sono solo le sette e mezza passate. Stavi dormendo?”
“Sì” replicò sua madre, con un tono che insinuava quanto desiderasse continuare a farlo. “Allora, che c’è a quest’ora? Ci sono tre possibilità. Non può essere per soldi, perché sai che non ne ho. E non può essere per dei vestiti, perché sono sicura che tu abbia già ripulito tutto ormai. Quindi sembra che il senso di colpa ti abbia colpito ancora, facendoti tornare  per farti sentire meglio dopo aver abbandonato la tua povera vecchia madre”
Sakura alzò gli occhi.
“Allora, qual è?” chiese la donna.
“Senso di colpa” borbottò Sakura “Posso entrare?”
Sua madre esitò “Fai presto. C’è la pubblicità.”
Improvvisamente Sakura si ritrovò a pensare perché fosse persino venuta. Seguì sua madre nella sala da pranzo e si sedette al tavolo, notando quanto fosse stranamente simile alla stanza che aveva visto durante quel jutsu. Guardare sua madre ora era come guardare di nuovo alla sua più grande paura.
“Sakura, non mi fissare in quel modo.” Sua madre le lanciò un’occhiata di traverso “E’ davvero scoraggiante”
“Scusa” mormorò Sakura, guardando verso la TV. “Oh, ho visto questa puntata. E’ quella in cui Denji si sveglia e chiede a Rinoko di sposarlo”
“Sì, beh, non scomodarti a spoilerarmi niente, eh…”
“Scusa”
Non stava andando per niente bene.
La madre di Sakura le lanciò uno sguardo e sospirò, prima di alzare la mano e accarezzare i capelli di Sakura con il dorso delle dita macchiate dal fumo. “Va tutto bene, tesoro. Sembri giù.”
Sakura alzò lo sguardo. “Ho avuto una giornata molto spaventosa.”
“Beh, sei una kunoichi quindi suppongo…”
“Non in quel senso,” mormorò Sakura “Mamma, posso farti una domanda?”
“Vai,” disse lentamente.
“Perché hai sposato papà?”
Sua madre sbuffò e ticchettò i resti della sua sigaretta sul tavolo, prima di raggiungere il suo pacchetto per tirarne fuori un’altra “Per cos’altro? Avevo trentadue anni, e non sarei certo ringiovanita.”
Sakura aspettò, ma sua madre sembrava aver finito. “Questo è tutto?”
“Guarda, Sakura, quando sarai più grande capirai queste cose. Tutte le mie amiche e sorelle erano felici e sposate, ed io avevo l’abitudine di scegliere gli uomini peggiori. Pensavo che tuo padre fosse diverso, ma mi sono serviti meno anni del normale per fargli mostrare la sua vera essenza. Era proprio come gli altri, ed ora sono di nuovo al punto di partenza...solo che ho cinquant’anni, e se era difficile trovare un uomo decente e libero quando ero giovane, è sicuro come la morte che sarebbe un miracolo se ci riuscissi ora.”
“Sicuramente avrai conosciuto qualche uomo decente…” disse Sakura, accigliandosi.
Sua madre fece una lunga boccata dalla sua sigaretta ed esalò lentamente “Forse uno o due. No. Solo uno,” sospirò. “Quando avevo circa la tua età, forse un po’ più grande, sapevo che questo ragazzo era unico nel suo genere. Piaceva a tutte le ragazze, e sono sicuro che ora abbia scelto la cremè de la cremè. Cavalleresco, abile, una buona famiglia alle spalle. Era praticamente perfetto sotto ogni punto di vista, tranne uno”
“Quale?” chiese Sakura.
“Gli piacevo io”
“Oh. Allora cos’è successo?”
“Niente,” brontolò sua madre, alzando gli occhi come faceva esattamente anche Sakura. “Mi intimidì e come al solito io scappai da quelle cose che mi sembravano troppo grandi. La cazz- ehm - errore più grande della mia vita. Sarebbe potuto essere tuo padre, se solo avessi giocato bene le mie carte, e probabilmente ora vivrei in una casa più grande sulla collina, e non in questo tugurio.”
Sakura sbatté le palpebre, sorpresa. Non pensava che quella casa fosse tanto malaccio, ma dopotutto era dove era cresciuta, e non aveva mai desiderato niente più di quello che aveva, allora. Forse sua madre si sentiva intrappolata come Sakura nella sua visione.
“Dov’è lui ora?” chiese piano Sakura.
“Chissà” sua madre alzò le spalle, stanca. “Non l’ho più visto tanto dopo che chiudemmo i rapporti, e poi tutt’a un tratto non l’ho più rivisto. Era un jonin...quindi ora sarà persino morto. O forse peggio, sposato.”
Sakura ci pensò per un momento. Forse se poteva trovare quest’uomo…”Qual era il suo nome?”
“Non importa, Sakura” disse brevemente sua madre. “Fa solo che sia una lezione per te. Non far sì che la paura intacchi la tua vita. Non accontentarti delle seconde scelte. Se l’opportunità di avere quello che vuoi è lì - prendila. Perché se la lasci andare via…”
La mano di sua madre era ferma mentre la cenere cadde sul tavolo. Il fumo turbinava dalla punta della sua sigaretta, diffondendosi e disperdendosi nell’aria fino a quando non spariva. La madre di Sakura lo guardò per un momento, prima di ritornare con lo sguardo alla televisione accesa “Va bene,” disse, la voce stranamente piatta, “per me hai fatto il tuo dovere. Ora puoi andare.”
Sakura non si mosse. “Ma io-”
“Preferirei che te andassi, Sakura”
Probabilmente non era un argomento particolarmente gioioso di discussione, per sua madre, quindi Sakura capì. Piuttosto che ribattere, annuì semplicemente e si fece avanti per avvolgere le braccia attorno alle spalle della Haruno più vecchia. “Ti voglio bene, mamma” bisbigliò, inalando il vecchio familiare odore di fumo e profumo che era stato una costante della sua infanzia.
“Ti voglio bene anche io, tesoro.” Sua madre le accarezzò il braccio. “Abbi cura di te.”
Toccò a Sakura accompagnarsi alla porta.
La pioggia imperdonabile sferzò il volto di Sakura appena mise piede fuori casa e chiuse la porta dietro sé. Per un lungo istante rimase lì, pensando a cosa fare.
Non voleva andare a casa e sedersi da sola per tutta la sera come al solito. Non voleva neanche andare a cercare Naruto, perché significava indirettamente vedere Sasuke, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era vedere una persona per la quale era stata una seconda scelta.  Due era stare in compagnia, e tre era una folla, certe volte, o almeno da quando Sasuke era tornato. L’unica altra persona che Sakura poteva possibilmente contattare era Ino, ma l’avrebbe solo sgridata di più, oppure avrebbe cercato di accasarla con qualcuno dei suoi ex ragazzi.
C’era un altro luogo in cui sarebbe probabilmente stata la benvenuta, ma...Sakura non voleva pensarci.
Sapeva solo che non poteva continuare a stare sull’uscio di casa di sua madre come una salsiccia idiota. Con tutta l’acqua che le stava scorrendo sulla schiena, era questione di minuti prima che si buscasse un raffreddore. E, nonostante tutti gli stupefacenti jutsu medici che conosceva, ancora doveva scoprirne uno per curare gli starnuti.
Proseguendo verso la strada, Sakura schizzò fra le pozzanghere e cercò invano di proteggere il suo volto dalla pioggia mentre cercava un riparo, che arrivò nella forma di una vasta tenda di un negozio di alimentari chiuso. Sakura scivolò in un punto fangoso affianco ad un cestino che puzzava lontanamente di vecchi cavoli e affondò contro la porta del negozio.
L’umidità le strisciava addosso come un fiume. Sospirò forte, rendendosi conto di non amare tanto la pioggia come aveva detto a Kakashi il giorno prima.
Oh, Kakashi.
Il suo cuore diede una patetica stretta di desiderio e dovette combattere contro il grumo che le si bloccò in gola. Era nei guai, guai molto seri, quando l’unica persona che la capiva e che le poteva dare quello che voleva era il suo insegnante jonin. Ma non era colpa sua. Recentemente, quando era con lui...per quanto le dava fastidio, le piaceva anche. Nessuno la ascoltava nella maniera in cui lo faceva lui. Naruto non sapeva come, Sasuke non voleva, Ino le parlava sopra, e certamente nessuno dei ragazzi con i quali si supponeva fosse in intimità prima d’allora aveva trovato posto affianco ai loro ego giganteschi per considerarla. Anche se, pensò, era quello che si otteneva a frequentare degli shinobi…
Kakashi era diverso. E dal quella fatidica (e orribile) mattina in cui l’aveva visto con Kimura Yoshi, aveva realizzato quanto fosse speciale. Era umano, e non più così intoccabile. La faceva parlare di cose di cui non aveva mai avuto abbastanza coraggio da parlare con nessuno. Le faceva sentire cose che nessuno aveva mai…
Sakura rabbrividì mentre ricordava le sensazioni che le aveva dato il suo sharingan. Un esplosione così densa e forte di piacere che le avrebbe annebbiato completamente la testa se solo avesse permesso che continuasse per un momento di più. Il solo ricordo le fece tremare il corpo dal desiderio. Desiderio di lui. Per le sue rudi, callose mani sulla sua pelle e la sua bocca calda sulla sua e il suo corpo forte contro il suo...dentro di lei.
Era andata da sua madre per delle risposte, per capire cosa dovesse fare. Ma anche se sua madre le aveva detto quello che praticamente aveva sperato di sentire, si sentiva ancora esitante…
Se l’opportunità di avere quello che vuoi è lì - prendila. Perché se la lasci andare via…
L’opportunità era lì, libera di essere presa o rifiutata. Poteva gettare al vento la prudenza e prenderla, oppure poteva continuare a giocare al sicuro e andare a casa, abbracciando un letto freddo e immaginando cosa sarebbe successo se solo avesse avuto il coraggio…
Spingendosi lentamente in piedi, Sakura si dibatté nervosamente per un momento, pensando se fosse la cosa giusta da fare. I denti le mordicchiarono nervosamente il labbro.
Poi decise.
Facendo un passo fuori la copertura della tenda del negozio, Sakura iniziò a camminare verso la strada. I piedi le sembravano dei blocchi di piombo, e non poteva sforzarsi di andare ad un passo più sostenuto neanche volendo. La pioggia batteva sulla sua testa e spalle e le luci della strada si accendevano mentre passava, ribellandosi al buio. Sakura non le notò. Aveva solo un obiettivo in mente, ed era così concentrata che non pensò durante tutto il tragitto. Un minuto prima stava camminando via dal negozio di alimentari, e uno dopo era fuori l’appartamento di Kakashi in quella vecchia strada in pendenza, con l’acqua che le scorreva sotto i piedi fino al tombino.
Una luce brillava dalla sua finestra, e, visto che le sembrava il tipo da fare attenzione alle bollette della corrente, probabilmente era in casa. Tutto quello che poteva vedere da lì era la vaga sagoma di Mr. Ukki.
Sakura si mosse in avanti, passando oltre il cancello arrugginito e il sentiero lastricato di pietre , fino alla porta di entrata. Per un momento il suo indice si poggiò sul bottone che avrebbe bussato il suo citofono, ma poi ricordò che era rotto. Era probabilmente grazie a quel piccolo bottoncino che ora si trovava in quella situazione. Se non fosse stato rotto, quella mattina non sarebbe mai salita alla sua finestra, non l’avrebbe mai visto in quel modo, la sua percezione di lui non sarebbe mai cambiata. Sarebbe ancora il suo strano, eccentrico sensei, con una passione per il porno ma niente di più, e ora potrebbe essere seduta a casa sua, lontana dalla pioggia, insoddisfatta e sola, ma almeno ancora beatamente ignara di ciò che non possedeva.
Provò invece con la maniglia della porta del condominio e si stupì di trovarla aperta. La hall era calda e asciutta, contrastando immediatamente con la sua pelle, pervadendola di brividi. Ma sarebbe stato mentire dire che il tremare non c’entrava niente con i suoi nervi.
Le scale sembrarono moltiplicarsi all’infinito davanti a lei, ma Sakura le affrontò rigidamente, un gradino alla volta, passando il primo appartamento dal quale risuonava musica classica, passando il secondo e il terzo, silenziosi, e il quarto, dove sentì una risata gorgogliare dall’interno.
L’appartamento di Kakashi era il quinto. Non c’era niente di spettacolare nella sua porta verde o nello zerbino con su scritto “Welcome Home” (a parte che il tappeto era così vecchio che le ultime due lettere erano sbiadite, lasciando Sakura molto turbata sulla veridicità del suo messaggio). Esitò solo per un momento prima di alzare il pugno e bussare con circospezione. Una metà di lei sperò che non fosse a casa...
Ma non aveva fatto tutta quella strada per fare la codarda all’ultimo minuto.
Quando la porta si aprì, lo stomaco le parve sprofondare, e si trovò a fissare tetra l’uomo che le si parava davanti. La sua faccia senza maschera la trascinò in un circolo vizioso. Come pure l’asciugamano avvolto attorno ai suoi capelli come un turbante. Ed era un’arancia quella che stava masticando?
Kakashi la guardò lentamente dall’alto al basso, scrutando la sua figura bagnata, prima di incontrare il suo sguardo e alzare impercettibilmente le sopracciglia “Ebbene?”
Il mento di Sakura si alzò in risposta; fece un profondo respiro e disse quello che voleva dire fin da quella mattina alla finestra.
“Per favore, fai l’amore con me.”

Lo spicchio d’arancia tentò di scivolare verso il condotto sbagliato, in quel momento, e Kakashi tossì il più discretamente possibile nel suo pugno chiuso. Non che fosse sorpreso del fatto che fosse venuta da lui per del sesso. Era semplicemente stupito che non avesse avuto alcuna esitazione nel dirlo.
Lei parve terrorizzata, però, in piedi sul suo uscio, le punte dei suoi capelli e il naso gocciolanti acqua, ed era così pallida che si sarebbe potuta mescolare col muro dietro di lei. Tremava come un gattino colto fuori al freddo, e per quanto divertente fosse stuzzicare e provocare questa ragazza, ora sembrava un tantino troppo fragile.
“Penso sarebbe meglio se entrassi, allora,” disse, padroneggiando come sempre l’arte della comprensione. Fece un passo indietro e aprì di più la porta.
Lei fece un passo avanti come un topo che entra nella tana del leone, rimuovendo rispettosamente le scarpe mentre ispezionava la stanza come se non l’avesse mai vista prima d’allora. Forse non l’aveva davvero mai vista? Non riusciva a ricordare una volta in cui lei gli aveva fatto visita, e di sicuro neanche una in cui lui le aveva offerto di entrare. Si chiese a cosa stesse pensando. Era piuttosto ordinato, lo sapeva, per uno che viveva solo, e gli piaceva tenere bada al suo disordine. Ma oggi aveva vestiti lavati impilati in un angolo della stanza, aspettando di essere stirati e piegati e messi a posto. La maggioranza di essi erano, naturalmente, mutande.
Notò gli occhi di Sakura registrare quel dato di fatto prima di volare velocemente ad esaminare il muro opposto della stanza. Saltò quasi fuori dalla sua pelle quando lui tolse l’asciugamano dai suoi capelli per poggiarlo sulla sua testa.
“Sei bagnata fradicia. Non vuoi mica andare a fare una nuotata al fiume o qualcosa del genere?”
Sfregò l’asciugamano sulla sua testa senza esitare, scatenando la sua disapprovazione “Hai almeno ascoltato quello che ho detto?” chiese “Voglio che tu-”
“Ho sentito” tagliò semplicemente lui, prima di indicare il tavolo nella sala da pranzo “Perché non ti siedi?”
Lei si fermò un attimo, come se volesse protestare, poi ci ripensò su e andò a sedersi. Lui prese un’altra arancia dalla ciotola sul ripiano della sua cucina, prima di sedesi al lato opposto del tavolo. Gliela offrì senza parole, ma lei scosse la testa. Cominciò comunque a sbucciarla.
“Mangio sempre un’arancia quando mi sento giù. Non smettono mai di farmi sentire meglio,” disse, colloquiale. “Credo sia la vitamina C.”
Guardò Sakura passare distrattamente l’asciugamano sulle sue braccia - quelle braccia lisce e toniche, spolverate con un pizzico di abbronzatura estiva che si andava dissolvendo. Per una ragazza così forte, erano straordinariamente delicate, con la curvatura degli avambracci che terminava in quei polsi sottili e piccoli, e poi nelle mani dalle dita lunghe. I suoi occhi sembravano scuri, quella notte, quasi grigi, e lo guardavano con diffidenza, aspettando che spiccicasse parola.
Kakashi riportò la sua attenzione all’arancia fra le sue mani “Perché sei venuta qui, Sakura?”
Un istante di silenzio percorse il suo appartamento. “Pensavo di essere stata abbastanza chiara,” disse calma.
“Ok, lascia che riformuli” disse lui, fissandola con un lieve sorriso. “Perché vuoi che ti scopi?”
La sua calma statica si ruppe, facendola arrossire “Non voglio che tu mi scopi. Voglio che tu faccia l’amore con me. Adeguatamente. Hai detto che ci saresti stato per me, se avessi avuto bisogno di qualsiasi cos-”
“E tu hai pensato che avrei mollato tutto per fotterti - scusa - fare l’amore con te, se mai tu fossi venuta a bussare alla mia porta vogliosa?” Tirò dalle sue dita uno spicchio di arancia e se lo portò alla bocca “Una conclusione piuttosto forte da trarre da una semplice offerta di aiuto”
Lei lo osservò cauta “Avevo torto?” chiese lentamente.
“No,” ammise. “Ma la mia ospitalità ha dei limiti. Il che spiega perché mi stia domandando quale sia la tua vera motivazione. Se qui perché vuoi essere qui? O sei qui per qualcosa che hai visto in quel jutsu stamattina?”
Lo sguardo di lei divenne un tantino incerto, e per un lungo momento non disse niente. Dopo una deliberata riflessione mentre fissava il tavolo di pino davanti a lei, alzò la testa e rispose “Non sono sicura cosa tu intenda. Ma è come hai detto tu prima d’ora. Tutti provano un po’ di solitudine...ma quando sono con te non la sento così tanto. Lo capisci questo, vero?”
Fin troppo bene. Annuì lentamente, donandole un sorriso ben più caldo “Sì” mormorò. “Lo capisco.”
“I-io non so” disse lei, il suo atteggiamento forte che le crollava attorno come un vetro scheggiato, mentre lanciava uno sguardo al suo appartamento “Forse non dovrei essere qui. Forse è un errore-”
“Forse non lo è” la interruppe lui “Forse dovresti restare”
Lo guardò incerta. “Dovrei…?”
Stava dipendendo su di lui per quella risposta, per decidere cosa avrebbe dovuto fare; sperava che la liberasse dal peso di quella scelta e le desse una strada facile su cui proseguire. E per quanto fosse tentato dall’assicurarla al suo letto per quella notte, non voleva essere lui a prendere quella decisione. Toccava a lei e lei sola.
Kakashi guardò in basso agli spicchi d’arancia nella sua mano e improvvisamente cominciò a dividerli. “Mi piacciono le arance, ma trovi sempre quei semini strani, no? Dico che c’è un cinquanta percento di possibilità di trovare un semino in ognuno di questi spicchi.”
Sakura lo fissò.
“Allora, facciamo questa piccola scommessa,” disse allegramente. “Tu scegli uno di questi spicchi a caso e lo mangi. Se c’è un semino, devi andare a casa. Se non c’è, devi baciarmi.”
Gli occhi di Sakura si spalancarono e la sua faccia si fece per una frazione di secondo più pallida;   se fosse per la prospettiva di andare a casa, o di baciarlo, lui lo poteva solo immaginare.
“Affare fatto?” chiese lui.
Lentamente, cautamente, lei annuì “Affare fatto.”
Lui sorrise pigramente e depositò gli spicchi di arancia in una pila al centro del tavolo. Le fece poi gesto con un dito “Vai avanti. Chiudi gli occhi e fai la tua scelta.”
Quasi riluttante chiuse gli occhi e alzò la mano verso gli spicchi d’arancia. Le dita frugarono per un attimo prima di fermarsi su uno degli spicchi più spessi, poi, tenendo sempre gli occhi chiusi, lo portò alla bocca e lo morse per intero.
Anche se ora avesse trovato un semino e fosse andata a casa, avere semplicemente l’opportunità di guardarla mentre lentamente premeva quel pezzo di frutta fra le sue umide labbra rosa, era abbastanza. Quell’immagine era il tipo di cosa di cui erano costituiti i sogni erotici. Quando finalmente ingoiò udibilmente, e le sue labbra si aprirono soffici subito dopo, sentì il suo inguine stringersi in risposta.
Cose così irrilevanti non gli facevano ribollire il sangue in quel modo, normalmente. Se si fosse leccata anche le labbra, non sarebbe stato certo di potersi fermare dal rivoltare il tavolo nella fretta di averla.
Fortunatamente non lo fece. Solo, aprì gli occhi e lo guardò direttamente negli occhi. Gli ci volle un momento per realizzare che non stava sputando alcun semino, né facendo alcuna mossa per alzarsi e andarsene. Il che significava solo una cosa.
“Vuoi ancora onorare l’affare?” le chiese.
“E’ solamente giusto,” rispose lei debolmente.
Con un altro sorriso disarmante, lui le porse la sua mano. Delle dita fredde strisciarono esitanti sulle sue e lui le afferrò velocemente e forte, per portare quella mando verso lui e tempestarla di leggeri baci sulle nocche. Più che vederla, la sentì ispirare bruscamente. Le dita di lei si contrassero contro le sue, e lui si chiese di che fosse fatta quella pelle morbida che avrebbe fatto vergognare la seta più soffice.
Ma non le concese molto tempo per abituarsi. Dopo un momento, diede una gentile strizzata alla sua mano, e la tirò a sé finché lei non era stesa per metà sul tavolo. Era abbastanza vicina per lui da poter raggiungerla con facilità, scostarle i capelli bagnati dal viso, e inclinarle il mento per farle incontrare il suo bacio.
Il primo fu breve, casto, come se la stesse testando, e il secondo più impegnativo e strascicato. Chiuse i suoi occhi e sentì le labbra di lei dipartirsi leggermente, ma Kakashi non voleva farle più pressione del necessario. Non aveva mai baciato nessuno con quell’attenzione, prima di quel momento. L’unica sensazione remotamente simile che riusciva a ricordare, era quando aveva richiamato un Pakkun ancora cucciolo, e gli aveva sporto la sua mano in un tentativo di lasciarsi odorare, non sapendo quale sarebbe stata la sua reazione.
Ovviamente, Pakkun aveva provato a staccargli le dita a morsi, e allo stesso modo, se non fosse stato attento con Sakura, sarebbe potuto finire con qualcosa in meno ben diverso dalle sue dita. Poteva essere una creatura piuttusto imprevedibile quando spinta fuori dalla sua grotta, e l’ultima cosa che Kakashi desiderava era ritrovarsi con un labbro trafitto, oltre che ai suoi problemi.
Ma sembrava che Sakura approvasse. La sentì sospirare e poggiarsi contro di lui, offrendogli un po’ di più della sua bocca. Poteva sentire l’arancia sulle sue labbra e odorare la pioggia nei suoi capelli, e quando le sue dita fredde frusciarono contro il suo collo, non gli interessò più di tanto, perché si sarebbero riscaldate data la sua temperatura.
Poi, improvvisamente, Sakura si tirò indietro, le labbra premute fermamente insieme mentre guardava il tavolo. Kakashi sbatté le palpebre, sorpreso, ma si riprese velocemente. Stava per chiederle se stesse bene, quando notò l’orologio sul muro dietro di lei.
Si stava facendo sempre più tardi, persino per lui. Ayame non era così tanto abituata ai suoi ritardi e forse non sarebbe stata così pronta a perdonarlo per questo particolare difetto quanto gli altri. Per quanto volesse rimanere, doveva veramente andare.
“Sakura, ho un appuntamento…”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“No, davvero. Stavo per uscire quando sei arrivata, e dovrei probabilmente scappare, ora,” disse, alzandosi in piedi. Gli occhi di Sakura lo seguirono mentre si muoveva per la stanza in cerca del suo giubbotto e coprifronte. Si girò verso di lei mentre riaggiustava la maschera al suo posto, notando poi la sua espressione da ‘trovatella abbandonata’. “Tornerò fra un ora. Forse un’ora e mezza,” disse lui, “il che dovrebbe essere abbastanza tempo, penso.”
“Per cosa?” mormorò lei.
“Perché tu decida se vuoi essere qui o meno al mio ritorno.”
Lei arrossì e guardò via.
Kakashi si fermò a guardarla per un momento. “Decidi molto attentamente,” la avvisò piano, prima di infilarsi le scarpe e uscire dalla porta.

Nel momento in cui uscì, Sakura sputò i semini e tirò un sospiro di sollievo. Se avesse lasciato che il bacio andasse nella direzione in cui stava andando, lui avrebbe senza dubbio scoperto il suo piccolo imbroglio e la avrebbe tormentata senza pietà.
Non che avesse intaccato minimamente il suo godersi il bacio. Nessuno l’aveva mai baciata in quel modo. E poi, se non i baci che aveva ricevuto come semplici preludi al sesso - i suoi fidanzati li consideravano una cattiveria innecessaria o qualcosa da fare per poterle sfilare la maglietta - quei baci frettolosi era il massimo preliminare che avesse mai ricevuto.
Invece, il bacio di Kakashi era stato lento, generoso, e perfettamente in tono con quello che lei desiderava. Nascondeva la promessa di un piacere molto più grande, ma non domandava niente. Era semplicemente un bacio fatto per baciare, e se avesse dovuto pensare all’esempio di un bacio puro, un vero bacio, quello avrebbe fatto al caso suo.
Eppure, l’aveva ricevuto dal più grande pervertito dopo il sannin Jiraiya.
Probabilmente aveva solo fatto tanta pratica, pensò lei. Chiaramente, quando avevi storielle con delle donne sposate e ti facevi delle ragazze nei bar ogni notte, acquisivi delle qualità. Forse non era davvero così puro e genuino...forse era solo il modo in cui baciavano le persone che sapevano quello che stavano facendo...
Sakura sospirò e poggiò la sua fronte contro il tavolo. Cosa fare?
Dall’istante in cui aveva messo piede in quell’appartamento, s’era rassegnata all’idea di aver ormai superato il punto di non ritorno. Ora, d’un tratto, le era stata data un’altra possibilità di ritirata. Era una tentazione, semplicemente saltare via dalla finestra e fare ritorno nella sicurezza del suo appartamento, ma sarebbe stato davvero per il suo bene? E se fosse rimasta lì per quando lui sarebbe tornato, e avrebbero fatto l’amore, sarebbe stata davvero quella la scelta migliore? Dormire con il proprio sensei era davvero un tabù, e non senza una ragione. Era così irresponsabile lasciarsi andare alla sua tentazione? Perché Kakashi non poteva rendere le cose più facili e semplicemente cacciarla e mandarla a casa? Perché doveva prendersi gioco di lei in quel modo?
Sarebbe stato meglio per tutti se se ne fosse andata ora, e il giorno dopo si sarebbe incontrata con il suo team mantenendo la sua freddezza e pretendendo che niente fosse mai successo, e poi eventualmente uno dei due o entrambi si sarebbero dimenticati di quella notte in cui lei s’era offerta al suo sensei su un piatto d’argento.
La scelta era un gioco da ragazzi. Con un sospiro rassegnato, s’era alzata e s’era mossa a raccogliere i suoi stivali per andarsene, sapendo di aver fatto la giusta decisione.
Ma se era quella giusta, allora perché si sentiva così male?

“Kakashi-san, ti odio”
“Scusa, cosa? Non ti sento, sei coperta dal suono di me che suono in maniera eccezionale-”
Crash!
Kakashi spostò la sua mano dai tasti giusto in tempo da evitare che le sue dita fossero schiacchiate da uno schiaffo, offerto gentilmente da un’arrabbiata insegnante di piano.
“Sei ufficialmente più bravo di me, ora,” disse Ayame, sembrando offesa “Non ho assolutamente più niente da insegnarti.”
Kakashi la osservò. “Urrà?” provò, tentando la sorte.
“Mi ci sono voluti dodici anni per arrivare a questo livello - a te ci sono volute solo tre lezioni e un totale di quattro ore e mezza,” brontolò, le mani sui fianchi. “Sai quanto sono irritanti quelli che apprendono velocemente?”
Lui pensò alla sua studentessa che imparava velocemente genjutsu “Li trovo tollerabili,” disse vagamente.
Lei tirò un sospiro e si poggiò al piano. “A cosa ti serve, comunque?”
Gliel’aveva chiesto fin dalla prima lezione, e lui aveva evitato la domanda ogni volta, visto che era una questione top-secret, e tutto il resto. Ma se Ayame aveva il vizio di splattellare segreti, l’avrebbe già fatto da molto (Naruto le diceva abitualmente tutto e di più su ogni missione ogni volta che andava a mangiare del ramen al negozio di suo padre),quindi forse non c’era alcun rischio nel placare la sua rabbia dandole la risposta.
“Ho una lunga missione di riconoscimento fra un mese. Il tipo che dovrò seguire si muove molto e cambia il personale al suo servizio ogni due giorni. Le uniche persone che non cambia sono i suoi tre musicisti. Il pianista dovrebbe essere indisposto il prossimo mese, il che è quando io dovrò magicamente rimpiazzarlo.”
“I ninja hanno gli incarichi più strambi,” mormorò in adorazione. “Ma come fai a sapere che il pianista sarà indisposto?”
Perché sarò io a renderlo indisposto?
“I ninja sanno tutto,” disse invece.
“Oh, ok.” Annuì lei. “Beh, buona fortuna allora. Mando il conto all’Hokage, giusto?”
“Giusto.”
Lei guardò poi al suo orologio. “E’ tardi, Kakashi-san. Sarà meglio che tu vada prima che mio marito torni e brontoli sul ritrovarsi uno strano uomo in casa.”
“Non sono strano…” protesto, ma lei lo stava già spingendo verso la porta.
“Addio, Kakashi-san! E se mai ti rivedrò, sarà sempre troppo presto!”
Lui fece un sospiro teatrale, ma per allora la porta gli s’era già chiusa in faccia.
La notte sembrava essersi presa una tregua dalla pioggia, e mentre Kakashi osservava il cielo, finì per spiare la luna crescente, pallida fra le fessure delle nuvole, che quella notte illuminava più di ogni lanterna appesa. Fece la sua strada verso casa, senza affrettare il suo passo lungo la strada lavata dalla pioggia. L’interrogativo su Sakura, se fosse stata lì o meno al suo ritorno, lo stava torturando sin da quando era uscito. Aveva persino intaccato la sua performance, ma Ayame non l’aveva notato, il che provava più di ogni altra cosa quanto l’avesse sorpassata.
Ma che importava di pianoforti e missioni quando sarebbe potuta esserci una bellissima ragazza ad aspettarlo a casa per fare pazzamente e selvaggiamente l’amore, quella notte? Ricordò a se stesso che sembrava decisamente troppo bello per essere vero. Per ora era probabilmente rinsavita ed era corsa via nella notte. Disse a se stesso di non sentirsi deluso quando avrebbe aperto la porta di casa e non l’avrebbe trovata. Era solo da aspettarselo.
Ma il cuore gli era salito in gola quando girò la maniglia e si spinse dentro, e poi guardò nella zona, dove, da qualche parte, aveva realizzato, i suoi stivali erano scomparsi.
Dannazione. Ecco la delusione.
Completamente irrazionale e inappropriata, ma senza alcun dubbio lì.
Sentendosi distintamente meno felice di un momento prima, Kakashi si liberò del suo giubbotto e del suo coprifronte. Non era dell’umore giusto per badare all’ordine, quindi li lasciò andare entrambi sul tavolo della sala da pranzo, dove due semini si erano materializzati, da quando se n’era andato. Non era dell’umore giusto neanche per pensare a quelli. Voleva solo andare a letto e dimenticare quanto fosse un idiota.
Ma, mentre camminava nella sua stanza da letto, notò che qualcosa era davvero fuori posto. Nella luce fioca, il suo primo pensiero fu che quella gatta dall’occhio mancante fosse strisciata dalla finestra e avesse preso possesso del suo letto. Fu in un momento più tardi che si rese conto che la matassa che occupava il suo letto era rosa.
“Pensavo te ne fossi andata,” rimarcò, sentendosi quasi senza fiato. “I tuoi stivali erano scomparsi.”
Sakura si sedette nel suo letto, le coperte a coprirle il petto. Era alquanto ovvio che non indossasse la sua maglietta...o nient’altro, comunque. Gli diede un timido, assonnato sorriso, e indicò la stufa dove due stivali neri stavano asciugando. “Erano bagnati…”
Era adorabile. Il suo cuore volò dritto verso lei. “Sei nuda?” disse lentamente, ammirando la figura che le lenzuola del suo letto abbracciavano così deliziosamente.
“Non proprio,” disse timidamente, “Te l’ho già detto, sensei, dormo solo in mutande.”
“Descrivile.”
“Nere,” sussurrò lei. “Con un grande cuore bianco stampato sul davanti.”
Lui annuì, digerendo quella meravigliosa, meravigliosa immagine mentale.
“Ti piacerebbe vederle?” gli offrì timidamente.
Come poteva rifiutare alcuna richiesta fattagli da questa ragazza?
   
 
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