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Autore: Layla    02/09/2013    4 recensioni
"Jack impallidisce e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei poco sensibile, DeLonge.”
“Perché Gonzales?”
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso.”

Ava DeLonge/Jack Hoppus
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3) Un cavaliere in  disgrazia.

 

Landon si tiene accuratamente alla larga da me per tutte le lezioni, in compenso fa il cretino con una di nome Stella, che ha un anno meno di me.
Cosa gli è preso?
Ieri sera invita me e adesso ci prova con lei?
Mi deve delle spiegazioni.
Alla fine delle lezioni riesco a incastrarlo vicino alla sua macchina.
“Landon!”
“Ava…”
“Ti ho fatto qualcosa? Mi hai evitato tutto il giorno!”
“Non mi andava di parlarti, tutto qui.”
Mi risponde, poi si infila in macchina e parte sgommando lasciandomi lì come una fessa.
Vado a casa masticando rabbia e delusione, non può essere come dicono Ginger e Jack, mi rifiuto ancora di crederlo.
Il giorno dopo riesco a trascinare Landon in uno sgabuzzino e cerco di farmi dare delle risposte, ma lui mi bacia e come al solito il mio cervello si scollega.
Tutta la rabbia, la delusione e le domande evaporano velocemente, lasciando solo un vuoto triste.
“Ci vediamo domenica pomeriggio a casa mia.”
Mi sussurra, poi se ne va tranquillo.
Perché ho la brutta sensazione di stare per essere raggirata alla grande?
Non lo so, me ne torno alla mia lezione di inglese con l’umore sotto i piedi e la voglia di sparire da questo mondo.
“Come mai quella faccia?”
Mi chiede Ginger.
“Niente, Landon mi ha invitato ad andare da lui domenica prossima, ma non mi ha spiegato perché mi evita.”
Lei non dice niente e gliene sono grata, non sono dell’umore adatto per sentire prediche.
Jack non mi rivolge la parola, anche se io vorrei parlargli, mi sfugge anche lui e vorrei sapere perché, lo chiederò a Ginger.
“Ginger, perché Jack non mi rivolge più la parola?”
“Perché è ferito e non vuole sapere più nulla di te.”
Grande.
Vado a casa con il cuore pesante e gli altri giorni non sono affatto migliori, mi sento sempre peggio, sempre più isolata.
Quando arriva domenica mi sento depressa come pochi e vado a casa di Landon sperando di divertirmi almeno un po’.
Suono a casa sue e mi viene ad aprire.
“Ciao, Ava!”
Il suo tono sembra allo stesso più caloroso e più finto di quando ci siamo visti l’ultima volta.
“Ciao, Landon.”
Entriamo e ci mettiamo a guardare la tv, ma lo sappiamo tutti e due che è un pretesto, pochi minuti dopo infatti inizia a baciarmi.
Ci togliamo la maglietta e lui scende a baciarmi i seni, litigando con il gancino del reggiseno, sta per togliermi l’intimo quando la porta si apre.
Oh, cazzo!
Questo non era minimamente previsto!
“Avaaaa!”
Urla una voce conosciuta – quella di mio padre – da dietro la figura di Travis.
Io mi rivesto come posso e vado da lui che mi dà una sberla, fulmina il primogenito del suo amico e mi porta via.
“Papà..”
“Ava, non dire niente!
Sei in punizione per un mese.”
“Posso almeno spiegarti?”
“Spiegarmi cosa?
Che mia figlia fa la puttana con uno che è risaputo essere uno da una botta e via?”
Mi domando come faccia a saperlo, mentre mi tocco la guancia. Fa male fisicamente e ancor di più psicologicamente: mio padre non mi ha mai dato uno schiaffo, nemmeno da piccola.
Mia madre ci guarda stupita, ma davanti allo sguardo scuro di mio  padre non osa dire una parola, io salgo in camera mia e mi butto sul letto a piangere.
Piango per almeno una settimana tutti i giorni, mio padre è freddo e non perde occasione per insultarmi sul fatto che stavo per farmi Landon, mia madre tace.
Non sa cosa fare o cosa dire, non vuole prendere posizione.
La cosa peggiore è che anche Jack a scuola mi ignora o fugge non appena mi vede, come se avessi la peste. Non posso credere di aver perso il mio migliore amico.
“Chi vorrebbe avere come amica una puttana?”
Chiede retorico mio padre, ogni volta che lo sento mille pezzi di vetro entrano nella mia anima e mi sento sempre peggio, dov’è finita la mia bella famiglia?
Dove è finito il padre comprensivo?
Dov’è il mio migliore amico?
Forse la promessa che ci sarebbe stato per sempre è stata una promessa vana, da non rispettare alla prima difficoltà seria.
Sto male, malissimo.
Non riesco a ricordare l’ultima volta che sono stata così, credo solo quando hanno detto a mio padre che aveva un cancro alla pelle.
In questo momento avrei disperatamente bisogno di Jack, ma lui non c’è e io non posso uscire per ora. Forse stasera posso provare a sgattaiolare fuori, ma ho come l’impressione che lui non mi voglia vedere.
Se ci fosse stato Jack al posto di Landon tutto questo non sarebbe successo.
Il pensiero mi fulmina, tanto che smetto di piangere all’istante.
Io non sono mai stata innamorata di Landon! Era solo una stupida cotta, quello che mi piace è Jack.
Come diceva Ginger?
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso?”
Sono stata davvero una stupida, ho confuso per tutto questo tempo l’amore con l’amicizia, era per questo che ero gelosa di Ginger e di tutte le sue ragazze.
Scendo a cena, il clima è tesissimo, nessuno parla.
Non ho visto mio padre così arrabbiato nemmeno quando i blink si sono presi una pausa, se mi scoprisse farebbe una strage, ma io ho bisogno di uscire.
Salgo di nuovo in camera mia e aspetto che la casa sia davvero silenziosa, verso le tre non sento volare nemmeno una mosca. Con calma, facendo meno rumore possibile metto un paio di shorts sotto la maglietta nera che uso come pigiama e un paio di anfibi.
Apro piano la finestra e poi prendo la rincorsa per saltare sull’albero vicino a casa mia, arrivo su un ramo e poi scendo.
Percorro il parco facendo attenzione all’antifurto, di cui conosco i punti ciechi e i cani di mio padre, arrivo al cancello e lo scavalco con qualche difficoltà.
Mark non abita lontano da noi, così io corro verso casa sua con il vento che mi passa tra i capelli, è una sensazione piacevole.
Scavalco il muro di casa Hoppus – che conosco come casa mia – e mi porto sotto la finestra di Jack, per iniziare a tirargli dei sassolini.
Dopo un tempo che sembra infinito si affaccia, più scarmigliato del solito.
“Cosa c’è?”
“Ho bisogno di parlarti!
“Non puoi aspettare domani?”
“No!”
Lui sbuffa e io prendo una scala abbastanza lunga che è appoggiata poco lontano, con cautela l’appoggio sotto la finestra di Jack e inizio a salire.
Come al solito lui mi aiuta con gli ultimi gradini e poi  sono in camera sua.
“Cosa devi dirmi?”
“Avevi ragione su tutto riguardo a Landon, mi dispiace per come mi sono comportata!”
La sua faccia diventa gelida.
“È  troppo tardi.”
“Cosa?”
“Ho detto che è troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una merda e poi pretendere che io ti dica che va tutto bene e che è tutto a posto tra di noi.”
“Jack, io…”
“Vai via, Ava. Hai sbagliato i tempi, io non ho voglia di rincorrerti come un cagnolino. È sempre stato così e sono stanco.”
“Jack.. Io Ti amo.”
Il suo sguardo è freddo, non c’è traccia di pietà in quegli occhi azzurri.
“Troppo tardi, sto con Ginger.
Se non hai altro da dirmi, vattene!”
“Ok.”
Scendo mestamente la scala e la rimetto al suo posto, poi torno a casa mia. Mi sento sola, mi sento delusa, mi sento non desiderata.
Arrivata in camera mia mi butto a letto e piango di nuovo, tanto che la mattina dopo ho due occhi gonfi e una decisione in testa.
Basta, io me ne ve da qui, prendo il primo autobus per il Canada. La mia macchina sarebbe più comoda, ma è più rintracciabile e io non voglio che mi trovi nessuno.
Svuoto il mio libretto postale e con un po’ di contanti tra le mani mi dirigo alla stazione degli autobus, forse è meglio scegliere una meta vicino al Canada e poi attraversare illegalmente il confine.
Prendo un biglietto di sola andata per Seattle e mi addormento, il viaggio sarà lungo, risalire dal fondo della California fino ad arrivare a quell’insenatura del mare su cui si affaccia Vancouver non è uno scherzo.
Vancouver è solo la prima tappa e non so nemmeno se la raggiungerò.
 

Mi sveglio che siamo arrivati a San Francisco.
L’autista si è fermato per il pranzo in un autogrill, io mangio solitaria un panino, nella mia borsa militare e nel mio zaino ci sono tutte le cose che mi potranno servire.
Vado in bagno e poi ripartiamo.
Ora non più sonno e la noia mi assale mentre guardo dal finestrino, fa male lasciare i tuoi amici e la tua famiglia?
Sì, ma se non ti vogliono più, a volte è necessario.
Alla sera siamo arrivati a Portland, facciamo una pausa per la cena e per il bagno, probabilmente all’alba arriveremo a Seattle.
Wow! Potrò andare nella patria del grounge!
Sì, e poi ripartire subito per il Canada per passare la frontiera in modo illegale per non lasciare tracce, come una rinnegata.
“I’m a renegade
It’s in my blood!”
Canticchio io per tirarmi sui l morale.
Risalgo di nuovo sul pullman e come avevo previsto verso l’alba arriviamo alla stazione degli autobus di Seattle, fa freddo rispetto alla California.
Adesso cosa faccio?
È inutile prendere una camera in affitto in un motel, mi guardo attorno, stringendomi nel mio cappotto militare e mi guardo intorno.
Ci sono parecchi uomini e donne e anche ragazzi che si girano per la stazione, un gruppo in particolare è riunito attorno a un fuoco di fortuna.
“Posso?”
Chiedo.
“Certo, mi fanno posto e mi passano uno spiedino con della carne che io mangio voracemente.
“Sapete come si fa ad arrivare in Canada?”
Chiedo esitante.
“Canada, dove?”
“Vancouver, poi penso di potermi muovere da sola e arrivare a Montreal.”
Un ragazzo dai lunghi dread sporchi alza una mano.
“Vieni con me, ti ci faccio arrivare io.
Ho la tua stessa meta.”
“Come mai in fuga, carina?”
Io rimango un attimo zitta, non so cosa dire.
“Furto…”
Biascico infine.
Il rasta, che poi si presenta come Derek, dice che è un fuga da un’accusa di omicidio. Ha fatto secco un cliente che non pagava l’erba da mesi.
Un brivido mi attraversa la schiena, non è che farà secca anche me?
Lo guardo meglio, non ha più di diciotto anni ed è alto e magro, i vestiti gli cascano addosso troppo larghi, i suoi dread sono lunghi fino quasi al sedere e non sembrano molto puliti, ha la carnagione scura e gli occhi neri.
Non sembra così cattivo, sembra solo uno skater in disgrazia, con il suo giubbotto a fantasia militare e lo zaino nero.
Finisco il mio spiedino e poi Derek mi tende una mano.
“Forza, andiamo!”
Saluta gli altri.
“Come ti chiami, piccoletta.”
“Ava, hai davvero ucciso una persona?”
Lui alza le spalle.
“Non ne vado fiero, ma sì, l’ho fatto. Nel mio quartiere è così o uccidi o vieni ucciso.”
“Da dove vieni?”
“San Francisco.”
“San Diego.”
“Viva la California!
Mi dice sorridendo.
“Ho ancora fame.”
“Entriamo lì, la persona che devo incontrare non si farà viva prima di mezzogiorno.”
“Chi è?”
Lui mi apre la porta.
“Un camionista che porta dentro gente senza farsi beccare, un mio amico dice che è bravo e se lo dice lui ci credo.
Tu, piuttosto, non potresti rendere più anonimi i tuoi capelli?”
“Sì, ci stavo pensando.
Biondo o nero?”
“Perché non castano?
“È il mio colore naturale, mio padre mi riconoscerebbe.”
Mi metto le mani davanti alla bocca come se avessi parlato troppo e in un certo senso è così.
“Tu non stai scappando per il motivo che ci hai detto prima, tu stai scappando da casa!”
Io abbasso gli occhi sulla pancetta e le uova strapazzate.
“Sì, mi aiuterai lo stesso?”
“Sì, non ti preoccupare. Mi stai simpatica e qualcosa mi dice che non ti fermerai finché non ti troveranno loro, quindi tanto vale proteggerti. Là fuori è un brutto mondo, Ava.”
“Grazie, Derek. “
Finisco di mangiare e paghiamo, poi bighelloniamo per la città fino all’ora dell’appuntamento.
Io mi compro una tinta bionda e me la faccio in bagno pubblico, poi Derek me li acconcia in lunghe treccine stile afroamericano.
Così arriva l’ora di pranzo e di incontrare chi ci porterà in Canada.
Non è altro che un camionista, un grasso, grosso, camionista stronzo che non appena mi vede fa salire il prezzo alle stelle.
Lui e Derek mercanteggiano un po’, ma lui vuole sempre troppo per i nostri risparmi, fino a che Derek tira fuori l’ultima cosa che mi aspettavo avesse: una pistola.
“O abbassi il prezzo a una quota non da strozzino o ti faccio un buco in pancia con questa!”
“Così finiresti in carcere o sulla sedia elettrica.”
Risponde sarcastico il ciccione.
“Scommetto che non ci finirò se io racconto alla pulizia di tutti i tuoi traffici, droga inclusa.”
Lui impallidisce vistosamente.
“Va bene, cento dollari ciascuno. Fatevi vedere a questo indirizzo stasera alle sei.”
Porge un biglietto che annuisce e lo fa scivolare in una delle tasche.
Io vorrei dire qualcosa, ma sono come scioccata e non so come uscire da questa situazione.
“Ava, cosa c’è?”
“Ni-niente!”
Lui sbuffa.
“Su, dimmi cosa c’è?”
“Quella cosa di prima la userai anche contro di me?”
“No.”
Io non dico nulla e continuiamo a camminare.
“Ascolta, la porto da quando avevo quattordici anni, perché il mio quartiere non era bello, ma il fatto che io l’abbia non vuole dire che l’userò come te.
Voglio aiutarti, non ucciderti.
Se vuoi sapere altro te lo dirò lungo il viaggio.”
“Perché?”
“Perché dovremo parlare e parlare perché là dentro farà un freddo d’inferno e non vale la pena di morire congelati.”
Io annuisco, ancora leggermente spaventata.
“È che ho sempre vissuto in una famiglia normale e non so come funziona stare per strada e ho paura di fare qualche errore e, non lo so, mi sembra tutto così incasinato!”
Le lacrime minacciano di uscire da un momento all’altro da quanto sono nervosa e spaventata, lui mi abbraccia. Questo gesto non me lo aspettavo proprio!
“Sta tranquilla, finché ci sono io non ti succederà nulla. Ti ho detto che ti avrei protetto e lo farò.”
Io emetto un sospiro tremulo e annuisco.

“Dai, andiamo a mangiare qualcosa. Non so te, ma sono affamato.”
“Anche io sono affamata, andiamo.”
Ci avviamo verso un Mac Donald lì vicino e mangiamo fino a scoppiare: ho il sospetto che per un po’ non potremo mangiare decentemente o a sazietà.
Usciti da lì, andiamo verso la villa dove Kurt Cobain si è ucciso. Non so se sia aperta al pubblico, ma su di me suscita un fascino macabro che Derek non riesce a capire, anche se è messicano e ha festeggiato i dias de los muertos fin da quando era piccolo.
“Perché hai paura dei morti, Derek?
È dai vivi che bisogna guardarsi, un morto non ti insulterà, non ti ferirà, non ti farà mai del male fisico, un vivo sì.”
Lui non risponde per un po’.
“Sei davvero strana.”
“Anche J…”
Mi fermo prima di pronunciare il nome di Jack, guadagnandomi un’occhiata curiosa da parte del mio nuovo amico.
“Che nome stavi per dire?”
“Te lo dirò stanotte, non hai detto che sarà una lunga notte?”
“Molto lunga e fredda. Fottutamente fredda per due californiani come noi.”
“Ok.”
Visitiamo un altro po’ la città e poi dopo un’altra abbondante cena con annessa sosta al bagno ci avviamo verso il luogo in cui mister simpatia ci aspetta.
È già fuori dal camion che si guarda attorno attento, quando ci vede arrivare ci fa segno di avvicinarsi e salire sul camion.
Abbiamo a disposizione uno spazio esiguo in cui stare in piedi, muovere qualche passo o stare sdraiati e siamo circondati da pesanti scatole che potrebbero ucciderci se solo ci cadessero addosso.
“Spero se ne stiano ferme!”
Esclamo preoccupata.
“Non ti preoccupare, ce la faremo.”
Il camion si mette in moto, Derek tira fuori una coperta e ci sediamo sopra.
“Avanti, dimmi un po’ di te.”
“La tua vita è sicuramente più interessante, diciamo.”
“Hai paura che smetterai di aiutarti se scopro chi sei.”
Io annuisco piano.
“Non ti preoccupare, ormai ho giurato e manterrò quello che ho promesso.”
“Va bene.”
Lo sguardo mi cade sulla sua mano, ha tatuato un piccolo teschio messicano.
“E quello?”
“Me lo sono fatto dopo che ho ucciso il tizio, volevo sempre ricordarmi dell’errore che avevo compiuto.”
“Ne vorresti uscire, vero?”
“Sì, con tutto me stesso, ma ormai non posso. Il passato è passato e non si cambia.
Tu chi sei invece?”
Io abbasso gli occhi.
“Mi chiamo Ava Elisabeth DeLonge.”
Lui sgrana gli occhi.
“Quel DeLonge? Quello dei Blink e degli AvA?”
Io annuisco piano.
“Amo le band di tuo padre.”
“Come tutti. Beh ora ti racconterò le cazzate di una ragazzina…”
“Posso vedere la carta d’identità?”
Io gliel’allungo sbuffando.
“Dimmi e scusa per l’incredulità.”
“Ero innamorata di Landon, il figlio di Travis, e lui ne ha approfittato per scucirmi un pompino e una sega con la storia che forse stavamo insieme o forse no. Ho scoperto che non stavano insieme, che io ero una delle tante esattamente come Ginger, una mia amica, e Jack Hoppus mi avevano detto. Senza contare che ho scoperto che loro avevano ragione anche per un’altra cosa: a lui non importava nulla della band che avevano fondato.
Mio padre ci ha beccato mentre stavamo per scopare, mi ha mollato uno schiaffo, chiamato troia e messa in punizione per un mese.
Volevo parlare con Jack per dirgli tutto questo, scusarmi ed essermi resa conto che ero… ero… sono… innamorata di lui, insomma.”
Le mie guance diventano rosse.
“Solo che mi ha detto che ero arrivata troppo tardi per tutto, per recuperare l’amicizia e per il suo amore. Lui ora sta con Ginger e così ho deciso di andarmene.
Tutti staranno meglio senza di me.”
Concludo amara, incrociando le braccia davanti al corpo.
Inizio a sentirmi stanca e vorrei tanto poter dormire, ma – come ha detto Derek – sarà una lunga e fottutamente fredda notte.

Angolo di Layla

Ringrazio ElaEla e LostinStereo3 per le recensioni. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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