3) Un cavaliere in
disgrazia.
Landon
si tiene
accuratamente alla larga da me per tutte le lezioni, in compenso fa il
cretino
con una di nome Stella, che ha un anno meno di me.
Cosa gli è preso?
Ieri sera invita
me e adesso ci prova con lei?
Mi deve delle
spiegazioni.
Alla fine delle
lezioni riesco a incastrarlo vicino alla sua macchina.
“Landon!”
“Ava…”
“Ti ho fatto
qualcosa? Mi hai evitato tutto il giorno!”
“Non mi andava di
parlarti, tutto qui.”
Mi risponde, poi
si infila in macchina e parte sgommando lasciandomi lì come
una fessa.
Vado a casa
masticando rabbia e delusione, non può essere come dicono
Ginger e Jack, mi
rifiuto ancora di crederlo.
Il giorno dopo
riesco a trascinare Landon in uno sgabuzzino e cerco di farmi dare
delle
risposte, ma lui mi bacia e come al solito il mio cervello si scollega.
Tutta la rabbia,
la delusione e le domande evaporano velocemente, lasciando solo un
vuoto
triste.
“Ci vediamo
domenica pomeriggio a casa mia.”
Mi sussurra, poi
se ne va tranquillo.
Perché ho la brutta
sensazione di stare per essere raggirata alla grande?
Non lo so, me ne
torno alla mia lezione di inglese con l’umore sotto i piedi e
la voglia di
sparire da questo mondo.
“Come mai quella
faccia?”
Mi chiede Ginger.
“Niente, Landon
mi ha invitato ad andare da lui domenica prossima, ma non mi ha
spiegato perché
mi evita.”
Lei non dice
niente e gliene sono grata, non sono dell’umore adatto per
sentire prediche.
Jack non mi
rivolge la parola, anche se io vorrei parlargli, mi sfugge anche lui e
vorrei
sapere perché, lo chiederò a Ginger.
“Ginger, perché
Jack non mi rivolge più la parola?”
“Perché è ferito
e non vuole sapere più nulla di te.”
Grande.
Vado a casa con
il cuore pesante e gli altri giorni non sono affatto migliori, mi sento
sempre
peggio, sempre più isolata.
Quando arriva
domenica mi sento depressa come pochi e vado a casa di Landon sperando
di
divertirmi almeno un po’.
Suono a casa sue
e mi viene ad aprire.
“Ciao, Ava!”
Il suo tono
sembra allo stesso più caloroso e più finto di
quando ci siamo visti l’ultima
volta.
“Ciao, Landon.”
Entriamo e ci
mettiamo a guardare la tv, ma lo sappiamo tutti e due che è
un pretesto, pochi
minuti dopo infatti inizia a baciarmi.
Ci togliamo la
maglietta e lui scende a baciarmi i seni, litigando con il gancino del
reggiseno,
sta per togliermi l’intimo quando la porta si apre.
Oh, cazzo!
Questo non era
minimamente previsto!
“Avaaaa!”
Urla una voce
conosciuta – quella di mio padre – da dietro la
figura di Travis.
Io mi rivesto
come posso e vado da lui che mi dà una sberla, fulmina il
primogenito del suo
amico e mi porta via.
“Papà..”
“Ava, non dire
niente!
Sei in punizione
per un mese.”
“Posso almeno
spiegarti?”
“Spiegarmi cosa?
Che mia figlia fa
la puttana con uno che è risaputo essere uno da una botta e
via?”
Mi domando come
faccia a saperlo, mentre mi tocco la guancia. Fa male fisicamente e
ancor di
più psicologicamente: mio padre non mi ha mai dato uno
schiaffo, nemmeno da
piccola.
Mia madre ci
guarda stupita, ma davanti allo sguardo scuro di mio
padre non osa dire una parola, io salgo in
camera mia e mi butto sul letto a piangere.
Piango per almeno
una settimana tutti i giorni, mio padre è freddo e non perde
occasione per
insultarmi sul fatto che stavo per farmi Landon, mia madre tace.
Non sa cosa fare
o cosa dire, non vuole prendere posizione.
La cosa peggiore
è che anche Jack a scuola mi ignora o fugge non appena mi
vede, come se avessi
la peste. Non posso credere di aver perso il mio migliore amico.
“Chi vorrebbe
avere come amica una puttana?”
Chiede retorico mio
padre, ogni volta che lo sento mille pezzi di vetro entrano nella mia
anima e
mi sento sempre peggio, dov’è finita la mia bella
famiglia?
Dove è finito il
padre comprensivo?
Dov’è il mio
migliore amico?
Forse la promessa
che ci sarebbe stato per sempre è stata una promessa vana,
da non rispettare
alla prima difficoltà seria.
Sto male,
malissimo.
Non riesco a
ricordare l’ultima volta che sono stata così,
credo solo quando hanno detto a
mio padre che aveva un cancro alla pelle.
In questo momento
avrei disperatamente bisogno di Jack, ma lui non
c’è e io non posso uscire per
ora. Forse stasera posso provare a sgattaiolare fuori, ma ho come
l’impressione
che lui non mi voglia vedere.
Se ci fosse stato
Jack al posto di Landon tutto questo non sarebbe successo.
Il pensiero mi
fulmina, tanto che smetto di piangere all’istante.
Io non sono mai
stata innamorata di Landon! Era solo una stupida cotta, quello che mi
piace è
Jack.
Come diceva
Ginger?
“Perché non vedi
un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il
naso?”
Sono stata
davvero una stupida, ho confuso per tutto questo tempo
l’amore con l’amicizia,
era per questo che ero gelosa di Ginger e di tutte le sue ragazze.
Scendo a cena, il
clima è tesissimo, nessuno parla.
Non ho visto mio
padre così arrabbiato nemmeno quando i blink si sono presi
una pausa, se mi
scoprisse farebbe una strage, ma io ho bisogno di uscire.
Salgo di nuovo in
camera mia e aspetto che la casa sia davvero silenziosa, verso le tre
non sento
volare nemmeno una mosca. Con calma, facendo meno rumore possibile
metto un
paio di shorts sotto la maglietta nera che uso come pigiama e un paio
di
anfibi.
Apro piano la
finestra e poi prendo la rincorsa per saltare sull’albero
vicino a casa mia,
arrivo su un ramo e poi scendo.
Percorro il parco
facendo attenzione all’antifurto, di cui conosco i punti
ciechi e i cani di mio
padre, arrivo al cancello e lo scavalco con qualche
difficoltà.
Mark non abita
lontano da noi, così io corro verso casa sua con il vento
che mi passa tra i
capelli, è una sensazione piacevole.
Scavalco il muro
di casa Hoppus – che conosco come casa mia – e mi
porto sotto la finestra di
Jack, per iniziare a tirargli dei sassolini.
Dopo un tempo che
sembra infinito si affaccia, più scarmigliato del solito.
“Cosa c’è?”
“Ho bisogno di
parlarti!
“Non puoi
aspettare domani?”
“No!”
Lui sbuffa e io
prendo una scala abbastanza lunga che è appoggiata poco
lontano, con cautela
l’appoggio sotto la finestra di Jack e inizio a salire.
Come al solito
lui mi aiuta con gli ultimi gradini e poi
sono in camera sua.
“Cosa devi
dirmi?”
“Avevi ragione su
tutto riguardo a Landon, mi dispiace per come mi sono
comportata!”
La sua faccia
diventa gelida.
“È troppo
tardi.”
“Cosa?”
“Ho detto che è
troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una merda e poi pretendere
che io ti
dica che va tutto bene e che è tutto a posto tra di
noi.”
“Jack, io…”
“Vai via, Ava.
Hai sbagliato i tempi, io non ho voglia di rincorrerti come un
cagnolino. È
sempre stato così e sono stanco.”
“Jack.. Io Ti
amo.”
Il suo sguardo è
freddo, non c’è traccia di pietà in
quegli occhi azzurri.
“Troppo tardi,
sto con Ginger.
Se non hai altro
da dirmi, vattene!”
“Ok.”
Scendo mestamente
la scala e la rimetto al suo posto, poi torno a casa mia. Mi sento
sola, mi
sento delusa, mi sento non desiderata.
Arrivata in
camera mia mi butto a letto e piango di nuovo, tanto che la mattina
dopo ho due
occhi gonfi e una decisione in testa.
Basta, io me ne
ve da qui, prendo il primo autobus per il Canada. La mia macchina
sarebbe più
comoda, ma è più rintracciabile e io non voglio
che mi trovi nessuno.
Svuoto il mio
libretto postale e con un po’ di contanti tra le mani mi
dirigo alla stazione
degli autobus, forse è meglio scegliere una meta vicino al
Canada e poi attraversare
illegalmente il confine.
Prendo un
biglietto di sola andata per Seattle e mi addormento, il viaggio
sarà lungo,
risalire dal fondo della California fino ad arrivare a
quell’insenatura del
mare su cui si affaccia Vancouver non è uno scherzo.
Vancouver è solo
la prima tappa e non so nemmeno se la raggiungerò.
Mi
sveglio che
siamo arrivati a San Francisco.
L’autista si è
fermato per il pranzo in un autogrill, io mangio solitaria un panino,
nella mia
borsa militare e nel mio zaino ci sono tutte le cose che mi potranno
servire.
Vado in bagno e
poi ripartiamo.
Ora non più sonno
e la noia mi assale mentre guardo dal finestrino, fa male lasciare i
tuoi amici
e la tua famiglia?
Sì, ma se non ti
vogliono più, a volte è necessario.
Alla sera siamo
arrivati a Portland, facciamo una pausa per la cena e per il bagno,
probabilmente all’alba arriveremo a Seattle.
Wow! Potrò andare
nella patria del grounge!
Sì, e poi
ripartire subito per il Canada per passare la frontiera in modo
illegale per
non lasciare tracce, come una rinnegata.
“I’m a renegade
It’s in my blood!”
Canticchio io per
tirarmi sui l morale.
Risalgo di nuovo
sul pullman e come avevo previsto verso l’alba arriviamo alla
stazione degli
autobus di Seattle, fa freddo rispetto alla California.
Adesso cosa
faccio?
È inutile
prendere una camera in affitto in un motel, mi guardo attorno,
stringendomi nel
mio cappotto militare e mi guardo intorno.
Ci sono parecchi
uomini e donne e anche ragazzi che si girano per la stazione, un gruppo
in
particolare è riunito attorno a un fuoco di fortuna.
“Posso?”
Chiedo.
“Certo, mi fanno
posto e mi passano uno spiedino con della carne che io mangio
voracemente.
“Sapete come si
fa ad arrivare in Canada?”
Chiedo esitante.
“Canada, dove?”
“Vancouver, poi
penso di potermi muovere da sola e arrivare a Montreal.”
Un ragazzo dai
lunghi dread sporchi alza una mano.
“Vieni con me, ti
ci faccio arrivare io.
Ho la tua stessa
meta.”
“Come mai in fuga,
carina?”
Io rimango un
attimo zitta, non so cosa dire.
“Furto…”
Biascico infine.
Il rasta, che poi
si presenta come Derek, dice che è un fuga da
un’accusa di omicidio. Ha fatto
secco un cliente che non pagava l’erba da mesi.
Un brivido mi
attraversa la schiena, non è che farà secca anche
me?
Lo guardo meglio,
non ha più di diciotto anni ed è alto e magro, i
vestiti gli cascano addosso
troppo larghi, i suoi dread sono lunghi fino quasi al sedere e non
sembrano
molto puliti, ha la carnagione scura e gli occhi neri.
Non sembra così
cattivo, sembra solo uno skater in disgrazia, con il suo giubbotto a
fantasia
militare e lo zaino nero.
Finisco il mio
spiedino e poi Derek mi tende una mano.
“Forza, andiamo!”
Saluta gli altri.
“Come ti chiami,
piccoletta.”
“Ava, hai davvero
ucciso una persona?”
Lui alza le
spalle.
“Non ne vado
fiero, ma sì, l’ho fatto. Nel mio quartiere
è così o uccidi o vieni ucciso.”
“Da dove vieni?”
“San Francisco.”
“San Diego.”
“Viva la
California!
Mi dice
sorridendo.
“Ho ancora fame.”
“Entriamo lì, la
persona che devo incontrare non si farà viva prima di
mezzogiorno.”
“Chi è?”
Lui mi apre la
porta.
“Un camionista
che porta dentro gente senza farsi beccare, un mio amico dice che
è bravo e se
lo dice lui ci credo.
Tu, piuttosto,
non potresti rendere più anonimi i tuoi capelli?”
“Sì, ci stavo
pensando.
Biondo o nero?”
“Perché non
castano?
“È il mio colore
naturale, mio padre mi riconoscerebbe.”
Mi metto le mani
davanti alla bocca come se avessi parlato troppo e in un certo senso
è così.
“Tu non stai
scappando per il motivo che ci hai detto prima, tu stai scappando da
casa!”
Io abbasso gli
occhi sulla pancetta e le uova strapazzate.
“Sì, mi aiuterai
lo stesso?”
“Sì, non ti
preoccupare. Mi stai simpatica e qualcosa mi dice che non ti fermerai
finché
non ti troveranno loro, quindi tanto vale proteggerti. Là
fuori è un brutto
mondo, Ava.”
“Grazie, Derek. “
Finisco di
mangiare e paghiamo, poi bighelloniamo per la città fino
all’ora
dell’appuntamento.
Io mi compro una
tinta bionda e me la faccio in bagno pubblico, poi Derek me li acconcia
in
lunghe treccine stile afroamericano.
Così arriva l’ora
di pranzo e di incontrare chi ci porterà in Canada.
Non è altro che
un camionista, un grasso, grosso, camionista stronzo che non appena mi
vede fa
salire il prezzo alle stelle.
Lui e Derek
mercanteggiano un po’, ma lui vuole sempre troppo per i
nostri risparmi, fino a
che Derek tira fuori l’ultima cosa che mi aspettavo avesse:
una pistola.
“O abbassi il
prezzo a una quota non da strozzino o ti faccio un buco in pancia con
questa!”
“Così finiresti
in carcere o sulla sedia elettrica.”
Risponde
sarcastico il ciccione.
“Scommetto che
non ci finirò se io racconto alla pulizia di tutti i tuoi
traffici, droga
inclusa.”
Lui impallidisce
vistosamente.
“Va bene, cento
dollari ciascuno. Fatevi vedere a questo indirizzo stasera alle
sei.”
Porge un
biglietto che annuisce e lo fa scivolare in una delle tasche.
Io vorrei dire
qualcosa, ma sono come scioccata e non so come uscire da questa
situazione.
“Ava, cosa c’è?”
“Ni-niente!”
Lui sbuffa.
“Su, dimmi cosa
c’è?”
“Quella cosa di
prima la userai anche contro di me?”
“No.”
Io non dico nulla
e continuiamo a camminare.
“Ascolta, la
porto da quando avevo quattordici anni, perché il mio
quartiere non era bello,
ma il fatto che io l’abbia non vuole dire che
l’userò come te.
Voglio aiutarti,
non ucciderti.
Se vuoi sapere
altro te lo dirò lungo il viaggio.”
“Perché?”
“Perché dovremo
parlare e parlare perché là dentro
farà un freddo d’inferno e non vale la pena
di morire congelati.”
Io annuisco,
ancora leggermente spaventata.
“È che ho sempre
vissuto in una famiglia normale e non so come funziona stare per strada
e ho
paura di fare qualche errore e, non lo so, mi sembra tutto
così incasinato!”
Le lacrime
minacciano di uscire da un momento all’altro da quanto sono
nervosa e
spaventata, lui mi abbraccia. Questo gesto non me lo aspettavo proprio!
“Sta tranquilla,
finché ci sono io non ti succederà nulla. Ti ho
detto che ti avrei protetto e
lo farò.”
Io emetto un
sospiro tremulo e annuisco.
“Dai, andiamo a mangiare qualcosa. Non so te, ma sono
affamato.”
“Anche io sono affamata, andiamo.”
Ci avviamo verso
un Mac Donald lì vicino e mangiamo fino a scoppiare: ho il
sospetto che per un
po’ non potremo mangiare decentemente o a sazietà.
Usciti da lì,
andiamo verso la villa dove Kurt Cobain si è ucciso. Non so
se sia aperta al
pubblico, ma su di me suscita un fascino macabro che Derek non riesce a
capire,
anche se è messicano e ha festeggiato i dias de los muertos
fin da quando era
piccolo.
“Perché hai paura
dei morti, Derek?
È dai vivi che
bisogna guardarsi, un morto non ti insulterà, non ti
ferirà, non ti farà mai
del male fisico, un vivo sì.”
Lui non risponde
per un po’.
“Sei davvero
strana.”
“Anche J…”
Mi fermo prima di
pronunciare il nome di Jack, guadagnandomi un’occhiata
curiosa da parte del mio
nuovo amico.
“Che nome stavi
per dire?”
“Te lo dirò
stanotte, non hai detto che sarà una lunga notte?”
“Molto lunga e
fredda. Fottutamente fredda per due californiani come noi.”
“Ok.”
Visitiamo un
altro po’ la città e poi dopo un’altra
abbondante cena con annessa sosta al
bagno ci avviamo verso il luogo in cui mister simpatia ci aspetta.
È già fuori dal
camion che si guarda attorno attento, quando ci vede arrivare ci fa
segno di
avvicinarsi e salire sul camion.
Abbiamo a
disposizione uno spazio esiguo in cui stare in piedi, muovere qualche
passo o
stare sdraiati e siamo circondati da pesanti scatole che potrebbero
ucciderci
se solo ci cadessero addosso.
“Spero se ne
stiano ferme!”
Esclamo
preoccupata.
“Non ti
preoccupare, ce la faremo.”
Il camion si
mette in moto, Derek tira fuori una coperta e ci sediamo sopra.
“Avanti, dimmi un
po’ di te.”
“La tua vita è
sicuramente più interessante, diciamo.”
“Hai paura che
smetterai di aiutarti se scopro chi sei.”
Io annuisco
piano.
“Non ti
preoccupare, ormai ho giurato e manterrò quello che ho
promesso.”
“Va bene.”
Lo sguardo mi
cade sulla sua mano, ha tatuato un piccolo teschio messicano.
“E quello?”
“Me lo sono fatto
dopo che ho ucciso il tizio, volevo sempre ricordarmi
dell’errore che avevo
compiuto.”
“Ne vorresti
uscire, vero?”
“Sì, con tutto me
stesso, ma ormai non posso. Il passato è passato e non si
cambia.
Tu chi sei
invece?”
Io abbasso gli
occhi.
“Mi chiamo Ava
Elisabeth DeLonge.”
Lui sgrana gli
occhi.
“Quel DeLonge?
Quello dei Blink e degli AvA?”
Io annuisco
piano.
“Amo le band di
tuo padre.”
“Come tutti. Beh
ora ti racconterò le cazzate di una
ragazzina…”
“Posso vedere la
carta d’identità?”
Io gliel’allungo
sbuffando.
“Dimmi e scusa
per l’incredulità.”
“Ero innamorata
di Landon, il figlio di Travis, e lui ne ha approfittato per scucirmi
un
pompino e una sega con la storia che forse stavamo insieme o forse no.
Mio padre ci ha
beccato mentre stavamo per scopare, mi ha mollato uno schiaffo,
chiamato troia
e messa in punizione per un mese.
Volevo parlare
con Jack per dirgli tutto questo, scusarmi ed essermi resa conto che
ero… ero…
sono… innamorata di lui, insomma.”
Le mie guance
diventano rosse.
“Solo che mi ha
detto che ero arrivata troppo tardi per tutto, per recuperare
l’amicizia e per
il suo amore. Lui ora sta con Ginger e così ho deciso di
andarmene.
Tutti staranno
meglio senza di me.”
Concludo amara,
incrociando le braccia davanti al corpo.
Inizio a sentirmi
stanca e vorrei tanto poter dormire, ma – come ha detto Derek
– sarà una lunga
e fottutamente fredda notte.