All’inizio Tony aveva fatto finta di non
ascoltare.
Steve si muoveva da una stanza all’altra
alla velocità della luce, e vomitava parole che Tony proprio non voleva
trattenere dentro la propria scatola cranica.
Aveva sonno, era stanco e il caffè non
riusciva nemmeno a fargli tenere gli occhi aperti. In più, vedere l’altro
rimbalzare come una palla da ping pong ovunque non rendeva il compito meno
arduo, anzi facilitava solo l’insorgenza di un emicrania.
«Tony, mi stai ascoltando?» gli chiese di
botto Steve, dopo minuti interminabili di silenzio.
Tony alzò lo sguardo dalla tazza di caffè
per guardarlo e, mettendo faticosamente in moto il cervello, si accorse che
Steve indossava la divida di Capitan America e si aggiustava lo scudo al
braccio.
«Dove vai conciato così?» gli chiese,
sbiascicando.
Steve, mosse un po’ la mano per vedere se
lo scudo era messo bene e sospirò. Come previsto Tony non aveva ascoltato
niente di quello che gli aveva detto. E sapeva questo perché: la sua faccia era
la tipica faccia di chi non si è ancora reso conto di essere sveglio e poi
perché la sua reazione non si avvicinava nemmeno lontanamente alla reazione che
si sarebbe aspettato da lui.
Così, cercando di essere il più chiaro
possibile, spiegò:
«Sto andando allo SHIELD, Fury mi ha
chiamato per una riunione importante».
«E ci vai vestito da Capitan Ghiacciolo?»
Un sopracciglio di Steve tremò.
«Sì, ma non è questo il punto del discorso,
il punto è-».
«Non metterti però il casco, Stebe, è orrendo
e ti fa la testa minuscola. Io non so come diamine hanno fatto a pensare che
potesse starti bene! Mentre progettavano la tuta si sono concentrati solo a far
risaltare tutta quella massa di muscoli che-».
«Tony!» gracchiò Steve, controllando rapido
l’ora. Avrebbe sicuramente fatto tardi,
lo sapeva con assoluta certezza, perché Tony non collaborava e, nonostante
l’evidente sonno, era comunque una macchina sputa parole. Anzi, se possibile,
appena sveglio lo era ancora di più, perché non collegava il cervello alla
bocca e diceva tutto quello che gli passava per la testa, interrompendo senza
motivo le persone e facendole arrivare all’esasperazione.
«Io devo andare, vado adesso Tony, capito?
E c’è Peter che sta dormendo, capisci anche questo?- Tony fece segno di sì con
la testa, mentre si versava la seconda tazza di caffè- Siccome non so per che
ora torno, potrebbe volerci un po’, sai com’è Fury, potresti badare a lui?»
Tony riavvolse il nastro come uno di quei
vecchi mangia cassette che usava per ascoltare le canzoni della sua infanzia e
guardò Steve con le sopracciglia in massima elevazione.
Ecco, era esattamente questa la reazione
che Steve si aspettava, finalmente il messaggio era stato recepito.
«Io dovrei badare al marmocchio?» chiese,
stavolta sveglissimo.
Steve, cercò di ammorbidirlo, mettendogli
una mano sull’avambraccio e sorridendo.
«Dai, non è traumatico come sembra, andrai
benissimo».
Tony scansò in malo modo il braccio e si
alzò, poggiando le mani sul bancone della cucina e dandogli le spalle. Steve
aspettò che metabolizzasse.
«Certo che andrò benissimo, non ci vuole
una laurea a badare ad un bambino, basta tenerlo lontano dalle finestre e dai
fornelli» disse, più a se stesso che a Steve.
«Possibilmente anche dal laboratorio»
sussurrò l’altro, preparandosi alla sfuriata.
«Come prego, Capitan Calzamaglia? Io devo
lavorare!»
Che grande bugia, pensò Steve,
avvicinandosi per rabbonirlo. Gli mise le mani sui fianchi, e dopo un po’ di
riottosità, Tony poggiò la fronte contro il suo petto.
«A me non piacciono i bambini» bofonchiò
contro la lycra della tuta e Steve gli fece una carezza sulla schiena.
«Ma Peter ti piace, altrimenti non starebbe
qui con noi» gli fece presente, sorridendo.
Tony rimase in silenzio per un po’, offeso
e un po’ spaventato da quello che gli si prospettava davanti. Lui non sapeva
farci con i bambini. Sapeva farli ridere, era portato per quello, ma tutte le
altre cose lo mettevano a disagio. Toccarli, stringerli, baciarli, lavarli,
nutrirli erano tutte cose che gli sembravano lontane mille anni da lui e Steve
gli stava proponendo di entrare in contatto con un mondo sconosciuto e ostile.
Lui era il “papà” che faceva ridere Peter,
che gli regalava piccoli giocattoli tecnologici, che lo portava in laboratorio
per fargli vedere cosa c’era, che lo piazzava davanti alla tv quando non voleva
stargli troppo dietro. Steve invece era il “papà” delle coccole, dei baci,
delle fiabe prima di dormire, dei giochi fino a notte fonda, dei rimproveri,
dei bagni e di tutte quelle cose che in genere fanno le mamme.
«Allora lo sto lasciando in mani sicure?»
gli chiese Steve, sciogliendosi dall’abbraccio e dandogli un bacio sulla
fronte.
Tony aveva ancora il broncio, e Steve
glielo morse, per farlo smettere.
«Cercherò di fartelo trovare intero»
bofonchiò, allungandosi un po’ per baciarlo.
Steve sorrise e se ne andò, lasciandolo
solo.
Tony scrollò le spalle, infondendosi forza.
Quanto poteva essere assurdo fare il
babysitter?
Un
Uragano.
Se
qualcuno avesse chiesto a Tony di descrivere Peter con una parola, avrebbe
sicuramente usato questa: Uragano.
Appena
sveglio non l’avrebbe mai detto, aveva il suo stesso modo di fare: ciondolante,
distratto e assonnato, ma passata un oretta si riprendeva e liberava tutte le
energie accumulate durante la notte.
Steve
avrebbe anche potuto dirglielo.
«Peter
no!» starnazzò, togliendogli dalle mani un soprammobile che non conosceva
nemmeno.
Peter,
appena lo sentiva strillare, ubbidiva, facendo due occhioni grandi e lacrimosi
per non essere sgridato ancora- in effetti funzionava, perché Tony ci cascava
sempre- e un attimo dopo stava di nuovo combinando qualche bravata.
Sospirando
Tony cercò di trovare qualcosa con cui occupare la sua giornata fino all’ora di
pranzo. Almeno dopo avrebbe fatto un riposino e lui sarebbe potuto andare in
laboratorio.
«Ehi
piccola peste, che dici se disegniamo?» gli chiese.
Peter
ci rifletté un po’ su e poi decise che poteva andare.
Con
Steve disegnavano spesso, e ci stavano anche parecchio, per cui gli sembrava
perfetto.
Lo
fece sedere su una sedia in cucina e poggiò sul tavolo tutto l’occorrente.
«Ok
Peter, mostrami come disegni» disse, incrociando le braccia al petto.
Il
piccolo afferrò una matita, studiò il foglio bianco e poi tornò a guardarlo.
«Io
e papà disegniamo sempre insieme» e gli porse un foglio con una matita.
Tony
guardò accigliato le sue manine tese e resistette all’impulso di scansarle,
evitando di dire frasi tipo “odio che mi si porgano le cose”, frase che avrebbe
fatto sicuramente piangere il piccolo, e riluttante afferrò l’occorrente.
Peter
gli fece un sorriso compiaciuto grande quasi quanto il suo visetto e Tony sentì
un calore minuscolo al centro del petto.
«Che
ne dici se disegniamo robot?» chiese, con già l’idea in mente di disegnare la
propria armatura.
Come se l’avesse letto nel pensiero, Peter
corrugò le ciglia castane e scosse la testa.
«No»
disse perentorio, impugnando la matita come se fosse un arma «Disegniamo altro»
e senza specificare iniziò a tracciare linee sul foglio, senza starvi
particolarmente dietro.
Tony
lo guardò per un po’, indeciso e al contempo curioso, poi gettò un occhiata
all’orologio- odiando Nick Fury dal profondo del cuore- e decise che, se non
proprio i robot, avrebbe disegnato qualcosa che potesse sembrarlo.
In
fondo aveva in mente un paio di progetti interessanti da sviluppare e se Steve
gli aveva fatto promettere di non scendere in laboratorio con Peter, poteva
approfittare di quella parentesi e creare almeno i bozzetti.
Una
mezz’oretta dopo, Peter poggiò la matita e si tirò su in piedi sulla sedia,
soddisfatto del proprio lavoro. Allungandosi contro il tavolo cercò di
sbirciare il lavoro del padre, ma Tony vi si stese sopra e lo guardò ghignando.
«E
no, peste, ora aspetti».
Peter
aveva sbuffato, ma poi aveva optato per ripassare il proprio disegno a colori.
Cinque
minuti più tardi Tony aveva lasciato la matita e si era stiracchiato.
«Vediamo
ora?» chiese Peter, annoiato.
Tony
annuì e alzò il suo foglio. Sopra, tra calcoli indecifrabili e parole
altrettanto arcane, c’erano pezzi di quello che doveva essere un robot simile a
ferro vecchio.
A
quella vista Peter gonfiò le guance e incrociò le braccia al petto.
«Niente
Robot!» aveva strillato, guardandolo in cagnesco.
Tony
si sorprese a pensare che gli ricordava molto se stesso alla sua età. La cosa
gli fece un po’ paura e per un attimo rimase a guardare il suo visino
corrucciato senza riuscire a dire niente. Sapeva che lo spavento era dovuto ad
una sola causa, di cui nessuno era a conoscenza, nemmeno Steve, perché se ne
vergognava e al solo pensiero si sentiva debole e deficiente, ma non volle
ammetterla nemmeno con se stesso.
Schiarendosi
la voce, disse:
«Io
questo so disegnare!» e Peter alzò il proprio foglio, per fargli capire senza
parlare quello che lui voleva vedere.
Tony
gli prese il disegno dalle mani, mentre il leggero calore al petto scendeva a
stringergli le viscere in una morsa di imbarazzo e felicità mai provate prima.
«Chi
sono?» chiese retorico, guardando le tre persone disegnate sul foglio.
Peter
si era sporto dal tavolo per spiegarglielo e con una manina paffuta aveva
indicato ciascuno dei personaggi.
«Questi
siamo io, te e papà in un prato. C’è una casa e un lago e tanto sole» Tony
aveva guardato il disegno, ma la casa, il lago e il sole non li aveva visti. Ce
li aveva in mente però, chiari e limpidi e guardando loro tre mano nella mano,
si accorse che Peter non disegnava nemmeno tanto male, per essere ancora un
bambino così piccolo.
Steve
era solo leggermente più alto, e questo lo fece un po’ arrabbiare, ma non disse
niente, imbambolato a guardare e a bearsi di quella sensazione strana al centro
dell’addome.
«Se
ti piace te lo regalo» gli aveva detto Peter, con un sorriso sulle labbra e gli
occhi vispi accesi di felicità «Posso farne un altro» continuò, prendendo un
altro foglio.
Tony
si era alzato dalla sedia, con il disegno stretto tra le mani come se da un
momento all’altro volessero strapparglielo, e si era limitato a bofonchiare un
«Certo, disegnane quanti ne vuoi, torno subito» prima di correre in salotto e
chiedere a Jarvis di chiamare Steve.
«Tony?
E’ tutto apposto? Peter sta bene?» appena risposto Steve l’aveva sommerso di
domande, mentre in sottofondo Fury imprecava per il suo solito modo di fare
egocentrico.
«Non
ce la posso fare Steve, davvero non sono tagliato a dare retta ai bambini».
Fury
gli aveva urlato di smetterla di fare la checca isterica e di lasciarli
lavorare.
«Tony
dai, è Peter, lo conosci, puoi farcela» aveva provato a motivarlo il biondo «Io
torno presto, devi resistere solo un altro po’ ok?».
Tony
aveva annuito, anche se Steve non lo poteva vedere ed aveva sospirato, tirando
su le spalle e poggiando il disegno sul divano.
«D’accordo,
pazienterò, ma al tuo rientro, Capitano, pretendo un ringraziamento con i
fiocchi»
«Tutti
i ringraziamenti che vuoi, Tony basta che-» era chiaro che Steve non avesse
intuito l’implicazione celata dietro le sue parole, altrimenti non avrebbe mai
detto tutto quello di fronte ai soldati dello SHIELD.
«Lo
prendo come un giuramento» aveva risposto, prima di riattaccare e tornare da
Peter.
«Giovanotto,
che dici se ce ne andiamo a fare un giro?»
«Sìììì»
aveva urlato Peter, scendendo dalla sedia con uno scatto e porgendogli le
braccia per essere preso in braccio.
Tony
aveva guardato il suo visetto allegro e senza pensarci se l’era caricato a
cavalcioni sulle spalle. Felice Peter gli aveva arruffato i capelli per
abbracciarlo e gli aveva chiesto, con quegli occhioni a cui non sapeva proprio
resistere: «Mi porti al parco, papà?».
«Guarda,
papà!» gridava Peter, appeso a testa in giù su una giostra. Tony, che non
conosceva molto bene il senso del pericolo, si chiese se fosse normale
lasciargli fare una cosa del genere. Dallo sguardo scioccato di alcune mamme
decise che forse era il caso di farlo smettere.
Si
alzò dalla panchina, quindi, e lo afferrò per le braccia.
«Rischi
di farti male, peste» e lo mise giù.
Come
un razzo Peter se ne andò sulle altalene, scansando malamente un bambino e
rubandogli il posto. Era davvero suo figlio, non aveva scusanti, nemmeno se
avesse fatto l’inseminazione artificiale avrebbe avuto un figlio così.
E
si sorprese del suo stesso pensiero. Fino a poco tempo prima non sentiva Peter
come figlio suo. Era un bambino che avevano salvato da un futuro incerto e
triste, nient’altro. Lo chiamava papà, ma quella parola gli sembrava stonata. E
invece adesso vorrebbe sentirglielo dire in continuazione.
«Papà!»
gli urlò quindi, correndogli incontro sporco di terra e di sudore «Io ho
fame!».
Risvegliandolo
dai propri pensieri, attese che trovasse una soluzione al suo problema.
«McDonald’s?»
fece Tony che in fatto di salute e cibi sani non sapeva niente.
E
poi voleva un doppio cheeseburger.
«Ma
papà non vuole..» fece Peter, abbattuto per non poter prendere l’happy meal.
«E
noi a papà non lo diciamo» rispose Tony.
Peter
si illuminò tutto, gioioso.
Gli
prese una mano, lasciandolo di stucco e in imbarazzo, e gli puntò addosso uno
sguardo malizioso, tipico dei bambini della sua età.
Arrivati
al McDonald’s ordinarono le loro pietanze. Per Tony due cheeseburger e una coca
cola e per Peter un Happy Meal. Nell’entrare, il piccolo notò che le sorprese
si riferivano tutte ai supereroi che avevano salvato New York, tra cui i suoi
papà e orgoglioso indicò il cartellone, per farlo vedere a Tony.
«Ci
siete tu e papà!» gridò entusiasta e qualcuno si voltò a guardarli.
A
Tony non importava di quello che la gente aveva da dire di lui. Era Iron Man,
lo era sempre stato, non poteva scindere le due cose, e stava con Capitan America,
la leggenda e il supereroe per eccellenza. Non sapeva di avere tendenze
omosessuali, almeno fino a quando non aveva visto Steve e aveva deciso di
passare all’altra sponda senza pensarci nemmeno un secondo. A Tony le
conseguenze dei suoi gesti non importavano, non era mai stato qualcuno che
rifletteva molto e non si pentiva mai di niente. Era stato addirittura lui a
suggerire a Steve di tenere Peter, quando l’avevano trovato illeso sotto un
cumolo di macerie, solo perché guardarlo mentre se lo stringeva al petto e lo
cullava era stato un colpo in pieno viso.
Se
la gente riteneva che erano degli esseri ignobili contro natura a lui non
importava. Aveva esattamente quello che voleva: armature fino a non avere più
spazio dove tenerle, un uomo attraente sempre disponibile e una peste che lo
guardava come se non ci fosse assolutamente niente al mondo migliore di lui.
«Papà»
bofonchiò Peter, mordendo il proprio hamburger e scavando nel cartone per
cercare la sorpresa. A volte lo chiamava e basta, quando lo vedeva distratto, e
Tony rispondeva come ad un richiamo irresistibile.
Non
poteva credere che Steve gli avesse mollato un compito del genere.
«Cosa?»
fece, bevendo la coca cola in modo rumoroso. La gente li guardava ancora- Iron
Man al McDonald’s con il figliastro adottivo! (si ripromise di tornarci con
l’armatura e Steve)- e lui voleva essere il più molesto possibile.
Peter
non rispose subito, si limitò a tirare la lingua tra i denti e a cercare
meglio; poi trionfante tirò fuori la sorpresa e si accorse che gli era uscito
Thor.
Il
suo visino era tra il felice e il dispiaciuto, ma scartò comunque la sorpresa e
ci si mise a giocare, prendendo di tanto in tanto una patatina e mettendosela
in bocca.
«Avrei
voluto trovare te e papà però» disse, quando ormai il pranzo era finito da un
pezzo e Tony sentiva gli occhi farsi pesanti.
Se
la sarebbe volentieri fatta lui la pennichella pomeridiana.
«Andiamo
dai» lo incitò, buttando alla rinfusa le cose nel secchio e invitandolo a
seguirlo.
Peter
era sceso dalla sedia e si era stretto Thor al petto, cercando la mano del
padre.
Tony
l’aveva presa quasi subito e insieme avevano sceso le scale per il piano
inferiore.
Prima
di uscire però, preso da un momentaneo attacco di follia, aveva piantato Peter
in asso al centro del fast food, ed era andato alla cassa.
Era
passato davanti a due coppie, sbattendosene dei loro improperi, ed aveva
confabulato con la cameriera, corrompendola a darle quello che Peter aveva
chiesto. Era bastata una moina, un sorriso e la promessa di contattarla presto
per farla cedere- assurdo come continuassero a illudersi che fosse etero!- e
nel giro di due minuti era tornato da Peter.
«Ecco
a te i supereroi migliori del mondo» e gli porse le bustine con Capitan America
e Iron Man «Ricordati però che Iron Man è un po’ più forte, ma non lo dire a
Steve altrimenti si deprime».
Peter
rise e gli tirò il braccio per farlo scendere ai suoi livelli e buttargli le
braccia al collo.
«Grazie
papà!» disse e Tony si sciolse come neve al sole.
Steve
l’avrebbe pagata per quell’affronto.
Il
pomeriggio passò tranquillamente. Alla fine Tony aveva bellamente disubbidito
ed aveva portato Peter in laboratorio. Dopo mille raccomandazioni circa quello
che poteva e non poteva toccare, si era messo a lavoro. Peter lo guardava da
uno sgabello, affascinato e stava in religioso silenzio perché non voleva
disturbarlo.
A
Tony piaceva essere guardato con quell’ammirazione e più guardava il piccolo
più si rivedeva bambino, a guardare suo padre. Una piccola fitta lo prese al
petto al ricordo di quanto il suo vecchio fosse freddo nei suoi confronti e
quanto lo facesse sentire indesiderato. Non voleva che Peter provasse la stessa
sensazione stando con lui, era la cosa che lo spaventava maggiormente. Nessuno
sapeva di questa sua paura e a volte fingeva di non saperlo nemmeno lui, perché
ancora non riusciva del tutto a staccarsi dalla vecchia immagine che il mondo
aveva di lui. A volte si chiedeva come era finito in una relazione seria, ad
avere rapporti sessuali con una persona sola ed a comprare robe per bambini.
Poi li guardava mentre se ne stavano sul divano a guardare i cartoni e capiva e
accettava. Tony Stark era evoluto, aveva messo finalmente un po’- pochissimo
veramente- sale in zucca ed era felice così.
«Campione,
devo saldare questo pezzo, che ne dici di metterti questa super maschera?»
Peter
aveva guardato ciò che il padre gli porgeva e se l’era lasciata mettere.
Ma
nell’esatto momento in cui accendeva la saldatrice, Jarvis lo avvisò di una
chiamata in arrivo.
«Chi
è?» chiese, alzandosi la visiera.
«Il
capitano Rogers, signore» rispose l’intelligenza artificiale.
«Mettilo
in vivavoce» disse solo e poco dopo sentì la voce di Steve.
«Tony?
Come va?»
«Rogers!
Stiamo alla grande! Io e il teppista stiamo facendo cose da maschi» e fece
l’occhiolino a Peter che trattenne una risata,spalmandosi una manina sulla
bocca.
«Del
tipo?» il tono di voce del capitano era scettico.
«Cose
che tu non puoi capire» rispose soltanto Tony.
Ci
fu un attimo di silenzio dall’altra parte, interrotto solo dal rumore
dell’eliveicolo e i comandi di Fury. Tony si chiese dove fosse.
«Dovrei
tornare in serata, mi raccomando preparagli qualcosa per cena» disse Steve, risultando
un po’ ovattato.
«Certo,
quando è ora»
«Sono
le otto e mezza Tony»
Tony
guardò l’orologio e si rese conto di aver passato almeno cinque ore in
laboratorio.
«Vado
a nutrirlo allora, Ciao Capsicle, ricordati che devi ricompensarmi stasera»
Steve
sbuffò divertito.
«Ti
ricompenserò, Tony» e stavolta sembrava aver capito.
A
quel punto attaccò la chiamata e fece scendere Peter dallo sgabello.
«Allora,
Pete, che ne dici di una pizza?»
Avevano
cenato sul divano, stravaccati, guardando la tv- principalmente cartoni.
Peter
era stanco, glielo leggeva nello sguardo socchiuso e il passo ciondolante, ma
sembrava non voler cedere e si faceva forza per fargli compagnia.
In
genere verso le dieci e mezza Steve lo metteva a dormire, ma quel giorno doveva
essere stato sfiancante per lui.
«Hai
sonno?» gli chiese e Peter strizzò gi occhi per tenerli aperti.
«No»
disse, ma l’attimo dopo li stava di nuovo socchiudendo.
«Dai
ti porto a letto» propose, ma Peter gli afferrò una mano e lo costrinse a
fermarsi.
«Voglio
aspettar papà qui con te» gli disse e Tony lo accontentò.
Mise
un cartone animato della Disney, di quelli che Peter amava, e allungò i piedi sul tavolino basso, tra
cartoni di pizza e bicchieri usati. Peter lo guardò un attimo, come per
studiarlo, e poi gli si arrampicò sopra, poggiandosi con il visino vicino al
reattore Arc.
Tony
rimase un attimo interdetto e si irrigidì, quel contatto diretto non era
previsto e non sapeva come comportarsi. Peter sbadigliò provocandogli una
sensazione di fresco sulla pelle per via dello sbuffo d’aria e si addormentò,
senza un fiato.
Non
sapeva se toccarlo o no, se toglierlo o no, se metterlo nel letto o no.
Nell’insicurezza rimase immobile dov’era, cambiò giusto canale e mise un film a
caso, mentre il suo cervello cercava di elaborare la sensazione.
Gli
dispiaceva? No. Gli piaceva? Forse. Peter era caldo e il suo peso sul petto gi
provocava ancora quel calore. Cosa voleva dire?
Non
si rispose, non ce l’aveva una risposta, ma titubante allungò una braccio e gli
poggiò una mano sulla schiena, guardandolo come se da un momento all’altro
avesse sfoderato le zanne e l’avrebbe ucciso.
Vedendo
che non succedeva niente riuscì a rilassarsi e ben presto sentì che il sonno
raggiungeva anche lui. Prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi a sua
volta, notò il disegno che quella mattina Peter gli aveva regalato.
In
un ultimo barlume di veglia si promise di portarli davvero al lago.
Quando
Steve rientrò era mezzanotte passata.
Era
stanco, fisicamente e psicologicamente, tutto quello che voleva era buttarsi
sul letto e dormire.
Entrando
nel salotto, si accorse che c’era ancora qualcosa di acceso, perché arrivava un
po’ di riverbero nell’ingresso. Con qualche breve falcata entrò nella stanza e
la scena che gli si presentò davanti gli mandò via la stanchezza, il nervoso ed
anche lo stress.
Tony
se ne stava stravaccato sul divano come un essere informe, come suo solito, con
un piede sul tavolo e uno per terra, e teneva una mano sulla schiena di Peter
che gli dormiva beatamente sul petto, stringendo la sua canottiera tra le mani.
Erano
belli, bellissimi, e sussurrando chiese a Jarvis di scattare una foto.
Poi,
avvicinandosi, posò un bacio tra i capelli del più piccolo e mosse un po’ la
spalla di Tony.
«Uhm,
cos—che?» fece, aprendo gli occhi di scatto e trovandosi Steve davanti «Ce
l’hai fatta a tornare, Capsicle, pensavo che ti piacesse di più passare il
tempo a fare la scimmia danzante per Fury piuttosto che tornare a casa ad
occuparti del marmocchio».
Mai
una volta che Tony stesse semplicemente zitto.
«Ora
sono qui, porto Peter a letto» disse, togliendogli Peter di dosso e
caricandoselo in spalla.
Immediatamente
Tony ne percepì l’assenza.
Si
alzò a sua volta e sbadigliando fece per andarsene in camera, ma con la coda
dell’occhio vide di nuovo il disegno e lo prese in mano. Era quella la sua vera
paura: non averli più, non poterli tenere per mano, essere un cattivo padre e
un cattivo compagno.
«Allora?
Non c’era un patto tra di noi?» gli fece Steve all’improvviso abbracciandolo da
dietro e dandogli un bacio sul collo.
Tony
non rispose e l’altro si chiese perché. Si sporse dalla sua spalla e vide il
disegno.
Sorrise
sghembo, colpito dal fatto che quel semplice scarabocchio avesse ammutolito
quella pentola di fagioli che era Tony, e gli disse, tenendolo stretto:
«E’
stato così traumatico avere a che fare con lui?»
«Sì»
ma non era un sì di rimprovero. Nel suo tono di voce Steve capì immediatamente che
era successo qualcosa di importante dentro Tony.
«Quindi
ora devi sentirti moralmente obbligato a darmi ciò che mi spetta» continuò,
girandosi tra le sue braccia per guardarlo in faccia.
Steve
si finse indignato.
«Sono
io quello che è tornato ora da un missione, per cui sei tu che devi qualcosa a
me»
«Ok,
Rogie, avrai il mio sedere, ma solo perché mi sento buono oggi».
Steve
rise, scuotendo la testa e Tony ghignò, nel vederlo così contento.
L’avevano
messo nel sacco, tutti e due, ne era consapevole.
Ma si sentiva così bene che non gliene importava niente.
Note dell’autrice: Dopo non so
quanto, aggiorno finalmente questa raccolta di momenti per la superfamily è
bella è io amo troppo questi tre insieme <3 ringrazio itsandreea e crissya
per rispettivamente messo nelle seguite e commentato questa storia ^^
Ci tengo inoltre a precisare che in questa storia
Peter ha più o meno 5 o 6 anni.