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Autore: La neve di aprile    09/03/2008    8 recensioni
Orlando Bloom è un attore di fama mondiale. Ama fare snowboard, surf e il caffé nero, senza zucchero.
Annie Brown è nata e cresciuta a New York. Ama il cappuccino alla vaniglia, il suo lavoro e i tacchi dieci.
Orlando Bloom ha la bizzarra abitudine di far scappare tutte le menager che gli vengono affidate.
Annie Brown è la nuova menager di Orlando Bloom.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAFFE NERO SENZA ZUCCHERO
CAPITOLO SETTE




 

A vederla, era la personificazione della professionalità.
Camminata decisa, scandita dal freddo e secco rintocco dei tacchi sull'asfalto, pantaloni attilati e maglia con maniche a tre quarti, enorme borsa sotto braccio. Il tutto rigorosamente nero.
L'unica macchia di colore era costituita dalla lunga chioma fulva, sciolta delle spalle, che sembrava catturare tutta la luce del sole, trasformandosi in una cascata rossa sulla schiena della ragazza.
Annie Brown sapeva essere affascinante, se voleva.
Ed era chiaro come il sole che illuminava il cielo di smalto che, in quel momento, voleva esserlo.
 Con piglio sicuro varcò la soglia dell'enorme palazzo che ospitava la sede londinese della L'Oreal, regalando un breve sorriso al portiere che tenne aperta una pesante porta di vetro per lei, e si infilò nel primo ascensore libero.
Quando le porte si chiusero, si rilassò impercettibilmente, posandosi contro una poggiamano dorato e chiudendo gli occhi per qualche attimo.
A discapito dell'apparenza, era a pezzi: aveva passato le ultime cinquantasei ore a contrattare, rilanciare, protestare e definire gli accordi per quello che avrebbe potuto essere il contratto più profiquo e redditizio dell'intera vita di Orlando Bloom.
Diventare il testimonial per la linea maschile della L'Oreal.
La bocca le si aprì in un sorriso spontaneo, mentre si obbligava a raddrizzare la schiena e calarsi nei panni della manager, richiudendo la stanchezza in un cassettino e buttando la chiave. Dormirò quando sarò vecchia, si ricordò severa, passandosi una mano tra i capelli.
Il suo riflesso ricambiò la sua occhiata con un sorriso sghembo, mentre una musichetta di sottofondo faceva da colonna sonora a quei momenti che precedevano il suo momento di gloria: si concesse un profondo respiro, prima che le porte si aprissero, e poi scivolò fuori, dritta in faccia a quella che sembrava una nuova, entusiasta tirocinante.
- Annie Brown, non è vero? - l'accolse la ragazza con un largo sorriso abbagliante.
La rossa annuì, cordiale, porgendole una mano.
- Piacere di conoscerla. - esordì cortese, stringendo brevemente la mano della ragazza, che mostrava vent'anni al massimo.
Biondissima, dagli enormi occhi azzurri, alta e magra, sembrava appena uscita dalle pagine di Vogue piuttosto che da un ufficio.
Persino il rigoroso completo pantalone che indossava non riusciva a farla sembrare la dipendente di una grande ditta.
- Oh, dammi pure del tu. - miagolò la biondina, conducendola attraverso un dedalo di corridoi - Sono Lucy, tra parentesi, l'assistente di Emily. - riprende a parlare, sparando fuori parole su parole allo stesso modo in cui una mitragliatrice sputa fuori proiettili.
La manager le scoccò un'occhiata vagamente scettica, che si perse in una svolta improvvisa a sinistra.
- Sai, qui alla L'Oreal siamo tutti entusiasti per questo contratto. - aveva ripreso a blaterare Lucy-tra-parentesi, con un'allegria che sapeva di falso a tre chilometri di distanza. Annie si chiese per quale dannato motivo avesse bisogno di strillare così tanto. Chissà, ipotizzò caustica, forse nessuno le ha mai spiegato che le persone normali comunicano con un normale tono di voce.
Si obbligò a tenere stampato un sorriso di cortesia sulla faccia che fosse anche solo vagamente convincente, ma soprattutto che non lasciasse trapelare gli istinti omicidi suscitati dall'esuberante biondina, e a rispondere ogni qualvolta venisse interpellata, inserendosi nella conversazione con commenti quanto mai banali ma sempre efficaci.
Orlando di qui, Orlando di lì.
Il discorso non si allontanava mai troppo dalle lodi più sperticate all'attore, arrivando di tanto in tanto a sfiorare pettegolezzi riguardanti il rapporto con la rossa o la storia con Kate, ma la ragazza non pareva in grado di dire altro. Proprio quando Annie comprese che la pazienza umana non è infinita, la tortura ebbe fine: mentre le veniva aperta una pesante porta di legno chiaro, le fu annuncianto che Emily ti aspetta, è stato un vero piacere conoscerti.
La rossa scosse appena il capo, entrando in una luminosa stanza rettangolare, occupata per la maggior parte da un grande tavolo ovale posto al centro, circondato da un considerevole numero di sedie dall'aspetto particolarmente scomodo.
Seduta a capotavola, una donna di quarant'anni sfogliava le pagine di un fascivolo con aria concentrata, un paio di occhiali in equilibrio sulla punta del naso piuttosto sporgente. Come Annie vestiva di nero e, non appena sentì la voce della sua assistente, alzò lo sguardo dai fogli sottili, sfoderando un sorriso da barracuda, reso ancora più inquietante dai lineamenti quadrati della donna, circondati da cortissime ciocche nere.
- Oh, Annie! - esordì senza alzarsi in piedi, incolore - Lieta di conoscerla. -
- Il piacere è tutto mio, Emily. - replicò la rossa - Le spiace se... - indicò una sedia con un cenno del capo.
- Oh, ma certo! Sieda pure. - si affrettò a dire Emily, tornando a esaminare i suoi fogli mentre la manager si accomodava e accavallava le gambe, mettendosi sulla difensiva. Aveva un po' l'impressione di essere in procinto di affrontare una battaglia particolarmente ardua e l'atteggiamento fin troppo professionale della donna lì vicino non prometteva nulla di buono: si comportava come un robot, programmato per pensare, agire e parlare solo in funzione dell'interesse dell'azienda.
Già il sorriso parlava chiaro.
Il silenziò piombò tra le due donne, interrotto solamente dal delicato frusciare delle pagine e dal leggero tonfo della borsa della menager, quando venne appoggiata sul tavolo.
Per il resto, l'intera stanza taceva; nemmeno il traffico della capitale sembrava scalfire il guscio insonorizzato di quelle quattro pareti.
- Bene. - Annie sussultò appena, quando Emily riprese a parlare dopo qualche minuto - Bene, bene, bene. E così, eccoci qui. Ho controllato nuovamente il contratto e sembrerebbe tutto a posto, come stabilito. Manca solo la firma e poi posso affermare con gioia che Orlando Bloom sarà il nuovo volto della L'Oreal. -
Nulla nel tono e nell'espressione della donna fece pensare ad Annie che lo fosse realmente.
La giovane si preparò ad iniziare un discorsetto di ringraziamento dove esprimere tutta la sua gratitudine e gioia per la stipulazione del contratto, ma il sorriso di Emily la fece raggelare.
- Dov'è? -
Spiazzata, la rossa sbatté le palpebre un paio di volte.
- Come, scusi? - pigolò, imbarazzata.
Si sentiva vagamente sotto esame e la cosa non le piaceva poi molto.
- Il signor Bloom, - ripeté l'altra - dov'è? -
- Oh, sono sicura che arriverà a momenti. - rispose prontamente, sbirciando l'orologio di nascosto: era in ritardo. Terribilmente in ritardo.
Avrebbe dovuto essere già lì da un pezzo. Inspirò a fondo, rivolgendo una silenziosa preghiera alla sua stella buona, supplicandola di far arrivare l'attore il prima possibile. Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma avrebbe pagato per poter avere al suo fianco l'arrogante ragazzo: aveva quasi paura a stare chiusa in una stanza con quella donna inquietante.
- A momenti. - ripeté dopo qualche attimo, chiedendosi se non fosse troppo sconveniente alzarsi e scappare a gambe levate.

 

Il telefono riprese a suonare, intonando per l'ennesima volta Iris, dei Goo Goo Dolls.
Orlando mugolò, rigirandosi dall'altra parte e chiudendo gli occhi con forza, concentrandosi per isolare la suoneria del cellulare e cancellarla dal suo mondo.
Stava letteralmente morendo di sonno, non ricordava nemmeno più l'ultima volta che era stato così stanco: nemmeno l'ultima settimana a Los Angeles lo aveva lasciato così spossato e senza forze.
Al suo fianco, Kate gli si rannicchiò contro, continuando a dormire della grossa.
Il suo respiro gli solleticò la spalla quel tanto che bastava per costringerlo ad allungare un braccio verso il comodino e zittire l'odioso telefono senza nemmeno curarsi di guardare chi si sognasse di chiamarlo nel cuore della notte.
Quando finalmente il silenzio tornò a calare sulla stanza, circondò con un braccio la vita della ragazza, pregando per poter finalmente riuscire a dormire.
Erano rincasati all'alba, dopo aver passato l'intera notte in un minuscolo localino pieno al punto che persino respirare era un'impresa titatica.
Figurarsi ballare.
Ma il volume della musica era talmente alto che non lasciava dubbi su cosa si dovesse fare lì dentro e, come ben presto aveva scoperto, non si poteva fare altro che differisse dal ballare.
Kate lo aveva abbandonato dopo mezz'ora dal loro arrivo, sparendo nella folla per farsi ritrovare poi verso le undici, completamente ubriaca, in compagnia di tre ragazze.
Una più magra dell'altra, si erano strette attorno ad Orlando e non lo avevano più lasciato andare.
Per pura disperazione, si era messo a scolare un drink dopo l'altro, sperando che l'incoscienza facesse scorrere il tempo più velocemente.
Non ricordava come fosse arrivato a casa.
Non ricorda quando ci fosse effettivamente arrivato, l'unica cosa che gli tornava alla mente era il cielo, simile a una distesa di inchiostro nero.
Senza stelle, senza luna. Come gli occhi di Annie, capaci di trafiggerlo con una sola occhiata.
Aveva scacciato il pensiero buttandosi su Kate per affogare l'immagine della rossa nel calore della bionda: complice l'alcool nel sangue, complici le mani sottili della ragazza, complice la ferrea volontà di non pensare a nulla, era crollato in un sonno senza sogni.
Fino a quando il cellulare non aveva iniziato a suonare, riportandolo nel mondo reale assieme ad un fastidiosissimo mal di testa.


Annie si morse la lingua per non lasciar uscire dalla bocca una lunga serie di insulti molto poco adatti al posto e alla situazione, mentre dall'altro capo del filo Orlando le chiuse il telefono in faccia.
Era il quinto tentativo che faceva, camminando come una tigre chiusa in gabbia negli elegantissimi bagni del palazzo, talmente lussuosi da far concorrenza a quelli della suite dove aveva sorpreso l'attore la prima volta che l'aveva visto.
Un enorme specchio occupava metà parete, sopra i lavandini argentati incastonati in un ripiano di marmo nero, il pavimento era coperto da una soffice moquette immacolata, talmente fitta e morbida da semprare lana.
La luce soffusa, l'aria pregna di una delicata fragranza floreale: se non fosse stata fuori da ogni possibile grazia divina, Annie avrebbe avuto paura a toccare qualcosa, temendo di causare danni per un ammontare decisamente superiore alle sue capacità economiche.
Ma si trovava in una situazione di emergenza e tutto era concesso.
Persino sfilarsi le scarpe e sedersi a gambe incrociate sul pavimento, dopo essersi chiusa a chiave nell'enorme stanza impedendo a tutte le donne presenti nel piano di poter usufruire di cotanto lusso.
Poco male, si disse con una stretta di spalle, faranno un piano di scale e smaltiranno le briciole di brioches che hanno mangiato a colazione.
Chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie.
- Concentrati, Brown, concentrati.. - mormorò - Pensa e trova una soluzione a questo gran casino. -
Emily era stata a dir poco cristallina nello spiegarle che se Orlando Bloom in persona non avesse firmato il contratto, non se ne faceva nulla.
Esigevano professionalità e interesse dai loro testimonial, e mancare in un momento cruciale come quello era la prima cosa da non fare.
Ora.
Era chiaro come il sole che l'attore non si sarebbe presentato.
La motivazione preferiva ignorarla (non poteva essere così stupido da non farsi vivo solo per farle un dispetto, in fondo), ma doveva essere sicuramente qualcosa di molto grave. La morte del cane, ad esempio. La casa che ha preso fuoco. La madre che ha avuto un malore improvviso. Una malattia improvvisa che lo ha ridotto in fin di vita. Altrimenti non c'erano scusanti, non era disposta ad accettarne altre, men che meno la morte della Bosworth.
Ma a lui avrebbe pensato dopo (e se davvero una malattia l'aveva ridotto in fin di vita, sarebbe stata lei a dargli il colpo di grazia), la questione ora era trovare una scappatoia che le permettesse di salvare il risultato di giorni e giorni di lavoro e la faccia.
Represse un moto di rabbia al pensare che sarebbe stata lei a farci la figura della cretina incompetente, incapace di portare a termine un lavoro perché incapace di tenere a bada un aitante figlio di Hollywood, e non Orlando, che chissà cosa stava facendo in quel preciso momento.
Si piegò in avanti, posando la fronte sulle gambe, e lasciò che i capelli le cadessero ai lati del volto, chiudendosi come un sipario sul mondo.
Inspirò a fondo, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene, che avrebbe trovato una soluzione, che alla fine sarebbe riuscita a salvare in un qualche modo la sua dignità. La rabbia l'avrebbe sfogata dopo, un altro luogo e in un altro momento.
Ma soprattutto, con un'altra persona.
- Posso farcela. - decretò, raddrizzando la schiena e alzandosi in piedi.
- Posso farcela. - scandì con maggior decisione, infilando ai piedi le decolleté nere e riavviando i capelli.
- Posso farcela. - ringhiò al suo riflesso, dando una controllatina veloce al trucco.
- Posso farcela. - sussurrò un'ultima volta, mentre faceva scattare la serratura della porta e tornava nel corridoio, ignorando gli insulti velati che un paio di bamboline sottopeso bisbigliarono al suo passaggio.
Eppure, man mano che ogni passo la portava sempre più vicina alla sala dove Emily aspettava, sentiva le sue certezze sgretolarsi come creta e accartocciarsi su se stesse, lasciandola priva di difese e appigli a cui aggrapparsi durante la caduta che, lo sentiva, stava per arrivare da un momento all'altro.
Era solo questione di tempo.

 

Il cielo imbruniva all'orizzonte, facendo sembrare i profili delle case londinesi degli enormi blocchi neri contro il cielo rosso porpora.
 Un fiato di vento agitava le foglie più precoci, spuntate prima dell'arrivo della primavera, a accarezzava le guancie arrossate di una bambina che si fermava, dopo aver rincorso un piccolo gattino nero lungo il cortile della casa vicina alla sua. Orlando sorrise, incrociando lo sguardo della piccola atleta, che ricambiò il gesto con una piccola manina paffuta, prima di sparire all'interno della casa.
Si sitemò meglio sul ripiano in legno sotto la finestra, scartando un chupa-chups alla fragola.
Kate se ne era andata da qualche ora, dopo che una telefonata particolarmente breve che lo aveva lasciato un po' spiazzato.
Ti devo parlare, aveva detto, posso venire da te?
Era stata l'assenza di colore nella voce, quella completa e totale neutralità, a lasciarlo poco convinto: da quando conosceva Annie, non l'aveva mai sentita parlare con tanta calma senza che o lo scherno o l'ironia saltassero fuori ad un certo punto. Si rigirò la caramella in bocca, fissando la strada assorto.
La vide svoltare l'angolo e avanzare senza fretta, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni (anche se effettivamente erano così stretti che non capiva come le mani potessero starci dentro) e lo sguardo basso, nascosto dai capelli che ricadevano morbidi, una volta tanto scomposti, sulle spalle sottili.
La seguì mentre imboccava il vialetto e si fermava davanti alla porta verniciata di verde scuro, contro cui batté tre colpi secchi.
Con un colpo di reni balzò a terra, nell'esatto istante in cui il suo cane iniziava ad abbaiare dal salotto.
- Buono cucciolo, buono! - esclmò ridendo, ritrovandoselo a zampettare allegramente tra le gambe mentre apriva la porta.
Si chinò, afferrandolo per il collare e, quando rialzò lo sguardo, gli occhi nerissimi di Annie erano puntati su di lui e non accennavano a schiodarsi.
Abbozzò un sorriso, cercando di sciogliere almeno parte del gelo che lei emanava come fosse profumo, ma non servì a nulla. Lasciò andare il cane, risollevandosi.
- Ciao. - biascicò, dimentico del chupa-chups in bocca.
Lei inarcò le sopracciglio e subito Orlando arrossì, prendendo il dolce e lanciandolo in un angolo.
Avrebbe pulito dopo.
- Accomodati. - riprese, sempre più a disagio.
Annie strinse le labbra in una linea dura, varcando la soglia e precedendolo di qualche passo nel corridoio.
Quando l'attore si voltò per seguirla e la vide, rimase per un attimo senza fiato: avvolta nella calda luce del tramondo, la ragazza se ne stava immobile a guardarlo, il volto pallido riscaldato dai capelli rossi, resi ancora più brillanti dalle tinte calde del sole.
Piccola e minuta come non mai, aspettava.
Di esplodere.
Annie non aspettava altro che riversare tutta la sua rabbia sul bel ragazzo che le sorrideva, visibilmente a disagio, e subito dopo la invitava a seguirlo in cucina, per un caffé. Mise a tacere quella vocina che aveva ululato di gioia all'idea di bere una tazza della sua bevanda preferita, tenendo bene a mente quello che si era sentita dire quando era uscita dal bagno.
Si sentì bruciare le guance per l'indignazione e si affrettò a sedere su uno sgabello, mentre il ragazzo preparava una moka, blaterando del più o del meno.
- Sai, me l'ha regalata una fan italiana. - una risata, leggera e bassa - Dice che non c'è confronto tra il caffé italiano e quello inglese: il secondo è acqua sporca imbevibile. E in effetti, dopo aver provato questo, c'è da dire che aveva ragione, non c'è parago.. -
- Dov'eri, questa mattina? - lo interruppe lei, alzando lo sguardo e inchiodandolo davanti ai fornelli.
Un brivido scivolò lungo la schiena di Orlando.
- Questa mattina? - ripeté automaticamente, senza riuscire a ricordare.
Gli occhi di lei catturavano ogni suo pensiero, quasi fossero due buchi neri.
Il tempo stesso, sembrava rallentare.
- Si, Orlando. Dov'eri questa mattina? -
Mentre io venivo massacrata da una stronza alle porte della menopausa, aggiunse tra se e se, incrociando le braccia sul tavolo.
- A casa. - fu la replica, piuttosto stupita, del ragazzo.
- A casa. - Annie chiuse gli occhi, cercando di trattenersi - E cosa ci facevi, di grazia? -
- Non lo so, ma cosa centra? -
- Fammi il piacere di rispondere e basta, senza fare domande. Non questa volta. - sibilò la rossa, sporgendosi appena in avanti.
Il trentenne si ritrasse, istintivamente, realizzando che il nulla che aveva avvertito durante la telefonata era in realtà rabbia gelida in attesa di esplodere.
Inghiottì l'orgoglio, cercando di capire cosa diavolo avesse combinato questa volta, e chinò appena il capo.
- Dormivo. - rispose, incrociando le braccia al petto.
Un tenue profumo di caffé invase l'aria, mentre la moka iniziava a borbottare alle sue spalle.
Spense il fuoco senza voltarsi, cercando la manopola a tentoni.
- Vediamo se indovino il perché. - riprese la giovane donna, accavallando le gambe e dondolando un piede - Ieri sera sei uscito a festeggiare, hai fatto tardi e hai dormito fino a pomeriggio inoltrato. Sbaglio? - lui scosse il capo, senza azzardarsi a proferir parola: man mano che andava con il discorso, sentiva le parole trasformarsi in lame affilate pronte a conficcarsi nel suo corpo. Lei riprese, regalandogli un sorriso al vetriolo - E quindi se non ti sei presentato a una delle più grandi occasioni della tua vita è perché te ne sei dimenticato? -
Sgranò gli occhi, ricordando improvvisamente.
Il contratto.
La L'Oreal.
Testimonial.
Kate appesa al suo braccio mentre la rossa gli spiegava che assolutamente doveva presentarsi e doveva farlo in forma smagliante.
Le insistenze della biondina e i vaghi sensi di colpa per averla trascurata così a lungo quando era oltreoceano, il fastidio per l'estrema competenza della manager.
- Cazzo. -
- L'hai detto, bimbo. - saltò agilmente a terra, andando a pararglisi davanti.
Nonostante lo guardasse dal basso verso l'alto, il ragazzo non potè fare a meno di sentirsi intimorito: tutto in lei gridava rabbia e furia.
Eppure, quando riprese a parlare, poté avvertire una nota di stanchezza risuonare in profondità.
Si sentì in colpa.
- Voglio sperare che tu non sia stupido al punto da rinunciare a un'occasione del genere solo per far ripicca a me o per far felice la tua bella, ma sappi mai in vita mia sono stata umiliata tanto quanto oggi e se non fosse che il lavoro a me serve per vivere ti mollerei qui, su due piedi. Un comportamento del genere da parte tua non me lo sarei mai aspettato, sei tanto estremamente poco professionale e per questo è giusto che tu perda il lavoro. Cristo santo! Tu non hai idea di come mi sia sentita quando ho dovuto mentire a quella stronza dicendo che stavi poco bene! Tu...tu... - inspirò a fondo, distogliendo lo sguardo.
Sapeva che stava tremando, ma non riusciva a controllarsi.
Quando tornò a guardarlo, fu accolta dallo spiazzante silenzio di due occhi color nocciola.
- Io.. - iniziò a dire Orlando, ma lei non lo lasciò parlare.
Non aveva ancora finito.
- Tu devi solamente vergognarti, Orlando. - mormorò sottovoce.
Non aveva bisogno di alzare il tono, sapeva di aver catturato la sua attenzione ad un livello tale che non si sarebbe accorto nemmeno di un'esplosione. 
- Perché non solo hai probabilmente compromesso la possibilità di lavorare in futuro con la L'Oreal, ma hai anche messo me nella condizione di una che non è in grado di svolgere il suo lavoro e di farsi rispettare da un cliente. Sono la prima a dire che tra di noi le cose non funzionano chissà che bene, ma ho sempre creduto che fossiamo entrambi persone adulte, capaci di andare oltre l'antipatia personale quando si tratta di lavoro. Ma sbagliavo, evidentemente. -
- Mi spiace.. - si sentì dire Orlando, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso.
Aveva curvato appena le spalle, le braccia cadevano inermi lungo i fianchi e la rabbia andava via via scomparendo, inghiottita dalla ben più amara delusione.
- Non ho bisogno delle tue scuse. - scrollò le spalle, riavviandosi i capelli.
Un raggio di sole le baciò lo zigomo destro, colorando quel bianco spento con tenui riflessi dorati e facendo sembrare, per contrasto, gli occhi ancora più neri.
Era bella.
Odiosa, saccente, arrogante, presuntuosa, ma bella.
Si sentì disarmato, nudo, di fronte a quella verità e, rifiutandola, fece esplodere una rabbia profonda dietro cui nascondersi.
- Potresti quantomeno accettarle e dimostrare tu per prima un po' di maturità. - l'aggredì, fraintendendo volutamente quello che aveva detto.
Annie si paralizzò, sgranando appena gli occhi e guarandolo come se fosse impazzito del tutto. Proseguì - Tutti fanno errori, chi sei tu per giudicare? Tu che piombi nella mia vita e la stravolgi completamente, tu che... tu non hai nessun diritto di rifiutare le mie scuse, tanto più se sincere! -
- Tu non hai capito, cosa me ne faccio? Cambia forse qualcosa? NO! -
- E' una questione di principio, di educazione. -
Fu troppo.
La rossa sbalancò la bocca, quasi l'avesse schiaffeggiata, e boccheggiò, senza riuscire ad esprimere l'indignazione. Mai, mai in vita sua, si era trovata davanti a tanta ipocrisia.
- TU VIENI A PARLARE A ME DI EDUCAZIONE? - urlò furibonda, serrando le mani con tanta forza da far sbiancare le nocche.
Le unghie le si conficcarono nella carne, ma il dolore non la sfiorò nemmeno - Questo è veramente troppo. E io che pensavo che tu fossi diverso, che non fossi il solito attore strapagato e straviziato di Hollywood.. - scosse il capo, dirignando i denti - Più che un cliente, sei una delusione, Orlando. -
- Ma lo vedi? Sempre gli altri! Non è mai colpa tua, MAI! Sono sempre gli altri a sbagliare, con te non si può mai dire nulla! Dai a me del bambino, ma ti ascolti quando parli? Se c'è qualcuno che deve crescere, quella sei tu. -
Annie incassò il colpo senza batter ciglio.
Fece dietro-front, senza spiccicar parola, recuperò la sua borsa e uscì dalla stanza; la porta d'ingresso si chiuse delicatamente e la ragazza passò davanti alla finestra della cucina dopo qualche attimo.
Orlando rimase solo, senza fiato.
Incapace di pensare a nulla si voltò e, automaticamente, agguantò la prima tazza che gli capitò davanti, versandovi dentro il caffé; lo bevve tutto d'un fiato anche se ormai freddo e disgustoso, senza aggiungervi nemmeno un goccio di latte.
Se avesse bevuto olio per automobili, sarebbe stato lo stesso.
Con un gesto automatico tornò in soggiorno, sollevo la cornetta e compose un numero.
Dopo tre squilli, una voce femminile rispose.
"Pronto?"
- Kate, sono io. Preparati, passo a prenderti tra un'ora. Stasera usciamo. -

   
 
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