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Autore: controcorrente    04/09/2013    1 recensioni
Soledad ed Ester. Due sorelle divise. Due vite separate da dieci anni di distanza, improvvisamente riunite per il capriccio della prima. Due donne profondamente diverse. Una provata da 3 grossi sacrifici, l'altra cresciuta con l'ansia del futuro. La loro riunione porterà a delle conseguenze impreviste che mai avrebbero pensato potessero accadere: L'ambientazione è storica ma spero che vi piaccia, indicativamente tra 700 ed 800.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, L'Ottocento
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Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Io continuo a ringraziare tutti coloro che mi leggono e recensiscono. Siete molto gentili e spero che questo racconto continui a interessarvi. Grazie a tutti coloro che mi leggono e vi prego di lasciare una recensione se avete un momento libero, ovviamente. In ogni caso vi auguro buona lettura.

 

XXXVII

 

 

-Lady Mc Stone- disse Rashid.

-Cosa volete?-domandò la dama, mentre leggeva le pagine del giornale nella minuscola terrazza dei suoi alloggi.

Il maggiordomo si avvicinò, camminando sciolto verso di lei. -E'giunto un messaggio da parte del signor Borowsky.-riferì, porgendole una busta.

Soledad la prese.

-Non vi ha visto nessuno, vero?-chiese, rigirandosi la missiva tra le mani.

Il sikh scosse il capo.

-Rashid, nessuno deve saperlo-continuò- mi fido del vostro silenzio e della fedeltà che dovete al mio defunto marito. Queste lettere possono fare molti danni, gli stessi che hanno causato lo sfacelo che ci ha condotto sino a qui.- Guardò per un momento la busta, sospirando pesantemente. -Mi rendo conto che le mie azioni sono state oltremodo...ingrate...e voglio espiare, almeno per quanto riguarda me.- continuò- Non posso che sentirmi in colpa per quanto accaduto...io non volevo che andasse a finire così. Alistair mi ha dato tanto...ed io non ho saputo proteggerlo.-

Il maggiordomo prese la tazzina che aveva portato pochi istanti prima.

-Se posso permettermi, Miss-fece lui- in tutto questo, avete agito per amore...e non c'è niente più nobile di questa casa. Io non smetterò di esservi grato per quanto state facendo. Vorrei che anche loro lo sapessero, quanto siete saggia e fedele ai patti.-

Lady Mc Stone scosse il capo. -Sono una femmina di ben misero valore, invero-replicò- non ho mai saputo parlare a mio marito nella maniera che meritava...dirgli la ...profonda gratitudine per quanto aveva fatto per me. -

Rashid non disse niente.

Dalle parole della dama, non poté comunque fare a meno di percepire la profonda afflizione che gravava su quella donna di 26 anni. Così, con fare silenzioso, si congedò...non senza lasciare uno sguardo all'indiana che stava muta al fianco della vedova. Lei ricambiò l'occhiata, con quelle iridi un po'perse, un po' senza fondo che possedeva spesso.

Quando la porta si chiuse, la dama si accasciò sulla sedia dove era appoggiata.

-Sarasa- mormorò- sono una femmina orribile. Non posso che provare vergogna per me stessa e per la terribile azione di cui mi sono macchiata sei anni prima. Non posso credere di aver ceduto così alla mia debole condizione di donna. Non posso credere di essermi fatta incantare da quegli inutili e ipocriti concetti...io che li ho sempre disprezzati ho finito per prestargli fede...ed ora sono così.-

L'indiana sospirò.

-Mia signora- fece lei- i fardelli che gravano sulle spalle di ognuno sono un onere esclusivo...e niente può alleggerirli. Possiamo adornarli di belle parole...ma, alla fine, nulla muta la realtà dei fatti.-

Soledad non rispose.

Conosceva bene quanto fosse amaramente vero in quelle parole. -Mia sorella?-chiese, nel vacuo tentativo di distrarsi.

-Se vi riferite alla signorina Escobar, pare che sia rintanata nella propria camera...profondamente annoiata, stando alle parole della sua cameriera personale. Non ha molta simpatia verso i vostri nipoti ed il sentimento sembra essere perfettamente ricambiato. Immagino che vostra cognata abbia istruito la prole su come trattare la figlia di secondo letto di vostro padre-spiegò l'altra, con un sorriso serafico in volto.

-E Pilar?-domandò, socchiudendo le palpebre.

Sarasa assunse un'espressione indecifrabile.

-Suor Lucia è andata dalla massima autorità della Chiesa di Roma qui a Londra, per poter discorrere con lei, a proposito di quel frate di cui gli avete citato il nome.-rispose.

La dama non commentò. Pensierosa, occhieggiava i vari suppellettili della stanza, come alla ricerca di una risposta ai tormenti che affollavano il suo animo da circa sei anni. I capelli erano acconciati in una pettinatura severa e priva di ornamenti, che esaltava in modo involontario, l'opale che era il suo viso. -Credete che stia subodorando le mie azioni?-fece, dando una punta di retorica all'intera frase.

-Non penso-rispose l'indiana- ma questo è un bene.-

-Non approverebbe-aggiunse la giovane- non è nelle condizioni di comprendere le mie ragioni. D'altra parte, la sua voglia di farsi suora è stato solo un modo per sfuggire prima alla propria condizione. Lei ed io abbiamo lo stesso sangue ma conosciamo due famiglie diverse.-

Sarasa non ribatté.

C'era qualcosa di drammaticamente vero in quelle frasi piene di dolore. Le scelte passate avevano spezzato dentro quella dama in apparenza tanto forte. Mentalmente si chiese se sarebbe riuscita a provare nuovamente dei sentimenti, dal giorno in cui tutto era crollato. in modo improvviso e molto triste. Le cose potevano prendere una piega assai diversa forse...ma ormai, nessuno avrebbe più potuto vederlo. Colui che poteva dare una risposta a questo aggrovigliato arcano, non era più.

 

 

 

 

Margareth camminava per i corridoi con passo svelto, schivando la servitù che, intimorita da quella che era, a conti fatti, una vera e propria marcia, si metteva da parte, come se avesse il diavolo alle calcagna. Un sorriso divertito balenava sul suo volto, lo stesso che aveva sfoderato dopo aver inflitto l'ennesima sconfitta al cognato.

A quel pensiero, sorrise.

Mettere in difficoltà il rigido fratello del suo defunto marito era un'operazione che galvanizzava il suo ego, dandole l'impressione di poter fare qualsiasi cosa. Una mera illusione ma era grata a Mr. Gillford per la generosità che aveva loro offerto. Alla fine, dopo la sconfitta, era riuscita a strappare la promessa da suo cognato che avrebbe scritto a Lady Mc Stone, per poter avere un incontro privato.

Quel misantropo aveva borbottato un po' per quella richiesta...ma aveva perso a carte e doveva cedere. Era un uomo d'onore in fondo...come dimostrava il fatto che aveva accettato la richiesta del fratello degenere ed aveva accolto in casa la vedova e la sua prole. Margareth lo ammirava per questo...e insieme gli era grata.

Nessuno avrebbe mai mostrato una simile condotta irreprensibile...a meno che non avesse un carattere impossibile, un parentado imbarazzante e l'odiosa necessità di preparare una successione onorevole. Non dubitava che le remore del vecchio fossero pesantemente condizionate dalla sua nota misantropia ma non avrebbe permesso a quella testa calda di tirarsi indietro.  Conoscendo Cedric, non avrebbe gettato l'occasione di sfuggire a quell'impegno...e per questo motivo voleva parlare con quella vedova.

-Ehi Archie!-esclamò, rivolta al valletto del suo cognato.

Questi ebbe un sussulto.

-Ditemi, signora-fece, arricciando un po' il naso per le maniere spicce della donna. Malgrado fossero passati alcuni anni, non si era ancora abituato ai suoi modi grezzi.

Lei non si scompose.

-Fate avere questa lettera a Lady Mc Stone.-disse, senza aggiungere altro.

Il valletto fissò il foglio...prima di annuire, non senza un sospiro. Conosceva la signora Gillford dalla culla e non gli erano estranee le sue maniere, compreso il suo temperamento deciso, che, per ragioni che tuttora ignorava, avevano fatto capitolare il fratello maggiore del padrone. Scrollò il capo, prima di obbedire un po'rassegnato. Per quanto ci provasse, non riusciva ancora a vedere la piccola Meg come una signora...ma solo come una pestifera piantagrane.

Con questo genere di pensieri, fece recapitare la lettera al destinatario, senza sapere quali conseguenze avrebbero portato con sé.

 

 

 

 

Oceane leggeva la consueta puntata del romanzo d'appendice di quel mese.

-Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che siate venuta da me, Madame- fece Igor, comodamente seduto su una poltroncina- lo trovo...come dire, temerario.-

La francese ridacchiò.

-Non temo per la mia reputazione...e poi siete noto per essere un uomo integerrimo. Non credo che mi fareste del male.-disse, strappando una risata al russo. Lo guardò suonare il piano, mentre se ne stava seduta nella poltroncina del salotto.

-In ogni caso, l'assenza di uno chaperon è cosa assai disdicevole.-continuò il russo- La vostra datrice di lavoro, come la pensa a riguardo?-

Oceane inclinò la testa, fingendo di pensarci un po'.

-In realtà non le ho detto niente...anche perché è molto impegnata. Sembra che abbia degli ospiti...molto faticosi da gestire, visto che mi ha concesso di avere alcuni giorni liberi.-disse, giocherellando con i riccioli scuri- e così, non avendo molte conoscenze, ho pensato di andare da colui che reputo un buon amico. Spero di non avervi offeso per questa invadenza.-

Igor stirò le labbra.

-Un amico?-chiese retorico.

-Perché-ribatté lei, osservandolo di sottecchi- non credete che uomini e donne non possano essere amici?-

Il signor Borowsky non rispose, limitandosi a bere un bicchiere di vodka.

Lei lo studiò.

Guardò la sua aria dinoccolata e apparentemente svogliata, dovuta forse alla considerevole altezza e alla lieve divergenza degli occhi chiari in due opposte direzioni. Igor Borowsky, figlio illegittimo di un principe russo, non era bello, benché fosse proporzionato. Non aveva la leziosa perfezione efebica dei nobili che non conoscevano altra attività fisica della caccia e non sembrava nemmeno interessato a quel genere di passatempi. Sembrava piuttosto uno di quei tipi silenziosi e malinconici, dediti all'arte e alla filantropia.

-Conoscete la storia di Ero e Learco?-domandò il russo, interrompendo i suoi pensieri.

L'istitutrice conosceva quel mito, molto bene.

-Credo che tra uomo e donna vi sia la stessa distanza mortale che separò i due amanti. Occorre fare uno sforzo oltremisura per poterla rompere- fece, abbassando all'improvviso la voce- ma basta un niente per distruggere questo esile legame di fiducia.-

Oceane non commentò ma non poté fare a meno di sentire un brivido correrle lungo la schiena. Per un momento, ebbe l'impressione che non stessero più parlando di quella storia e, inaspettatamente, ebbe il timore di chiedere spiegazioni. La faccia indecifrabile del principe russo era come un muro, impossibile da abbattere...così rimase lì, seduta compostamente sul divanetto, con quel romanzetto d'appendice improvvisamente senza valore.

Igor la squadrò.

-Perché siete venuta?- chiese infine.

Oceane non rispose a quella domanda. Improvvisamente, aveva perso tutta la sua parlantina. Si chiese se ricordava che lo aveva scorto in quell'orfanotrofio e dei suoi sguardi di disgusto...ma non osò andare avanti. Per la prima volta, da quando era giunta a Londra, temeva di dover nuovamente riaprire quel vaso di Pandora...ed il coraggio volò via, insieme alla sua consueta baldanza.

 

Capitolo breve ma di passaggio.  Spero che piaccia, anche se nessuno mi dice cosa ne pensa. Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono, compresi quelli di DONNA SACRA. Qui il clima è leggermente diverso ma spero che non sia un problema. Grazie a tutti.

   
 
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