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Autore: I Fiori del Male    04/09/2013    5 recensioni
Di tutte le cose create dall'uomo capaci di scuotere l'anima forse la più efficace è la musica. Attraverso essa nascono sentimenti, pensieri, azioni. Eppure spesso avviene il processo contrario, e dalla gamma di sentimenti, pensieri, azioni che ciascuno è in grado di essere può nascere una melodia. Oscar e André e tanti altri che noi conosciamo, immersi in un mondo fatto di note. Questo è quel che leggerete.
AVVISO: al momento, la storia è a rating verde e priva di particolari note, ma dato che non si sa mai dove può andare a parare un autore, sappiate che potrei decidere di cambiare entrambe le cose, in base a dove mi porterà la storia. :)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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D’AMORE E DI MUSICA

-4-
 
Calore.

Questo era tutto ciò che Oscar riusciva a sentire. André le teneva la mano sinistra premuta sulla spalla, così che lei non rusciva a staccarsi dal tronco dell’albero. L’altra mano le avvolgeva delicatamente la guancia sinistra e la sua bocca era su quella di Oscar, delicata, premurosa, mentre il respiro affannoso di entrambi era intriso di desiderio, di necessità.

Lei aveva gli occhi spalancati, ma man mano che quel contatto tanto cercato e voluto si prolungava le palpebre si abbassarpno, affinché l’esclusione della vista rendesse più sensibile ogni altro senso.

Riusciva a udire con chiarezza quasi sconvolgente il battito dei loro cuori, come fosse uno solo, e poteva assaporare l’odore della sua pelle come aveva sempre solo sognato prima. Quando André mosse le labbra, tentando di aprire le sue a ricevere un bacio più pieno, completo, ne saggiò la morbidezza, assecondando il suo desiderio. Le lingue si incontrarono, frementi di erotico desiderio, e quel calore scese lungo la gola di Oscar fino alle viscere, spingendola a stringere la stoffa della giacca di André, sulla schiena e sul petto, attirandolo su di se. Lui rispose alla stretta, strappandola al tronco dell’albero per avvolgerla tra le sue braccia, intrecciare le mani nei lunghi capelli biondi,  carezzarle la schiena, il collo.

Per un attimo il bacio si interruppe e lei si lasciò sfuggire un sospiro incontrollato, tenendo gli occhi chiusi sul mondo finché il suo istinto non decise di farglieli aprire. Allora la magia si dissolse e la realtà tornò a inondare impietosa il suo cervello, muovendo le sue mani a spingere via André, lo sguardo di nuovo puntato sull’erba.

 - Scusami.-  Disse soltanto, per poi alzarsi in piedi di scatto, lasciando cadere mollemente le mani di André, a dir poco sconcertato, a terra. - Io non ...- scosse la testa, per poi prendersela tra le mani, quasi a voler strappare le sue lunghe ciocche bionde e ondulate.

- No no, scusami tu ... mi dispiace ...- si scusò lui, alzandosi a sua volta. Lei si voltò di nuovo a guardarlo, e nel suo sguardo c’era qualcosa che André non riusciva a decifrare: il senso di colpa, perché lui non avrebbe dovuto sentirsi così, perché lei questo lo voleva, lo aveva sempre voluto, ed era solo colpa sua se le cose avevano finito per rovinarsi. Avrebbe voluto dirgliele, tutte queste cose, ma la voce non voleva saperne di uscire e così, maledicendosi per quello che stava facendo, gli voltò di nuovo le spalle e corse via, lasciandolo solo.

Quando André si decise a rientrare a sua volta, era iniziata da poco un’altra lezione e finì per saltare anche quella. Salì all’ultimo piano, dove si trovavano le camere. Accanto ad ogni porta, c’era una targhetta che recava scritti i nomi degli occupanti della stanza. Si soffermò di fronte ad ogni porta, a leggere i cognomi conosciuti e sconosciuti, giusto per passare il tempo, in attesa che anche l’ultima lezione finisse.

Gli venne un tuffo al cuore quando lesse su un cartellino, scritto in bella grafia, “Jarjayes”.

Era la stanza di Oscar.

La porta non chiusa agì come un richiamo per lui. Sapeva benissimo che molto di una persona lo dice il luogo in cui vive, e lui voleva sapere tutto, di Oscar. Dopo averci pensato su per qualche minuto, la curiosità ebbe la meglio sulla ragione e lui entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

L’ambiente era inondato di sole, perché la finestra era stata lasciata aperta. Le cameriere dovevano essere già passate perché era tutto ordinato, ma la stanza era pregna del profumo di rose che André aveva imparato ad associare a Oscar, ed eccola lì, la fonte del profumo: un enorme mazzo di rose sistemato in un grande vaso, sulla scrivania. Subito il cervello di André si concentrò su di esse, ricercando nei meandri della memoria un ricordo legato a quelle rose in particolare, bianche come la neve, che colpite dal sole sembravano quasi risplendere di luce propria. Quando finalmente quel ricordo ritornò a galla non può fare a meno di sorridere.

Le rose in genere erano il simbolo della segretezza per eccellenza. Bianche rappresentano la purezza. Chiunque gliele avesse mandate, aveva il suo stesso pensiero su di lei, l’impressione che Oscar fosse una creatura ricca di segreti che non aveva alcuna intenzione di mostrare ma dotata di una grande qualità, che risplendeva su di lei con la stessa forza di quelle rose.

La purezza.

André sfiorò le rose con la punta delle dita, avendo cura di non sciuparle, e gli sembrò di avere a che fare proprio con lei, con la paura che le cose andassero storto non appena si avvicinava un po’ troppo. Come in risposta ai suoi pensieri, un petalo cadde, facendolo sussultare. Si chinò a raccoglierlo, lo annusò e lo infilò nel taschino della giacca. Rialzandosi, notò la custodia di un violino. E così, Oscar sapeva suonare anche quello? La cosa non lo stupì poi tanto. Stando a sentirla suonare, gli era quasi sembrato di avere a che fare con una specie di dio della musica, non si sarebbe stupito nemmeno se fosse stata in grado di suonare ogni strumento esistente, perché la musica pareva più provenire da lei stessa, dalle mille persone diverse che era in grado di essere, che dagli strumenti che usava.

Proprio mentre gli sembrava di risentire nelle orecchie l’ultima melodia da lei suonata, quella che lui aveva scritto, la porta scattò. D’istinto, André corse verso il letto e si nascose sotto di esso, non sapendo cos’altro fare. Oscar era rientrata nella sua stanza. La vide muoversi da una parte e dall’altra, e quando ebbe l’ardire di avvicinare un po’ di più la testa al bordo del letto e scoprì che si stava spogliando quasi pensò di svenire, perché sapeva già che l'avrebbe spiata, per quanto sapesse benissimo di non doverlo fare.

La vide togliere la giacca della divisa e appoggiarla sul letto. Poi si sfilò le scarpe, lanciandole in un angolo proprio come faceva lui. Sfilò la camicia dai pantaloni e la sbottonò, lentamente, restando solo con indosso le fasce di lino e i pantaloni. Srotolò le fasce, lasciò cadere i pantaloni e André suo malgrado trattenne il fiato. Era bellissima. Ora che vedeva cosa c'era sotto, André non potè fare a meno di chiedersi come fosse, per una ragazza così bella, doversi nascondere così, costringere il seno pieno, sodo in una fasciatura stretta, impedire alle sue braccia snelle e toniche di essere viste, al sensuale incavo tra le clavicole di respirare. Se ne stava lì nascosto, André, a chiedersi come avrebbe fatto da allora in poi a guardarla con gli stessi occhi, quando era già di per se difficile trattenersi. La luce si spense, Oscar si infilò sotto le coperte con un leggero fruscio e André attese che il suo respiro si facesse pesante e regolare, prima di decidersi ad uscire.

Lentamente, strisciò con la pancia sul pavimento, tenendo la testa bassa per non sbattere. Quando infine riuscì a rialzarsi, si voltò verso di lei.

Si stringeva alle soffici coperte, tirandosele fin sulle orecchie, ma si vedeva ugualmente il viso, e i capelli brillavano alla luce flebile della luna, e le curve armoniose si intuivano sotto il tessuto pesante. Quando dormiva se possibile era ancor più bella. Allungò una mano, tentato di sfiorarle una guancia, ma la ritirò subito. Scosse la testa rassegnato, le voltò le spalle ed uscì dalla stanza, chiudendo la porta il più piano possibile.

 Al mattino, Il petalo di rosa sfuggito al suo taschino era l’unico, indecifrabile segno rimasto del suo passaggio.
   
 
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