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Autore: everlily    04/09/2013    18 recensioni
Damon ed Elena si conoscono quando sono solo adolescenti.
Non hanno niente in comune, se non i casini e la confusione che entrambi si portano dentro. E' un'amicizia improbabile la loro, in cui i confini si confondono, a volte sofferta, ma di cui nessuno dei due riesce a fare a meno.
Anni dopo, entrambi si sono costruiti una propria vita lontani l’uno dall’altra: ma l'inatteso ritorno di Damon a Mystic Falls può ancora mandare all’aria molti piani e finire per rimettere tutto in discussione.
Dalla storia. “Per tutto ciò che ha spinto, e forse spinge ancora, me e Damon ad avvicinarci, c'è sempre stato anche qualcos'altro, più nascosto e latente, una forza contraria sempre pronta ad esplodere e ad allontanarci con la stessa intensità. E non so se, adesso che entrambi siamo cresciuti e andati avanti con le nostre vite, anche questo sia cambiato. Forse, il vero quesito a cui è più difficile rispondere è se io voglia davvero scoprirlo oppure no."
AU/AH
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.

Of Lovers, Friends and Strangers


Elena


Non amo gli imprevisti.

Ecco perché, ad ogni inizio di nuova giornata, la mia prima operazione, ancora prima di mettere piede fuori dal letto, è quella di stilare una lista mentale di tutti i possibili contrattempi che potrebbero capitare e prepararmi per poterli affrontare a dovere.

Filtri da caffè impazziti, ispezioni a sorpresa, mancate consegne: questo è il genere di inconvenienti che sono sempre preparata a gestire.

Ma Damon Salvatore, nel mio bar, ad interrogarmi con l’espressione da animale ferito su come la mia vita sia andata avanti senza di lui? Questo è il genere di evento che non rientrava neanche sotto la categoria delle “remotissime probabilità”.

La cosa peggiore è il modo in cui tutto ciò finisce per farmi sentire. Mi è bastato vedere il suo sguardo dopo aver notato il mio anello di fidanzamento, quel passaggio repentino dalla sorpresa, allo smarrimento, fino all’amarezza, per essere investita da un’inaspettata ondata di senso di colpa.

Incredibile. Lui è quello che sparisce per otto anni, non una chiamata, non un messaggio. Eppure, a passare come il cattivo della situazione, chissà perché, sono io.

A quel pensiero, basta un attimo ed ogni briciola del rimorso iniziale si trasforma in rabbia.

“Adesso non ho tempo per questo, Damon,” replico con fare tagliente.

Mi allontano dal bancone, mi allontano da lui, più in fretta che posso, ma ciò non mi impedisce di percepire la sensazione del suo sguardo su di me, che non mi lascia neanche per un istante.

“Lui chi è?” mi grida dietro, quasi strozzando le parole.

Lo ignoro e tento la ritirata verso la cucina.

Ma Damon è più veloce, mi segue e mi afferra per una mano, costringendomi a fermarmi sui miei passi.

Non è una presa forte la sua, al contrario, è talmente leggera che se solo volessi potrei sgusciare via in un solo secondo. Ma non lo faccio.

Rimango immobile, mentre sento le sue dita intrecciarsi delicatamente alle mie in una tacita richiesta.

Inspiro a fondo, cercando di riprendere il controllo del mio respiro. Serve a ben poco, però, perché nel momento in cui infine mi decido a voltarmi, ho il cuore che martella impazzito quando i miei occhi incontrano l’intensa sfumatura di azzurro di quelli dell’uomo al quale per anni ho cercato di non pensare, ma che al tempo stesso so di aver desiderato rivedere almeno con pari intensità.

Vorrei poter dire che è cambiato, che non lo riconosco più, perché, per qualche motivo, quel pensiero mi farebbe stare meglio, ma non è proprio così. Certo, i tratti da ragazzo sono scomparsi, ma le nuove linee intorno agli occhi e alle labbra lo rendono più affascinante di quanto sia mai stato, ed il suo sguardo mi confonde ancora come mi confondeva anni fa.

Non dovrei pensare in questi termini. Non dovrei fare certi pensieri.

Sospiro e non so perché mi guardo attorno cautamente, come se stessimo facendo qualcosa di sbagliato. Anzi, non so perché non glielo dico e basta, invece di comportarmi come quella in dovere di giustificarsi e fornire spiegazioni.

Perché lo so che io non devo niente a lui, così come lui non deve niente a me, tantomeno adesso, quando otto anni di distanza dovrebbe essere stati sufficienti ad aver spazzato via anche i residui di ciò che poteva legarci un tempo e renderci due perfetti estranei.

Allora perché, invece, continuo a sentirmi in debito di una spiegazione nei suoi confronti?

“Ascolta …” inizio, cercando di addolcire la mia voce e farne una gentile richiesta, “Troveremo il momento per parlare, ok? Solo che … adesso non è quello giusto.”

La sua mano scivola via dalla mia, mentre le sue labbra si contraggono in un sorriso amaro.

“Naturalmente non lo è.”

Apro la bocca per dire qualcosa, ma so che non c’è davvero molto da dire. Quindi resto semplicemente immobile a guardarlo scuotere la testa ed andarsene senza neanche voltarsi indietro.

A riscuotermi è la voce di Jenna, che per una seconda volta mi chiama alle mie spalle.

“E’ tutto a posto?” mi domanda leggermente preoccupata, quando infine mi volto per prestarle attenzione.

Mi guardo intorno, valutando rapidamente che c’è ancora del tempo prima dell’affollamento delle ore di pranzo, e mi sciolgo il grembiule, rivolgendole un sorriso di scuse.

“Jenna, mi prendo qualche minuto, ok? Torno subito.”

Attraverso la piazza centrale di Mystic Falls, dopo aver attentamente controllato che Damon non sia più nei paraggi.

E’ una piacevole giornata primaverile, quasi estiva, quella all’esterno. L’arrivo imminente della bella stagione è segnalato anche dal traffico della piazza più movimentato del solito, grazie all’arrivo dei primi gruppi di campeggiatori, di passaggio prima di andare ad accamparsi nei boschi circostanti.

Sheila mi accoglie con un sorriso quando entro al Bennett’s Antiques, annunciata dal leggero tintinnio del ciondolo appeso all’ingresso, che per un attimo cattura la luce vivace dell’esterno e la riflette all’interno del negozio in tutte le sue diverse sfumature.

“Cosa posso fare per te, bambina?” mi domanda gentilmente.

“Buongiorno Sheila,” le sorrido di rimando, “Bonnie è qua?”

“La trovi sul retro a finire l’inventario,” mi fa sapere.

La ringrazio e con sicurezza mi dirigo verso il retro, gettando nel passare uno sguardo distratto al variegato insieme di mobili, ninnoli, gioielli ed altri generi di oggetti strani che riempiono il negozio. Quando ero piccola, non era difficile pensare a quel posto come all’antro di una strega, ricordo con un sorriso.

Trovo Bonnie sulla sommità di una piccola scala, intenta a controllare alcuni scaffali troppo in alto per la sua bassa statura e a scribacchiare appunti sulla cartellina-elenco che sta tenendo in mano.

“Ehi!” mi saluta distrattamente non appena mi sente arrivare. Quando si volta nella mia direzione, però la sua espressione si fa subito più seria. “Tesoro, cosa è successo?”

“Damon è qui,” annuncio tutto d’un fiato, “E’ passato dal Grill solo poco fa.”

Bonnie alza un sopracciglio e mi scruta con sospetto. “Stai bene? Sembri … agitata.”

Posa ciò che ha in mano e scende per venirmi incontro.

“Sì, certo che sto bene, solo … Non me lo aspettavo.”

“Andiamo di là, ti va?” mi propone, ed io la seguo senza obiettare nel piccolo giardinetto che si apre sul retro del negozio.

In alto, una copertura di edera intrecciata offre ombra e riparo dal sole, creando un piccolo ambiente confortevole che per noi è sinonimo di pomeriggi estivi passati a scambiare confidenze e a bere the freddo da più tempo di quanto possa ricordare.

“Pensi che lo sapesse?” continuo, mentre ci accomodiamo entrambe sulle sedie di ferro battuto che circondano il tavolino di fattura abbinata. “Caroline, intendo. Se Damon è in città, Caroline deve saperlo per forza. Ma non mi ha detto niente. E’ tutta colpa sua, avrebbe dovuto dirmelo,” sentenzio decisa, finalmente soddisfatta di poter scaricare su qualcuno la responsabilità della mia reazione irragionevole e poco chiara di poco prima.

Ma Bonnie continua a guardarmi dubbiosa, come se si stesse perdendo chissà quale passaggio fondamentale. “Perché?”

“Perché così mi sarei preparata!”

“Preparata per cosa?”

Per trovare qualcosa da dire? Per non farmi prendere completamente alla sprovvista dalla sua presenza? Neanche io so bene per cosa.

Di fronte al mio silenzio, Bonnie si sporge nella mia direzione con fare conciliante. “Penso che la vera domanda sia … perché hai bisogno di ʿpreparartiʾ per rivedere un vecchio amico?”

“Damon non è un amico,” replico con una smorfia.

“Eh no, Elena, non di nuovo,” mi ammonisce seria, “Non farti risucchiare nuovamente in qualsiasi cosa voglia Damon da te.”

“Non c’è niente in cui essere risucchiati, Bonnie,” rispondo scuotendo la testa.

Damon non era mai stato la persona preferita di Bonnie, se così si può dire. Buona parte del motivo è da attribuire ad un rancore di vecchia data tra le Bennett e gli uomini Salvatore, merito di una relazione extraconiugale tra Sheila e Giuseppe finita nel peggiore dei modi; il resto lo avevano fatto due personalità semplicemente non tagliate per andare d’accordo.

Tanto che Caroline, quando al liceo aveva iniziato a frequentare Stefan, lo aveva tenuto nascosto da Bonnie per almeno un paio di mesi, prima di uscire allo scoperto. Era stata una grossa crisi nella nostra triplice amicizia, risoltasi solo quando Stefan aveva infine ricevuto anche la sua approvazione, dopo lunghi tentativi. Ma Damon? Bonnie non aveva mai smesso di guardare con sospetto al nostro rapporto, che non aveva mai considerato come la semplice amicizia che invece io continuavo ad assicurarle che fosse.

Morale della favola: Bonnie aveva finito con l’avere ragione e, se aveva avuto ragione una volta, molto probabilmente ha ragione anche in questo caso. Non posso lasciare che questo flusso inaspettato di ricordi ed emozioni mi sconvolga fino a questo punto.

“Non stai avendo dei ripensamenti, vero?” mi domanda di punto in bianco, scrollandomi dalle mie riflessioni.

“Cosa? No!” mi affretto a negare. “No, assolutamente no. E’ solo … ha solo portato fuori un po’ di ricordi, tutto qua.”

“Bene,” prosegue più decisa. Si alza con il volto illuminato da un sorriso soddisfatto, “Perché ho una sorpresa per te.”

La osservo con interesse mentre si dirige di nuovo all’interno ed attraverso la porta rimasta aperta posso intravederla cercare qualcosa nel cassetto di un mobile di legno chiaro.

“Sai che Carol mi ha chiamato qualche giorno fa per aiutarla ad allestire la mostra dell’anniversario della fondazione, così …” Dal cassetto tira infine fuori una piccola scatola blu. “… in mezzo alle varie anticaglie, guarda cosa ho trovato.”

Si avvicina per porgermi il cofanetto, che apro incuriosita. Trattengo il fiato quando rivelo il suo contenuto, un paio di orecchini con montatura in oro bianco ed un semplice pendente di perla bianca a goccia.

“Ho pensato che potessero essere il tuo ʿqualcosa di vecchioʾ,” mi dice con un sorriso orgoglioso.

La guardo a bocca aperta, incapace di articolare parole.

“Bonnie, sono stupendi, ma non posso accettare …”

“Sciocchezze! Adesso arriva la parte migliore.” Si siede accanto a me e mi chiude le dita attorno alla scatola. “Miranda li aveva dati in prestito per un evento simile anni fa, solo che … lo sai. Nessuno li aveva mai richiesti indietro. Sono tuoi in ogni caso.”

Ho quasi le lacrime agli occhi mentre la abbraccio di slancio, ed un “grazie” soffocato è l’unica cosa che, commossa, riesco a mormorare.


La piccola scatola che era di mia madre pesa piacevolmente dentro la mia tasca quando esco dal negozio di Bonnie con l’intenzione di tornare al Grill.

Solo che poi la vedo. Sulle scale che fronteggiano l’edificio in mattoncini rossi del Comune, in braccio uno scatolone che cerca disperatamente di tenere in bilico aiutandosi con il ginocchio a dispetto dei tacchi, mentre annuisce convinta a qualsiasi cosa Carol Lockwood le stia dicendo.

Ed io ho l’istantaneo istinto di ucciderla.

Quando Carol la congeda con un frettoloso gesto della mano, per niente al mondo intendo farmi scappare quell’occasione.

“Caroline!” la chiamo a gran voce.

Si volta nella mia direzione e, nell’attimo stesso in cui mi vede, la sua espressione si trasforma in quella di un cerbiatto appena sorpreso dai fari di un camion.

“Elena!” risponde in tono acuto, “Sono davvero di fretta al momento, Carol mi sta facendo impazzire per stare dietro a questa mostra, e-”

“Oh, non ci provare!” la ammonisco, arrivandole di fronte. “Tu sapevi che era qua, non è vero?”

Scuote la testa freneticamente, da sinistra a destra, ancora e ancora, tanto che anche i suoi capelli oscillano da una parte all’altra.

“Non ho idea di cosa tu stia parlando,” butta là, ma la sua faccia tosta dura poco di fronte allo sguardo inceneritore che le rivolgo. “Ok, va bene! Sì, lo sapevo,” ammette con un sospiro posando lo scatolone sul muretto che costeggia la scalinata. “E’ arrivato ieri, ma è stata davvero una cosa dell’ultimo momento, te lo giuro, e non ho avuto modo … Aspetta, vi siete visti?”

“E’ passato dal Grill poco fa,” mi limito a farle sapere, evitando accuratamente di menzionare la discussione che non ho avuto intenzione di affrontare con lui, perché so già cosa Caroline avrebbe da dire al riguardo e non sono in vena di sentirla. “Sai perché è qui, quanto resterà?” domando invece.

“Ci sono alcune questioni con la compagnia che lui e Stefan stanno cercando di risolvere. Non lo so quanto rimarrà,” risponde stringendosi nelle spalle, ma i suoi occhi si sgranano felici mentre tenta con tutte le sue forze di reprimere un sorriso. “Perché?” mi domanda con fare fintamente casuale, “Tu vuoi che resti? …”

“Può fare quello che vuole. Non mi riguarda.”

“Ok …” Caroline mi guarda con una fastidiosa espressione accondiscendente ed il suo annuire per darmi ragione suona terribilmente come una presa in giro. “Se lo dici tu.”

“Caroline, non iniziare.”

Voglio bene a Caroline come ad una sorella, ma la detesto quando fa così. Forse la sua relazione di lunga data ha accentuato la cosa ancora di più, ma la verità è che tutto ha avuto origine dal giorno in cui ha notato Stefan ad un allenamento di football ed ha deciso seduta stante, a soli 15 anni, che il loro matrimonio sarebbe stato nel mese di giugno. Fatto sta che i Salvatore potrebbero tranquillamente darle una medaglia al valore in quanto loro più accanita fan girl.

Si fa segno con le dita sulle labbra tanto per sottolineare il suo silenzio, ma la vedo che si sta ancora sforzando di trattenere un sorrisino che crede di aver capito tutto. Beh, non è così.

“Siamo ancora d’accordo per la cena di venerdì, vero?” le chiedo, tanto per farglielo capire e renderle ancora più chiaro il concetto.

Sospira con fare teatrale. “Naturalmente.”

“Care …” inizio a rimproverarla.

“Ascolta, ho promesso, ok?” ribatte, punta sul vivo, “Non sono affatto convinta dell’idea che tu sposi questo tizio e, sia chiaro, non ha niente a che vedere con il fatto che ti sposi prima di me, cosa che se ben ricordo avevi promesso di non fare. Ok, forse un pochino ha anche a che fare con quello, ma …” Alzo gli occhi al cielo, non riesco davvero a credere che mi ritenga ancora in dovere di tener fede ad una promessa fatta quando giocavamo con le bambole, “… ho promesso che avrei cercato di farmelo piacere, e proverò a farlo. Se tu sei felice, io sono felice.”

“Grazie,” le dico sincera, per farle sapere quanto apprezzi il suo sforzo. “Lo sai che è importante per me.”

“Lo so, tesoro,” mi sorride, “E adesso davvero devo andare, o non ci sarà mai nessuna cena perché Carol avrà preteso la mia testa su un piatto d’argento e sarà l’unica cosa che ritroverete, dopo che avrà finito con me.”


***


Sto finendo di chiudere il registro di cassa, quando mio fratello Jeremy mi passa accanto in un soffio e mi lascia un veloce bacio sulla guancia.

“Esco con degli amici, non mi aspettare.”

Guardo l’orologio a muro che segna l’una passata, e scuoto la testa rassegnata.

“Non fare tardi!” gli grido dietro, come se potesse davvero servire a qualcosa, ed infatti è già sparito oltre la porta, alzando solo la mano in segno di saluto senza neanche voltarsi.

Anche Jenna si sfila il grembiule e mi domanda. “C’è bisogno di altro?”

“No, grazie, abbiamo finito per stasera,” la ringrazio con un sorriso.

“Ho chiesto a Vicky di sostituirmi per il turno di domani sera,” mi annuncia sedendosi su uno sgabello di fronte a me.

Di fronte a quella notizia, le rivolgo una smorfia contrariata. Detesto Vicky, non è brava neanche la metà di Jenna nel preparare i cocktail, flirta con chiunque le dia un po’ di attenzione, e non mi piace neanche un po’ il modo in cui ha iniziato a guardare Jeremy da quando è diventato maggiorenne.

“Farai meglio ad avere una buona scusa per lasciarmi una sera extra con quella là,” le dico scherzosamente.

“Beh,” sul suo volto passa un accenno di sorriso, mentre si scioglie la coda e lascia ricadere i capelli biondo ramati sulle spalle, “Ho un appuntamento.”

“Allora sei pienamente scusata,” le concedo sorridendole di rimando. Mi sporgo verso di lei con fare complice appoggiando i gomiti sul bancone in trepidante attesa di maggiori dettagli. “Chi è il fortunato?”

La vedo esitare, e non è buon segno.

“Logan Fell.”

“Logan-la-merdaccia-Fell?” esclamo delusa, “Quel Logan Fell?”

“Non chiamarlo in quel modo,” mi rimprovera puntandomi un dito contro.

“Sei tu che lo chiami in quel modo,” le ricordo. “E per una buona ragione. E’ andato a letto con un’altra!”

“Lo so, ma è stato tanto tempo fa, ed ha insistito molto sul fatto che è cambiato, e che vuole dimostrarlo … ” Jenna si stringe nelle spalle e prosegue nella sua difesa dell’indifendibile, non facendo altro che confermare la mia opinione: ho sempre pensato che fosse troppo buona.

“Non pensi che le persone meritino una seconda possibilità?” mi domanda posando il mento sulla mano.

“Penso che certe porte chiuse è bene che restino tali,” rispondo piano. Abbassando lo sguardo sulle mie mani, noto che le mie dita si stanno intrecciando tra loro nervosamente.

“Anche se non sono veramente chiuse?”

Alzo di nuovo gli occhi incontrando quelli verdi di lei, ma so di non avere una risposta alla sua domanda, sulla quale non voglio davvero soffermarmi a riflettere. E per motivi ben diversi da Logan-la-merdaccia-Fell.

“Solo … stai attenta, ok?” le dico un po’ apprensiva.

“Ho quasi trent’anni, sono una ragazza grande, Elena. Non devi prenderti cura anche di me,” ride lei.

“Non essere sciocca,” scuoto la testa e scaccio quel pensiero ridicolo agitando una mano nell’aria.

Non ha tutti i torti però. Jenna è la cosa più simile ad una sorella maggiore che abbia mai avuto, e preoccuparmi per lei mi risulta naturale.

E non è solo perché lavoriamo insieme da quasi dieci anni, o perché sia impossibile non volerle bene, ma perché lei per me è stata, ed è tutt’ora, molto, ma molto di più della semplice barista che avrebbe dovuto essere quando, appena ventunenne, aveva accettato quel lavoro. Ci sono molte volte in cui mi chiedo come sarei riuscita a gestire tutto, senza avere lei al mio fianco.


Guardai Jenna togliersi e mettere via il grembiule, ripiegandolo con cura come fa sempre dopo la chiusura, e mi avvicinai a lei leggermente esitante.

“Posso chiederti ancora un favore?” le domandai con una punta di apprensione, insicura se quello fosse chiedere troppo.

“Certo.”

Con lo sguardo le indicai mio fratello addormentato su uno dei divanetti ad angolo, la testa appoggiata sul gomito ripiegato ed i capelli neri spettinati sulla fronte.

“Potresti per favore portare Jeremy a casa?”

Vedendola esitare, mi affrettai ad aggiungere, “Solo se puoi, altrimenti non importa.”

Mi rivolse un leggero sorriso, fece il giro del bancone e si sedette in fronte a me prendendomi le mani tra le sue.

“Non è questo il problema …”La guardai senza capire per alcuni istanti. “Tesoro, stai facendo un lavoro incredibile, ma hai quindici anni, non dovresti essere sveglia ad un’ora così tarda a chiudere bar.” Stavo per obiettare che non ci fossero molte alternative, ma lei proseguì prima di darmene il tempo, la sua voce così gentile da fare quasi male. “Tuo padre ha bisogno di aiuto, Elena.”

Seguii il suo sguardo fino a mio padre mezzo addormentato ad un tavolino davanti ad un bottiglia di whiskey quasi vuota, con la testa appoggiata contro la parete.

“Ha solo bisogno di un po’ di tempo per superare quello che è successo a mamma,” replicai scuotendo la testa.

“Sono passati tre mesi,” proseguì Jenna, “Non avete qualche parente che possa darvi una mano? So che tua madre aveva una sorella, a Denver, magari lei potrebbe-”

“No,” la interruppi con decisione, subito invasa dal panico, “Ci porterebbe via, ha già detto che lo farebbe, via da qua, via da papà, e non posso permetterlo, Jenna ti prego, non voglio andare via …” la implorai sentendo la lacrime salirmi agli occhi.

“Ok, ok,” mi tranquillizzò stringendomi le mani con dolcezza, “Nessuno vi porterà via. Ma non so se …”

“Ascolta,” mi sporsi fino al bordo dello sgabello per cercare il suo sguardo e cercare di spiegarle la situazione con calma, sorridendole rassicurante per tentare di convincerla. “Non è così tutto il tempo, lo vedi anche tu. Solo quando diventa particolarmente triste.”

Jenna gettò un altro sguardo verso mio padre e sospirò tornando a voltarsi nella mia direzione. “Va bene. Ma ne riparleremo di nuovo, ok?”

Annuii convinta, mentre Jenna si alzava per andare a prendere in braccio Jeremy e portarlo a casa.

Quando se ne fu andata, mi sedetti infine al tavolo di fronte a mio padre.

“Papà …” lo chiamai. Sollevò le palpebre, e mi guardò con occhi sfocati, “Papà, è tardi, io e Jenna abbiamo già chiuso tutto, penso che dovremmo andare a casa.”

“Solo altri dieci minuti …” farfugliò tornando a posare la testa sulla mano.

“Papà, io ho scuola domani …”

Corrugò la fronte sorpreso. “Come mai ti fanno andare a scuola durante le vacanze?”

“Non sono le vacanze, la scuola è ricominciata una settimana fa …” tentai di spiegare.

Per un attimo si riscosse e si raddrizzò, lo sguardo improvvisamente colmo di sensi di colpa.

“Oh, cazzo, Elena, mi dispiace, mi dispiace così tanto, io davvero non …”

“Va bene, va bene, non ti preoccupare,” lo rassicurai prendendogli una mano, “Però adesso andiamo a casa, ok?”

Lo aiutai ad alzarsi ed insieme iniziammo ad incamminarci verso casa, lasciando l’auto, per la quale ancora non avevo la patente, nel parcheggio del Grill. Data l’ora tarda ed la stagione turistica ormai agli sgoccioli, la notte era silenziosa, e l’aria, a dispetto delle temperature diurne ancora piuttosto elevate, era piuttosto fresca.

Quando mio padre inciampò improvvisamente, borbottando qualcosa che non riuscii a capire, e persi l’equilibrio insieme a lui, sotto al suo peso, ero già pronta per l’impatto con l’asfalto, che però non avvenne mai.

“Ci sono, ci sono.”

Alzai lo sguardo sorpresa verso la voce di colui che aveva appena afferrato mio padre impedendogli di cadere, ed il cuore mi affondò nel petto quando incontrai l’azzurro vivo degli occhi che adesso mi stavano osservando con un accenno di preoccupazione.

Ancora ricordavo bene la prima volta che avevo scambiato qualche parola con Damon: il modo in cui non riuscivo a smettere a sorridere, il nervosismo che potesse liquidarmi come una ragazzina non degna delle sue attenzioni, la delusione di dovermene andare quando infine mia madre era arrivata per prendermi. Probabilmente, se la mia vita non fosse cambiata così drasticamente dopo quella sera, il mio stomaco avrebbe iniziato a fare le capriole per il fatto di trovarmi di nuovo di fronte a lui.

Adesso, sarei solo voluta scomparire.

“Mi dispiace, non è …” cercai di spiegare, arrossendo violentemente.

“Non è niente,” mi rassicurò lui, rivolgendomi un confortante mezzo sorriso, “Ho amici che sono stati in condizioni peggiori.”

Annuii e reciprocai il lieve sorriso, senza saper bene cosa dire.

“Elena, giusto?”mi domandò corrugando appena la fronte. “Ci siamo incontrati, alcuni mesi fa ….”

“Sì …”dissi un soffio. “Mi ricordo.”


Decido di tornare a casa piedi, un po’ per il clima piacevolmente tiepido, un po’ perché so che camminare può aiutare a smaltire una giornata con un po’ troppi pensieri almeno quanto può aiutare a smaltire una serata con un po’ troppo alcol. Decido di camminare, anche se mio padre è sobrio da mesi e so perfettamente che Damon non sbucherà ad offrirmi un passaggio fino a casa, come fece la notte che iniziò ad entrare nella mia vita.

Quando arrivo a casa, mi dirigo verso la cucina ed opto per uno spuntino notturno a base di Lucky Charms [1] che porto con me in camera, vizio che non ho perso sin da quando ero piccola.

Ho appena posato la ciotola sulla scrivania ingombra di ritagli di fotografie di abiti bianchi, fiori e torte a più piani con cui Caroline non ha esitato a sommergermi a dispetto di tutte le sue rimostranze, quando il mio telefono inizia a suonare.

Un leggero sorriso si forma sulle mie labbra quando noto il nome sul display.

“Ehi,” rispondo, sedendomi sulla scrivania dopo aver fatto un po’ di spazio in mezzo all’ammasso di riviste tagliuzzate.

“Sei tornata?”

“Proprio poco fa.” Sgranocchio un cuoricino rosa che pesco in mezzo al resto dei cereali.

“E’ successo qualcosa?” mi domanda con voce apprensiva. Posso quasi vedere la linea che deve attraversagli la fronte in questo momento. “Mangi quelle cose disgustose quando sei turbata per qualcosa.”

“No, no,” mi affretto a precisare, scansando immediatamente la tazza incriminata. “Una giornata come al solito,” aggiungo con fare convinto. “E la tua?”

Sospira lievemente, ma sono grata che abbia lasciato cadere il discorso.

“Ho due notizie per te. Una buona ed una cattiva. Quella buona è che ho un incontro di lavoro a Mystic Falls nei prossimi giorni, perciò arriverò con un paio di giorni di anticipo.”

“E’ fantastico,” dico, domandomi perplessa cosa possa esserci dietro al suo tono serio. “E quella brutta?”

Probabilmente adesso mi dirà che avrà qualche altro impegno per il fine settimana e che dovremmo cancellare la cena con Stefan e Caroline, penso delusa. Ma in quell’istante realizzo che al momento c’è anche un altro inquilino in casa Salvatore, ed improvvisamente l’idea di dover rimandare suona molto più allettante.

“Beh, la brutta notizia è che quindi dovrai sopportarmi per qualche giorno in più del previsto.”

“Non suona poi così male,” ridacchio, forse più nervosa che sollevata. “Ehi, siamo ancora d’accordo per la cena di venerdì?”

“Naturalmente. Sono più che pronto a vincere qualsiasi resistenza che la tua migliore amica possa ancora avere nei miei confronti. In più, mi hanno assicurato che è una cuoca favolosa.”

“E’ vero, lo è,” confermo. Del resto, sono poche le cose che Caroline non riesce a fare bene, una volta che si è messa in testa qualcosa. Tamburello inquieta le dita contro il bordo della scrivania. “Ascolta, ti dispiace se vado adesso? Sono piuttosto stanca.”

“Certo. Ci vediamo presto. Ti amo, Elena”

“Ti amo, anch’io.”

Chiudo la telefonata e torno a piluccare figurine colorate in mezzo ai cereali. D’un tratto mi volto, sempre senza scendere dalla scrivania, animata da un pensiero improvviso, ed inizio a cercare tra qualche vecchio annuario che è ancora lì, accatastato in un angolo, sommerso sotto i brandelli di riviste che ingombrano il resto dello spazio.

Quando infine trovo ciò che stavo cercando, esito un attimo prima di prenderlo tra le dita.

E’ il mio sedicesimo compleanno, una già tiepida sera di maggio che non avrebbe avuto niente di diverso dalle altre, se non per il fatto che Caroline aveva convinto Stefan a sfruttare casa Salvatore per un “piccolo” festeggiamento tra pochi intimi, almeno secondo la sua concezione di “piccolo”. Mi è sempre piaciuta quella foto, perché sto ridendo. Di più, sto ridendo per qualcosa che aveva detto Damon, che lì sul divano accanto a me, i gomiti sulle ginocchia ed il busto piegato nella mia direzione, mi guarda in un modo che, a vederlo adesso, mi fa stringere lo stomaco. Perché, osservando quell’immagine a distanza di tempo, mentre alliscio il bordo piegato che ha finito per lasciare una venatura bianca nell’angolo in basso a destra, c’è una cosa che so, senza ombra di dubbio.

Damon è l’imprevisto che non ho mai saputo come gestire.

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Note:

[1] Lucky Charms: cereali misti a marshmallows colorati, insomma, una di quelle robe zuccherosissime per bambini tipiche americane che ti fanno avere un’impennata glicemica solo a guardarli.


Spazio autrice


Buongiorno, mie care, eccomi con un altro capitolo! So che non succede molto perché è molto introduttivo, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso: ladies and gentlemen, ecco a voi miss Elena Gilbert.

Come si intuisce, qua la famiglia di Elena è proprietaria del Grill di Mystic Falls, anche se le cose iniziano ad andare un po’ a scatafascio da dopo la morte della madre (Jenna però non è sua zia, né una sua parente). Il flashback ammetto che è la parte che mi preoccupa di più, perché so che con la vita della “piccola” Elena vado a toccare tematiche delicate e spero di farlo in modo non banale.

Un grazie gigante a tutte.

Un bacio, a presto!



   
 
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