Era abbastanza ovvio,
adesso, che le risposte alle loro domande erano racchiuse in quel progetto.
Qualunque cosa stesse colpendo le vittime si trovava in quel lago e aveva
lasciato loro un ricordino prima di andare via.
«Scommetto che quella schifezza si
trovava anche nella stanza della seconda vittima» disse Dean, con convinzione.
Non aveva idea del perché, ma era abbastanza sicuro che Gwen -per la prima
volta dopo anni che non si vedevano- era d'accordo con lui.
Perciò, come suggerito dalla ragazza, Dean guidò fino a raggiungere il lago
Eiere, dove appunto la diga sembrava essere già in fase di costruzione. Vi
erano un paio di operai qua e là, muniti di cappello arancione, che stavano
installando un sistema di sorveglianza. Un uomo vestito in nero, in giacca e
cravatta, osservava la zona con uno sguardo spento. Un altro, un po' più alto,
gli batteva la mano sulla spalla in pacche consolatorie.
Dean e Gwen si lanciarono un'occhiata e, come se si fossero letti nel pensiero,
decisero che quei due erano erano la pista giusta per venirne a capo.
«Salve» disse Dean, mostrando loro il distintivo dell'FBI. «Agente Colfax, e
lei è la mia collega, l'agente Bush.»
Dean le rivolse un'occhiata e abbozzò un sorrisino quando vide la sua faccia
sorpresa: sì, le aveva rubato il distintivo sotto i suoi stessi occhi.
«Stiamo indagando sulla morte di Pierre Dumont e Jean Richards» aggiunse con un
tono estremamente professionale.
«Non sono stati attaccati da un...?» balbettò confuso uno di loro, il più
basso.
«No» rispose Dean, secco. «Sono stati uccisi.»
I due si guardarono spaventati, quasi come se fossero consapevoli del pericolo
che correvano tutti. Già, perché loro erano gli altri due soci in affari.
«Voi siete?» si intromise Gwen, inarcando un sopracciglio.
«Michael Connors e Peter Johnson» rispose l'uomo più alto, decisamente meno
traumatizzato del suo collega. «Pierre e Jean lavoravano con noi in questo
progetto.»
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata veloce, consapevoli del fatto che quei
due sarebbero state le prossime vittime.
Non
gli chiesero quali fossero i loro programmi per la serata o per l'intero arco
di tempo utile a costruire la diga né li invitarono a rifugiarsi alla centrale
di polizia: li lasciarono semplicemente andare dopo le solite domande di
routine.
Niente di nuovo: nessun nemico in particolare (non
da volerli morti, insomma), niente comportamenti sospetti da parte di
costruttori, ingeneri o chiunque lavorasse a quel progetto, niente di niente.
«Non ci resta che seguirli» alzò la testa al cielo
Gwen, costatando che il Sole stesse già calando sul cantiere. E da quanto
avevano capito quella cosa che stava attaccando i soci in affari amava
particolarmente il buio. «Sarà meglio tenerli d'occhio, dopotutto quella cosa,
trovandosi nelle vicinanze del lago, potrebbe attaccarli anche ora.» Riflettè a
voce alta per poter coinvolgere in quel ragionamento anche Dean, affianco a lei
una volta salita nell'Impala.
Fecero il giro dell'isolato per far credere ai due
di essere andati via ma, nascosti nel piccolo bosco nelle vicinanze del lago,
riuscirono a scovare una posizione ideale per l'appostamento. Ottima fino a
quando non avrebbero deciso di andarsene a casa.
«Dobbiamo pedinarli, passare probabilmente una notte
in bianco e aspettare che li attacchi un mostro che non sappiamo cosa sia e né
come si uccide?» Sentì lamentarsi Dean. Il suo umore non era dei migliori. «È
stupido!»
«Ma è l'unica cosa che possiamo fare. Non abbiamo
tempo per tornare al motel e fare altre ricerche, rischieremmo di perdere un
altro stramaledettissimo socio!» E nemmeno quello di Gwen sembrava essere
migliore.
«Non abbiamo nemmeno qualcosa da mangiare!» Quello
suonò ancora più grave del primo quadro tragico che si era impegnato ad esporre
con tanto di sbuffi e lagne.
Gwen lo fulminò con lo sguardo, truce, zittendolo
come solo lei sapeva fare. Anche se, pensandoci bene, non era per niente un
buon piano.
«E poi, chi dei due seguiremo?»Osservò giustamente,
indicando Michael e Peter con un cenno della testa. «Con la fortuna che
abbiamo, finiremo per pedinare l'uomo scartato dal menù di quel bastardo.»
E non sbagliava neanche quella volta.
«Non credo che sarà un problema» mormorò con la
fronte aggrottata lei, seguendo le ombre dei due uomini muoversi verso la
stessa auto. «Auto aziendale?»
«Non lo so, ma sarà meglio stargli dietro.»
I due soci si misero a bordo di un'auto scintillante e
poco modesta, poi partirono e Dean fece lo stesso, seguendoli senza dare
nell'occhio. I viaggio fu molto silenzioso, stranamente. Nessuno dei due parlò,
forse perché troppo stanchi anche per battibeccare, che quand'erano insieme
quello era il loro passatempo preferito.
Dean mandò un messaggio a Bobby, chiedendogli di
fare una ricerca sulle probabili prossime vittime di quell'essere, e pochi
minuti dopo, il vecchio e burbero Bobby, gli telefonò con una lunga serie di
indizi: bravi uomini, sostenitori della campagna contro le malattie del sangue,
i loro indirizzi, i nomi dei loro figli e delle loro mogli e le loro imprese
durante i tempi del liceo.
«Fantastico!» esclamò sarcastico, il telefono
all'orecchio e gli occhi puntati sull'auto dei due tizi. «Questa cosa ci sta
prendendo per il culo.»
«Be', va' a lamentarti con qualcun'altro, signorina.
Io ho altro da fare!» ribatté la voce di Bobby, prima che la chiamata si
interrompesse d'un tratto.
Dean aggrottò la fronte, confuso, e lanciò
un'occhiata al display del telefono. Da quando Bobby era seduto su quella sedia
a rotelle era diventato intrattabile, più irritabile e stronzo di prima.
Gwen inarcò le sopracciglia e soffocò una risata,
visibilmente divertita.
«Incredibile!» borbottò tra sé e sé, Dean, scuotendo
la testa.
«Guarda là» disse Gwen, indicandogli l'auto davanti
a loro con un cenno della testa.
Aveva appena svoltato sulla destra, entrata in un
vicolo che portava al garage di una piccola villetta. Dean osservò la scena
accigliato, poi si scambiò uno sguardo con la sua collega. Accostò dalla parte
opposta della strada ed entrambi si soffermarono a guardare i due tizi. Avevano
l'aria di chi nascondeva qualcosa, e si muovevano di soppiatto, come se
avessero paura di essere scoperti. Ma scoperti per che cosa?
«Wow» fece Gwen, ironica. «Chi dei due vive in
quella casa? Piuttosto piccola per un uomo d'affari, non trovi?»
Dean la guardò, poi lanciò un'occhiata tutt'intorno.
Quell'indirizzo non coincideva con quelli che Bobby gli aveva lasciato.
«Nessuno dei due vive qui» ribatté Dean, accigliato,
dopo aver controllato la via in cui si trovavano. «E' strano.»
Ma tutto fu più chiaro quando una delle finestre del
piano terra si illuminò e videro i due tizi proprio lì, guardarsi negli occhi.
L'uomo più alto accarezzò una guancia di quello più basso. Poi gli si avvicinò
e lo baciò sulle labbra.
Dean sgranò gli occhi, e il disgusto si disegnò
sulla sua faccia in men che non si dica.
«Ew» riuscì soltanto a dire, distogliendo lo sguardo
quando la situazione sembrò precipitare. «Be', di sicuro quella non è un auto
aziendale.»
Prima ancora che potesse dire qualcosa, Dean sembrò parlare per lei. Era
alquanto sorpresa e... sì, presa alla sprovvista. Non che ci vedesse qualcosa
di male ma, ecco, era un po' spaesata dopo aver visto le sue ombre degli uomini
abbracciarsi in quelmodo così... passionale? Dio, pensare che ci fossero dei
sentimenti di mezzo le faceva venire la pelle d'oca. Come succedeva quando le
capitava di guardare delle coppiette innamorate scambiarsi batteri su batteri o
sussurrarsi paroline dolci e false promesse all'orecchio.
«Avremmo dovuto immaginare una scena del genere.» Se ne uscì lei, mandando giù
un'innaturale quantità di saliva. «Dopotutto si sa che i capocantiere ci sanno
fare con i trapa-»
«Non azzardarti a finire quella frase» la minacciò Dean guardando ovunque ma
non quello spettacolino alla finestra.
«Come siamo sensibili!» Lo prese prontamente in giro lei, alzando la mani a
mezz'aria, divertita come non mai.
«Sono sposati e con dei figli!»
«E credi che questo sia un problema? Ho visto di peggio.» Anzi, poteva dire di
averle viste tutte. Conosceva gli uomini, tutti, anche quelli che fingevano di
divertirsi a sbavare sulle ragazze nei locali a luci rosse e che poi si
mascheravano da maiale (o un animale a casa, era indifferente) per farsi
coccolare dal macellaio sexy.
«Ok, adesso non farmici pensare» scosse la testa Gwen prima di tornare con lo
sguardo sulla finestra. Quella era una vera e propria violazione della privacy
ma, se volevano salvarli, avrebbero dovuto continuare a fare i guardoni
maniaci.
«C-credi che... dovremmo entrare lì dentro?»
Quel tono spaventato fu la causa della sua ennesima presa in giro: prendeva la
palla al balzo, lei.
«Tranquillo, Dean. Andrò avanti io. Non vorrei che questa caccia si
trasformasse in uno spunto per manga Yaoi.» Scherzò scoppiando inevitabilmente
a ridere. Non sapeva se Dean ne capisse qualcosa di quella roba che lei aveva
appena nominato ma, o in un caso o in un altro, la cosa rimaneva per lei
divertente.
La sera continuava a calare, oscura, rendendo quella scena più intima per i due
nella villetta e più complicata per i cacciatori in macchina che, al contrario
dei primi, non se la stavano di certo spassando.
«Come lo uccidiamo?»
«Mi piace improvvisare» disse spostandosi i biondi capelli con un gesto pigro
della mano: un modo come un altro per dire che non ne aveva la più pallida
idea.
«Davvero illuminante, grazie» disse sarcastico, Dean, scuotendo la testa.
Notò con sollievo i due erano spariti da davanti quella finestra. Probabilmente
si erano spostati al piano superiore, nella stanza da letto. La cosa non lo
rallegrò granché, soprattutto perché la sua fervida immaginazione non poté far
a meno di prendere il sopravvento. Scrollò la testa più volte, scacciando via
quelle orribili immagini che gli erano state impresse nelle retine. Poi sospirò
e lanciò uno sguardo all'orario: mezzanotte.
«Be', almeno moriranno felici e appagati» ironizzò, con un sorrisetto che si
spense non appena Gwen lo fulminò con un solo sguardo. «Cerco solo di guardare
il lato positivo.»
«Meglio quello che altro, dico bene?»
«Chiudi il becco» la zittì Dean, un po' a disagio.
Gwen trattenne una risata, poi tornò a guardare la villetta insieme a al
cacciatore. Il suo stomaco cominciò a brontolare, desideroso di riempirsi con
una delle tante schifezze che Dean ogni giorno ingurgitava. Se lo massaggiò con
una smorfia, lamentandosi di quanto quella situazione facesse schifo. Gwen ogni
tanto sospirava, scocciata. Roteava gli occhi al cielo e lo invitava ad essere
professionale.
Passarono parecchie ore che quando Dean controllò l'orologio, questo segnava le
due del mattino. Cercava disperatamente di tenere gli occhi bene aperti, ma le
palpebre si chiudevano da sole per la stanchezza. Gwen invece sembrava ben
attenta, fissava la casa in agguato, come se si aspettasse di vedere qualcosa
da un momento all'altro.
«Dean?»
Si era appisolato nonostante i suoi sforzi, ma riaprì gli occhi e si stropicciò
il viso, soffocando uno sbadiglio.
«Che c'è?»
«E' qui.»
Dean e Gwen attraversarono il vicolo che portava al cancello della piccola
villetta, in punta di piedi, attenti a non attirare l'attenzione dei due amanti
o della misteriosa creatura. Impugnavano entrambi la loro pistola caricata con
pallottole d'argento: non sapevano se avrebbe funzionato, ma era l'unica cosa
che per la maggior parte delle creature era letale.
Entrarono in casa scassinando la serratura con una semplice spilla che Dean si
portava sempre dietro. Proprio quando varcarono la soglia, un urlo straziante
spezzò il silenzio. Dean e Gwen si lanciarono uno sguardo fugace, poi si
precipitarono al piano di sopra, da dove proveniva quell'urlo.
«OH MIO DIO!» gridò Michael Connors, indicando il cadavere di Peter Johnson,
che giaceva sul pavimento privo di occhi, denti e unghie.
Dean guardò la sagoma inerme dell'uomo. Poi dirignò i denti e diede un pugno
alla porta, colto da un attacco di rabbia improvvisa.
Quella cosa era stata lì e loro non erano arrivati in tempo per fermarla.