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Autore: A m e t h y s t    04/09/2013    2 recensioni
[Folkloreshipping; Kotone/Matsuba].
Shi-hane [...], lo spirito della morte si incarna ogni cento ventisette giorni, puntuale come il destino.
[...] Sulla cima del fulcro delle narrazioni, una sagoma indistinta, bagnata dal tramonto, osserva ogni aspetto della, oramai devastata, città.
[...] «Matsuba, il vecchio saggio, tuo maestro, è stato assassinato». [...] «Una piuma, una piuma arcobaleno infilzata nell'occhio destro».
[...] A far capolino sul suo viso macabramente tranquillo, un sorriso. [...] «Kai, chiarirò ogni tuo dubbio.» sussurra Matsuba, scandendo ogni parola.
[...] Ottantuno, ottantadue, ottantatré, ottantaquattro.
Il biondo dalla chioma sporca di rosso estrae dalla tasca una piuma dalle tinte arcobaleno. La assapora passandosela sulle labbra copiosamente.
[...] «Questo sangue puro e trasparente, non finirà mai di piacermi. ».
[...] Ottantacinque.
Il giovane biondo non distoglie lo sguardo dalla bambina: i suoi capelli sono castani e, un colore così banale, non può che ricordagli il suo passato, la sua vita, lei.
[...] Matsuba ricorda ogni sua movenza, i frammenti della sua memoria riemergono.
E mentre rivive gli ultimi dieci anni della sua vita, presta attenzione alle parole di quell'innocente creatura, inconsapevole di ciò che è appena avvenuto. Inconsapevole del fatto che la vita è pura illusione.
Il più sadico fra gli assassini.
[...] Ottantasei.
Genere: Horror, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Angelo, Lyra / Kotone, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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ijsabk

                                                                             
                                 

~ Sadica dolcezza ~
    sadisutikku ama-sa


 

Pulsazioni.
Attimi.
Frazioni.
Tempo scandito dai battiti, attimi ne compongono la cognizione, le frazioni scindono entrambi.
Un processo perpetuo ed incrollabile, a cui sei esterno. Impotente.
Lo stesso destino si arrende dinanzi ad esso.
Scritto, nero su bianco. Dura, cruda realtà.
Realtà da farsi piacere, da amare. Morire per essa, uccidere per passione.
Osservare il mutare della materia, il passare delle stagioni, senza prenderne parte.
Sospesi, aggrappati al senso della vista, come dinanzi ad uno schermo.
Gustandosi il film della propria vita.
Poi esistono gli stolti, quegli egocentrici che si spingono oltre le loro facoltà.
Lei ne è l'esempio: disperata, batte i pugni sul petto del marito, assente. Intrappolato in quella situazione quasi irreale.
Poichè ciò che è autentico, è anche sopravvalutato.
Non è tutto oro quello che luccica; come quella spilla.
Come quell'orrida visione: l'occhio socchiuso, trafitto da una piuma. Il viso pallido, rigato su un lato dalle lacrime. Trasparenti, come l'occhio restante.
Luminoso, folgorante, intrappolava il luccichio di quello stemma.
La madre lo aveva notato subito, non appena era entrata nella stanza della figlia, per controllarne i battiti.
Cardiopatia.
Mai si sarebbe aspettata di trovare un cadavere, acerbo, steso sulle lenzuola, così come l'aveva lasciata.
Prima il figlio, un giovane monaco, ed ora, la sua innocente secondogenita.
Implorava la morte e lui l'avrebbe accontentata.
Il fato, seppur sadico, alle volte realizza anche i più oscuri dei desideri, se sinceri, bramati fino ad esalare l'ultimo respiro.
Non ci perdeva nulla. Prima o poi, lo Shi-hane passa per tutti.
Quella sventurata donna non avrebbe mai pensato d'essere nel suo mirino.
La prossima.

Una fra tante.
Una semplice cliente d'un supermercato, tiene in mano il biglietto con scritto numero del suo turno. Ch'era finalmente giunto.
Annegava nell'amaranto del suo sguardo già da tempo ma era troppo presa dal combattere il suo destino, per accorgersene. Uno sguardo composto da un solo occhio, dopo che il suo gemello era stato brutalmente trafitto.
Trafitto dal suo predecessore, trafitto da un fato sempre più avverso, trafitto per essersi sottratto al suo volere.
Trafitto, per la centoventisettesima volta.

Uccide per essere ucciso, uccide per salvarla.
Lei, lei le assomiglia davvero.
E' fredda, fredda con se stessa.
La rabbia con cui colpisce l'uomo, la complessità delle sue emozioni. Emette un rantolo ogni volta che maschera una sensazione.
Stolta, va contro ciò che non può mutare.
Questo non può che riportare alla sua mente il giorno in cui ha conosciuto la sua vera assassina.
Così la definisce, nonostante sia conscio d'essersi ucciso da solo.

Ricordo numero ottantasette: sadica dolcezza.


                                                                                                         ~



Facciamo sempre meno caso alle meraviglie contenute in questa prigione. Ogni volta che il sole tramonta, ci pare più banale.
Convinti del fatto che risorgerà, quando potrebbe benissimo rimanere nascosto.
Non siamo degni dopotutto di godere della sua visita, come lui non si sente degno di quella della ragazza.
Assorto, osserva la sfera di fuoco tornare e sparire, appollaiato sulla torre.
Ogni frazione pare la medesima.
Le note della melodia della quotidianità si ripetono, generando un'assilante nenia.
Macabra, tremenda.
Alienato, attende qualcosa, qualcuno. Colei che lo aiuterà a fuggire da un sogno che non sente proprio.
Una prigionia durata fin troppo, costretto da una persona che non esiste più.
La telepatia su cui si cimenta, non lo può certo aiutare, all'oscuro del fatto che la sua attesa sta per terminare.

Sette e ventiquattro: la sua ombra si proiettata sulla facciata della torre, puntuale.
Ma, questa volta, non è la sola.
La sagoma è tutt'altro che indistinta, nitida ed esile. Presenta un cappello sul capo, da cui fuoriescono due ciuffi.
Assottiglia lo sguardo, socchiudendo quel paio d'occhi ametista, inconsapevole del fatto che un giorno avrebbe potuto contare solamente su uno di loro.
L'ombra si materializza, forme insolide divengono carne e materia.
Quegli occhi nocciola, banali seppur enormi, accompagnati da una consueta chioma del medesimo colore, la rendevano semplicemente diversa.
Non perchè fosse una mora con differenti tonalità, non per il suo carattere frivolo e totalemente privo di spessore.
Lei era tornata. Riapparsa dopo essersene andata per tre anonimi anni.
Può sfiorarne la pelle, constatarne la realtà.
Non si tratta, tuttavia, d'un organismo fatto di organi e sistemi. Lei è solo un demone di ghiaccio, il più dolce che avesse mai incontrato.
Dischiude le labbra, come a pronunciare futili parole. Nessun suono, solo la campana della Torre pare avere qualcosa da dire.
Perchè gli anni passano, il tempo trafigge. Solo alcune cose restano così come sono.
E, sicuramente, l'amore non rientra tra queste. Solo l'odio, la crudeltà, il dolore e la sadica morte.
Loro, marchiano indelebilmente.
Per quanto avessero cercato d'esorcizzare quel risentimento nei confronti del proprio padre, esso si ripresentava sempre alla porta.
Immortale.
Dipinta d'arancio, corrosa da un semplice sguardo.
Protagonista d'una scena surreale, ferma, estranea al concetto di tempo e, probabilmente, anche di spazio.
Poichè la gravità cominciava a farsi insostenibile, l'aria irrespirabile.
Sicuramente per il semplice fatto che stessero vivendo il loro destino, in modo caotico.
Pronti a cambiarne le sorti da un momento all'altro.
Preparati a sfidare se stessi.
Ne aveva gustate di visioni, eppure, ciò che aveva dinanzi, sapeva di mistico.
L'imponente costruzione, antica e divenuta leggenda, veniva macchiata dalle ombre delle nubi. Insignificanti quanto quella ragazza. Bagnata, bagnata da una luce così timida e fioca, da fargli temere che lo spettacolo potesse terminare sinceramente sul più bello.
Poichè i riflettori si erano spostati su di lei, evidenziandone i tratti somatici. Tingendone il copricapo abnorme, i codini infantili.
Eppure, innocente non lo era più.
Contro tutte le aspettative, ora, nonostante tutto, è ancora più enigmatica per lui. La credeva immutabile, era rimasto interdetto per l'ennesima volta.
Kotone, dal canto suo, ricordava Matsuba come un bambino impacciato ed insicuro. Ora era impassibile, inespressivo.
La sua chioma folta e bionda non era cambiata. I lineamenti sono semplicemente più marcati. In qualcosa, tuttavia, era diverso.
«Ti hanno tagliato la lingua?» esordì la mora, accennando un innocente sorriso.
Per tutta risposta, il ragazzo si volta. Il suo tono di voce è cambiato, è doloroso accorgesene, per un tradizionalista come lui.
I primi lampioni cominciano a dare segni di vita, il giorno sta per morire.
Le chiome del bosco dalle tinte pastello, perdono colore. Tonalità assorbite con violenza dal cielo, sempre meno terso.
Ad Amarantopoli, come nella mente di Matsuba, era perennemente autunno.
Una condizione imparziale, combattuta fra due fronti. Un confronto irrazionale, incomprensibile. Una guerra senza vincitori, fra l'estate e l'inverno.
Il concetto di polarità si estingue, giorno dopo giorno. Lui resta fermo, inalando quell'atmosfera d'incompletezza.
Divenendo impuro, insano.
Malato.
Assorto in quella mistica area, chiuso nell'aura vitrea, distingue solo un fievole rumore di passi che muta in voce, acquistando lo stesso tono che lo deturpava.
«Sto parlando con te.»
Vorrebbe non rispondere a quella dannata, opportunista. Vorrebbe fuggire, evadere. Vorrebbe gettarsi da quella terrazza, schiantarsi su quel letto di foglie che calpestava sin da bambino, giocando a calcio con Kai, il suo migliore amico.
Vorrebbe sedersi su quelle panchine per lasciarsi cullare da quella stucchevole quotidianità.
Ma si è spinto troppo oltre per tornare indietro.
Troppa fiducia regalata.
Troppe speranze riposte.
«Ed io non intendo risponderti.» trema, dinanzi alle menzogne pronunciate. Trema, dinanzi all'orrore del mentire a se stesso.
Non può ingannare il destino. Non può prendersi gioco di ciò che gli riserva. Non può negarsi alla sadica dolcezza la quale si trova ad un passo.
«Sai anche tu di mentire. Sei troppo sveglio per non accorgertene.»
Kotone uno, Matsuba zero.
Deve recuperare terreno, il respiro lo sta soffocando. Il peso di tutta quella disonorevole incertezza, lo strangola senza pietà.
«Perchè sei tornata? Ma soprattutto, perchè non te ne vai
Convinto d'averla ferita, torna a crogiolarsi al tiepido calore.
La banalità, la semplicità, l'ovvietà, non lo avevano mai abbandonato. Poteva contare solo su di esse, erano la sua unica famiglia.
Il sole un padre, la luna una madre. Legati, connessi, eppure mai si sono sfiorati.
L'amore gli era estraneo, la gioia non lo aveva mai conosciuto. Si nutriva del crepuscolo, si beava del tepore.
Eppure, vi è qualcosa che persino lui può donare: la fiducia. Nessuno, tuttavia, si è mai meritato tale riconoscimento.
«Ne avevi bisogno, non è forse vero?»
Kotone due, Matsuba zero.
Probabilmente era autentico, mancava qualcuno che desse sapidità alla sua vita. Senza nessun genere di legame, lei aveva scrutato ogni sua carenza.
Vulnerabile. Inerme. Indifeso.
Pronto ad essere stritolato fra le sue spire, digerito nelle sue viscere.
L'enigmatico Matsuba, viene costretto ad uscire allo scoperto, a giocare in trasferta.
Si volta, rendendola partecipe delle sue lacrime. Pronto a confessarle ogni segreto, ogni frazione di lui.
«La verità è che ho paura di te.»
Le sue parole non la sfiorano neppure, si finge quasi sconcertata.
«Ho paura che tu possa fuggire ancora.»
Oramai si è esposto completamente, all'oscuro dei pericoli che sta correndo.
«Poichè so che il dolore mai mi abbandonerà, mentre..» interrotto, zittito e umiliato nel miglior modo possibile.
Sente le labbra di quel demone posarsi sulle sue. Un bacio innocente, la collisione di due atomi incompatibili.
Il contatto li deturpa, li corrode. Sono disposti a dimenticare il fato, a voltargli le spalle.
Il sole si trattiene, quasi a voler osservare la scena, a rendersi partecipe come il più geloso dei padri.
Ma non li può sfiorare.

Lo aveva derubato di tutto, apparentemente innocua.
Invece, non perde tempo.
La vede entrare nella sua palestra, avida. Per lei, Matsuba è solo un avversario come tanti, non è problematico sbarazzarsene. 
Esce dall'edificio a testa alta, sfoderando orgogliosa il trofeo appena guadagnato. Non solo una medaglia, la sua fiducia.
Il biondo avanza imperterrito verso l'uscita, spezzato.
L'osserva andarsene, cristallina. Impuramente innocente, lo ha punito.
Punito per un'illogica ingenuità, per essersi lasciato coinvolegere. Credendo di poter conoscere la lealtà, si era aggrappato a quell'occasione per evadere.
Ne ammira le movenze, la figura. L'ombra dissolta dietro di lei, dietro quella sadica dolcezza.
La sfera di fuoco decede, dopo aver osservato minuziosamente la scena.
Dopotutto, Matsuba, da quel giorno ha perso il suo secondo padre.
Il sole non tornerà a fargli visita.

                                                                                                   
~  


Ammira la donna passeggiare per il borgo, respirare per l'ultimo giorno.
Può decidere sulle vite della gente ma non può permettersi d'essere chiamato destino.
Un destino che la donna combatte, per il quale deve essere punita.
Quanta ostinazione futile, non può che portarla verso l'oblio. Ora ne è convinto, eppure in un passato recente, anche lui ha sfidato il fato.
Cos'era cambiato? Per chi combatteva?
La signora vira, entrando in un viottolo stretto.
Esala, già morta. Trafitta da ciò che si è trovata davanti.
Tic, tac, tic, tac.
Si volta, per identificare il suono.
Il nulla le si staglia dinanzi, circondato da anonimi caseggiati rustici.
Si gira nuovamente, per constatare di stare annegando in un oceano color ametista.
Una figura slanciata, circondata d'una gravità malsana. Controlla un orologio da taschino, sorridente.
Le si avvicina lentamente, senza comunque darle il tempo di fuggire.
Poichè già al lavoro
.
Ottantacinque, ottantasei.
 

Incide il petto della donna, macchiandosi dell'ennesimo sangue umano. Fa roteare la classica Piuma d'Iride fra le dita, passandosela sulle labbra copiosamente.
Poi, appropriatosi dell sapore, la conficca preciso nel bulbo oculare della vittima, dissanguata.

Ottantasette.

Si posa dolcemente sul cadavere, leccandone lo zigomo umido.
Si erge dinanzi al sole o, perlomeno, quello che ne resta.
Sta spirando, proprio come quella volta.





      



          ~ La fioreria di Amethyst ~


Ya, eccomi qui.
NOOOOOOOO.
Probabilmente il capitolo non mi è riuscito bene, la verità è che scrivo come un cane ho avuto una brutta giornata.
Avevo comiciato a scriverlo di buon umore, poi è successo il finimondo. Ma, a parte questo, ne abbiamo uccisa un'altra!
Ho le lacrime agli occhi, poverina. No, doveva morire, prima o poi moriranno tutti.
Alla prossima uccisione prossimo capitolo,
                                                            Amethyst<3.
p.s. Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite! Vi prometto che tornerò presto a scrivere capitoli decenti.
p.p.s. Se pensate ch'io sia cattiva, vi sbagliate di grosso. Sono sadica, un vero sicario.
  
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