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Autore: Afaneia    05/09/2013    1 recensioni
Chi è Luisa? Un tempo non era nessuno, era solo una piccola ragazza di provincia, una piccola allenatrice di Borgo Foglianova partita all'avventura come tanti, come tutti. E ora? Ora è la Campionessa di Kanto e Johto, dopo aver superato sfide e pericoli e aver sconfitto, dopo anni di viaggio e allenamento, Lance e Rosso, il Presidente della Lega Pokémon e il vero Campione delle due regioni.
Ma la vita continua a cambiare. La piccola ragazza di provincia ora è quasi una donna e i suoi nemici (Rosso, Argento, quel ladro che conobbe il primo giorno del suo viaggio) stanno cambiando e le loro relazioni mutano con loro. E soprattutto, ciò che cambierà definitivamente la sua vita sarà l'arrivo di Ho-Oh, la fenice di fuoco delle leggende, che discenderà dal cielo ad annunciarle una grande verità...
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Lance, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
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Il vento soffiava forte sulla cima del vulcano, era un vento bollente che portava con sé i forti vapori e gli odori della lava, della pietra, della cenere. Era un vento carico di fumi e polvere, un vento che fustigava il volto e accecava gli occhi: Luisa ricordò come anche quella notte di più di un anno prima il vento aveva soffiato forte, avvicinando a Ho-Oh la sua anima palpitante…

Ora non c’era Ho-Oh con lei. Non c’era neppure suo padre, non ci sarebbe stato là sotto, non ci sarebbe stato quando avrebbe attraversato la Città, la forza di Missingno, che persino Rosso aveva temuto. Ma Luisa sapeva che era giusto, che era così che bisognava che fosse: era lei che Missingno aveva sempre cercato, non Celebi. Là sotto l’aspettava la verità, l’ultima verità sulla sua vita misteriosa e strana: bisognava affrontarla e affrontarla lei sola, lei coi suoi fratelli. Nel mezzo di quei turbini di vento, i tre si schierarono sull’orlo profondo e fiammeggiante dell’abisso.

Luisa sospirò profondamente. Molti e molti metri sotto di lei, vedeva che la lava gorgogliava e ribolliva tormentandosi, mescolandosi. Trasse un profondo respiro.

“Rosso non può aver mentito. Anche se pare strano.”

“Chissà quale richiamo può averlo attratto là dentro” disse Argento. Anche i suoi limpidi occhi verdi e tanto belli erano infissi nel magma ribollente; egli scrutava pensoso quell’immagine.

Lance mosse un passo verso la bocca del vulcano e subito lo investì una folata di vapore bollente che gli arrossò gli occhi e le narici. Si strofinò con la mano gli occhi lacrimanti senza voltarsi indietro. Era più avanti di loro, più vicino degli altri alla voragine di fiamme: Luisa ammirò la sua magra figura slanciata e sempre bella, persino sul baratro di un vulcano.

“Potremmo non tornare, o non tornare come siamo ora… ve la sentite?”

“Che diamine” disse Argento. “Se c’è una città, là sotto, io voglio vederla.”

“Sono stata io la prima a volerlo” disse Luisa. “C’è la mia, la nostra verità là sotto, c’è la fine di tutte le bugie, le verità sottaciute. C’è Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e da cui oggi andremo noi, per scoprire il motivo della sua ricerca.”

“Ebbene” disse allora Argento “Andiamo. Ha già aspettato abbastanza.”

“Va bene” disse Lance con calma. “Andiamo allora. Qualunque cosa accada, signori… è stato un piacere.”

Un istante dopo, i tre giovani chiudevano gli occhi e si gettavano nel vulcano.

 

Non vi fu schianto, ma Luisa mandò un urlo acuto e straziante dal profondo del suo cuore. Non lava, non bruciore né ustioni, ma un dolore atroce che non riguardava il suo corpo, le aveva preso la mente…

Rosso! Oh, ma Rosso doveva bene averla ingannata, per quale motivo l’aveva mandata laggiù? Voleva andare via! Via! E dov’erano i suoi fratelli? Teneva gli occhi sbarrati, le labbra strette e sbiancate sui denti, ma il suo cuore urlava con foga mentre sentiva che il suo corpo si rotolava tormentandosi nella polvere, tra dure rocce e sabbia, come su una scogliera affacciata sul mare. Una scogliera?

D’improvviso, come quando ci si sveglia la notte, dopo aver creduto nel sogno di cadere, e ci si trova al buio ma al sicuro, Luisa aprì gli occhi e il suo corpo si fermò, rimase quieto sul terreno. Ecco, era immobile. Respirò profondamente l’aria limpida e fresca, ansimando. Era finita? No, non ancora.

Guardò il cielo molto, molto a lungo. Era azzurro e sereno, asperso di piccole nuvole bianche. Luisa si sollevò lentamente, ma non era una scogliera, pensò con stupore. Si mise in ginocchio. Ovunque fosse stata prima di aprire gli occhi, ora era inginocchiata sul duro asfalto di un giardinetto, di un parco giochi per bambini… ricordò le parole di Rosso. Era lo stesso parco? Ma soprattutto, dov’erano Lance e Argento?

Cominciò ad aggirarsi per il parco, ruggendo verso il nulla come una belva ferita.

“Sono qui!” urlò. Il parco era vuoto e buio: Luisa non se n’era accorta, ma era calata la notte, chissà come, chissà quando.

“Missingno! Sono qui, sono arrivata! Sono la Prescelta Creatura che cerchi e non trovi, sono la figlia di Celebi, sono Luisa.”

L’aria restava immobile, silente alla sua voce, vuota ai suoi occhi. Luisa si aggirava per quel parco buio e le parve che, ogni volta che distoglieva lo sguardo e poi tornava a porvelo, ogni singolo oggetto apparisse mutato, stravolto, benché identico a se stesso. Si sentì montare una gran rabbia: la confusione e la paura le bruciavano addosso come su ferite aperte. Si sentiva spaesata e sola, e questo la spaventava.

“Sono venuta qui per te! Sono qui per te. Hai forse paura? Ti stai nascondendo?”

“Missingno non si nasconde. Missingno è in ogni elemento della Città dei Numeri.”

Luisa diede in un sobbalzo pauroso, sorpresa da quella voce che non si aspettava, poiché il parco, per quello che aveva visto, era vuoto. Tornò a guardarsi attorno, tra gli alberi, dietro i giochi: non vide nessuno. Ma poi: “Sono qui.”

Luisa tornò a guardare dov’era prima, e vide che un vecchio era seduto su una panchina, immobile come se fosse sempre stato lì.

“Chi sei?” chiese immediatamente. “Da dove vieni?”

“Sono sempre stato qui” disse il vecchio.

“Non dire sciocchezze!” esclamò Luisa con rabbia: avanzò verso di lui. Ma il vecchio rimase immobile. Era cieco. “Non eri qui fino a un attimo fa!”

“Può darsi” ammise il vecchio. “È difficile saperlo.”

Luisa rimase interdetta per qualche momento. Poi, dopo un poco, riprese: “Sei stato tu, non è vero, a parlare a Rosso della leggenda?”

“Anche questo è difficile saperlo” disse il vecchio. Luisa si sentì ancora montare una gran rabbia. Ma come? Ancora menzogne, ancora silenzi! Era proprio vero, dunque, quello che aveva detto Rosso? Luisa ricordò le sue parole: puoi trovare la tua verità, ma anche molte più bugie.

“Smettila!” gridò. “So che sei stato tu! Rosso mi ha parlato di un vecchio che ha incontrato in questa Città. So che sei stato tu.”

“Ti dico che è difficile saperlo. Chi può dire di essere esistito in un dato istante qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno può davvero dire di esistere, qui.”

“Allora dimmi dov’è Missingno!” gridò Luisa con furia. “Parlerò con lui, con Missingno che sa di esistere, con Missingno che tutto vede, Missingno che tutto conosce, con Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e che oggi io troverò.”

“Te l’ho detto. Nessuno può trovare Missingno, poiché Missingno è sire e signore della Città dei Numeri, Missingno è l’essenza della Città. Missingno è l’errore del giardino che non esiste, Missingno è ovunque, poiché questo luogo è il giardino di tutti gli errori.”

“E va bene! Se è ovunque, allora ovunque io lo cerchi lo troverò, se davvero desidera trovarmi lui stesso” esclamò Luisa con rabbia. “Vattene al diavolo, stupido vecchio! Non ho bisogno di te. Troverò Missingno da sola, senza il tuo aiuto.”

Il vecchio batté le palpebre sui ciechi occhi vacui senza rispondere. Luisa lo guardò ancora per un momento con occhi carichi di spavento e di disprezzo, e poi subito, incapace di resistere ancora, spiccò una corsa attraverso il parco e la Città dei Numeri, e vide che tutto cambiava e mutava e si sconvolgeva sotto i suoi piedi e attorno a lei, in cielo  e nei menomati palazzi, e persino nelle persone da cui si trovò attorniata e affollata ma che scomparvero dopo pochi attimi mentre lei tra loro cercava Missingno.

Si sentì sola e sperduta. Ora non era più né notte né giorno: tutto era grigio, e un’indefinita fonte di luce proiettava ovunque ombre e sagome che parevano non ricondursi a nessun oggetto.

“Sei un vigliacco!”

“Hai troppa paura per affrontarmi, dopo avermi cercata per tanti e tanti anni? Forse sono più forte di quanto avevi preventivato?”

“Sono più forte di te, eh, Missingno? Sono più forte di te!”

“Più forte di te!”

Ma la sua voce s’infranse sul silenzio: Missingno non rispondeva. I suoi fratelli non c’erano. Celebi era lontano, troppo lontano da lei. Era sola, sola come non era mai stata. Si sentì molto spaesata, e molto sola. Sentiva di essere in una regione del suo cuore nella quale non poteva giungerle nessun conforto.

 

“Ci ha ingannati!” ruggì Argento, scagliandosi contro la parete della grotta. “Ci ha ingannati come tutti gli altri!”

“Missingno non aveva promesso la verità” disse Lance con profonda lentezza. “Siamo stati noi stessi a ingannarci, ma sapevamo che qui avremmo trovato altre menzogne, ancora menzogne.”

“Ma deve essere qui” disse Argento. “È il luogo che persino Celebi ci ha tenuto nascosto, è Missingno che ha avviluppato per anni l’ambizione di Rosso. Certo, può non essere l’ultima verità, ma di certo ce n’è una parte, e noi dobbiamo trovarla, perché Missingno ci ha voluti qui e c’è un motivo, e noi dobbiamo scoprire quel motivo.”

“Va bene” disse Lance “Andiamo.” Aveva gli occhi foschi e stanchi, come privi di ogni illusione. Forse non credeva davvero più che là vi fosse la verità, neppure quel pezzetto che sosteneva Argento. Tuttavia Luisa era scomparsa, non era con loro in quel momento. Va bene: bisognava cercarla, lei se non il resto.

Uscirono dalla grotta. Si trovavano in alto, molto in alto, su una montagna, forse: vi era una distesa di neve, ma non faceva freddo. Tutto era lucente e molto, molto bello. L’orizzonte si stendeva ampissimo in ogni direzione, bianco, verde e dorato, ma lontano vi era qualcosa di diverso, contrastante, come un ammasso nero di oggetti e figure, molto alto, che oscurava il cielo.

“Quella è la Città?” domandò  Argento, indicando quell’oscura massa indecifrabile. Ma Lance scosse il capo.

“No, Argento… non lo credo. Tutto, qui, è la Città dei Numeri e tutto qui può mutare e adattarsi e capovolgersi… credo che lo scopo di Missingno fosse quello di dividerci da lei, così da impedirci di aiutarla, così da affrontarla da sola.”

Argento si morse le labbra. “Se Missingno non vuole  che l’aiutiamo, non ci permetterà di raggiungerla.”

Lance non rispose. Stava scrutando affannosamente l’ampia distesa che si apriva sotto di loro: era ora cosparsa di una neve sottile e grigiastra che sembrava quasi cenere. Ma non era la neve che gli interessava, né la distanza di quell’imponente massa nera dalla montagna sulla quale si trovavano: egli cercava di cogliere e trattenere con lo sguardo gli infinitesimali, incessanti cambiamenti del paesaggio…

“Scendiamo” mormorò infine. “E dirigiamoci verso la massa nera. Se Missingno non ci vuole, non ci farà arrivare in nessun luogo. Ma poiché abbiamo deciso di cercarla, dovremo provarci nel solo modo in cui possiamo farlo: andare là e chiamarla con tutte le nostre forze, se possiamo. Anche se credo che sia così lontana da non poterci udire.”

Argento annuì. Anche il suo sguardo era fisso sull’orizzonte, e il suo cuore anelava a trovarla.

Cominciarono a discendere l’alta montagna.

 

D’un tratto una forte voce decisa venne a scuoterla dal profondo torpore nel quale la sua disperazione l’aveva sprofondata. Luisa si riscosse bruscamente al suono di queste parole:

“Ti ho trovata, finalmente.”

La ragazza balzò in piedi, il magro tonico corpo tutto teso e all’erta, con gli occhi che saettavano ovunque sulla piazza nella quale si trovava.

“Missingno!” gridò con voce tonante e carica d’eccitazione. “Dove sei? Fatti vedere se ne hai il coraggio, povero vecchio! E allora vedremo chi è che sa di esistere qui!”

Ma d’improvviso la sua voce s’infranse. Ella si ritrovò a rantolare, col petto costretto in una morsa di cui non vedeva l’origine…. Oh! Avrebbe voluto gridare, parlare, persino pregare…

“Credi dunque tu che io abbia un corpo mortale come te?” domandò la voce. Ma Luisa non poteva rispondergli. Ecco, pensò mentre le vie del suo respiro si facevano, attimo dopo attimo, più strette e difficoltose: essa si trovava a un passo dalla chiave dei misteri del mondo, ma un’entità la stringeva forte, sempre più forte, e lei non sapeva più cosa scoprire… Provò ad accennare col capo che no, non lo pensava, come avrebbe potuto pensarlo?

“Missingno non ha corpo mortale e fragile, Prescelta Creatura… Missingno è fin troppo perfetto” soggiunse poi, e d’un tratto quella voce le parve, quasi, umana…

La morsa si allentò improvvisamente e Luisa cadde a terra con un tonfo secco, mentre il suo respiro si faceva di nuovo ampio e affannato. Col respiro, essa si sentì tornare di nuovo tutta la sua aggressiva tracotanza. Gridò:  “Tanto perfetto che vivi in una città di errori!”

“E non ti piace, forse?” disse di nuovo la voce, stringendola ancora; ora Luisa pensava solo a come liberarsi di Missingno… “Questo non è solo il posto che tu credi.”

“E che posto è?” domandò la ragazza. “È un posto in continuo mutamento, è un posto orribile, in cui nessuno sa neppure di esistere…”

“Ah! Non capisci tu, dunque, perché nessuno qui è ben certo di esistere?” le domandò Missingno. Luisa guardò verso l’alto, sebbene non sapesse con precisione da dove provenisse quella voce.

“Credi tu forse che altro non sia questo luogo in cui tu osi avventurarti che una sorta di altra dimensione? No, piccola Prescelta: questa Città non è che l’espressione materiale del mio potere…”

“Ma perché nel mio mondo?” domandò Luisa. Avrebbe preferito non chiedere. La risposta fu: “Perché qui esisti tu.”

La forza si sciolse definitivamente. Luisa cadde a terra per la seconda volta, ma sebbene le mancasse il respiro, balzò di nuovo in piedi. Gridò: “Che cosa intendi dire?”

Ora Missingno le parlò di nuovo, ma senza stringerla, come dal suo fianco. Solo la sua voce pareva ancora opprimere e soffocare la sua mente…

“Tutto l’universo esiste in virtù della mia volontà. Ma la Città dei Numeri esiste sin dal giorno in cui ordinai la tua venuta, dall’epoca della Grande Pioggia…dalla discesa delle mie creature.”

Ora Luisa si sentiva girare la testa, e non capiva, ma non era stavolta il potere di Missingno né la potenza della sua voce: era la forza delle sue parole.

“Fatti vedere” mormorò. Aveva gli occhi pieni di lacrime e non aveva nulla da guardare. “Ti prego, fatti vedere.”

“Desideri vedermi?” domandò la voce.

“Ti prego” singhiozzò Luisa. Mentre parlavano, l’Universo nel quale si trovavano pareva aver perduto i propri colori: ella ancora scrutava la piccola piazza, ma come da una grande lontananza.

“Non posso aiutarti. Non ho forma né corpo visibile o tangibile, poiché troppo grande è la mia stessa esistenza perché possa essere limitata da un corpo materiale: sono già tutto quello che stai guardando, la voce che stai udendo, l’aria stessa che stai respirando, e ciò deve bastarti.”

Luisa chinò mestamente il capo con arrendevolezza. Ma poi: “Voltati e guarda” disse la voce, e Luisa si girò immediatamente e tutto perse aspetto, perse significato: vi era un Universo bianco intorno a loro, e solo un confuso alone nero spiccava nel vuoto… con voce tremante, Luisa balbettò: “Non capisco. Mio padre è il Signore del Cielo e del Tempo, è sire e signore dell’Universo… e tu…”

“Sono ciò che vedi, e molto di più” disse Missingno.

“Finiscila ora! Dimmi la verità!” gridò Luisa con tutte le forze che aveva. Proseguì: “Mio padre ha creato l’Universo. Tuttavia egli non sa spiegarsi la sua esistenza. Chi sei tu? Come puoi esistere contro la sua volontà? Sei forse più potente di lui?”

Missingno rispose: “Sono molto più potente di lui.”

“Ma non può essere vero!” singhiozzò Luisa, poiché anche quella verità andava sfaldandosi sotto i suoi occhi, sotto i suoi piedi. Gridò: “Non è vero!” e lo gridò con un ardore tale che l’universo stesso nel quale si trovavano ne parve scosso fin nelle profondità.

“È la verità, piccola Prescelta. Io sono Colui che creò sire Celebi all’inizio dei tempi, sono Colui che dietro i suoi occhi guardò l’Origine del Cosmo… io sono Missingno, la divinità suprema.”

“No!” esclamò Luisa con decisione. “No, non è vero! E se anche fosse vero, tu saresti un’orribile divinità, capace di creare una dimensione spaventosa come questa… capace di condannare la vita di un ragazzo, aizzando la sua ambizione già bruciante…”

“Tutto rientra in un piano divino il cui senso ancora ti sfugge” disse Missingno con calma. Con aria di sfida, Luisa sogghignò quasi contro quell’entità e disse in tono provocatorio: “Spiegamelo!”

Ma non aveva ancora richiuso la bocca dopo quest’ultima sfida che già il mondo pareva mutato: ella si trovava in un immenso spazio deserto, nero ma rischiarato da luci lontane. Missingno parlò dalle sue spalle.

“Vedi? Siamo indietro, molto indietro nel tempo… questo è il regno sul quale impera tuo padre, sire Celebi, che è sire dell’Universo ma per mia volontà. Guarda laggiù, lontano! Che cosa vedi?”

Luisa guardò lontano dove sentiva che Missingno voleva che guardasse: vide come una grande agitazione, sebbene fosse qualcosa che si sentiva piuttosto che si vedeva…

“Che cos’è?” domandò con gli occhi infissi in quel caos primordiale… quel pensiero la scosse come un fulmine. Si voltò e percepì l’assenso di Missingno.

“È così, è l’origine del mondo, è l’atto della Creazione: è tuo padre sire Celebi che, credendo di essere solo e unico nell’Universo intero, crea un suo piccolo mondo e un suo miserabile universo sconfinato, ma che neppure ricorda la vastità immensa del mio potere…”

Era così, era finita. Le spalle di Luisa s’incurvarono del peso immenso della verità e della menzogna. I suoi occhi si erano fatti grandi, enormi di dolore, e in essi si rifletteva il cielo del giorno della Creazione.

“Va bene” disse quasi senza voce. Era finita. “Hai mentito anche a mio padre. Gli hai lasciato credere di essere una divinità… e lo era, ma c’eri tu dietro ogni sua azione. Tu lo hai creato, hai creato il suo potere per divertirti a guardarlo creare e affannarsi in un mondo pieno di menzogne tali che neppure lui era capace di…”

“Non hai compreso le mie ragioni” disse la voce di Missingno. Luisa si sentì afferrare e stringere, scossa nel profondo: le sue labbra tremarono ed essa non riuscì a parlare. “Non era divertimento il mio. Credi tu che fosse il divertimento la ragione di un Universo nato in migliaia di secoli?”

“E dimmi, dimmi allora cos’era!” gridò Luisa scuotendosi, divincolandosi, strappandosi al suo potere. “Tu hai ingannato mio padre, tu! Tu ci hai ingannati tutti, ogni singolo essere vivente sul mio pianeta… dimmi, se non era per divertimento, perché l’hai fatto!”

“Non lo capisci dunque?”

Per l’ennesima volta quella forza si sciolse attorno a lei ed essa rimase immobile, tremante, ansimante, cogli occhi colmi di lacrime. Respirando profondamente, disse: “No, non lo capisco. Spiegamelo, poiché io non lo so.”

Per lunghi, incalcolabili momenti il silenzio l’avvolse come una caligine, ed ella poté percepire distintamente il battito del proprio cuore palpitante. Poi, finalmente, cominciò a udire in qualche regione lontana in fondo alla sua mente la tremenda voce di Missingno, lontanissima dapprima, poi, lentamente, più nitida e forte.

“Io sono l’essere supremo, io sono Missingno, creatore dell’Universo e del Tempo, della vita e dell’esistenza stessa, ma soprattutto creatore di Celebi. Egli è figlio del mio potere, figlio della mia volontà; egli ha, come me, un potere infinito, che è tuttavia infinitamente piccolo rispetto al mio… sì, Celebi avrebbe potuto, assieme a me, governare l’Universo, se solo avesse voluto cercare, indagare… se solo avesse mostrato il suo coraggio, la sua pulsione alla vita… se solo avesse, liberamente, scelto di voler sapere chi lui stesso fosse, se fosse proprio così come credeva lui, di non essere stato generato da nessuno…”

Con indicibile sforzo, Luisa balbettò: “Tu non hai…”. Non sapeva neppure lei cosa voleva chiedere, e anche se l’avesse saputo, come chiederlo.

“Io non ho? No, piccola Prescelta: io ho generato un essere che come me fosse libero, libero di comprendere e di scegliere: scegliere se indagare le cause della sua vita o meno, scegliere se cercare la verità o meno… e Celebi, libero com’era, ha scelto, ma ha scelto di non cercare, di non indagare, di non comprendere e sapere. Nulla io ho fatto per distoglierlo dalla sua decisione, per non interferire colla sua infinita libertà: e ho continuato a osservare la sua Creazione, ho visto nascere e svilupparsi un suo piccolo mondo miseramente infinito nella sua varietà, ma ahimè, sempre irrimediabilmente condannato dal timore nel quale Celebi viveva avviluppato, non per sua colpa, ma di certo per sua scelta; voi stessi, figli di Celebi tutti, umani e Pokémon, vivevate in un mondo pieno di misteri insondabili, inesplorabili, che nessuno faceva nulla per sciogliere, e quei pochi che lo facevano venivano esclusi e condannati o, al contrario, venerati come divinità o eletti proprio in virtù di qualcosa che a quasi nessuno era dato sapere: eravate predestinati a una vita d’ignoranza e di mistero, proprio perché Celebi, che aveva commesso l’errore di aver paura, vi aveva generati a propria immagine e somiglianza!… proprio tu, figlia di Celebi, che per anni non hai conosciuto neppure il nome di tuo padre, di più, neppure la tua stessa identità hai considerato la Città dei Numeri, mera estensione materiale del mio potere, un luogo orribile nel quale nessuno sapeva neppure di esistere…”

Luisa rimase sbalordita a quelle parole. Vi era una verità nascosta nelle sue parole? Non sembravano poi tutte bugie… doveva dunque credere alla verità di Missingno? Era paralizzata. Balbettò: “Hai amato mio padre?”

Sentiva che la sua era una domanda importante, fondamentale; che dalla sua risposta essa avrebbe saputo chi veramente era Missingno e chi sarebbe stato per lei.

La risposta fu: “Se non l’avessi amato, non l’avrei lasciato scegliere. Ma l’ho amato tanto da non volerlo obbligare a sapere contro la sua volontà.”

“Tuttavia, ho voluto egualmente provare a salvarvi dalla vostra predestinazione: ho inviato sulla Terra gli Unown, creature che Celebi non aveva volute e generate, perché si scuotesse, perché trovasse il coraggio d’indagare il loro mistero: sarebbe bastato così poco per ottenere la salvezza di tutto il vostro mondo! E tuttavia, neppure questo è servito: Celebi non ha trovato altro coraggio che di rinchiudere quelle creature, spaventato dal loro mistero. Tutti voi eravate condannati all’oscurità…”

“È stato allora che ordinai la tua venuta: l’ultima speranza di salvezza e liberazione per il tuo popolo, una creatura che trovasse il coraggio di scendere qui, di affrontare il mio potere, d’indagare le ragioni del mondo, una creatura, finalmente, che affrontasse la paura di conoscere; che, essendo divina, potesse redimere il mondo assolvendo il peccato di suo padre…”

D’un tratto tutto fu chiaro, tutto fu lampante. Luisa si sollevò e gridò: “Tu non mi hai obbligata a venire qui! Non è vero? Non mi hai costretta!”

“Vedo che cominci a capire. No, non ti ho costretta, non ti ho obbligata: ti ho chiamata. Ma tu eri libera, esattamente come tuo padre, di scegliere e dunque di scegliere se, rispondendo alla mia chiamata, venire qui, o se ignorare la mia voce condannando così, pur non sapendolo, tutto il tuo popolo…”

“E tu, piccola Prescelta, hai scelto. Hai scelto liberamente di ascoltare le parole di Rosso, di sfidare il volere e la paura di tuo padre, di tuffarti nella voragine di un vulcano. Hai scelto così, senza saperlo, di salvare il tuo mondo: se tu l’avessi saputo, il tuo gesto non avrebbe avuto più alcun valore, poiché non sarebbe stato coraggioso, ma eroico; e io mi aspetto un popolo di eroi, né umani né Pokèmon, ma un popolo che liberamente possa alzare gli occhi al cielo e scrutare le ragioni della vita e della propria esistenza, indagare i misteri del suo mondo… non più costretto a tenere infisso al suolo uno sguardo ottenebrato dalla paura. Capisci dunque?”

Sì. Era incredibile, era terribile, eppure Luisa capiva perfettamente. Tutto le era ora chiaro, evidente, lampante; eppure infinite domande le si affollavano alle labbra, domande che, avendone il tempo, avrebbe posto senza neppure riflettervi sopra.

“Per quale motivo hai scelto Rosso?”

Era la prima domanda, la più importante: sentiva in fondo al proprio cuore di dovergli riportare, dall’abisso nel quale egli l’aveva spinta, almeno quella risposta.

“Egli rientrava nel mio Piano divino. Bisognava che tu venissi a sapere di questo posto; e che lo sapessi da qualcuno che vi era stato, che ne era impazzito, che per nessun motivo al mondo vi sarebbe tornato… da qualcuno che ti mettesse liberamente in grado di scegliere se venirci o no. Ho scelto Rosso perché già la sua ambizione ardeva follemente, tanto che facilmente avrebbe dato ascolto alle mie parole e ai miei ordini; e perché maggiore potesse essere la sua ricompensa, dopo. Rosso era necessario al mio piano divino, essenziale come e quanto la Città stessa; ma la sua vita ora non mi appartiene più, e ora essa prospererà ed egli sarà felice, colla mia benedizione, se vorrà esserlo.”

Luisa si guardò affannosamente attorno, come cercando di scegliere tra quelle infinite domande che lottavano per essere poste: percepiva in qualche modo di non aver molto tempo.

“Se lo scopo di questa Città era questo, ora che fine farà?”

“La Città dei Numeri non era che un’estensione materiale della mia volontà. Non avrà ora più senso la sua esistenza, ed essa scomparirà insieme al mio desiderio di attrarti qui: la cima del vulcano non attrarrà più nessuno.”

Ecco, ecco quella sensazione di non aver più tempo! Luisa si guardò ansiosamente intorno: tutto cambiava, mutava vorticosamente, di quei piccoli cambiamenti infinitesimali che si faceva fatica a cogliere ma che ora s’inseguivano vorticosamente…

“Sta già scomparendo” confermò Missingno con calma. “Ma non temere… non accadrà nulla: tra poco ritroverai i tuoi fratelli, che ho tenuti lontani perché tu potessi affrontarmi da sola; e tra poco ritroverai anche me, se lo vorrai.”

Qualcosa nell’aria cominciava a vibrare violentemente, a tremare, e Luisa si rese conto che il suolo sul quale si trovava in piedi tremava a sua volta scuotendola: ora non vedeva niente, si sentì persa nel buio, come durante un terremoto, e gridò: “Aspetta! Aspetta, per favore! Mio padre…”

Ma Missingno non le rispose. Luisa si sentì disperatamente sola e sperduta, incapace di muoversi e reagire, mentre il suolo sul quale si trovava pareva sprofondare; e d’un tratto si sentì precipitare in acqua fredda e salata, cacciò un grido…

Cominciò a nuotare affannosamente, alla cieca, dando grandi bracciate annaspanti e ansimanti: non vedeva nulla, non sentiva nulla, se non il suono angosciante delle onde che la percuotevano e l’attorniavano, sballottandola senza sosta né tregua… dov’era? Dove avrebbe trovato i suoi fratelli, Missingno…?

Ma d’un tratto la sua mano toccò nel buio un’altra mano cui aggrapparsi, ed essa vi si afferrò con foga, con rabbia, con disperazione…

“Luisa!”

Era la mano di Lance! D’un tratto i suoi occhi tornarono a vedere, ed essa vide Lance che con tutte le sue forze lottava, sporgendosi dalla scogliera dell’Isola Cannella, per sollevarla e tirarla a sé. Cercò disperatamente di aiutarlo, di puntare i piedi contro le dure rocce della scogliera e di sollevarsi, ma si sentiva mancare le ginocchia e le suole delle sue scarpe scivolavano inutilmente sugli untuosi strati d’alghe sottomarine. Ma dopo pochi momenti Argento apparve sopra di lei e afferrò con forza le sue spalle, e assieme riuscirono a issarla sulla scogliera.

Luisa rimase immobile e ansimante semidistesa al suolo, respirando grandi boccate d’aria fredda. Era notte. I suoi abiti le si erano attaccati addosso, bagnati e gocciolanti, ed essa provò brividi di freddo al primo movimento. Ma subito Argento s’inginocchiò accanto a lei, le tolse la giacca, le pose sulle spalle il suo vecchio giubbotto nero: Luisa vi si strinse ansiosamente.

“Come potete trovarvi qui? Che ci fate qui?”

“Missingno ci ha ingannati” disse tetramente Lance. “Non ha fatto che portarci qui. Dopo aver camminato per ore, ci ha riportati al punto di partenza.”

Luisa scrutò silenziosamente i loro volti pallidi e angustiati e disse a bassa voce: “Missingno non vi ha ingannati. Missingno non ha ingannato nessuno.”

Le sue parole furono per loro una rivelazione. Lance si accovacciò al suolo di fronte a lei e domandò: “Che cosa intendi dire?”

“Quello che ho detto. Ho affrontato Missingno e… ora so qual è la verità, Lance. Ho trovato la chiave dei misteri del mondo.”

Ma Lance e Argento si scambiarono un’occhiata sardonica. Luisa li guardò con occhi colmi di perplessità ed esclamò: “Cosa c’è? Che succede?”

“Vieni. Alzati” le disse Lance, e tirandola per la mano appena si fu alzata a fatica la trascinò a pochi metri di distanza, da dove si poteva meglio vedere, aldilà delle possenti fiancate del vulcano, la regione di Johto…

“Vedi qualcosa?” domandò Argento dalle sue spalle. “Qualcosa di strano, qualcosa che prima non c’era…?”

Luisa socchiuse gli occhi per scorgere qualcosa, attraverso il buio e la lunga distanza… non vi era forse un’oscura sagoma che si elevava al di sopra delle città, al di sopra delle cime delle montagne…?

“È una torre” mormorò Lance con voce cupa, rispondendo ai suoi dubbi. “Abbiamo potuto vederla prima che il sole calasse del tutto; tuttavia pare che ancora nessuno se ne sia accorto. Non è forse uno dei malefici di Missingno? Per quel poco che abbiamo visto, crediamo che sia sorta vicino, se non addirittura sopra le Rovine d’Alfa…”

“Una torre…” ripeté Luisa, scrutando fissamente quella sagoma: le Rovine d’Alfa… ma forse…

D’un tratto saltò quasi come una bambina, gettando a terra la giacca di Argento: le brillarono gli occhi. “Ho capito, finalmente” esclamò ridendo. “Ho capito tutto! Oh, dobbiamo partire, andare là, presto… andiamo! Vi spiegherò tutto… oh, ora mi è davvero tutto chiaro!”

“Luisa!” esclamò Argento afferrandole le braccia “Cosa ti è chiaro? Di che stai parlando?”

Ma Luisa aveva la sensazione di scoppiare: “Andiamo! Andiamo! Ve lo spiegherò volando…oh, ma andiamo!” esclamava cercando di tirarli a sé. Aveva capito! Aveva finalmente capito!

Via via che volavano furiosamente, fendendo l’aria, verso le terre della regione di Johto, Luisa raccontò concitatamente loro le parole di Missingno, la sua rassicurazione, la liberazione che da lui si poteva attendere… ma Argento e Lance non parevano convinti delle sue parole e la guardavano perplessi, indecisi.

Giunsero in vista della Torre, dell’alto edificio svettante fin quasi alle nuvole. Tuttavia nessuno pareva sorpreso, attonito, sconvolto: quei pochi mortali che ancora passeggiavano lungo le strade notturne parevano non scorgere nemmeno la sua mole immensa…

“Missingno li ha forse acciecati?” domandò Argento, scrutando quelle rare figure che si muovevano al suolo, senza vedere, senza agitarsi… ma Luisa scosse il capo con decisione: era certa di ciò che stava per dire.

“No, so cosa vuol fare Missingno. Ho capito qual è la verità” disse semplicemente.

I loro Pokémon s’impennarono per poter risalire la statura della Torre: Luisa sentì che l’aria le fustigava il viso, i capelli umidi, i vestiti ancora bagnati e aderenti al corpo e si sentì tremare e rabbrividire. Ma non c’era tempo di scaldarsi un po’, di asciugarsi: Luisa voleva vedere, voleva sapere…

Ecco, ecco l’elevata cima della Torre! I tre ragazzi balzarono giù dai loro Pokémon. Era deserta.

“Perché ci hai portati qui?” mormorò Lance, scrutandosi attorno con aria triste e rassegnata. “Siamo soli, come vedi. Siamo…”

“No” disse Luisa con foga, afferrandolo. “Sta arrivando mio padre. Missingno è già qui – Missingno è ovunque. Non lo percepisci?”

“No” rispose Lance. Le sorrideva, ma di quel sorriso rassegnato e stanco, infelice.

Tuttavia nulla, nulla poteva far crollare la fiducia instancabile di Luisa: tutto era chiaro e lampante, evidente alla sua mente e presto lo sarebbe stato anche a quella dei suoi fratelli. Un attimo dopo, come a confermare il suo pensiero, Argento sollevò lo sguardo e mormorò: “Lance, ha ragione. Sta arrivando Celebi.” E guardando Luisa le domandò direttamente: “Affronterà Missingno?”

“No” disse Luisa “Non credo. Ma aspetta! Stiamo a guardare.”

Gli occhi di Argento avevano visto giusto: proprio Celebi volava verso la cima di quella Torre, li raggiungeva, li sfiorava passando… tuttavia li vide a malapena. I suoi occhi erano grandi e infissi in quel cielo vuoto in cui forse neppure lui vedeva qualcosa, e nel quale tuttavia percepiva una potenza immensa che non aveva mai indagato…

“Sono qui” disse, e la sua voce parve a Luisa infinitamente possente ma stanca, rassegnata, mortificata. “Sono qui adesso. Non ho paura affatto. Voglio la verità.”

E d’improvviso l’aria si riempì della voce infinita di Missingno: era una voce che non proveniva da nessun luogo, da nessuna direzione, ma permeava l’aria stessa che respiravano. Missingno era quella voce stessa, essa era, come la Città dei Numeri, nient’altro che una mera espressione materiale del suo potere.

Disse: “Ora lo sai. Sai già tutto senza bisogno che te lo dica, e liberamente, libero esattamente come sei sempre stato, puoi farne ciò che vuoi.”

“Sì, so tutto” disse Celebi. Aveva la voce infranta, spezzata: era finita. Egli sapeva tutto ciò che aveva sempre, per paura, voluto ignorare. Accennò col capo alla figlia e mormorò: “Solo per questo hai creato la sua vita? Perché potesse sciogliere il mistero?”

“Celebi” disse Missingno, e tutto parve vibrare della sua voce “Io ho creato un essere che come te avesse tutti i poteri del mondo e che insieme fosse fragile quanto tu eri, e molto di più, poiché mortale quale tu non sei. Essa, come te e come ogni mortale, aveva la libertà: e l’ha usata per scoprire la verità. Oggi essa ha davvero redento l’umanità col suo coraggio: si scioglie finalmente il destino degli uomini, che tu col tuo errore e peccato avevi legato e avvinto, e da oggi in poi ciascuno avrà una libertà immensa. Non vi sarà più una Prescelta Creatura, ma il canto divino morirà con Luisa, ch’è veramente divina e degna: più nessuno sarà schiavo di un fato prestabilito, ma ciascuno sarà veramente libero, finalmente, di trovare la propria strada verso la felicità. E dunque questo è il mio grande, ultimo, unico dono per il tuo popolo: la tua libertà e con esso la sua felicità.”

Luisa aveva ascoltato le parole di Missingno col cuore palpitante d’angoscia e colle mani strette in quelle dei suoi fratelli: percepiva, dalla sola stretta di quelle loro mani, ch’essi avevano compreso, che non erano più scettici e perplessi, increduli: che percepivano l’immenso potere, ma soprattutto l’infinita bontà, di Missingno.

D’un tratto, immerso in quella voce, Celebi chinò il capo, umile come fosse un mortale, e mormorò:

“Perdonami.” Ma Missingno rispose: “No, Celebi. Non hai peccato che di paura; e ora il sangue del tuo sangue ha salvato un mondo che la paura attanagliava come una malattia. Ma tua figlia ha trovato il coraggio che per troppi secoli ti è mancato, e il tuo mondo, adesso, è salvo.”

“Luisa” soggiunse poi; ma nel pronunciare il suo nome la sua voce non era più avvolgente e soffocante “Il tuo coraggio ha salvato un mondo intero: tu hai finalmente ripagato la mia attesa, poiché per troppi secoli ho atteso la venuta del tuo coraggio: siine ora fiera, perché con la tua discesa nell’abisso, hai salvato il mondo intero.”

“Non ero sola” disse Luisa con calma. “I miei fratelli hanno avuto il mio stesso coraggio, per una decisione che prima di tutto era mia.”

“E non sono forse essi tuoi fratelli e degni quanto te?” domandò allora Missingno.

“Che ne sarà di questa Torre?” domandò ancora Luisa. “Mi accorgo bene che per tua volontà nessuno può vederla. Ma…”

“Hai capito” disse Missingno. “Più nulla dovrà essere nascosto, tutto sarà accessibile, Piccola Prescelta, a chi vorrà sapere, a chi vorrà conoscere. Questa Torre, di cui gli Unown avevano predetto l’edificazione, resterà qui, come simbolo di una nuova Età dell’Oro, dell’ascesa di un’era di Missingno. Ben presto questa Torre si mescolerà al paesaggio, e umani e Pokémon potranno vivere nelle sue profondità e, se lo vorranno, scalare la sua maestosità, cercare qualcosa di cui forse ancora neppure sanno di aver bisogno…”

“E di te?” chiese allora Luisa, con aria quasi di sfida: ma sorrideva, come conscia della sciocchezza della sua domanda. “Che ne sarà di te?”

“Tornerò a essere sire e signore di un regno, che stavolta esiste ed è tangibile” rispose Missingno, con voce incredibilmente calma e serena, che mal si conciliava col ricordo che tutti di lui avevano, quello di sire e sovrano, sì, ma di un regno di caos.

“È finito per voi il supplizio, è finito per voi il buio, è redento il peccato originale: si aprirà da quest’alba un’età d’oro di luce e libertà, e le vite che si sono ingannate perché io potessi realizzare il mio Piano prospereranno; finalmente il sole splenderà su di voi, figli miei, figli di Missingno, e sulla vostra felicità.”

 

 

Ecco qui, finalmente. È questo l’ultimo dei pochi capitoli della parte di questa storia che riguarda Missingno e gli Unown, e devo dire che sinceramente mi soddisfa non poco, forse scioccamente. Certo, non credo proprio che sia il finale che tutti si aspettavano; eppure non so come mi pare di essere riuscita a conciliare tutto ciò che era rimasto di sospeso o di incongruente- e in un modo che a me non dispiace affatto.

Comunque, conto di postare, entro breve (credo e spero) un piccolo capitoletto per rispiegare più chiaramente i concetti espressi qui e qualche piccolo dettaglio lasciato in sospeso – la Torre per esempio- e anche per ricollegarmi più facilmente alla prossima spin off che ho già in preparazione. Tratterà ancora della coppia di Rosso e di Blu, ma non solamente: ho del materiale che mi soddisfa molto su Giovanni, che, ho scoperto, è il mio personaggio preferito assieme a Rosso. Al 90% il titolo sarà Paternità o qualcosa di simile.

Detto questo, che dire? Ringrazio quei pochi anonimi giunti fin qui, ammesso che ancora ve ne siano, e vi saluto caramente.

Afaneia

   
 
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