Il vento soffiava forte sulla cima del vulcano, era un
vento bollente che portava con sé i forti vapori e gli odori della lava, della
pietra, della cenere. Era un vento carico di fumi e polvere, un vento che
fustigava il volto e accecava gli occhi: Luisa ricordò come anche quella notte
di più di un anno prima il vento aveva soffiato forte, avvicinando a Ho-Oh la
sua anima palpitante…
Ora non c’era Ho-Oh con lei. Non c’era neppure suo padre,
non ci sarebbe stato là sotto, non ci sarebbe stato quando avrebbe attraversato
la Città, la forza di Missingno, che persino Rosso aveva temuto. Ma Luisa
sapeva che era giusto, che era così che bisognava che fosse: era lei che
Missingno aveva sempre cercato, non Celebi. Là sotto l’aspettava la verità,
l’ultima verità sulla sua vita misteriosa e strana: bisognava affrontarla e
affrontarla lei sola, lei coi suoi fratelli. Nel mezzo di quei turbini di
vento, i tre si schierarono sull’orlo profondo e fiammeggiante dell’abisso.
Luisa sospirò profondamente. Molti e molti metri sotto di
lei, vedeva che la lava gorgogliava e ribolliva tormentandosi, mescolandosi.
Trasse un profondo respiro.
“Rosso non può aver mentito. Anche se pare strano.”
“Chissà quale richiamo può averlo attratto là dentro” disse
Argento. Anche i suoi limpidi occhi verdi e tanto belli erano infissi nel magma
ribollente; egli scrutava pensoso quell’immagine.
Lance mosse un passo verso la bocca del vulcano e subito lo
investì una folata di vapore bollente che gli arrossò gli occhi e le narici. Si
strofinò con la mano gli occhi lacrimanti senza voltarsi indietro. Era più
avanti di loro, più vicino degli altri alla voragine di fiamme: Luisa ammirò la
sua magra figura slanciata e sempre bella, persino sul baratro di un vulcano.
“Potremmo non tornare, o non tornare come siamo ora… ve la
sentite?”
“Che diamine” disse Argento. “Se c’è una città, là sotto,
io voglio vederla.”
“Sono stata io la prima a volerlo” disse Luisa. “C’è la
mia, la nostra verità là sotto, c’è la fine di tutte le bugie, le verità
sottaciute. C’è Missingno che mi cerca dall’alba dei tempi e da cui oggi
andremo noi, per scoprire il motivo della sua ricerca.”
“Ebbene” disse allora Argento “Andiamo. Ha già aspettato
abbastanza.”
“Va bene” disse Lance con calma. “Andiamo allora. Qualunque
cosa accada, signori… è stato un piacere.”
Un istante dopo, i tre giovani chiudevano gli occhi e si
gettavano nel vulcano.
Non vi fu schianto, ma Luisa mandò un urlo acuto e
straziante dal profondo del suo cuore. Non lava, non bruciore né ustioni, ma un
dolore atroce che non riguardava il suo corpo, le aveva preso la mente…
Rosso! Oh, ma Rosso doveva bene averla ingannata, per quale
motivo l’aveva mandata laggiù? Voleva andare via! Via! E dov’erano i suoi
fratelli? Teneva gli occhi sbarrati, le labbra strette e sbiancate sui denti,
ma il suo cuore urlava con foga mentre sentiva che il suo corpo si rotolava
tormentandosi nella polvere, tra dure rocce e sabbia, come su una scogliera
affacciata sul mare. Una scogliera?
D’improvviso, come quando ci si sveglia la notte, dopo aver
creduto nel sogno di cadere, e ci si trova al buio ma al sicuro, Luisa aprì gli
occhi e il suo corpo si fermò, rimase quieto sul terreno. Ecco, era immobile.
Respirò profondamente l’aria limpida e fresca, ansimando. Era finita? No, non
ancora.
Guardò il cielo molto, molto a lungo. Era azzurro e sereno,
asperso di piccole nuvole bianche. Luisa si sollevò lentamente, ma non era una
scogliera, pensò con stupore. Si mise in ginocchio. Ovunque fosse stata prima
di aprire gli occhi, ora era inginocchiata sul duro asfalto di un giardinetto,
di un parco giochi per bambini… ricordò le parole di Rosso. Era lo stesso
parco? Ma soprattutto, dov’erano Lance e Argento?
Cominciò ad aggirarsi per il parco, ruggendo verso il nulla
come una belva ferita.
“Sono qui!” urlò. Il parco era vuoto e buio: Luisa non se
n’era accorta, ma era calata la notte, chissà come, chissà quando.
“Missingno! Sono qui, sono arrivata! Sono la Prescelta
Creatura che cerchi e non trovi, sono la figlia di Celebi, sono Luisa.”
L’aria restava immobile, silente alla sua voce, vuota ai
suoi occhi. Luisa si aggirava per quel parco buio e le parve che, ogni volta
che distoglieva lo sguardo e poi tornava a porvelo, ogni singolo oggetto
apparisse mutato, stravolto, benché identico a se stesso. Si sentì montare una
gran rabbia: la confusione e la paura le bruciavano addosso come su ferite
aperte. Si sentiva spaesata e sola, e questo la spaventava.
“Sono venuta qui per te! Sono qui per te. Hai forse paura?
Ti stai nascondendo?”
“Missingno non si nasconde. Missingno è in ogni elemento
della Città dei Numeri.”
Luisa diede in un sobbalzo pauroso, sorpresa da quella voce
che non si aspettava, poiché il parco, per quello che aveva visto, era vuoto.
Tornò a guardarsi attorno, tra gli alberi, dietro i giochi: non vide nessuno.
Ma poi: “Sono qui.”
Luisa tornò a guardare dov’era prima, e vide che un vecchio
era seduto su una panchina, immobile come se fosse sempre stato lì.
“Chi sei?” chiese immediatamente. “Da dove vieni?”
“Sono sempre stato qui” disse il vecchio.
“Non dire sciocchezze!” esclamò Luisa con rabbia: avanzò
verso di lui. Ma il vecchio rimase immobile. Era cieco. “Non eri qui fino a un
attimo fa!”
“Può darsi” ammise il vecchio. “È difficile saperlo.”
Luisa rimase interdetta per qualche momento. Poi, dopo un
poco, riprese: “Sei stato tu, non è vero, a parlare a Rosso della leggenda?”
“Anche questo è difficile saperlo” disse il vecchio. Luisa
si sentì ancora montare una gran rabbia. Ma come? Ancora menzogne, ancora
silenzi! Era proprio vero, dunque, quello che aveva detto Rosso? Luisa ricordò
le sue parole: puoi trovare la tua
verità, ma anche molte più bugie.
“Smettila!” gridò. “So che sei stato tu! Rosso mi ha
parlato di un vecchio che ha incontrato in questa Città. So che sei stato tu.”
“Ti dico che è difficile saperlo. Chi può dire di essere
esistito in un dato istante qui, nella Città dei Numeri? Solo Missingno può
davvero dire di esistere, qui.”
“Allora dimmi dov’è Missingno!” gridò Luisa con furia.
“Parlerò con lui, con Missingno che sa di esistere, con Missingno che tutto
vede, Missingno che tutto conosce, con Missingno che mi cerca dall’alba dei
tempi e che oggi io troverò.”
“Te l’ho detto. Nessuno può trovare Missingno, poiché
Missingno è sire e signore della Città dei Numeri, Missingno è l’essenza della
Città. Missingno è l’errore del giardino che non esiste, Missingno è ovunque,
poiché questo luogo è il giardino di tutti gli errori.”
“E va bene! Se è ovunque, allora ovunque io lo cerchi lo
troverò, se davvero desidera trovarmi lui stesso” esclamò Luisa con rabbia.
“Vattene al diavolo, stupido vecchio! Non ho bisogno di te. Troverò Missingno
da sola, senza il tuo aiuto.”
Il vecchio batté le palpebre sui ciechi occhi vacui senza
rispondere. Luisa lo guardò ancora per un momento con occhi carichi di spavento
e di disprezzo, e poi subito, incapace di resistere ancora, spiccò una corsa
attraverso il parco e la Città dei Numeri, e vide che tutto cambiava e mutava e
si sconvolgeva sotto i suoi piedi e attorno a lei, in cielo e nei menomati palazzi, e persino nelle
persone da cui si trovò attorniata e affollata ma che scomparvero dopo pochi
attimi mentre lei tra loro cercava Missingno.
Si sentì sola e sperduta. Ora non era più né notte né
giorno: tutto era grigio, e un’indefinita fonte di luce proiettava ovunque
ombre e sagome che parevano non ricondursi a nessun oggetto.
“Sei un vigliacco!”
“Hai troppa paura per affrontarmi, dopo avermi cercata per
tanti e tanti anni? Forse sono più forte di quanto avevi preventivato?”
“Sono più forte di te, eh, Missingno? Sono più forte di
te!”
“Più forte di te!”
Ma la sua voce s’infranse sul silenzio: Missingno non
rispondeva. I suoi fratelli non c’erano. Celebi era lontano, troppo lontano da
lei. Era sola, sola come non era mai stata. Si sentì molto spaesata, e molto
sola. Sentiva di essere in una regione del suo cuore nella quale non poteva
giungerle nessun conforto.
“Ci ha ingannati!” ruggì Argento, scagliandosi contro la
parete della grotta. “Ci ha ingannati come tutti gli altri!”
“Missingno non aveva promesso la verità” disse Lance con
profonda lentezza. “Siamo stati noi stessi a ingannarci, ma sapevamo che qui
avremmo trovato altre menzogne, ancora menzogne.”
“Ma deve essere qui” disse Argento. “È il luogo che persino
Celebi ci ha tenuto nascosto, è Missingno che ha avviluppato per anni
l’ambizione di Rosso. Certo, può non essere l’ultima verità, ma di certo ce n’è
una parte, e noi dobbiamo trovarla, perché Missingno ci ha voluti qui e c’è un
motivo, e noi dobbiamo scoprire quel motivo.”
“Va bene” disse Lance “Andiamo.” Aveva gli occhi foschi e
stanchi, come privi di ogni illusione. Forse non credeva davvero più che là vi
fosse la verità, neppure quel pezzetto che sosteneva Argento. Tuttavia Luisa
era scomparsa, non era con loro in quel momento. Va bene: bisognava cercarla,
lei se non il resto.
Uscirono dalla grotta. Si trovavano in alto, molto in alto,
su una montagna, forse: vi era una distesa di neve, ma non faceva freddo. Tutto
era lucente e molto, molto bello. L’orizzonte si stendeva ampissimo in ogni
direzione, bianco, verde e dorato, ma lontano vi era qualcosa di diverso,
contrastante, come un ammasso nero di oggetti e figure, molto alto, che
oscurava il cielo.
“Quella è la Città?” domandò Argento, indicando quell’oscura massa
indecifrabile. Ma Lance scosse il capo.
“No, Argento… non lo credo. Tutto, qui, è la Città dei
Numeri e tutto qui può mutare e adattarsi e capovolgersi… credo che lo scopo di
Missingno fosse quello di dividerci da lei, così da impedirci di aiutarla, così
da affrontarla da sola.”
Argento si morse le labbra. “Se Missingno non vuole che l’aiutiamo, non ci permetterà di
raggiungerla.”
Lance non rispose. Stava scrutando affannosamente l’ampia
distesa che si apriva sotto di loro: era ora cosparsa di una neve sottile e
grigiastra che sembrava quasi cenere. Ma non era la neve che gli interessava,
né la distanza di quell’imponente massa nera dalla montagna sulla quale si
trovavano: egli cercava di cogliere e trattenere con lo sguardo gli infinitesimali,
incessanti cambiamenti del paesaggio…
“Scendiamo” mormorò infine. “E dirigiamoci verso la massa
nera. Se Missingno non ci vuole, non ci farà arrivare in nessun luogo. Ma
poiché abbiamo deciso di cercarla, dovremo provarci nel solo modo in cui
possiamo farlo: andare là e chiamarla con tutte le nostre forze, se possiamo.
Anche se credo che sia così lontana da non poterci udire.”
Argento annuì. Anche il suo sguardo era fisso
sull’orizzonte, e il suo cuore anelava a trovarla.
Cominciarono a discendere l’alta montagna.
D’un tratto una forte voce decisa venne a scuoterla dal
profondo torpore nel quale la sua disperazione l’aveva sprofondata. Luisa si
riscosse bruscamente al suono di queste parole:
“Ti ho trovata, finalmente.”
La ragazza balzò in piedi, il magro tonico corpo tutto teso
e all’erta, con gli occhi che saettavano ovunque sulla piazza nella quale si
trovava.
“Missingno!” gridò con voce tonante e carica d’eccitazione.
“Dove sei? Fatti vedere se ne hai il coraggio, povero vecchio! E allora vedremo
chi è che sa di esistere qui!”
Ma d’improvviso la sua voce s’infranse. Ella si ritrovò a
rantolare, col petto costretto in una morsa di cui non vedeva l’origine…. Oh!
Avrebbe voluto gridare, parlare, persino pregare…
“Credi dunque tu che io abbia un corpo mortale come te?”
domandò la voce. Ma Luisa non poteva rispondergli. Ecco, pensò mentre le vie
del suo respiro si facevano, attimo dopo attimo, più strette e difficoltose:
essa si trovava a un passo dalla chiave dei misteri del mondo, ma un’entità la
stringeva forte, sempre più forte, e lei non sapeva più cosa scoprire… Provò ad
accennare col capo che no, non lo pensava, come avrebbe potuto pensarlo?
“Missingno non ha corpo mortale e fragile, Prescelta
Creatura… Missingno è fin troppo perfetto” soggiunse poi, e d’un tratto quella
voce le parve, quasi, umana…
La morsa si allentò improvvisamente e Luisa cadde a terra
con un tonfo secco, mentre il suo respiro si faceva di nuovo ampio e affannato.
Col respiro, essa si sentì tornare di nuovo tutta la sua aggressiva tracotanza.
Gridò: “Tanto perfetto che vivi in una
città di errori!”
“E non ti piace, forse?” disse di nuovo la voce,
stringendola ancora; ora Luisa pensava solo a come liberarsi di Missingno…
“Questo non è solo il posto che tu credi.”
“E che posto è?” domandò la ragazza. “È un posto in
continuo mutamento, è un posto orribile, in cui nessuno sa neppure di
esistere…”
“Ah! Non capisci tu, dunque, perché nessuno qui è ben certo
di esistere?” le domandò Missingno. Luisa guardò verso l’alto, sebbene non sapesse
con precisione da dove provenisse quella voce.
“Credi tu forse che altro non sia questo luogo in cui tu
osi avventurarti che una sorta di altra dimensione? No, piccola Prescelta:
questa Città non è che l’espressione materiale del mio potere…”
“Ma perché nel mio mondo?” domandò Luisa. Avrebbe preferito
non chiedere. La risposta fu: “Perché qui esisti tu.”
La forza si sciolse definitivamente. Luisa cadde a terra
per la seconda volta, ma sebbene le mancasse il respiro, balzò di nuovo in
piedi. Gridò: “Che cosa intendi dire?”
Ora Missingno le parlò di nuovo, ma senza stringerla, come
dal suo fianco. Solo la sua voce pareva ancora opprimere e soffocare la sua
mente…
“Tutto l’universo esiste in virtù della mia volontà. Ma la
Città dei Numeri esiste sin dal giorno in cui ordinai la tua venuta, dall’epoca
della Grande Pioggia…dalla discesa delle mie creature.”
Ora Luisa si sentiva girare la testa, e non capiva, ma non
era stavolta il potere di Missingno né la potenza della sua voce: era la forza
delle sue parole.
“Fatti vedere” mormorò. Aveva gli occhi pieni di lacrime e
non aveva nulla da guardare. “Ti prego, fatti vedere.”
“Desideri vedermi?” domandò la voce.
“Ti prego” singhiozzò Luisa. Mentre parlavano, l’Universo
nel quale si trovavano pareva aver perduto i propri colori: ella ancora
scrutava la piccola piazza, ma come da una grande lontananza.
“Non posso aiutarti. Non ho forma né corpo visibile o
tangibile, poiché troppo grande è la mia stessa esistenza perché possa essere
limitata da un corpo materiale: sono già tutto quello che stai guardando, la
voce che stai udendo, l’aria stessa che stai respirando, e ciò deve bastarti.”
Luisa chinò mestamente il capo con arrendevolezza. Ma poi:
“Voltati e guarda” disse la voce, e Luisa si girò immediatamente e tutto perse
aspetto, perse significato: vi era un Universo bianco intorno a loro, e solo un
confuso alone nero spiccava nel vuoto… con voce tremante, Luisa balbettò: “Non
capisco. Mio padre è il Signore del Cielo e del Tempo, è sire e signore
dell’Universo… e tu…”
“Sono ciò che vedi, e molto di più” disse Missingno.
“Finiscila ora! Dimmi la verità!” gridò Luisa con tutte le
forze che aveva. Proseguì: “Mio padre ha creato l’Universo. Tuttavia egli non
sa spiegarsi la sua esistenza. Chi sei tu? Come puoi esistere contro la sua
volontà? Sei forse più potente di lui?”
Missingno rispose: “Sono molto più potente di lui.”
“Ma non può essere vero!” singhiozzò Luisa, poiché anche
quella verità andava sfaldandosi sotto i suoi occhi, sotto i suoi piedi. Gridò:
“Non è vero!” e lo gridò con un ardore tale che l’universo stesso nel quale si
trovavano ne parve scosso fin nelle profondità.
“È la verità, piccola Prescelta. Io sono Colui che creò
sire Celebi all’inizio dei tempi, sono Colui che dietro i suoi occhi guardò
l’Origine del Cosmo… io sono Missingno, la divinità suprema.”
“No!” esclamò Luisa con decisione. “No, non è vero! E se
anche fosse vero, tu saresti un’orribile divinità, capace di creare una
dimensione spaventosa come questa… capace di condannare la vita di un ragazzo,
aizzando la sua ambizione già bruciante…”
“Tutto rientra in un piano divino il cui senso ancora ti
sfugge” disse Missingno con calma. Con aria di sfida, Luisa sogghignò quasi
contro quell’entità e disse in tono provocatorio: “Spiegamelo!”
Ma non aveva ancora richiuso la bocca dopo quest’ultima
sfida che già il mondo pareva mutato: ella si trovava in un immenso spazio
deserto, nero ma rischiarato da luci lontane. Missingno parlò dalle sue spalle.
“Vedi? Siamo indietro, molto indietro nel tempo… questo è
il regno sul quale impera tuo padre, sire Celebi, che è sire dell’Universo ma
per mia volontà. Guarda laggiù, lontano! Che cosa vedi?”
Luisa guardò lontano dove sentiva che Missingno voleva che
guardasse: vide come una grande agitazione, sebbene fosse qualcosa che si sentiva
piuttosto che si vedeva…
“Che cos’è?” domandò con gli occhi infissi in quel caos
primordiale… quel pensiero la scosse come un fulmine. Si voltò e percepì
l’assenso di Missingno.
“È così, è l’origine del mondo, è l’atto
della Creazione: è tuo padre sire Celebi che, credendo di essere solo e unico
nell’Universo intero, crea un suo piccolo mondo e un suo miserabile universo
sconfinato, ma che neppure ricorda la vastità immensa del mio potere…”
Era così, era finita. Le spalle di Luisa
s’incurvarono del peso immenso della verità e della menzogna. I suoi occhi si
erano fatti grandi, enormi di dolore, e in essi si rifletteva il cielo del
giorno della Creazione.
“Va bene” disse quasi senza voce. Era
finita. “Hai mentito anche a mio padre. Gli hai lasciato credere di essere una
divinità… e lo era, ma c’eri tu dietro ogni sua azione. Tu lo hai creato, hai
creato il suo potere per divertirti a guardarlo creare e affannarsi in un mondo
pieno di menzogne tali che neppure lui era capace di…”
“Non hai compreso le mie ragioni” disse
la voce di Missingno. Luisa si sentì afferrare e stringere, scossa nel
profondo: le sue labbra tremarono ed essa non riuscì a parlare. “Non era
divertimento il mio. Credi tu che fosse il divertimento la ragione di un
Universo nato in migliaia di secoli?”
“E dimmi, dimmi allora cos’era!” gridò
Luisa scuotendosi, divincolandosi, strappandosi al suo potere. “Tu hai
ingannato mio padre, tu! Tu ci hai ingannati tutti, ogni singolo essere vivente
sul mio pianeta… dimmi, se non era per divertimento, perché l’hai fatto!”
“Non lo capisci dunque?”
Per l’ennesima volta quella forza si
sciolse attorno a lei ed essa rimase immobile, tremante, ansimante, cogli occhi
colmi di lacrime. Respirando profondamente, disse: “No, non lo capisco.
Spiegamelo, poiché io non lo so.”
Per lunghi, incalcolabili momenti il
silenzio l’avvolse come una caligine, ed ella poté percepire distintamente il
battito del proprio cuore palpitante. Poi, finalmente, cominciò a udire in
qualche regione lontana in fondo alla sua mente la tremenda voce di Missingno,
lontanissima dapprima, poi, lentamente, più nitida e forte.
“Io sono l’essere supremo, io sono
Missingno, creatore dell’Universo e del Tempo, della vita e dell’esistenza
stessa, ma soprattutto creatore di Celebi. Egli è figlio del mio potere, figlio
della mia volontà; egli ha, come me, un potere infinito, che è tuttavia
infinitamente piccolo rispetto al mio… sì, Celebi avrebbe potuto, assieme a me,
governare l’Universo, se solo avesse voluto cercare, indagare… se solo avesse
mostrato il suo coraggio, la sua pulsione alla vita… se solo avesse,
liberamente, scelto di voler sapere chi lui stesso fosse, se fosse proprio così
come credeva lui, di non essere stato generato da nessuno…”
Con indicibile sforzo, Luisa balbettò: “Tu
non hai…”. Non sapeva neppure lei cosa voleva chiedere, e anche se l’avesse
saputo, come chiederlo.
“Io non ho? No, piccola Prescelta: io ho
generato un essere che come me fosse libero, libero di comprendere e di
scegliere: scegliere se indagare le cause della sua vita o meno, scegliere se
cercare la verità o meno… e Celebi, libero com’era, ha scelto, ma ha scelto di
non cercare, di non indagare, di non comprendere e sapere. Nulla io ho fatto
per distoglierlo dalla sua decisione, per non interferire colla sua infinita
libertà: e ho continuato a osservare la sua Creazione, ho visto nascere e
svilupparsi un suo piccolo mondo miseramente infinito nella sua varietà, ma
ahimè, sempre irrimediabilmente condannato dal timore nel quale Celebi viveva
avviluppato, non per sua colpa, ma di certo per sua scelta; voi stessi, figli
di Celebi tutti, umani e Pokémon, vivevate in un mondo pieno di misteri
insondabili, inesplorabili, che nessuno faceva nulla per sciogliere, e quei
pochi che lo facevano venivano esclusi e condannati o, al contrario, venerati
come divinità o eletti proprio in virtù di qualcosa che a quasi nessuno era
dato sapere: eravate predestinati a una vita d’ignoranza e di mistero, proprio
perché Celebi, che aveva commesso l’errore di aver paura, vi aveva generati a
propria immagine e somiglianza!… proprio tu, figlia di Celebi, che per anni non
hai conosciuto neppure il nome di tuo padre, di più, neppure la tua stessa
identità hai considerato la Città dei Numeri, mera estensione materiale del mio
potere, un luogo orribile nel quale nessuno sapeva neppure di esistere…”
Luisa rimase sbalordita a quelle parole.
Vi era una verità nascosta nelle sue parole? Non sembravano poi tutte bugie…
doveva dunque credere alla verità di Missingno? Era paralizzata. Balbettò: “Hai
amato mio padre?”
Sentiva che la sua era una domanda
importante, fondamentale; che dalla sua risposta essa avrebbe saputo chi
veramente era Missingno e chi sarebbe stato per lei.
La risposta fu: “Se non l’avessi amato,
non l’avrei lasciato scegliere. Ma l’ho amato tanto da non volerlo obbligare a
sapere contro la sua volontà.”
“Tuttavia, ho voluto egualmente provare a
salvarvi dalla vostra predestinazione: ho inviato sulla Terra gli Unown,
creature che Celebi non aveva volute e generate, perché si scuotesse, perché
trovasse il coraggio d’indagare il loro mistero: sarebbe bastato così poco per
ottenere la salvezza di tutto il vostro mondo! E tuttavia, neppure questo è
servito: Celebi non ha trovato altro coraggio che di rinchiudere quelle
creature, spaventato dal loro mistero. Tutti voi eravate condannati
all’oscurità…”
“È stato allora che ordinai la tua
venuta: l’ultima speranza di salvezza e liberazione per il tuo popolo, una
creatura che trovasse il coraggio di scendere qui, di affrontare il mio potere,
d’indagare le ragioni del mondo, una creatura, finalmente, che affrontasse la
paura di conoscere; che, essendo divina, potesse redimere il mondo assolvendo
il peccato di suo padre…”
D’un tratto tutto fu chiaro, tutto fu
lampante. Luisa si sollevò e gridò: “Tu non mi hai obbligata a venire qui! Non
è vero? Non mi hai costretta!”
“Vedo che cominci a capire. No, non ti ho
costretta, non ti ho obbligata: ti ho chiamata.
Ma tu eri libera, esattamente come tuo padre, di scegliere e dunque di
scegliere se, rispondendo alla mia chiamata, venire qui, o se ignorare la mia
voce condannando così, pur non sapendolo, tutto il tuo popolo…”
“E tu, piccola Prescelta, hai scelto. Hai
scelto liberamente di ascoltare le parole di Rosso, di sfidare il volere e la
paura di tuo padre, di tuffarti nella voragine di un vulcano. Hai scelto così,
senza saperlo, di salvare il tuo mondo: se tu l’avessi saputo, il tuo gesto non
avrebbe avuto più alcun valore, poiché non sarebbe stato coraggioso, ma eroico;
e io mi aspetto un popolo di eroi, né umani né Pokèmon, ma un popolo che
liberamente possa alzare gli occhi al cielo e scrutare le ragioni della vita e
della propria esistenza, indagare i misteri del suo mondo… non più costretto a
tenere infisso al suolo uno sguardo ottenebrato dalla paura. Capisci dunque?”
Sì. Era incredibile, era terribile,
eppure Luisa capiva perfettamente. Tutto le era ora chiaro, evidente, lampante;
eppure infinite domande le si affollavano alle labbra, domande che, avendone il
tempo, avrebbe posto senza neppure riflettervi sopra.
“Per quale motivo hai scelto Rosso?”
Era la prima domanda, la più importante:
sentiva in fondo al proprio cuore di dovergli riportare, dall’abisso nel quale
egli l’aveva spinta, almeno quella risposta.
“Egli rientrava nel mio Piano divino.
Bisognava che tu venissi a sapere di questo posto; e che lo sapessi da qualcuno
che vi era stato, che ne era impazzito, che per nessun motivo al mondo vi
sarebbe tornato… da qualcuno che ti mettesse liberamente in grado di scegliere
se venirci o no. Ho scelto Rosso perché già la sua ambizione ardeva follemente,
tanto che facilmente avrebbe dato ascolto alle mie parole e ai miei ordini; e
perché maggiore potesse essere la sua ricompensa, dopo. Rosso era necessario al
mio piano divino, essenziale come e quanto la Città stessa; ma la sua vita ora
non mi appartiene più, e ora essa prospererà ed egli sarà felice, colla mia
benedizione, se vorrà esserlo.”
Luisa si guardò affannosamente attorno,
come cercando di scegliere tra quelle infinite domande che lottavano per essere
poste: percepiva in qualche modo di non aver molto tempo.
“Se lo scopo di questa Città era questo,
ora che fine farà?”
“La Città dei Numeri non era che
un’estensione materiale della mia volontà. Non avrà ora più senso la sua
esistenza, ed essa scomparirà insieme al mio desiderio di attrarti qui: la cima
del vulcano non attrarrà più nessuno.”
Ecco, ecco quella sensazione di non aver
più tempo! Luisa si guardò ansiosamente intorno: tutto cambiava, mutava
vorticosamente, di quei piccoli cambiamenti infinitesimali che si faceva fatica
a cogliere ma che ora s’inseguivano vorticosamente…
“Sta già scomparendo” confermò Missingno
con calma. “Ma non temere… non accadrà nulla: tra poco ritroverai i tuoi
fratelli, che ho tenuti lontani perché tu potessi affrontarmi da sola; e tra
poco ritroverai anche me, se lo vorrai.”
Qualcosa nell’aria cominciava a vibrare
violentemente, a tremare, e Luisa si rese conto che il suolo sul quale si
trovava in piedi tremava a sua volta scuotendola: ora non vedeva niente, si
sentì persa nel buio, come durante un terremoto, e gridò: “Aspetta! Aspetta,
per favore! Mio padre…”
Ma Missingno non le rispose. Luisa si
sentì disperatamente sola e sperduta, incapace di muoversi e reagire, mentre il
suolo sul quale si trovava pareva sprofondare; e d’un tratto si sentì
precipitare in acqua fredda e salata, cacciò un grido…
Cominciò a nuotare affannosamente, alla
cieca, dando grandi bracciate annaspanti e ansimanti: non vedeva nulla, non
sentiva nulla, se non il suono angosciante delle onde che la percuotevano e
l’attorniavano, sballottandola senza sosta né tregua… dov’era? Dove avrebbe
trovato i suoi fratelli, Missingno…?
Ma d’un tratto la sua mano toccò nel buio
un’altra mano cui aggrapparsi, ed essa vi si afferrò con foga, con rabbia, con
disperazione…
“Luisa!”
Era la mano di Lance! D’un tratto i suoi
occhi tornarono a vedere, ed essa vide Lance che con tutte le sue forze
lottava, sporgendosi dalla scogliera dell’Isola Cannella, per sollevarla e
tirarla a sé. Cercò disperatamente di aiutarlo, di puntare i piedi contro le
dure rocce della scogliera e di sollevarsi, ma si sentiva mancare le ginocchia
e le suole delle sue scarpe scivolavano inutilmente sugli untuosi strati
d’alghe sottomarine. Ma dopo pochi momenti Argento apparve sopra di lei e
afferrò con forza le sue spalle, e assieme riuscirono a issarla sulla
scogliera.
Luisa rimase immobile e ansimante semidistesa
al suolo, respirando grandi boccate d’aria fredda. Era notte. I suoi abiti le
si erano attaccati addosso, bagnati e gocciolanti, ed essa provò brividi di
freddo al primo movimento. Ma subito Argento s’inginocchiò accanto a lei, le
tolse la giacca, le pose sulle spalle il suo vecchio giubbotto nero: Luisa vi
si strinse ansiosamente.
“Come potete trovarvi qui? Che ci fate
qui?”
“Missingno ci ha ingannati” disse
tetramente Lance. “Non ha fatto che portarci qui. Dopo aver camminato per ore,
ci ha riportati al punto di partenza.”
Luisa scrutò silenziosamente i loro volti
pallidi e angustiati e disse a bassa voce: “Missingno non vi ha ingannati.
Missingno non ha ingannato nessuno.”
Le sue parole furono per loro una
rivelazione. Lance si accovacciò al suolo di fronte a lei e domandò: “Che cosa
intendi dire?”
“Quello che ho detto. Ho affrontato
Missingno e… ora so qual è la verità, Lance. Ho trovato la chiave dei misteri
del mondo.”
Ma Lance e Argento si scambiarono
un’occhiata sardonica. Luisa li guardò con occhi colmi di perplessità ed
esclamò: “Cosa c’è? Che succede?”
“Vieni. Alzati” le disse Lance, e
tirandola per la mano appena si fu alzata a fatica la trascinò a pochi metri di
distanza, da dove si poteva meglio vedere, aldilà delle possenti fiancate del
vulcano, la regione di Johto…
“Vedi qualcosa?” domandò Argento dalle
sue spalle. “Qualcosa di strano, qualcosa che prima non c’era…?”
Luisa socchiuse gli occhi per scorgere
qualcosa, attraverso il buio e la lunga distanza… non vi era forse un’oscura sagoma
che si elevava al di sopra delle città, al di sopra delle cime delle montagne…?
“È una torre” mormorò Lance con voce
cupa, rispondendo ai suoi dubbi. “Abbiamo potuto vederla prima che il sole
calasse del tutto; tuttavia pare che ancora nessuno se ne sia accorto. Non è
forse uno dei malefici di Missingno? Per quel poco che abbiamo visto, crediamo
che sia sorta vicino, se non addirittura sopra le Rovine d’Alfa…”
“Una torre…” ripeté Luisa, scrutando
fissamente quella sagoma: le Rovine d’Alfa… ma forse…
D’un tratto saltò quasi come una bambina,
gettando a terra la giacca di Argento: le brillarono gli occhi. “Ho capito,
finalmente” esclamò ridendo. “Ho capito tutto! Oh, dobbiamo partire, andare là,
presto… andiamo! Vi spiegherò tutto… oh, ora mi è davvero tutto chiaro!”
“Luisa!” esclamò Argento afferrandole le
braccia “Cosa ti è chiaro? Di che stai parlando?”
Ma Luisa aveva la sensazione di
scoppiare: “Andiamo! Andiamo! Ve lo spiegherò volando…oh, ma andiamo!”
esclamava cercando di tirarli a sé. Aveva capito! Aveva finalmente capito!
Via via che volavano furiosamente,
fendendo l’aria, verso le terre della regione di Johto, Luisa raccontò
concitatamente loro le parole di Missingno, la sua rassicurazione, la
liberazione che da lui si poteva attendere… ma Argento e Lance non parevano
convinti delle sue parole e la guardavano perplessi, indecisi.
Giunsero in vista della Torre, dell’alto
edificio svettante fin quasi alle nuvole. Tuttavia nessuno pareva sorpreso,
attonito, sconvolto: quei pochi mortali che ancora passeggiavano lungo le
strade notturne parevano non scorgere nemmeno la sua mole immensa…
“Missingno li ha forse acciecati?”
domandò Argento, scrutando quelle rare figure che si muovevano al suolo, senza
vedere, senza agitarsi… ma Luisa scosse il capo con decisione: era certa di ciò
che stava per dire.
“No, so cosa vuol fare Missingno. Ho
capito qual è la verità” disse semplicemente.
I loro Pokémon s’impennarono per poter
risalire la statura della Torre: Luisa sentì che l’aria le fustigava il viso, i
capelli umidi, i vestiti ancora bagnati e aderenti al corpo e si sentì tremare
e rabbrividire. Ma non c’era tempo di scaldarsi un po’, di asciugarsi: Luisa
voleva vedere, voleva sapere…
Ecco, ecco l’elevata cima della Torre! I tre
ragazzi balzarono giù dai loro Pokémon. Era deserta.
“Perché ci hai portati qui?” mormorò
Lance, scrutandosi attorno con aria triste e rassegnata. “Siamo soli, come
vedi. Siamo…”
“No” disse Luisa con foga, afferrandolo. “Sta
arrivando mio padre. Missingno è già qui – Missingno è ovunque. Non lo
percepisci?”
“No” rispose Lance. Le sorrideva, ma di
quel sorriso rassegnato e stanco, infelice.
Tuttavia nulla, nulla poteva far crollare
la fiducia instancabile di Luisa: tutto era chiaro e lampante, evidente alla
sua mente e presto lo sarebbe stato anche a quella dei suoi fratelli. Un attimo
dopo, come a confermare il suo pensiero, Argento sollevò lo sguardo e mormorò: “Lance,
ha ragione. Sta arrivando Celebi.” E guardando Luisa le domandò direttamente: “Affronterà
Missingno?”
“No” disse Luisa “Non credo. Ma aspetta! Stiamo
a guardare.”
Gli occhi di Argento avevano visto
giusto: proprio Celebi volava verso la cima di quella Torre, li raggiungeva, li
sfiorava passando… tuttavia li vide a malapena. I suoi occhi erano grandi e
infissi in quel cielo vuoto in cui forse neppure lui vedeva qualcosa, e nel
quale tuttavia percepiva una potenza immensa che non aveva mai indagato…
“Sono qui” disse, e la sua voce parve a
Luisa infinitamente possente ma stanca, rassegnata, mortificata. “Sono qui
adesso. Non ho paura affatto. Voglio la verità.”
E d’improvviso l’aria si riempì della
voce infinita di Missingno: era una voce che non proveniva da nessun luogo, da
nessuna direzione, ma permeava l’aria stessa che respiravano. Missingno era quella voce stessa, essa era, come
la Città dei Numeri, nient’altro che una mera espressione materiale del suo
potere.
Disse: “Ora lo sai. Sai già tutto senza
bisogno che te lo dica, e liberamente, libero esattamente come sei sempre
stato, puoi farne ciò che vuoi.”
“Sì, so tutto” disse Celebi. Aveva la
voce infranta, spezzata: era finita. Egli sapeva tutto ciò che aveva sempre,
per paura, voluto ignorare. Accennò col capo alla figlia e mormorò: “Solo per
questo hai creato la sua vita? Perché potesse sciogliere il mistero?”
“Celebi” disse Missingno, e tutto parve
vibrare della sua voce “Io ho creato un essere che come te avesse tutti i
poteri del mondo e che insieme fosse fragile quanto tu eri, e molto di più,
poiché mortale quale tu non sei. Essa, come te e come ogni mortale, aveva la
libertà: e l’ha usata per scoprire la verità. Oggi essa ha davvero redento l’umanità
col suo coraggio: si scioglie finalmente il destino degli uomini, che tu col
tuo errore e peccato avevi legato e avvinto, e da oggi in poi ciascuno avrà una
libertà immensa. Non vi sarà più una Prescelta Creatura, ma il canto divino
morirà con Luisa, ch’è veramente divina e degna: più nessuno sarà schiavo di un
fato prestabilito, ma ciascuno sarà veramente libero, finalmente, di trovare la
propria strada verso la felicità. E dunque questo è il mio grande, ultimo,
unico dono per il tuo popolo: la tua libertà e con esso la sua felicità.”
Luisa aveva ascoltato le parole di
Missingno col cuore palpitante d’angoscia e colle mani strette in quelle dei
suoi fratelli: percepiva, dalla sola stretta di quelle loro mani, ch’essi
avevano compreso, che non erano più scettici e perplessi, increduli: che percepivano
l’immenso potere, ma soprattutto l’infinita bontà, di Missingno.
D’un tratto, immerso in quella voce,
Celebi chinò il capo, umile come fosse un mortale, e mormorò:
“Perdonami.” Ma Missingno rispose: “No,
Celebi. Non hai peccato che di paura; e ora il sangue del tuo sangue ha salvato
un mondo che la paura attanagliava come una malattia. Ma tua figlia ha trovato
il coraggio che per troppi secoli ti è mancato, e il tuo mondo, adesso, è
salvo.”
“Luisa” soggiunse poi; ma nel pronunciare
il suo nome la sua voce non era più avvolgente e soffocante “Il tuo coraggio ha
salvato un mondo intero: tu hai finalmente ripagato la mia attesa, poiché per
troppi secoli ho atteso la venuta del tuo coraggio: siine ora fiera, perché con
la tua discesa nell’abisso, hai salvato il mondo intero.”
“Non ero sola” disse Luisa con calma. “I
miei fratelli hanno avuto il mio stesso coraggio, per una decisione che prima
di tutto era mia.”
“E non sono forse essi tuoi fratelli e
degni quanto te?” domandò allora Missingno.
“Che ne sarà di questa Torre?” domandò
ancora Luisa. “Mi accorgo bene che per tua volontà nessuno può vederla. Ma…”
“Hai capito” disse Missingno. “Più nulla
dovrà essere nascosto, tutto sarà accessibile, Piccola Prescelta, a chi vorrà
sapere, a chi vorrà conoscere. Questa Torre, di cui gli Unown avevano predetto
l’edificazione, resterà qui, come simbolo di una nuova Età dell’Oro, dell’ascesa
di un’era di Missingno. Ben presto questa Torre si mescolerà al paesaggio, e
umani e Pokémon potranno vivere nelle sue profondità e, se lo vorranno, scalare
la sua maestosità, cercare qualcosa di cui forse ancora neppure sanno di aver
bisogno…”
“E di te?” chiese allora Luisa, con aria
quasi di sfida: ma sorrideva, come conscia della sciocchezza della sua domanda.
“Che ne sarà di te?”
“Tornerò a essere sire e signore di un
regno, che stavolta esiste ed è tangibile” rispose Missingno, con voce
incredibilmente calma e serena, che mal si conciliava col ricordo che tutti di
lui avevano, quello di sire e sovrano, sì, ma di un regno di caos.
“È finito per voi il supplizio, è finito
per voi il buio, è redento il peccato originale: si aprirà da quest’alba un’età
d’oro di luce e libertà, e le vite che si sono ingannate perché io potessi
realizzare il mio Piano prospereranno; finalmente il sole splenderà su di voi,
figli miei, figli di Missingno, e sulla vostra felicità.”
Ecco
qui, finalmente. È questo l’ultimo dei pochi capitoli della parte di questa
storia che riguarda Missingno e gli Unown, e devo dire che sinceramente mi
soddisfa non poco, forse scioccamente. Certo, non credo proprio che sia il
finale che tutti si aspettavano; eppure non so come mi pare di essere riuscita
a conciliare tutto ciò che era rimasto di sospeso o di incongruente- e in un
modo che a me non dispiace affatto.
Comunque,
conto di postare, entro breve (credo e spero) un piccolo capitoletto per
rispiegare più chiaramente i concetti espressi qui e qualche piccolo dettaglio
lasciato in sospeso – la Torre per esempio- e anche per ricollegarmi più
facilmente alla prossima spin off che ho già in preparazione. Tratterà ancora
della coppia di Rosso e di Blu, ma non solamente: ho del materiale che mi
soddisfa molto su Giovanni, che, ho scoperto, è il mio personaggio preferito
assieme a Rosso. Al 90% il titolo sarà Paternità
o qualcosa di simile.
Detto
questo, che dire? Ringrazio quei pochi anonimi giunti fin qui, ammesso che
ancora ve ne siano, e vi saluto caramente.
Afaneia