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Autore: reb    05/09/2013    4 recensioni
Prima non ci aveva fatto caso per via del buio, ma era carina. Con quella pelle chiara e le lentiggini sul naso. Poi occhi così non ne aveva mai visti.
-Perché non togli il cappello?- chiese curioso il bambino – Hai le orecchie a punta? O magari come un gatto?-
-Hai i capelli rossi!-
[... ...]
Perché quella bambina conosciuta tanti anni prima, che per i primi mesi si era aggirata curiosa per il castello con la sola compagnia di Mocciosus, adesso era diventata non solo bellissima, ma anche popolare. E tutti, tutti dannazione, non facevano che girarle intorno.
Eppure avrebbero dovuto saperlo che Lily Evans era territorio proibito!
-Eeevaans?- esclamò ancora vicino alla carrozza.
-Esci con me, Evans?-
Era talmente presa dai suoi pensieri che nemmeno l’aveva visto avvicinarsi. -Quante volte devo dirti di no, Potter, prima di farti capire la mia risposta?-
-Tante quante io ne impiegherò per convincerti a darmi una possibilità.- rispose serio lui.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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A Sirius Black piaceva correre. Era un fatto noto a tutta la scuola, che spesso l’aveva osservato trascinarsi alle ore più inconsuete e con i climi più disparati nel parco solamente per poter correre per un’ora o due. Molte ragazze avevano pianto lacrime amare, dopo aver scoperto che il loro beniamino dagli occhi cerulei non avrebbe mai dato loro l’opportunità di ammirarlo svolazzare su una scopa durante una partita di Quidditch, ma si erano consolate in fretta, intorno al quinto anno, di fronte alla reale possibilità di poterlo osservare con ogni agio quasi tutte le mattine per quel così inusuale passatempo.
A Sirius Black piaceva correre. Così come adorava mangiare carne al sangue e spaventare a morte Mrs Purr, la malefica gatta del custode.
James, che aveva studiato attentamente quei comportamenti da che erano comparsi al quinto anno, riconduceva il loro contemporaneo manifestarsi alla trasformazione in Animagus che avevano completato proprio in quel periodo. Con lo stesso tono di un eminente scienziato, infatti, era arrivato a formulare la teoria che l’alter ego canino del suo migliore amico avesse finito col contagiare il suo comportamento umano.
Remus, più prosaicamente e con decisamente meno tempo a disposizione da sprecare in siffatti passatempi, riconduceva il tutto a una semplice constatazione. L’anima bestiale di cui il ragazzo era sempre stato in possesso, lottava per venire fuori nei modi che le erano più congeniali. Comportandosi da animale anche quando era umano, insomma.
Quale delle due teorie, entrambe ovviamente degne di nota, fosse quella esatta, il giovane Black non lo sapeva, ma in tutta verità nemmeno se ne curava troppo. Sapeva solo che quelli erano aspetti del suo modo di essere e che, per tanto, bisognava conviverci. O meglio, gli altri dovevano farlo. Lui era perfettamente a posto con se stesso, da non doversi considerare un problema.
Non aveva mai messo in conto, però, che queste particolarità si sarebbero potute ampliare nei momenti meno opportuni. Come quello che stava vivendo in quel momento, ad esempio, e che gli faceva sentire forte e impellente l’impulso di ringhiare.
Ringhiare, come faceva sotto le spoglie di Felpato, infatti, gli sembrava la soluzione migliore, nonché la più efficace, per esprimere al meglio la propria frustrazione.
James ne sarebbe stato deliziato, quando gli avesse raccontato che la famosa, sopracitata, lista era in procinto di ampliarsi così piacevolmente.
Ma l’assoluta, durissima, verità era quella e quella soltanto.
In quel momento, avrebbe voluto solamente ringhiare. Per amor di precisione, in faccia al suo adorabile fratellino.
Magari sarebbe riuscito a smuovere quell’irritante smorfia infastidita che campeggiava sul quel volto così simile al proprio e che era stata messa su nel preciso momento in cui era riuscito a mettere all’angolo Regulus e costringerlo così al confronto.
Dopotutto il più giovane non era l’unico, a sapersi muovere su quella scacchiera. Lui, Sirius, era bravo quanto il fratello a nascondersi tra le ombre come se il suo corpo fosse composto dalle stesse, se se ne presentava la necessità.
Orion Black, il suo onoratissimo padre, aveva insegnato al primogenito tutti i trucchi di cui ogni Black, ogni Purosangue, prima o poi, avrebbe avuto bisogno, e solo in seguito aveva condiviso quelle conoscenze anche con il figlio minore. In fin dei conti era dovuto correre ai ripari, quando l’evidente inadeguatezza di Sirius era venuta fuori e Regulus era diventato l’unico e adeguato erede.
I ragazzi, in tempi diversi e con spiriti opposti, avevano così appreso la sottile arte di nascondersi tra le ombre, fino a rendersi quasi invisibili, a muoversi con agio in ogni situazione della società bene magica, a svelare inganni e intesserne di ancora più complicati. Ma, soprattutto, avevano imparato che l’intimidazione e la volontà nel non voler creare scandali, erano due forze che, da sole, avrebbero potuto muovere il mondo.
Eppure se suo padre avesse saputo che Sirius stava usando quegli insegnamenti per avere ragione dell’ormai unico erede Black rimasto, da che l’altro era stato perfino incenerito sull’albero genealogico di famiglia, non sarebbe certamente stato orgoglioso di scoprire quanto bene, il figlio, avesse primeggiato nel suo addestramento.
Ma Regulus, una volta resosi conto delle intenzioni del fratello maggiore, l’aveva reso necessario.
Jamie non sarebbe stato d’accordo, ma per battere una serpe, c’era bisogno di esserlo a propria volta. E così il ragazzo aveva ricercato reminescenze passate e si era adeguato alla situazione creatasi, o non sarebbe riuscito a parlare con l’altro nemmeno dopo anni di pedinamenti o con un’ingiunzione scritta del Wizengamot. E già con quei subdoli espedienti, aveva impiegato giorni, per trovarlo da solo.
Si era fatto furbo, il fratellino, pensò sarcastico Sirius, stringendo la presa sulla divisa dell’altro. Non che temesse davvero in una fuga improvvisa, Regulus era il tipo che evitava i confronti indesiderati qualora si profilassero all’orizzonte, ma non era certo un codardo.
Conosceva l’onore, Regulus. Non c’era un singolo evento, del loro comune passato, che gli avesse mai fatto pensare il contrario. In quello erano simili. Erano simili nell’essere diversi dai propri genitori. Onore, per loro, significava qualcosa di diverso dal non urlare al mondo quanto puro fosse il loro sangue.
-Volevi parlarmi, fratellone? Bastava chiedere, siamo tra gentiluomini, dopotutto. Quest’imboscata non era affatto necessaria.- gli disse ironico il ragazzo, senza accennare a muoversi per liberarsi dalla stretta ferrea del maggiore.
Fratellone. Lo chiamava sempre così, quando voleva prenderlo in giro fino a farlo esplodere.
Di nuovo, Sirius, sentì prepotente la voglia di ringhiargli addosso.
Prima o poi l’avrebbe beccato, camminare da solo per un corridoio, e allora si sarebbe trasformato e tolto la soddisfazione.
-Strano, visto che sono giorni che eviti perfino la mia ombra.- si limitò a rispondere con tono pregno di sarcasmo amaro.
Regulus, di rimando, gli fece un vago sorriso, che fu tutta la replica che reputò di dovergli concedere.
Piccolo bastardo, pensò Sirius con gli occhi che mandavano lampi.
Il sorrisetto del più piccolo aumentò appena, sapendo perfettamente quanto l’altro ragazzo si stesse sforzando, per controllare l’irritazione che lo incendiava.
-Sono semplicemente impegnato. Non tutti ritengono di poter spendere il loro tempo in inutili vagabondaggi per la scuola, progettando scherzi discutibili e in compagnie ancora peggiori.- rispose alla fine il più giovane dei Black –Quanto tempo avete sprecato, esattamente, per incantare tutti i calderoni affinché esplodessero, fratellone?- chiese poi.
Sirius, che insieme a James aveva assistito soddisfatto alla riuscita del loro piano, con gli occhi sempre più lucidi dopo ogni esplosione ai danni dei verde-argento, era particolarmente orgoglioso della vittoria conseguita appena un paio di giorni prima, dello stesso sviscerale orgoglio che una madre sente per il proprio figlioletto adorato, e si sentì particolarmente piccato da quell’osservazione.
Eppure, ancora grazie agli insegnamenti del padre, sapeva riconoscere una digressione quando gli veniva ricolta e, invece di lasciarsi distrarre dallo sdegno che gli era nato dentro, decise di attaccare a sua volta.
-Occupato, dici. È strano, sai, perché hai comunque trovato il tempo per una fitta corrispondenza, culminata in un incontro, con qualcuno esterno alla scuola ed estremamente sospetto. Non credi di poter trovare almeno un po’ di tempo per me? Sono tuo fratello, dopotutto.- gli disse con tono svagato, come se davvero credesse a quello che gli stava dicendo.
Avrebbe soltanto voluto scuoterlo e tirargli fuori la verità, fino all’ultima goccia.
Chiedergli dell’incontro con Piton, di cosa esattamente avesse da spartire con uno come lui. Di cosa volessero dire le frasi sibilline che le ragazze avevano riferito. E, soprattutto, avrebbe voluto sapere dei suoi progetti futuri, se davvero avesse intenzione di farsi marchiare come una bestia da un pazzo assassino per un distorto ideale.
-Non so di cosa tu stia parlando, Sirius. Ma se è del tempo insieme, che vuoi, d’accordo.- gli rispose il più giovane stavolta però circospetto, soppesando quanto il fratello potesse sapere e quanto invece fosse solo un bluff.
-Cosa voleva Piton, da te, l’altro giorno? Da quando lasci che certa…- iniziò a chiedere Sirius, fermamente convinto che con Regulus, calcolatore e guardingo, la sincerità fosse l’unica via percorribile.
-E tu da quando ti impicci degli affari dei Seperverde? Devo forse pensare a un tardivo ripensamento circa la vita che ti sei scelto?- stavolta tutta la cautela aveva lasciato il posto a una gelida serietà che spaventava, in un ragazzo così giovane.
L’indignazione per l’insinuazione appena ascoltata fece fare una smorfia disgustata a Sirius. Anche solo immaginarsi con colori diversi da quelli che indossava abitualmente, gli faceva sentire la sgradevole sensazione di soffocamento che l’aveva accompagnato per buona parte della vita e che aveva iniziato ad affievolirsi soltanto dopo la prima scazzottata con James, quando l’amico gli aveva mostrato una strada diversa da quella che aveva sempre creduto l’unica percorribile. Eppure qualcos’altro gli si agitava dentro e tutto aveva a che fare con la prima parte della frase di Regulus.
-Sai che non è vero. Mi sono impicciato spesso, degli affari dei Serpeverde, quando questi ti riguardavano.- gli disse con tono impassibile, intimamente ferito dal significato intrinseco che quell’accusa aveva portato con sé.
L’altro ragazzo si limitò a guardarlo indecifrabile, senza però accennare a replicare, perché entrambi sapevano che era vero.
Prima che tutto si rovinasse, prima di scappare di casa e essere diseredato, prima di trasferirsi dai Potter e rompere ogni ponte con la famiglia, Regulus era stato una sua preoccupazione sincera e aveva fatto in modo che nessuno, in quel girone infernale che immaginava essere Serpeverde, osasse infastidire il fratello. Soprattutto se a causa sua.
I rapporti con i genitori erano sempre stati tesi, Sirius era troppo diverso e insofferente verso l’ambiente in cui era cresciuto e i modi a cui era stato educato, perché potesse essere altrimenti. E lo smistamento a Grifondoro aveva solamente inasprito i rapporti. Sua madre era diventata una gelida presenza da evitare quanto possibile e suo padre un uomo rancoroso che, però, ancora pensava di poter correggere e sistemare ciò che di sbagliato c’era nel primogenito.
Perfino con Reg tutto era diventato più difficile, la lontananza e le influenze opposte cui erano in contatto ogni giorno, avevano reso difficile per l’uno comprendere l’altro.
E, infine, tutto era arrivato al punto morto in cui si trovavano anche in quel momento.
Sirius fermamente convinto delle proprie posizioni, pronto a schierarsi con Silente e il Ministero nella guerra che si svolgeva fuori Hogwarts, e Regulus avviato nella direzione opposta, forse non al punto tale da scendere in campo, ma certamente con ideali comuni alla fazione nemica.
-Perché questa improvvisa necessità di affrontarmi, Sirius?- chiese alla fine il ragazzo, di nuovo con quella maschera indifferente in viso.
-Dimmi che non stai dalla loro parte, Reg. Dimmelo!- urlò l’ultima parole, incapace di evitarselo, impegnando ogni parola di un disprezzo di lunga data.
-Quale parte, Sirius? Quella di chi crede nella purezza del sangue? Di chi vorrebbe tutti i mezzosangue che ogni giorno camminano per questa scuola, ben lontani da queste mura? Trovi davvero queste idee così sbagliate? Dopotutto sono quelle con cui ci hanno cresciuto.- 
-Non credere a tutte queste stronzate, Regulus! Toujours Pur, è questo, l’ideale a cui vuoi votare la tua vita?- ringhiò rabbioso il ragazzo, ricordando le lunghe discussioni sulla purezza del sangue dei Black e la necessità di mantenerla adesso e nei secoli a venire che avevano scandito la sua infanzia.
-Non sono idee sbagliate. Ci sono i presupposti per creare un ordine nuovo, Sirius. Un ordine in cui ai Purosangue vengano riconsegnati l’importanza e il rispetto che meritano. Guarda questa scuola. Tutti quei mezzosangue che camminano tronfi per i corridoi, ridicolizzando i valori che hanno governato la nostra società per secoli, convinti di avere ogni diritto di farlo. Il governo è debole, nei loro confronti. Ed eccessivamente accondiscendente. Continuando nella direzione intrapresa, ben presto, saranno loro a dirigere la nostra intera società.- parlò sempre con maggiore enfasi Regulus, abbandonando finalmente ogni filtro tra loro.
Quella che Sirius vedeva era la sua anima, come non accadeva da anni, eppure non poteva evitarsi di desiderarli indietro, quei filtri. Perché quello che si trovava davanti, non gli piaceva. Perché il fratello che aveva davanti, sembrava un folle. Con la solita lucidità che gli era tipica, ma non per questo meno alienato dalla realtà di quanto fosse Bellatrix, con i suoi comportamenti ossessivi e cattivi. Anzi forse peggiore, perché le sue scelte sarebbero state ponderate e volute. Niente, in Regulus, era mai lasciato al caso.
-Parli di un mondo che non può esistere. Un’utopia in cui i Purosangue regnano incontrastati. Una follia di cui non esistono i presupposti perché questa condizione possa esistere. Non ci sono abbastanza Purosangue, al mondo, per poter mandare avanti il mondo che stai disegnando.-
-Le più grandi imprese sono state etichettate come follie, nel corso dei secoli, perché i loro contemporanei non riuscivano a vedere la misura del piano che ci stava dietro. E questa non fa differenza.-
-Quelle persone, queste grandi menti visionarie per cui nutri tanta ammirazione, uccidono delle persone. Uccidono ogni giorno, in nome di ideali malati e a seguito di un pazzo.-
-A volte sono necessari sacrifici, perché un nuovo regime si formi. Cosa sono poche vite, quando permetteranno la nascita di un mondo più forte e solido? Non ci saranno più contaminazioni, Sirius, né compromessi.-
-Parli come un folle! Come puoi anche solo pensare di uccidere delle persone, Regulus? Pensare di uccidere uno qualunque dei ragazzi che frequentano ogni giorno questi corridoi. Perché non c’è niente di diverso, tra i mezzosangue che ogni notte vengono uccisi là fuori e i nostri compagni. Niente, niente!-
Sirius vide Regulus impallidire, forse intravedendo per la prima volta un punto di vista alternativo al proprio, e non poté evitare di sperare. Forse c’era ancora speranza.
-Bellatrix dice che...- iniziò titubante il ragazzo, prima di venire interrotto.
-Bellatrix? Bellatrix? È stata quella pazza a metterti in testa queste idee? A proporti di giurare fedeltà a Voldemort? Cosa ti ha promesso, Regulus, eh? Gloria? Riconoscimenti? Onore?-
Regulus non rispose, riacquistando l’espressione di indifferente noia che mostrava ogni giorno al mondo.
- Condividere gli ideali con il Signore Oscuro non significa avere un marchio su un braccio.-
-Dimmi, allora, che non stai per pronunciare giuramento. Guardami negli occhi e dimmi che non lo farai.-
- Non ho intenzione di unirmi ai Mangiamorte, fratello.- rispose con voce piatta.
Con un ultimo sguardo Regulus si liberò dalla sua stretta e gli voltò le spalle, diretto verso chissà dove, con la stessa tranquillità che lo avrebbe animato dopo una giornata di studio in biblioteca.
Sirius avrebbe voluto poter fare altrettanto.
Voltare le spalle al proprio fratello sereno per tornare alla propria vita, eppure rimase gelato sul posto.
Fratello.
L’aveva chiamato fratello.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che Regulus l’aveva chiamato a quel modo? Talmente tanto da non saperlo nemmeno con certezza.
 
 
Fratello.
 
 
Ma di una cosa era sicuro.
Regulus lo chiamava fratello solamente quando mentiva.
 
 
- Non ho intenzione di unirmi ai Mangiamorte,  fratello.
 
 
Con un nodo in gola e dolorose lacrime che premevano per scendere, Sirius si appoggiò con le spalle al muro, sconfitto, e non poté fare altro che tirare fuori dalla tasca del proprio mantello lo specchio magico che portava sempre con sé.
Non sarebbe mai più riuscito a guardare quell’oggetto con lo stesso spirito di un tempo, perché quella volta non si apprestava a chiamare James per fargli la cronaca di una sua punizione o dargli il segnale per l’avvio di uno scherzo.
Quella volta chiamava James per dirgli che Regulus aveva scelto la sua strada. Una strada che li avrebbe visti come nemici, nella vita come sul campo di battaglia.
Quel giorno chiama un fratello, il fratello che si era aveva scelto, per dirgli che un altro fratello, tale per diritto di sangue, era ormai perso.
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Regulus continuò a camminare per i corridoi apparentemente tranquillo come ogni giorno, come se niente si agitasse nel suo animo. Eppure, dentro, tutto in lui ribolliva. Ciò che mostrava era solo la quieta superficie di un lago d’inverno, ghiacciato e intoccabile, sotto al quale, però, tutta una vita continua a scorrere indisturbata. E così i suoi tumultuosi pensieri.
Non poteva evitare di ripensare costantemente allo scenario che Sirius aveva descritto.
Uccidere.
Uccidere, forse, anche i ragazzi che gli passavano accanto in quello stesso momento, soltanto per il loro stato di sangue.
Fino a quel momento non aveva mai individuato nessuna pecca, nei piani che stava facendo. Credeva, negli ideali del Signore Oscuro. Erano gli stessi con cui era stato cresciuto, come aveva detto poco prima. E, a livello teorico, uccidere chi non rispondesse a quei requisiti non gli era mai sembrato un problema.
Erano solo esseri inferiori, usurpatori di una magia che non era in loro diritto possedere e conoscere.
Persone senza volto che inquinavano il mondo e, per questo, accettabili come tributi a una causa superiore.
Cosa erano, poche vite, in visione di un piano più grande? Cosa erano, se il loro sacrificio avrebbe portato al raggiungimento di un bene superiore, una società migliore e senza debolezza alcuna?
Ma, adesso, si guardava intorno e vedeva, dietro ogni angolo, un volto conosciuto che avrebbe potuto essere sacrificato. Aveva passato gli ultimi anni della sua vita, quasi metà di essa, circondato da quelli che, nei suoi piani, altri non erano che tasse dovute al credo a cui avrebbe giurato fedeltà.
Era pronto, a quell’eventualità?
Era pronto a levare la bacchetta contro giovani maghi che aveva visto ogni giorno, negli ultimi sei anni?
Era pronto a convivere con la consapevolezza di aver tolto loro la vita?
Bellatrix gli avrebbe risposto che non erano che un piccolo prezzo da pagare, felice di compiacere l’uomo che ossessionava i suoi pensieri.
Sirius avrebbe detto che nessuna vita, era sacrificabile.
E lui? Lui, cosa avrebbe detto?
Aveva passato la vita a essere un bravo figlio. Di cui essere fieri. Che potesse lavar via l’onta del tradimento perpetrato dal primogenito.
Condivideva quegli ideali, non era una menzogna. Non avrebbe mai accettato l’idea che i mezzosangue appartenessero al suo mondo esattamente come vi apparteneva lui, Regulus Black.
Eppure uccidere, improvvisamente, gli pareva qualcosa di troppo estremo anche solo per essere contemplato.
Il dolore e la paura che aveva letto negli occhi del fratello continuava a tornargli in mente, insieme alle sue parole, quasi fino a farlo soffocare.
Sirius era lo stesso fratello che aveva amato ed emulato fin da bambino.
Che si cacciava nei guai per aver disobbedito alla loro madre. Che faceva domande inopportune al padre, ogni volta che si ritrovava coinvolto nelle discussioni dei grandi. Che gli aveva insegnato a volare e che si era sempre preso la colpa per i suoi pasticci, come ogni bravo fratello maggiore avrebbe fatto.
Quello che, qualunque cosa fosse successa, non gli negava mai un sorriso impertinente, a ricordargli che potevano piegarlo, ma mai spezzarlo.
E, alla fine, era stato lui a spezzare loro.
Aveva distrutto l’amore di sua madre. L’orgoglio verso il primogenito di suo padre. E il legame speciale che, credeva, esistesse tra loro.
E lui, Regulus, si era ritrovato, improvvisamente, solo in un mondo in cui erano sempre stati in due. E non aveva potuto fare altro se non cercare di ricucire gli strappi fatti dal fratello, coprire gli spazi che aveva lasciato. Nell’unico modo che aveva trovato a quattordici anni.
Era stato il figlio modello per sua madre. Sempre paziente e obbediente.
Era stato il figlio modello per suo padre. Bravo a scuola e interessato alle attività di famiglia che avrebbe ereditato.
Un figlio di cui andare fieri.
Era diventato il figlio che Sirius Black non era mai riuscito ad essere.
E lo sarebbe stato anche quella volta.
Il figlio di cui essere fieri.
 
 
Con un marchio sul braccio e l’onore a lavare via il tradimento.
 
 
 
Perché stava a lui rimettere insieme i pezzi di quello che Sirius si era lasciato alle spalle.
Il figlio di cui potessero essere fieri i suoi genitori.
 
 
Toujours pur.
 
 
Perché sarebbe sempre stato a lui, rimettere insieme quei pezzi.
Della loro famiglia, dopotutto, non era rimasto altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lo studio del professor Silente era diverso eppure identico a ogni volta che vi era entrato.
Decine e decine di delicati alambicchi magici dal dubbio scopo occupavano ogni superficie piana della stanza, alcuni borbottando e altri rilasciando delicate spirali di fumo che si libravano verso il soffitto, prima di svanire nel nulla.
James li osservava affascinato ogni volta, come era successo la prima volta che vi aveva messo piede insieme a sua nonna, amica da quasi cinquant’anni del preside, a soli otto anni. Allora era solo un bambino con le stelle negli occhi che, del mondo magico, aveva visto ben poco, oltre quello che poteva osservare ogni giorno dalle grandi vetrate di villa Potter.
I suoi genitori, Auror e maghi rispettati da tutta la comunità magica, lo adoravano come si può adorare soltanto un figlio a lungo cercato e arrivato quando, ormai, le speranze iniziavano a sfiorire, così come la loro giovinezza. Ma per quanto il loro amore fosse forte e sincero, riuscivano a ritagliare poco tempo per lui da quella vita perfettamente organizzata che si era andata a perfezionare con gli anni.
Era stato così viziato all’inverosimile, sempre circondato dall’affetto sviscerale che i genitori provavano e dai regali costosi con cui lo sommergevano, ma che raramente avevano condiviso con lui. Né Dorea né Charlus possedevano il carattere, o l’educazione, per dimenticare le convenzioni e rotolarsi sul tappeto del salotto con il figlio, rincorrerlo in giardino o farlo saltare in aria.
Non erano cattivi genitori, erano anzi i più attenti e orgogliosi che James potesse immaginare, ma non poteva negare che, la sua infanzia e la sua vita in generale, prima di Hogwarts, era stata silenziosa e solitaria. Succedeva, immaginava, quando i genitori passavano buona parte della giornata a lavoro. Succedeva, immaginava, quando i genitori erano troppo anziani ed educati secondo rigide convenzioni purosangue.
Così erano loro mancate le occasioni per mostrare il mondo al figlio, mancanza, quella, che nonna Disyde aveva cercato di sopperire a suo modo. Così come aveva riempito i silenzi che circondavano il nipote con risate e idee folli, contribuendo in larga parte alla nascita dei Malandirini in un età in cui, ancora, nessuno avrebbe potuto immaginare che genere di adolescente James sarebbe diventato.
E lo aveva fatto al meglio. Coinvolgendolo in avventure tra le mura di casa ed escursioni e follie che i suoi genitori non avrebbero mai nemmeno contemplato. Nel farlo, poi, aveva spesso coinvolto le sue molte conoscenze, rendendo quei pomeriggi insieme soltanto più magici.
Così lo aveva portato a Diagon Alley, presentandogli Olivander e convincendo il vecchio amico a fare uno strappo alla regola per far prendere le misure al nipote di sette anni affinché potesse provare qualche bacchetta illegalmente.
Lo aveva portato sul lago di Lochness, con la scusa di un the con una vecchia amica che non vedeva da tempo, perché James, a cinque anni, voleva fare amicizia con Nessie grazie a un pacco gigante di biscotti alla vaniglia che aveva gettato nel lago uno per uno nella speranza di prendere il mostro per la gola e convincerlo a seguirlo a casa con lui. Già si immaginava, a nasconderlo sotto il letto o dentro un armadio, per eludere la sorveglianza dei genitori e poter chiamare amico un draghetto con le pinne.
L’aveva portato a Stonedge durante l’equinozio di primavera, quando gli spiriti degli antichi druidi tornavano a rivivere tra quelle pietre per un giorno, e sull’isola di Pasqua, per raccontargli la storia di quegli enormi volti di pietra.
E poi, ovviamente, lo aveva portato a Hogwarts, rigorosamente via camino per non rovinare la prima, spettacolare vista dal lago della scuola che avrebbe avuto a undici anni, presentandogli Silente. James, di quella visita, ricordava i dolci deliziosi che il vecchio mago, identico a come lo vedeva ogni giorno, gli aveva offerto con un sorriso e i mille alambicchi di cui non conosceva la funzione e lo stupore, misto a invidia, che questi avevano provocato. Avrebbe potuto giocarci per ore, ricordava di aver pensato.
Da allora, a ogni punizione o visita di piacere che fosse, James si era fermato ad ammirarli e farsi spiegare il funzionamento di quelli che di volta in volta più colpivano la sua attenzione, deliziando il preside per tanta curiosa intelligenza, ma non quella volta.
Aveva altre cose, per la mente quel giorno, quanto si chiuse la porta alle spalle per dirigersi alla scrivania di Silente, tanto che non degnò loro nemmeno un’occhiata.
Il suo migliore amico.
Sirius lo aveva chiamato tramite i loro specchi magici un quarto d’ora prima, raccontandogli spiccio dell’incontro con il fratello e chiedendogli di raggiungerlo nell’ufficio del preside, una volta rientrato da Hogsmade.
“Senza fretta, amico.” aveva tenuto a sottolineare il giovane Black, con sguardo vuoto.
Perfino in quel momento, e sebbene James non sapesse esattamente cosa i due fratelli si fossero detti conosceva abbastanza il suo amico da sapere che era successo qualcosa di orribile, Sirius si era ricordato che quello doveva essere il suo grande giorno, il suo primo appuntamento con Evans, e non aveva voluto mettergli fretta.
Non che fosse servito, era stato pronto a scusarsi con la ragazza e dirigersi a Hogwarts il più in fretta possibile per poter essere al fianco dell’amico in un momento difficile, come lui c’era sempre stato.
Lily però, che stava pochi metri indietro, una volta conclusa quella breve conversazione gli si era rivolta col dente avvelenato intimandogli di darsi una mossa e raggiungere l’altro ragazzo, “ruba una scopa, se necessario!”, e smettere di perdere tempo. Quasi gli aveva staccato la testa quando lui l’aveva afferrata per un polso ed era entrato a Mielandia spintonando gli altri studenti sulla porta, mentre quelli all’interno avevano lasciato loro spazio di loro iniziativa. Vedere Evans così arrabbiata, dopotutto, doveva far paura a molti.
La ragazza si era calmata solo una volta raggiunto il passaggio segreto che collegava il negozio alla scuola e se James era pronto a sentire l’ennesima strigliata circa le ovvie illegali uscite che quel passaggio aveva permesso, si era sbagliato di nuovo. Lily non aveva commentato, ma lo aveva spinto dentro al passaggio che aveva poi illuminato con un potente Lumus, mettendosi in marcia senza nemmeno aspettarlo. Aveva perfino ignorato le ragnatele che pendevano ai lati del passaggio e i loro probabili abitanti, quando invece mesi prima si era fatta venire una crisi isterica perché se le era ritrovate in testa.
E poi l’aveva stupito di nuovo, come aveva fatto per tutto il giorno, quando si erano ritrovati davanti al grifone che controllava l’ingresso all’ufficio del preside. Lo aveva infatti salutato con una carezza gentile sulla guancia e un sorriso triste in volto, comprendendo che qualunque cosa fosse successa, non era stata una piacevole scampagnata sul sentiero dei ricordi, per i due fratelli Black.
-Puoi aspettarci qua, se vuoi.- le aveva detto esitante con ancora il suo palmo caldo sul viso.
Lily si era limitata a scrollare le spalle e mormorare la parola d’ordine per aprire l’ingresso -Sirius ha bisogno del suo migliore amico, non di qualcuno che gli ricordi come è iniziata tutta questa storia. Il problema, ora, non è il marchio nero su uno studente, James, e lo sai.- gli aveva detto in un sussurro, prima di lasciarlo salire la scala a chiocciola per poi sparire nell’ufficio.
Era vero, il problema non era più il marchio nero. Almeno non per loro, non per lui. Non per Sirius.
Il problema era Regulus.
Regulus e il marchio che aveva scelto di avere.
“Merlino!” si ritrovò a imprecare Potter, non per la prima volta da che quella storia era iniziata. Ma quella volta aveva un eco diverso, più doloroso. Ancora più inconcepibile.
Trovare il destinatario di quella lettera, lo aveva sempre saputo, non faceva parte degli stupidi giochi che era solito organizzare insieme ai suoi amici. Non era l’ennesimo espediente per organizzare una retata o scatenare una divertente faida all’interno della scuola.
Giocavano su una scacchiera che James vedeva per la prima volta in prima persona, le cui regole non gli erano chiare. Forse, addirittura, non le conosceva affatto.
Cosa avrebbe detto a Sirius? Come avrebbe lenito il suo dolore?
Nessuno scherzo o battutaccia sarebbe servita, quella volta.
C’era la vita di suo fratello, su quella scacchiera.
Ennesimo pedone nero di un esercito che non aveva remore né freni. Un pedone sacrificabile, come lo erano tutti, se la loro caduta significava proteggere il loro sadico re.
Una volta sedutosi al fianco dell’altro ragazzo, aveva ascoltato il racconto di Black con un orecchio solo, troppo impegnato a studiare ogni singola ombra che compariva sul suo viso per prestargli l’attenzione dovuta. L’attenzione che avrebbe usato se quel pedone fosse stato un altro, chiunque altro, ma non Regulus Black.
Sirius era perfettamente calmo e il suo tono era gelido, quasi i fatti narrati non lo toccassero minimamente, e se anche Silente si era aspettato da quella nota testa calda che gli stava davanti un’esplosione rancorosa o minacce terribili, non lo diede a vedere. Più probabilmente, come James, conosceva abbastanza il ragazzo da sapere che era troppo sconvolto, dolore e rabbia mescolate così intimamente da non poter capire dove iniziasse l’uno e finisse l’altra, da anche solo permettersi un’imprecazione.
Farlo avrebbe significato la disfatta. Una disfatta terribile.
Lasciarsi andare avrebbe significato accettare il dolore che gli mozzava il respiro. Distruggere tutto, ammettere con se stesso la placida tranquillità negli occhi di Regulus. Urlare, allontanarsi da quel limbo tranquillo che in quel momento aveva anestetizzato ogni altra cosa.
Tutto quanto, urla, distruzione, imprecazioni, sarebbero arrivate dopo. Nella protetta intimità della propria camerata, dove avrebbe potuto devastare la stanza quanto se stesso fino a non avere più voce.
Fino a immaginare quel braccio, il braccio sinistro di suo fratello, devastato da una maledizione nera quanto il peccato.
 
 
 
 
 
 
Lasciarono l’ufficio del preside senza aver ottenuto né promesse né concessioni. Con tono insolitamente serio e inflessibile, infatti, Silente aveva intimato loro di lasciare la faccenda nelle mani degli insegnanti, nelle sue mani, affinché potesse trovare la soluzione migliore.
James aveva provato a ribattere, rabbioso, che era della vita di Regulus, il fratellino del suo migliore amico, con cui stavano giocando, ma Albus lo aveva zittito con un sorriso stanco.
-Sono le scelte che facciamo, James, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità. Per questo, molto spesso, bisogna lasciare che gli altri agiscano.- aveva detto.
-Non farà niente, quindi? Lascierà semplicemente che un ragazzo si…- riprese James rancoroso.
-Bisogna sempre dare una seconda possibilità alle persone, James, anche quando queste commettono atti orribili. Ciò nonostante, il giovane Regulus, ancora non ha commesso niente per cui possa essere condannato. In molti, di questi tempi, condividono gli ideali di Voldemort, ma nonostante questo non si schierano apertamente al suo fianco. Devi capire che uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti, e per molti è proprio questo a fare la differenza. Non angustiarti, quindi. Sono sicuro che la vita di quel ragazzo è ben lungi dall’essere al capolinea, si arriva sempre a un incrocio quando meno ce lo aspettiamo.-
Era stata con quella frase sibillina che li aveva congedati e ai due ragazzi non era rimasto che uscire alla volta della torre di Grifondoro. Se avessero avuto fortuna, avrebbero incontrato pochi ragazzi dentro al dormitorio, la maggior parte ancora dispersi tra le attrattive di Hogsmade per essere già rientrati al castello, e a tenere il fronte solo gli studenti più piccoli, cui l’accesso al villaggio era ancora interdetto.
Entrarono dal buco dietro la Signora Grassa, con un mormorio sommesso di James, dacché Sirius ancora non aveva spiccicato parola, e si erano trovati inspiegabilmente davanti alla Sala Comune completamente vuota.
-Dannazione!- sentirono sussurrare dalla curva delle scale che portava al dormitorio delle ragazze.
Se fosse stato presente anche solo uno, dei loro compagni, probabilmente quel sussurro sarebbe passato loro inosservato, tanto piano era stato emesso.
James si ritrovò faccia a faccia con il viso rammaricato di Lily Evans, la sua ragazza si ritrovò a considerare con un pizzico del suo solito spirito, prima che lei scendesse a capofitto le scale assicurando loro che la torre sarebbe stata a loro completa disposizione fino a dopo cena e che non era stato nei suoi piani, farsi trovare lì.
-Ho fatto uscire tutti, intimandogli di non farsi vedere prima di quell’ora, ho controllato tutte le stanze per assicurarmene. E ho pregato un paio di elfi di venire a dare una sistemata, nel caso, ecco…qualcosa finisse fuori posto, diciamo.- aveva poi mormorato quando era arrivata in fondo alle scale, con la chiara intenzione di sparire quanto prima.
Non li aveva guardati negli occhi nemmeno per un secondo durante tutto il suo discorso, ma prima di uscire a sua volta aveva lasciato sul viso di Sirius una carezza leggera, gemella di quella che aveva dato a James prima di salutarlo davanti all’ufficio di Silente, e poi si era affrettata a dileguarsi con un vago sorriso di circostanza.
Sirius non aveva detto una parola, riguardo quell’inusuale abuso del potere di Caposcuola da parte della ragazza, soprattutto considerato in favore di chi, era stato fatto, ma unito alla tenerezza che gli aveva riservato gli aveva lasciato negli occhi un velo di lacrime che lottavano per uscire da quando aveva parlato con Regulus.
In quel momento, però, non c’erano motivi per combatterle. Aveva fatto la cosa giusta, riferendo tutto al preside, ed erano soli, in Sala Comune. Evans, con insolito tatto e tolleranza, oltre che una buona dose di empatia nei suoi confronti, che già aveva scoperto legarli, quando si trattava di famiglia, aveva disposto al meglio le cose allontanando tutti. Non avrebbe detto una parola nemmeno se avesse deciso di spaccare tutto quanto, e aveva fatto in modo, grazie alla complicità degli elfi, che nessuno ne sapesse mai niente.
“E’ una bella persona, James.” avrebbe dovuto, voluto, dire al suo migliore amico, a scusarsi per tutte le sarcastiche battute che gli aveva rivolto negli anni, circa la sua stupida passione verso quella ragazzina troppo rigida e intransigente, per i loro standard.
-Dovremmo avvisare Remus e Peter.- disse invece, cercando di spingere il nodo che sentiva in gola talmente a fondo nei suoi visceri da poter essere dimenticato.
-Sono sicuro che Lily ci ha già pensato.- rispose l’altro con il suo stesso tono, accordandogli ancora, silenziosamente, tutte le deroghe di cui aveva bisogno.
“È una bella persona, James.” Avrebbe voluto dirgli di nuovo, ma tacque.
Quella di James fu l’ultima frase sensata che uscì loro di bocca quella sera.
Solo urla e rabbia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Un altro paio di mesi sono passati prima che io mi decidessi ad aggiornare, ma finalmente eccomi qua e spero di farmi perdorare con questo. Capitolo più lungo del solito e bello corposo.
Premetto dicendo che questo capitolo è stato un parto, non perché non volesse saperne di farsi scrivere, ma perché l’avevo in testa da così tanto tempo, fin dai primi capitoli di "A modern myth", che non riuscivo a renderlo come avrei voluto. E forse non ci sono riuscita nemmeno adesso, ma il risultato mi piace. E anche il mio cervello, che per mesi ha perfezionato dialoghi e scene in sua autonomia, alla fine ha dato l’okay. E quindi eccovi IL capitolo. È proprio il caso di mettere la maiuscola, per quanto mi riguarda.
Amo questo capitolo come pochi altri e spero per voi sarà lo stesso.
Vi lascio solo un paio di note, questa volta, e solo perché è giusto farlo, altrimenti avrei evitato.
Le frasi in grassetto pronunciate da Silente, non sono farina del mio sacco e, anche se immagino che non ci sia nemmeno bisogno di dirlo, rendo sempre il merito a chi di dovere quando scopiazzo a piene mali!
Grazie mammaRow!
Sono le scelte che facciamo, James, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità” è presa da Harry Potter e la Camera dei Segreti.
“Devi capire che uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti” invece è presa da Harry Potter e il Principe Mezzosangue, anche se ho aggiunto un ‘devi capire che’, che non c’entrava niente.
Fa un po’ strano che abbia detto le stesse frasi sia al padre che al figlio? Si, probabilmente è quantomeno inverosimile, ma mi parevano perfette e non ho resistito.
Fatemi sapere cosa ne pensate, entro sera prometto di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo!
 
 
 
Vi allego un paio di link, sono storie che ho scritto per un paio di contest. Se avete voglia di darci un’occhiata.
 
 Il mio bellissimo imprevisto  che si è classificata seconda al contest “Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti”indetto da Alistel. È una Harry/Pansy ed è il mio primo esperimento sul genere.
 
 Such a beautiful lie to believe in che si è classificata quarta al contest "Time to say "I do". Accio, wedding ring! " di _Piratessa ed è incentrata sulla generazione dei Malandrini, una James/Lily con Severus protagonista.
 
E infine un’originale, che mi ha fatto una tenerezza immensa scrivere e si è classificata seconda al contest  “Lasciati ispirare..da ciò che scegli”, di Changing  Isn't she lovely.
 
Se volete lasciarmi una recensioncina anche a queste, non sapete come mi fareste felice.
Un abbraccio, Rebecca.

 
   
 
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