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Autore: Carlos Olivera    05/09/2013    2 recensioni
Kyrador.
La più bella cosa che esiste al mondo.
Kyrador è il sogno di ogni uomo.
E' una pudica fanciulla che accende i desideri.
E' una veemente pantera che fa di te la sua preda.
E' una ricca vedova che promette molto ed esige il doppio.
Kyrador ti possiede.
Kyrador ha tutto ciò che puoi desiderare.
Può darti la felicità o condurti alla miseria.
Farti provare la gioia più sconfinata e il più assoluto dolore.
E' il piacere e l'agonia.
Il bianco e il nero.
La vita e la morte.
Semplicemente, Kyrador
Genere: Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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3

 

 

Staccato dal proprio turno, Jason si aggregò al suo gruppo di colleghi per farsi il solito giro per il centro cittadino prima di tornare a casa.

Di solito capitava che andassero a bere qualcosa in qualche locale nei dintorni del museo, ma quello si rivelò essere un giorno speciale.

Pierre, il guardasala dell’ala nord, che era un giocatore accanito, aveva centrato tre incontri su cinque nell’ultima giornata del campionato di chandra, e si era messo in tasca una discreta somma.

Così, per festeggiare, volle offrire al suo quintetto di amici il raro piacere di una bibita nella caffetteria Petit Désir di Luminous Park, il parco cittadino più grande della città, un immenso rettangolo di natura piacevolmente adagiato nell’intricato groviglio di grattacieli a due isolati dal museo.

Di tutti i polmoni verdi di Kyrador era sicuramente il più apprezzato, per molteplici motivi. In primis vi erano naturalmente le dimensioni, quattro chilometri quadrati di polmone verde nel cuore del distretto centrale; e poi vi erano i sentieri, i campi sportivi, gli scintillanti specchi d’acqua, gli alberi alti e bassi raccolti in piccole foreste e le interminabili distese d’erba.

Un vero angolo di paradiso, come lo definivano alcuni, dove alla frenesia e al sovraffollamento dei sentieri principali facevano eco angoli di quiete assoluta, dove l’unico suono che si poteva udire era quello della natura.

Lo popolavano molti animali, in maggior parte volatili, e nell’angolo rivolto a nord-ovest, verso la quinta strada, vi era persino un piccolo zoo, quello stesso zoo che Ally e Meracle stavano ora visitando assieme ai loro compagni di classe.

Cingeva il tutto una scintillante cancellata metallica, i cui molteplici varchi d’ingresso, disposti ad intervalli regolari lungo tutto il perimetro del parco, erano decorati con elaborati motivi floreali, un arabesco inestricabile e sopraffino di piante, liane e foglie che si intrecciavano tra di loro terminando in una tempesta di fiori.

L’acqua di molte fontane, compresa quella che stava al centro della piazza dello zoo, scintillava come il diamante, merito del krylium contenuto al suo interno, altre buttavano getti dei colori più diversi.

Di fronte ad una tale bellezza le due bambine non riuscirono a non pensare a quanto la magia fosse davvero stupenda. Dopo che aveva permesso agli esseri umani di navigare tra le stelle, era senza dubbio la scienza che procedeva a passo più spedito. Ogni giorno c’era una scoperta nuova, e non vi era campo nell’intero tessuto sociale di Celestis in cui il suo utilizzo non fosse preponderante.

Governava tutto, era il motore attorno al quale ruotava l’intera esistenza della razza umana. Una fonte di energia pulita, inesauribile e di facile accesso, che non scarseggiava mai ed offriva un numero di possibili applicazioni virtualmente infinito.

Poteva accendere una lampadina e far volare una nave spaziale, attivare un computer come curare una malattia.

La magia era l’anima di Celestis, così come lo era stata della Terra all’indomani della sua scoperta.

Era questo il sogno di coloro che erano arrivati fin lì dal loro pianeta natale. Creare una civiltà nuova, utopica, benedetta da questa energia così pura e perfetta, e in armonia con il mondo intero. E di questo mirabile progetto Luminous Park, anzi, l’intera Kyrador, era il più superbo dei traguardi.

Il Petit Désir era uno dei suoi ritrovi più apprezzati di Luminous Park, e pur non essendo al livello dell’inarrivabile Coer Bleu, da alcuni definito il locale più esclusivo della città, poteva offrire il piacere di una bibita e un dolcetto nella tranquillità della natura, adagiato lungo una delle rive di Dream Lake, il secondo specchio d’acqua del parco per estensione.

Il Dream Lake in particolare era molto apprezzato dal gentil sesso, per le sue romantiche rive puntellate di salici piangenti, i suoi sentieri che vi giravano attorno e i suoi scorci paradisiaci, e non a caso i ragazzi lo avevano scelto. In un luogo così c’era sempre qualche preda da adocchiare, se non altro per ravvivare la serata e passare un piacevole intermezzo.

Tuttavia, quella sera le presenze femminili stentavano, e in ogni caso Jason era troppo preso dai suoi pensieri e frustrazioni, riacutizzatesi improvvisamente e senza una ragione precisa, per avere voglia di intraprendere una delle sue solite battute di caccia.

Per quella volta era necessario che fossero le ragazze ad andare da lui, ma per sua fortuna il caso volle che proprio in quel momento transitasse da quelle parti una avvenente giovane di buona famiglia alla ricerca di un po’ di eccitazione.

 

Ally si era persa a tal punto tra le meraviglie dello zoo da smarrire completamente il senso del tempo, e complice anche il fatto che si fosse allontanata per andare a vedere un’altra volta i koala, quando finalmente si accorse di che ore fossero, si rese conto con enorme sorpresa che il resto della classe se n’era già andato, dimenticandosi di lei.

Da un momento all’altro la ragazzina si ritrovò da sola, e, complice l’essersi dimenticata di ricaricare la batteria del comunicatore, non aveva neanche modo di rintracciare i suoi compagni. Provò a cercarli, avventurandosi imprudentemente tra i viali e i sentieri dell’arboreto attiguo allo zoo, ma per quanto chiamasse ad alta voce nessuno rispondeva, e nel momento in cui pensò di tornare all’ingresso dello zoo nella speranza che venissero a cercarla, comprese di essersi persa.

Sconsolata, si sedette su di una panchina, senza sapere come fare per cavarsi fuori da quell’impiccio.

Aveva paura di andare alla polizia, perché temeva di essere sgridata in tutti i modi possibili - prima dagli agenti, poi dalla maestra, e qualora lo avessero saputo anche dai suoi genitori - e quella giornata era stata troppo bella per concluderla in modo così triste.

Poi, mentre cercava di pensare ad una soluzione, la sua attenzione si spostò verso la statua che svettava dall’altro lato di quella piccola e anonima stradina di sassi immersa tra gli alberi. Dallo stile vagamente astratto, sembrava raffigurare tre persone, tra cui un bambino; quest’ultimo era sorretto per i fianchi da una delle due, e teneva alto un pezzo di legno, quasi fosse stato un prezioso trofeo, osservato con fare di meraviglia dalla terza figura.

C’era un che di soprannaturale, quasi di mistico, in quella rappresentazione, ed Ally, pur non potendone leggere la targa, aveva la sensazione che si trattasse di qualcosa di importante.

«Quella statua è dedicata ai coloni che costruirono questa città.» disse d’improvviso una voce gentile.

Un anziano signore, molto distinto e simpatico, la osservava coi suoi piccoli occhi azzurri, e incrociandone lo sguardo la ragazzina sentì come tintinnare quel core ancora immaturo che malgrado l’età già risplendeva dentro di lei.

«Qualcosa non va, signorina? Mi sembra triste.»

Lei non rispose, senza neppure sapere perché; era come se la sua mente si fosse addormentata, perdendosi all’interno di quegli occhi a prima vista così normali, ma al cui interno sembrava annidarsi un che di ipnotico, capace di catturare e ammaliare chiunque li guardasse.

Il signore sedette all’altro capo della panchina, portando a sua volta la propria attenzione verso la statua.

«Lo sai? Questo parco è il cuore della città. In un certo senso, Kyrador è nata proprio qui.»

«Kyrador… è nata qui?»

«Prima ancora delle strade, dei palazzi e dei tunnel, centinaia di anni fa, qui c’era solo un’immensa distesa di sassi e sabbia affacciata sul mare.

I primi coloni all’inizio non avevano nulla: tutto quello che si erano portati dalla Terra era inutilizzabile. Lo sai, vero?»

«Sì, l’ho imparato a scuola. Era per colpa delle emissioni magiche.»

«Bravissima. Ogni pianeta produce un diverso tipo di potere magico, e purtroppo allora gli antenati non lo sapevano. Così, dapprincipio, furono costretti ad arrangiarsi con quello che trovavano. Nel luogo dove adesso sorge questo bellissimo parco, un tempo c’era una grande e rigogliosa foresta. Abbatterono gli alberi e ne fecero le loro prime case; poi, quando le cose andarono meglio, quando il legno si tramutò in pietra, e la pietra in acciaio, vollero lasciare questo posto com’era, per non dimenticare mai gli ostacoli che, malgrado tutto, erano riusciti a superare. E costruirono quel monumento, a ricordo e ringraziamento di quanto la foresta aveva fatto per loro.»

L’anzianolevò quindi lo sguardo sui grattacieli che svettavano come tanti frammenti di vetro proiettati verso le nuvole, e Ally fece altrettanto.

«Osservare questa città è come guardare la storia dell’Uomo dritta negl’occhi. Al suo interno c’è tutto: speranze, sogni, aspettative, gioia, dolore. Ogni città racchiude dentro di sé la forza ed il fulgore di chi l’ha costruita, ma Kyrador lo fa in un modo speciale. Non custodisce solo i ricordi dei suoi abitanti, ma in un certo senso quelli di tutta la gente di Celestis. È stata la prima grande città ad essere edificata, e ancora oggi è considerata il centro del mondo. Qui risplende una scintilla particolare. Non sei d’accordo, piccola?»

La ragazzina annuì; continuava a percepire quella strana sensazione, quella specie di tremolio al centro del petto.

«Io non so nulla di questa città. Ci abito, ma in realtà è come se fino ad oggi fossi vissuta su un altro pianeta. Non era la prima volta che venivo in centro, ma oggi, non so perché, è stato diverso. Ho sentito per un tutto il tempo come qualcosa qui, sul cuore. Una specie di calore. Se tocco un edificio, mi sembra quasi di sentirlo parlare. È come se Kyrador… come posso dire… come se fosse viva.»

«Chi lo sa, forse è così.»

Ally alzò gli occhi incredula, intercettando il sorriso quasi infantile dell’anziano signore.

«In fin dei conti, questa città è stata pensata per essere a misura d’uomo. Un enorme corpo in cui i vari organi esistono in funzione gli uni degli altri. Un’energia particolare scorre in questo corpo, e ogni persona che nasce o vive al suo interno vi è in qualche modo legata. Si può dire che Kyrador prenda per sé un pezzetto dell’anima di tutti i suoi abitanti. E chissà, forse, unendo tutti questi pezzetti, la città stessa in qualche modo ha ottenuto una sua anima.»

«Una sua… anima?» ripeté Ally guardando nuovamente la statua.

Il suono lontano di una campana riportò però la bambina sulla terra, rammentandole la sua situazione.

«Accidenti, quanto è tardi! I miei compagni mi staranno sicuramente cercando!»

«Ti sei persa?»

«Sì. E se non li ritrovo al più presto, dovrò subirmi una ramanzina coi fiocchi!»

«Perché non lo chiedi alla città?» domandò gentile, guadagnandosi un’altra occhiata sorpresa. «Se davvero questa città è viva, e tutti coloro che vivono al suo interno sono legati a lei, Kyrador potrà aiutarti sicuramente a ritrovare i tuoi compagni.»

«Ma… come posso fare?»

«Sei una maghetta, non è vero?»

«Beh, sì… ma non ho ancora nessuna conoscenza della magia.»

«Non importa. Chiudi gli occhi.»

«Come!?»

«Fidati di me.»

Non senza qualche timore la bambina obbedì, cercando per quanto possibile di calmare i battiti del cuore.

«Lascia che il tuo core diventi una cosa sola con la città» sentiva, mentre un tocco gentile le sfiorava il centro della fronte. «Kyrador è tutta attorno a te. Tu non vivi in questa città, ne fai parte. Siete collegati. Ora, diventate una cosa sola!»

Per un istante tutto parve scomparire, poi Ally ebbe come la sensazione si precipitare per qualche breve attimo nel vuoto, serrando più forte le palpebre per lo spavento. Ma quando riaprì gli occhi, non riuscì a credere a ciò che vedeva.

Kyrador era lì, sotto di lei.

Ma era anche sopra di lei, attorno a lei, dentro di lei.

Anche il suo corpo era diverso; ovunque e in nessun luogo, lì con lei e allo stesso tempo altrove. Dovunque guardasse le pareva di vederlo: lì dove c’erano strade c’erano vene, i distretti erano i suoi organi, il cielo i suoi occhi, e le innumerevoli persone che si muovevano ininterrottamente in ogni direzione i suoi globuli rossi, le sue piastrine, i suoi linfociti.

Era incredibile.

Lei non si trovava nella città: non più. Lei era la città.

Avvertiva il solletico prodotto dal vento che faceva ondeggiare le fronde degli alberi, il fastidio di un muro graffiato o imbrattato da qualche vandalo, il dolore di un edificio che veniva abbattuto.

Lei e Kyrador erano una cosa sola: i loro corpi, le loro anime, si erano uniti, mettendola in contatto con una quantità indescrivibile di altre vite. Le bastava concentrarsi, e poteva sentire ogni cosa: parole, dialoghi, ma anche pensieri, emozioni, e idee.

Era come se le si fossero aperti gli occhi e le orecchie su ogni singola anima che popolava la città.

Non solo.

La città stessa era ora alla sua mercé. Le bastava pensare a un luogo, uno qualsiasi, e immediatamente questo le appariva davanti, nitido e tangibile come vi si fosse trovata appresso, ma allo stesso tempo etereo, impalpabile, quasi da poterlo smembrare e sezionare in innumerevoli pezzi.

Non c’era cosa che non sapesse;  o emozione che non provasse.

Per quell’unico istante, lei era tutto.

Kyrador era sua.

E dentro di sé sentiva una pace sconfinata; la pace che solo l’assoluta sicurezza e senso di onniscienza potevano portare. Per un attimo rischiò di perdersi in tutta quella sconfinata quiete, di lasciarsi assorbire completamente dalla città e diventare un tutt’uno con essa.

«Non ti perdere» le sussurrò quella voce nell’orecchio. «Tu sei tu. Non dimenticarlo.»

La bambina trasalì, sentendo ravvivarsi quella fiamma d’animo che per un tempo all’apparenza interminabile aveva lasciato scivolare nell’immenso oceano di Kyrador, e ricordatasi del motivo che l’aveva condotta lì le fu sufficiente pensare ai suoi amici per vederli, con quell’occhio che solo una visione celeste del mondo poteva possedere, sparpagliati tutto attorno alla piazza circolare al centro del parco e intenti a chiamarla a gran voce.

Vide anche Meracle, che la chiamava più forte di tutti, e le venne quasi da ridere: non aveva mai notato quanto la sua amica fosse buffa, con quel marchio violaceo che, al contrario di molti suoi simili, si divertiva a lasciare bene in vista, tagliando i capelli in modo che non coprissero la base del collo. E poi quel batuffolo peloso che spuntava sbarazzino dal bordo dei pantaloni; diceva che le piaceva sentire il vento che le accarezzava il pelo, che la faceva sentire felice, oltre a ricordarle sempre chi era.

Ally non riuscì a resistere alla tentazione, e quando la sua amica si trovò a passare accanto ad un cespuglio basso due dei rametti, come animati di vita propria si strinsero per qualche secondo dietro la sua schiena; niente di doloroso, ma se c’era una cosa che detestava era che qualcuno la toccasse proprio lì.

«Chi è che mi tira la coda!» esclamò stupita e un po’ arrabbiata, mentre Ally di contro si lasciò andare a spassose risate che la povera vittima non poteva sentire.

Poi, Ally avvertì di nuovo quella sensazione di risucchio, e prima che potesse rendersene conto era di nuovo lì, seduta a quella panchina.

«Sono tornata…» disse confusa, guardandosi le mani.

Ma la gioia e l’emozione che aveva provato, e che ancora stava provando, erano indescrivibili.

«È stato incredibile! Fantastico! Non mi sono mai sentita così!»

Poi però, girato lo sguardo per ringraziare quel gentile signore e metterlo al corrente di tutte le magnifiche sensazioni che aveva provato, si accorse di essere sola.

«Signore?» domandò cercandolo con gli occhi.

Ma era tutto inutile, quell’anziano così simpatico e un po’ misterioso sembrava scomparso nel nulla.

«Peccato…»

Purtroppo il tempo incalzava, e lei non ne aveva più. Raccolto il suo zaino, e volti un’ultima volta gli occhi tutto attorno a sé nella speranza, disattesa, di vederlo, la bambina corse via per riunirsi ai suoi compagni.

 

Dopo una intera giornata spesa tra shopping, passeggiate e divertimenti vari, l’unica cosa che poteva rendere la giornata di Pam davvero speciale, aiutandola oltretutto a scordare almeno per un po’ la ramanzina che suo padre le avrebbe sicuramente fatto al ritorno a casa, era trovare il partner ideale con cui trascorrere una serata indimenticabile.

Sia lei che le sue amiche avevano fatto conquiste molteplici, ma dopo aver saputo di essere attualmente l’unica senza un compagno fisso aveva deciso, anche per via di certe frasi di quelle due oche giulive, di provare in ogni modo ad accompagnarsi al miglior maschio possibile, anche per dimostrare a sé stessa di saperci ancora fare in quanto ad abilità di seduzione.

Con una scusa condusse Shirley e Marie nei pressi del Dream Lake, in assoluto la sua riserva di caccia preferita, e non servirono che pochi minuti perché il suo nuovo, potenziale cavaliere le comparisse davanti, seduto ad uno dei tavolini del bar assieme ad altri buzzurri, dei mostri paragonati a lui.

«Accidenti.» disse Marie «Quello è bello sul serio».

Giusto il tempo di una rapida sistemata, e le tre ragazze si accomodarono al tavolo accanto, in modo tale da poter essere facilmente notate, come effettivamente accadde.

Shirley e Marie al momento erano impegnate, ma quel giovane dai capelli paglierini e dagli occhi azzurri accendeva anche la loro fantasia, così decisero di rendere la vita difficile alla loro amica facendone una competizione a tre.

Il primo a cadere nella rete fu Lou, un altro amico di Jason, abbastanza appariscente ma imbruttito da un mento un po’ troppo squadrato, che fu rispedito al mittente dopo sole due frasi, quindi ci provò Pierre, ottenendo però lo stesso risultato.

Vedendo che Jason esitava, limitandosi a guardarla senza agire, Pam si decise a prendere l’iniziativa, e quando tutte e tre si alzarono per andarsene finse di inciampare sulla sedia.

Fulmineo, e quasi d’istinto, Jason intervenne, prendendola al volo.

«Grazie.» disse sfoggiando il suo sorriso più seducente

«Non c’è di che».

Il resto fu mero ABC del corteggiamento. Jason aveva voglia di distrarsi, Pam di una compagnia con cui farsi bella tra i suoi amici nei locali notturni, e ognuno dei due in qualche modo aveva fatto colpo sull’altra.

«Avresti voglia di fare due passi?» si decise infine a domandare Jason sotto gli sguardi inviperiti dei suoi amici

«Perché no?» rispose lei vedendosi guardare allo stesso modo da Shirley e Marie.

A quel punto, se ne andarono insieme.

 

Vick scese dalla macchina senza neanche spegnere il motore, e correndo come più non poteva varcò il cancello del parco che dava verso Victoria Avenue, infilandosi tra i viottoli ghiaiosi.

Quella zona era particolarmente frequentata dai bambini, sia per la presenza del vicino zoo sia per i numerosi parchi giochi e campetti sportivi. Vick aveva pensato, non a torto, che nessuno avrebbe mai cercato documenti così importanti in un posto simile, ma stavolta era certo di avere scelto il nascondiglio molto bene.

Aveva voluto prendere quella seconda misura di precauzione per tutelarsi in caso d’imprevisto, e mai come in quel momento fu sicuro di aver fatto la cosa giusta, anche se si era trattato di spendere un sacco di tempo a copiare e trasferire tutto il materiale.

Non temeva la curiosità dei bambini, perché anche se da quelle parti ce n’erano a palate neanche loro sarebbero stati capaci di trovare il nascondiglio.

Oltre ai classici giochi da cortile, dagli scivoli, alle altalene, ai cavallini, quella zona di Luminous Park ospitava anche delle giostre, tra cui un incantevole carosello a due piani traboccante di cavalli bianchi, tazze, carrozze e ogni altro mezzo capace di accendere la fantasia dei bambini, mentre per i più grandi vi erano i campi sportivi per praticare ogni genere di attività, dalla corsa al calcio fino al nuoto, grazie alla piscina al coperto assolutamente gratuita ed aperta a tutti.

Ed era proprio alla piscina che era diretto.

Varcata la porta, e cercando di non dare nell’occhio, si avviò lungo il corridoio vetrato che girava attorno  alle vasche, quindi infilò la scala interrata che scendeva nella zona delle pompe, e una volta accertatosi che non vi era nessuno penetrò nella stanza.

Con il cuore che batteva all’impazzata rimosse una piastrella malmessa, ed i suoi occhi si accesero di sollievo come si posarono sulla piccola scheda di memoria appiccicata sulla faccia sottostante del quadrato di ceramica.

La prese, stringendola e baciandola come fosse stata la sua anima.

Avrebbe potuto nascondere il materiale in qualche altro posto a prima vista più sicuro, ma sapeva fin troppo bene che per le persone i cui nomi erano riportati su quei documenti non vi era cassetta di sicurezza che non potesse essere aperta o caveau impossibile da raggiungere.

Per un attimo aveva temuto di essere stato colto in controtempo, ma l’aver trovato la copia di riserva era la prova che, nonostante tutto, era ancora lui il più furbo.

Ora si trattava solo di aspettare. E poi, finalmente, si sarebbe tolto quel peso dalla coscienza una volta per tutte.

 

Alla luce splendente del sole seguì, con l’avanzare del tempo, il rosso opaco del tramonto.

Un’altra giornata volgeva al termine, un altro giorno di glorie e splendori per la Città dei Nove Distretti, e molti di coloro che avevano contribuito nel loro piccolo a preservarne ed assicurarne la grandezza fecero ritorno alle loro case.

Ally non ricordava di aver mai vissuto nella sua vita un giorno così bello.

Era partita da casa convinta che sarebbe stata una giornata come le altre, ma era tornata con l’animo ancora carico di emozioni per le indescrivibili meraviglie che aveva veduto.

Non si era mai allontanata molto dal suo quartiere prima di allora, e l’aver visto per la prima volta il centro di Kyrador l’aveva spinta a domandarsi come fosse possibile che quella su cui aveva posato gli occhi per tutto il giorno fosse la stessa città in cui era sempre vissuta fin dalla nascita.

Meracle aveva ragione su tutto; questo le era venuto da pensare mentre, con un pizzico di amarezza, l’autobus imboccava l’ultimo tratto di strada prima di depositarla davanti casa.

Non era tanto il museo, stupendo sicuramente, ma la stessa città, la stessa Kyrador ad essere qualcosa di quasi inconcepibile, un trionfo della meraviglia capace di accendere i sogni non solo dei bambini, ma semplicemente di chiunque cedesse al suo richiamo.

Quel viaggio onirico in un mondo così vicino, e allo stesso tempo così lontano, aveva fatto nascere in lei, improvviso e divampante, un desiderio. Voleva farne parte.

Voleva diventare parte di quella realtà, lasciarsi trasportare dalla sua meraviglia, dalle sue innumerevoli bellezze.

Non solo.

Lei voleva plasmarla. Voleva avere nelle sue mani un po’ di quello splendore, e contribuire a farlo crescere ancora di più.

Aveva il petto gonfio per l’orgoglio nel momento in cui, scesa dall’autobus, salutò tutti dandosi appuntamento per il giorno dopo a scuola. Finalmente anche lei, come molte sue amiche, aveva le idee un po’ più chiare sul suo futuro.

Anzi, chiarissime.

Forse sua madre lo sapeva. Sapeva che sua figlia sarebbe tornata a casa con il morale alle stelle e felice come non mai, e a degno coronamento di una giornata da ricordare sotto ogni aspetto le aveva voluto riservare un’ultima sorpresa.

Fu così che, dopo essersi cambiata ed essere scesa per la cena, la bambina trovò ad attenderla tutti i suoi piatti preferiti, dal pane biscottato con pezzetti di pomodoro alla torta di frutta fresca di pasticceria, appena portata a casa dal papà al rientro dal lavoro.

«È stato bellissimo» continuò a ripetere per tutta la cena. «Il museo è pieno di cose meravigliose. C’erano le foto della Terra, e le macchine di una volta, con quei motori a carburante, e le prime case costruite su Celestis, e i vestiti, e poi la ricostruzione della nave. Era grande così. E dentro è ancora più stupenda, con tutte quelle capsule, e i comandi, e i computer.

E poi il centro della città, con tutti quei palazzi. Sembravano così piccoli visti da lontano, ma poi ho visto che erano enormi. E poi il parco, con le fontane tutte colorate, e lo zoo pieno di animali. Ho visto i panda, e le scimmie. Le scimmie sono così buffe. Facevano le linguacce.»

«Insomma, ti sei divertita» le disse sorridendo Lee, suo padre

«Moltissimo, papà. È stato il giorno più fantasticoso della mia vita».

Quindi, durante il dessert, annunciò la sua decisione.

«Quando sarò grande, farò anch’io qualcosa di importante per questa città. Voglio rendere Kyrador ancora più magnifica.»

«Davvero?» le disse ancora Lee «E cosa vorresti fare? L’architetto?»

«Il sindaco» rispose Ally gonfiando il petto.

Lee e sua moglie Sandy si guardarono un attimo perplessi, poi risero divertiti.

«Uffa. Non sto scherzando» protestò considerandola una presa in giro

«L’ambizione non ti manca» sorrise Sandy togliendole un batuffolo di crema dalla guancia. «Ma di certo il sindaco non si sporca mangiando il dolce, non credi? Dovrai impegnarti molto per riuscirci.»

«E mi impegnerò, mamma. Lo prometto. Sarò il più grande sindaco della storia di Kyrador».

A volte Ally sapeva essere davvero buffa.

Aveva una fantasia sfrenata, ma aveva preso dal padre una inossidabile forza di volontà. Ogni volta che si metteva in testa qualcosa non aveva mai rinunciato neanche andandoci a sbattere contro, e c’era da scommettere che anche stavolta sarebbe stato così.

«E ora forza, signorina sindaco» le disse il padre. «A lavarsi per bene e a fare i compiti.»

«Sì, papà».

Riposti i piatti nel lavandino la bambina si avviò verso il bagno canticchiando la canzoncina della pubblicità del museo, seguita con gli occhi dai suoi genitori.

«Che ragazzina esuberante» osservò Lee quando furono rimasti soli

«E piena di vita. Mi ricorda qualcuno quando aveva la sua età.»

«A me invece ricorda te quando ci siamo sposati».

Sandy rise, e Lee, sfilatosi gli occhiali, le passò dolcemente una mano tra i lunghi capelli neri, spingendola delicatamente verso di sé.

Si guardarono, scambiandosi poi un dolcissimo bacio.

«Non ti dispiace neanche un po’?» le sussurrò all’orecchio

«Di che cosa?»

«Per sposare me, hai rinunciato al tuo avvenire. Sei laureata, avevi una carriera davanti a te, eppure…».

Lei gli mise dolcemente un dito sulle labbra, e sorridendo lo baciò sulla fronte.

«Ho un marito stupendo e una figlia che è il sogno di ogni genitore. Cos’altro potrei volere?»

«Anche se tuo marito è costretto a trascorrere fino a un quarto dell’anno lontano dalla sua famiglia?» sorrise lui stringendole la mano

«È la vita di un impiegato del Ministero della Difesa».

Di nuovo si baciarono, dopo che Lee si fu tolto le lenti rettangolari da vista che una leggera miopia lo costringeva a portare.

«Abbi solo un po’ di pazienza, amore mio. Fujitaka vuole correre per le presidenziali l’anno prossimo. Se riuscirà a vincere, indipendentemente da chi sceglierà come ministro sarà la mia occasione per un salto di qualità.»

«È per questo che dico che Ally ti somiglia così tanto.» sorrise Sandy.

  
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