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Autore: 9Pepe4    05/09/2013    9 recensioni
«E credimi, non importa quando e dove ci si riunisce alla Forza. Non importa».
Obi-Wan tacque a lungo. «E se… e se importasse a me?» sussurrò infine, debolmente.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una spalla su cui morire

L’accampamento aveva dimensioni modeste.
I nativi del pianeta, i Koonich, erano una popolazione nomade, ma si erano insediati lì da quasi un anno.
Le tende di pelle erano robuste e spaziose, nonché pressoché impermeabili, e al centro del villaggio si trovava uno spiazzo circolare, all’interno del quale veniva acceso l’eldr, il fuoco sacro.
Almeno una volta al giorno, un membro di ogni famiglia presente nell’accampamento doveva sostare davanti a quelle fiamme… non farlo sarebbe stato di pessimo auspicio.
Proprio per rispetto di quella tradizione, Qui-Gon si trovava a rendere omaggio al fuoco con un inchino, sotto lo sguardo d’approvazione del capo villaggio.
Di consueto, il Maestro Jedi avrebbe trovato molto interessanti i rituali dei Koonich, e la Forza Vivente – particolarmente intensa su quel pianeta incontaminato – lo avrebbe fatto sentire del tutto appagato.
Tuttavia, data la situazione, la sua espressione era tirata, e i suoi occhi, lungi dall’esprimere soddisfazione, erano gravi e tormentati.
Qui-Gon si raddrizzò, e si girò per rivolgere un cenno del mento al capo villaggio, dopodiché si diresse a larghi passi in direzione della tenda dello Sciamano. Durante il tragitto, sentì su di sé gli occhi curiosi di alcuni bambini.
I Koonich erano una razza umanoide, ma non avevano peli o capelli, la loro carnagione era di un verde pallido che nell’età adulta si faceva molto scuro, e le loro orecchie erano molto più sviluppate di quelle di un umano.
Vestivano con le pellicce degli animali che cacciavano; per questo i più piccoli erano tanto incuriositi da Qui-Gon, dalla sua toga scura e dalla sua tunica chiara, per non parlare dei suoi capelli ingrigiti e dei suoi stivali lucidi.
L’uomo giunse di fronte alla tenda dello Sciamano – posta al limitare dell’accampamento – proprio mentre questi ne usciva.
Era un Koonich di mezz’età, dalla pelle di un verde tanto scuro da somigliare al marrone, e una collana di pietruzze intagliate pendeva sul suo petto nudo.
«Come sta?» gli chiese Qui-Gon, l’apprensione evidente nella sua voce solitamente calma.
«Io… dato lui altro infuso… medicinale, giusto?» disse l’altro, nel suo Basic stentato, per poi scuotere la testa. «Non serve. Febbre rimane alta».
Qui-Gon se lo aspettava, ma quella notizia fu comunque dura da digerire. «Va bene» disse lui, dopo qualche istante. «Grazie».
Lo Sciamano annuì, e l’uomo entrò nella tenda, sentendo alle proprie spalle qualcuno gridare qualcosa al suo ospite.
La lingua dei Koonich era armoniosa e musicale. In un’altra occasione, forse Qui-Gon avrebbe rimpianto di conoscerne solo poche parole, e di costringere lo Sciamano a ripiegare sul Basic, ma al momento questa era l’ultima delle sue preoccupazioni.
I suoi occhi corsero subito alla figura abbandonata sul giaciglio dall’altra parte della tenda.
Obi-Wan era steso a pancia in giù, e teneva il viso schiacciato contro il materasso. I suoi capelli corti e il codino ricurvo sulla nuca erano madidi di sudore, e la treccia da apprendista sembrava floscia e desolata.
Nonostante la scarsa illuminazione, Qui-Gon poteva vedere il lato destro del volto del suo allievo con la stessa chiarezza con cui sentiva i suoi respiri aspri e irregolari. Obi-Wan teneva gli occhi serrati, ed aveva la fronte contratta.
Con pochi passi, Qui-Gon annullò la distanza che lo separava dal suo apprendista. Evitando il tavolino accanto al giaciglio e la bacinella poggiata sul pavimento, andò a chinarsi sul ragazzo.
Gentilmente, gli mise le mani sulle spalle, e lo fece girare sulla schiena.
Obi-Wan trasse un gran respiro e le sue palpebre si sollevarono torpidamente. I suoi occhi erano accesi da una luce febbrile, e vagarono per un istante prima di soffermarsi sul volto di Qui-Gon.
«Maestro» lo salutò il ragazzo, con voce sfinita.
L’uomo si sedette sul bordo del giaciglio. «Ho saputo che lo Sciamano ti ha somministrato un altro infuso» commentò, sommessamente.
«Sì». Una breve smorfia di disgusto increspò le labbra di Obi-Wan. «Aveva un sapore terribile».
«Se non altro, le erbe che conteneva hanno davvero proprietà curative» lo consolò l’uomo. A giudicare dall’atteggiamento dello Sciamano e dalla pelle arroventata del ragazzo, dette erbe non avevano avuto alcun effetto, ma su questo il Maestro Jedi decise di sorvolare. «Lo Sciamano sa il fatto suo».
L’apprendista si agitò appena sul giaciglio. «Ho freddo» disse, in tono più rassegnato che lamentoso.
Oltre ad essere avvolto nelle proprie vesti, Obi-Wan era avviluppato in varie pellicce, ma Qui-Gon non si stupì.
Da quando si era ammalato, infatti, ormai sei giorni prima, il ragazzo non era riuscito a mangiare nulla senza rimetterlo subito dopo. Il suo stomaco era stato in grado di trattenere solo dell’acqua e gli infusi preparati dallo Sciamano, perciò il suo corpo si stava indebolendo rapidamente.
Ciò che acuì la preoccupazione dell’uomo, piuttosto, fu il fatto che Obi-Wan avesse smesso di tremare. Sino a poco prima, ogni volta che non sentiva di essere coperto a sufficienza, il ragazzo aveva rabbrividito e battuto i denti a più non posso.
Non era un buon segno.
Qui-Gon si sfilò il proprio mantello, aggiungendolo alle coperte del suo allievo. «Va meglio?» domandò.
Il ragazzo annuì appena.
L’uomo, allora, poggiò una mano sulla sua fronte bollente, infondendogli un po’ di energie attraverso la Forza.
Il corpo esausto di Obi-Wan, però, parve bruciare in un istante la vitalità che Qui-Gon aveva cercato di trasmettergli, e non riuscì a beneficiarne.
Il Maestro Jedi spostò lo sguardo sulla brocca ed il bicchiere in terracotta poggiati sul tavolino accanto al giaciglio. Si protese in avanti, così da versare un po’ d’acqua nel bicchiere, poi aiutò Obi-Wan a bere.
Il ragazzo non lamentava mai di avere sete, ma l’uomo stava attento a non farlo disidratare.
«Maestro?» chiese Obi-Wan, quando Qui-Gon ebbe poggiato di nuovo il bicchiere sul tavolino. «Anche oggi… hai portato omaggio all’eldr
«Certo» rispose l’uomo, accigliandosi appena. «Perché credi che ti abbia lasciato solo, altrimenti?»
Il ragazzo non replicò subito. «Hai detto» disse infine, «che il fuoco sacro deve… deve essere omaggiato… da almeno un membro di ogni famiglia».
«È così» confermò Qui-Gon.
A quelle parole, il giovane apprendista aggrottò visibilmente la fronte.
«Obi-Wan?» lo chiamò il Maestro Jedi, quietamente. «C’è qualcosa che non va?»
«Be’…» rispose il ragazzo, con voce un po’ incerta. «Allora non… non vogliono che anche io vada a rendere omaggio?»
Qui-Gon scosse la testa, e sistemò meglio le coperte sul petto di Obi-Wan. «Per loro, i legami hanno valore anche quando non sono di sangue» asserì. «Per quanto li riguarda, tu sei mio figlio».
Gli occhi troppo accesi del ragazzo lo guardarono, ma Obi-Wan evitò di commentare.
«Maestro?» domandò invece. «Quanto ci manca all’arrivo dei soccorsi?»
Qui-Gon non rispose subito.
Il pianeta sul quale si trovavano faceva parte dell’Orlo Esterno, e non era facilmente raggiungibile.
Lui ed Obi-Wan erano arrivati dieci giorni prima su un’astronave della Repubblica, che aveva fatto rotta verso Coruscant subito dopo averli lasciati a terra. Dovevano indagare sul presunto rifugio di un gruppo di pirati molto attivi in quel periodo, ed avevano impiegato due giorni abbondanti per localizzarlo… Quand’era parso evidente che, nonostante ospitasse un trasmettitore a lungo raggio più o meno funzionante, quel nascondiglio era in disuso da tempo, avevano passato altri due giorni a setacciare i dintorni, ma non avevano trovato un covo di alcun genere… A quanto pareva, i pirati non avevano più alcun interesse per quel pianeta.
Era stato allora, che Obi-Wan aveva vomitato per la prima volta.
Quando al mal di stomaco si era aggiunta la febbre, e l’antibiotico somministrato dal Maestro Jedi non aveva avuto alcun effetto, Qui-Gon era tornato al rifugio dei pirati e aveva armeggiato col trasmettitore sinché non era riuscito a metterlo in funzione, dopodiché aveva contattato il Tempio per chiedere la consulenza di un Guaritore.
Quest’ultimo aveva subito identificato la malattia contratta dal ragazzo. Si trattava di un virus piuttosto comune, sul pianeta, ma visto che Obi-Wan non aveva gli anticorpi necessari per combatterlo, il suo corpo ne era stato sconvolto.
Così, il Guaritore aveva concluso che si sarebbe imbarcato sulla navicella che sarebbe arrivata a recuperarli, e Qui-Gon aveva guidato il suo frastornato apprendista sino all’accampamento più vicino, dove aveva chiesto ospitalità al capo villaggio.
Fortunatamente, i Koonich erano persone molto accoglienti, e si erano preoccupati subito per la salute del ragazzo.
Il problema del contagio non si era posto: per i Koonich, la malattia che aveva colpito Obi-Wan era grave quanto un raffreddore.
Allo stesso tempo, lo Sciamano aveva già avuto modo di occuparsi di tre umani che erano stati infettati dal virus, e sapeva cosa fare.
Di fronte a Qui-Gon, però, aveva anche ammesso che uno dei suoi vecchi pazienti era deceduto e che gli altri due, quando lui aveva cominciato a somministrare le proprie cure, erano in condizioni molto migliori di Obi-Wan.
Da quando erano arrivati al villaggio, il ragazzo non aveva fatto altro che peggiorare, e i soccorsi… con ogni probabilità, sarebbero arrivati tra un giorno circa.
Pur sapendo che non era una notizia rassicurante, Qui-Gon non ebbe cuore di mentire ad Obi-Wan, nemmeno per omissione.
«Non so con esattezza quando arriveranno» disse perciò, sommessamente. «Ma penso che occorrano all’incirca altre ventiquattr’ore».
Obi-Wan deglutì rumorosamente. «Va bene» sussurrò poi, chiudendo gli occhi.
Qualche istante più tardi, dalla sua gola uscì un gemito gutturale.
«Padawan?» chiamò Qui-Gon.
«Lo Sciamano saprà anche il fatto suo, Maestro» disse flebilmente il ragazzo, senza aprire gli occhi, una mano serrata su un lembo di una coperta. «Ma penso che… Penso che quelle erbe… non abbiano funzionato».
Qui-Gon avvertì una fitta al petto, e tese una mano a sfiorare i capelli madidi di Obi-Wan. «Immagino che proverà altri infusi, in tal caso».
Il ragazzo aprì gli occhi. Nonostante il respiro affrettato e il dolore, riuscì ad ironizzare tetramente: «Non vedo l’ora».
Qui-Gon cercò di nuovo di infondergli qualche energia, ed Obi-Wan scivolò in un sonno leggero ed agitato.
Percependo sin troppo bene quando fosse esaurito l’organismo del ragazzo, l’uomo si augurò che una dormita potesse aiutarlo.
Obi-Wan si svegliò qualche ora più tardi, quando era ormai sera. Aveva le labbra asciutte e screpolate, così Qui-Gon riempì nuovamente il bicchiere e lo portò alla bocca del ragazzo.
Obi-Wan bevve a sorsi piccoli, stentati… Svuotò poco più della metà del bicchiere, e non ci fu verso di fargli inghiottire altra acqua.
Qui-Gon non lo costrinse, limitandosi a pensare che avrebbe fatto passare un intervallo più breve tra questa e la prossima bevuta.
«Maestro…»
Gli occhi dell’uomo tornarono immediatamente sul ragazzo.
Obi-Wan schiuse le labbra tremanti… Riuscì a rotolare su un fianco e a sporgere la testa oltre al bordo del materasso, verso la bacinella posata sul pavimento… e a quel punto vomitò l’acqua appena bevuta.
La mano di Qui-Gon corse alla sua fronte, e l’uomo sussurrò qualche parola di rassicurazione tra i gemiti e i conati.
Alla fine, Obi-Wan tornò a giacere sulla schiena ad occhi chiusi, il petto che si alzava e si abbassava ad un ritmo faticoso ed irregolare.
Percependo un’altra presenza, Qui-Gon guardò verso l’entrata della tenda, e vide lo Sciamano. Quest’ultimo aveva la fronte aggrottata, e fece segno all’uomo di raggiungerlo.
Qui-Gon tornò a voltarsi verso il suo allievo. «Torno subito» gli assicurò e, dopo una rapida stretta alla mano rovente di Obi-Wan, si alzò ed uscì dalla tenda.
Prese con sé la bacinella e – seguito dallo Sciamano – andò a svuotarla ai limiti del bosco.
Sopra le loro teste, il cielo stellato sembrava un telo di velluto nero. L’accampamento si era fatto più silenzioso, ed alcuni insetti stavano iniziando a cicalare.
Lo Sciamano gli chiese: «Lui iniziato a vomitare anche liquidi?»
«Sì» rispose Qui-Gon, per poi domandare: «C’è un altro infuso medicinale che potete dargli?»
Ora come ora, i rimedi dello Sciamano erano tutto ciò che avevano… sinché non fosse arrivato il Guaritore dal Tempio.
Il Koonich scosse mestamente la testa. «Dare lui altro, non posso».
Qui-Gon lo guardò. «Perché no?»
Gli occhi dello Sciamano erano compassionevoli. «Io do lui infuso, lui vomita infuso» spiegò, semplicemente.
L’uomo rimase immobile a fissarlo, annichilito dall’ovvietà di quella risposta.
In un istante di puro gelo, ricordò che lo Sciamano aveva detto che, dopo aver iniziato a rimettere i liquidi, il suo paziente deceduto non aveva tenuto duro più di poche ore.
Il fatto che Obi-Wan si stesse mantenendo abbastanza lucido non era una consolazione: a quel che pareva, la perdita di conoscenza giungeva solo negli ultimissimi stadi della malattia.
Qui-Gon si riscosse, e deglutì a fatica. «Potete provare lo stesso?» domandò, con voce roca. «Per favore».
Lo Sciamano esitò, ma alla fine annuì. «Bene».
Entrarono insieme nella tenda, e il Koonich si mise a trafficare con le erbe che teneva in una sacca, triturandole e aggiungendo acqua.
Obi-Wan guardò prima il suo Maestro, poi osservò in silenzio il lavoro dello Sciamano.
Quando il Koonich gli si avvicinò con una coppa piena di infuso, il ragazzo bevve obbedientemente. Siccome aveva qualche difficoltà a deglutire, impiegò un po’ di tempo, ma alla fine sorbì anche l’ultima goccia.
Subito, non accadde nulla, e Qui-Gon si augurò che lo stomaco di Obi-Wan fosse riuscito a trattenere il liquido… Ma la sua speranza venne brutalmente infranta poco dopo, quando il ragazzo ruppe in un mugolio strozzato e tornò a vomitare.
Qui-Gon lo aiutò come poteva, mentre i lamenti e gli spasmi del suo allievo sembravano artigliargli il petto, e quando i conati si furono calmati gli diede una mano a sdraiarsi di nuovo.
Obi-Wan aveva gli occhi chiusi, ma Qui-Gon poteva sentire che era cosciente… Così come sentiva le ondate cocenti dello stress fisico e mentale del suo allievo, e il freddo che sembrava congelare il ragazzo sin dentro le ossa.
Impotente, l’uomo sollevò gli occhi sullo Sciamano.
«Io… posso contattare spiriti, se piace» propose il Koonich, esitante. «Posso contattare vostri antenati, così antenati accolgono lui».
Obi-Wan non diede segno di aver sentito, e Qui-Gon scosse la testa. «Non è necessario, grazie» disse alla fine.
Lo Sciamano lo osservò per qualche istante. «Io sto qui fuori» dichiarò poi. «Se io serve, tu chiami».
«Va bene» disse Qui-Gon. Indugiò un istante, poi ringraziò il Koonich nella sua lingua.
L’altro parve apprezzare il gesto. Gli rivolse un breve e mesto sorriso, poi prese la bacinella ed uscì dalla tenda.
Qui-Gon riportò la propria attenzione su Obi-Wan, e vide che il ragazzo aveva aperto gli occhi.
«Sto morendo?»
Quella domanda fu una coltellata, ma il Maestro Jedi riuscì a sostenere lo sguardo del suo allievo. «Non posso predire il futuro, giovane Padawan» disse, quietamente.
Obi-Wan cercò di inumidirsi le labbra secche. «Ma lo Sciamano pensa che non arriverò a domani mattina».
Non era una domanda.
«Nemmeno lo Sciamano può predire il futuro» si limitò a dire Qui-Gon.
Il ragazzo impiegò qualche istante per radunare le energie necessarie per rispondere. «Però sa il fatto suo» obiettò. «E conosce questa malattia».
«Può essere» concesse Qui-Gon, «ma tu sei un Jedi. E non ti chiedo di sconfiggere questo virus, Obi-Wan. Devi solo resistere sino all’arrivo dei soccorsi».
Obi-Wan parve considerare a lungo quelle parole. «La navicella» disse infine. «Arriverà domani pomeriggio?»
L’uomo annuì. «Sì».
Il ragazzo tacque per qualche istante, come se assimilare quella semplice conferma richiedesse un certo sforzo. «Non so… non so se…»
«Ce la puoi fare» lo interruppe Qui-Gon. «Credimi, ce la farai».
Obi-Wan non rispose, e la mano dell’uomo prese ad accarezzargli i capelli rossicci con gesti ripetitivi, quasi meccanici.
Per lungo tempo, non ci fu altro suono all’infuori dei respiri faticosi dell’apprendista.
Qui-Gon inspirò lentamente, a fondo, cercando di rilassare la propria postura. Sei giorni senza dormire iniziavano a farsi sentire.
Più della stanchezza, però, lo logorava la percezione delle forze del suo Padawan che andavano diminuendo sempre più…
Il ragazzo si mosse appena, e Qui-Gon portò immediatamente lo sguardo al suo volto.
«Maestro?» La voce di Obi-Wan era fioca e miserabile. «Non voglio morire qui. Puoi riportarmi al Tempio?»
Qui-Gon lesse senza difficoltà la supplica in quegli occhi arrossati: Puoi riportarmi a casa? e il suo cuore si contrasse.
La richiesta era illogica. L’unico mezzo con cui sarebbero potuti tornare a Coruscant era la navicella che stavano aspettando… E Obi-Wan non stava implorando di essere portato al Tempio per ricevere le cure necessarie, lo stava chiedendo perché non voleva morire in un posto sconosciuto, lontano dal cuore della Repubblica.
Qui-Gon gli sfiorò una guancia bollente. «Obi-Wan» chiese, imponendosi di mantenere calma la propria voce, «qual è l’ultimo verso del Codice Jedi?»
La fronte del ragazzo si corrucciò debolmente. «Non c’è morte» rispose infine Obi-Wan. «C’è la Forza».
Qui-Gon annuì. Si bagnò le punte delle dita nella caraffa, poi le passò sulle labbra secche del suo allievo, così da inumidirle almeno un po’. «Esatto» confermò, sommessamente. «E credimi, non importa quando e dove ci si riunisce alla Forza. Non importa».
Obi-Wan tacque a lungo. «E se… e se importasse a me?» sussurrò infine, debolmente.
Qui-Gon si sentì spezzare il cuore. Per un istante, non disse nulla, limitandosi a ricambiare lo sguardo di quegli occhi grigio-azzurri.
Poi percepì la desolazione di Obi-Wan, e si protese su di lui. Con qualche difficoltà, lo sollevò e lo mise seduto sulle proprie ginocchia, il fianco del ragazzo contro il petto e la sua guancia contro la propria spalla.
Obi-Wan non era in grado di star dritto, così Qui-Gon supportò la sua schiena con un braccio.
Piano, una delle mani dell’apprendista uscì dal bozzolo di coperte in cui era avvolto, ed andò ad aggrapparsi alla tunica dell’uomo.
Qui-Gon sentiva il respiro fievole del ragazzo contro il proprio collo.
Lentamente, percepì che l’angoscia di Obi-Wan si dissipava poco alla volta, mentre l’apprendista riconosceva il rifugio del calore e della forza del suo Maestro.
«Così va bene?» domandò Qui-Gon, sommessamente.
Obi-Wan aveva gli occhi chiusi, ma mosse appena la testa. «Così va bene» ripeté, con voce a malapena udibile.
L’alba era appena sorta, e il giovane apprendista si sentiva a casa.
Qui-Gon si limitò a tenerlo stretto, mentre i respiri di Obi-Wan si facevano sempre più stentati, e le energie del ragazzo si deterioravano.
Ad un certo punto, Obi-Wan iniziò a tremare come una foglia. Rabbrividiva in modo convulso, così forte che faceva ancora più fatica a respirare, e dalle labbra gli uscivano solo ansiti spezzati.
Qui-Gon cercò di avvolgerlo meglio nelle coperte, e lo abbracciò più saldamente. Sentiva che l’organismo di Obi-Wan stava iniziando a cedere in modo definitivo.
Quasi subito, percepì il dolore che si irradiava lungo il suo allievo. Obi-Wan reagì con un gemito pietoso, e poi tentò debolmente di rannicchiarsi contro Qui-Gon, nascondendo la faccia nell’incavo del collo dell’uomo.
«Va tutto bene, Obi-Wan» disse il Maestro Jedi, ricorrendo alla Forza per tentare di alleviare la sofferenza del ragazzo. «Andrà tutto bene».
Il corpo di Obi-Wan era teso sino allo spasmo, ma dopo qualche istante si rilassò, abbandonandosi mollemente contro quello di Qui-Gon.
Per un istante, l’uomo smise di respirare. Poi, però, le sue orecchie registrarono i sibili che uscivano dalle labbra del ragazzo.
Era ancora vivo.
Era a stento cosciente, però era ancora vivo.
Certo che era ancora vivo.
Qui-Gon lo tenne stretto contro il proprio petto. Il rischio di staccarsi dal presente, e temere il momento in cui la presenza di Obi-Wan sarebbe scomparsa, era forte, ma l’uomo si aggrappò alla vita che ancora sentiva nel corpo del suo allievo.
Aveva detto ad Obi-Wan che ce l’avrebbe fatta. Ed era così. Ce l’avrebbe fatta.
L’uomo chinò il capo, chiudendo gli occhi.
«Maestro Jinn? Qui-Gon?»
A riscuoterlo, fu una voce conosciuta, che parlava un Basic solo lievemente accentato.
Qui-Gon aprì gli occhi e sollevò lo sguardo, continuando a tenere stretto Obi-Wan, e si ritrovò davanti un umanoide dalla pelle olivastra, con la testa coronata di creste cartilaginee.
Nel tempo di un respiro, riconobbe Von Le, un Vultan che era anche uno dei Guaritori più efficienti del Tempio Jedi.
L’altro si avvicinò, e poggiò una mano sul collo di Obi-Wan per sentire il battito.
«È ancora vivo» constatò, ed estrasse una siringa ed un flaconcino da una delle tasche della propria cintura. «Mettilo sdraiato».
Qui-Gon obbedì, staccando delicatamente Obi-Wan da sé e depositandolo sul giaciglio.
Il ragazzo non ebbe la minima reazione. Dopo aver riempito la siringa col medicinale, Von Le liberò una delle braccia di Obi-Wan dalle coperte, e gli tirò su la manica.
A quel punto, trovò subito una vena nella quale infilare l’ago, e fece una rapida iniezione.
«Ecco fatto» disse, cupamente.
Il corpo di Qui-Gon si tese. «E adesso?»
Un sorriso acre passò sulle labbra di Von Le. «Adesso aspettiamo» replicò.
L’uomo non aggiunse altro, spostando lo sguardo su Obi-Wan. Il Guaritore rimase in silenzio, ma Qui-Gon poteva sentirlo ribollire.
«È successo qualcosa?» domandò infine, senza staccare gli occhi dal proprio apprendista.
Obi-Wan continuava a non muoversi, ed aveva un colorito decisamente troppo pallido, per i gusti dell’uomo.
«È successo» rispose Von Le, in tono misurato, «che vorrei proprio sapere chi è il Guaritore che si è occupato di prepararvi a questa missione… e non ha pensato di vaccinarvi contro questo virus».
Qui-Gon alzò di colpo gli occhi da Obi-Wan.
Prima che potesse dire alcunché, il Guaritore tagliò corto: «Me ne occuperò io».
L’uomo tornò a guardare il ragazzo. «È qualcosa che riguarda la vita del mio Padawan» osservò, con voce sin troppo calma. «Non dovrei occuparmene io?»
«È proprio per questo che non devi occupartene» affermò Von Le.
«E perché mai?» domandò Qui-Gon, sebbene conoscesse già la risposta.
«Perché se provo rabbia io, non voglio sapere quale potrebbe essere la tua reazione».
L’uomo non rispose.
Ripensò al fuoco sacro, invece, e al fatto che i Koonich avessero trovato accettabile che lui recasse omaggio all’eldr anche in nome di Obi-Wan. Perché li avevano visti come una famiglia.
Ripensò al fatto che Obi-Wan, accanto a lui, si sentiva a casa… Al fatto che la sua vicinanza avesse rassicurato il ragazzo.
E ora, scopriva che la vita del suo protetto era in pericolo… per la distrazione di un Guaritore?
Il ricordo dell’angoscia di Obi-Wan gli attraversò la mente, mentre i suoi occhi rimanevano fissi sul volto cereo del suo apprendista. Seppur con qualche difficoltà, l’uomo si costrinse a rilasciare nella Forza qualsiasi emozione negativa.
Si accorse di aver chiuso a pugno una mano, e la riaprì, distendendo le dita.
Ciò che era stato, era stato. Adesso doveva focalizzarsi su Obi-Wan, non sul passato.
Tutto il resto poteva aspettare.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò, ancora.
Seppe soltanto che, ad un certo punto, ci fu un lieve palpito dietro le palpebre del suo apprendista… E lentamente, a fatica, quegli occhi grigio-azzurri si aprirono.
Per un istante, mentre Qui-Gon tratteneva inconsciamente il respiro, lo sguardo di Obi-Wan rimase assente… Poi la consapevolezza passò sul suo volto tirato.
Von Le tese una mano per sentirgli il polso.
Il ragazzo sbatté le palpebre e fissò il Guaritore, ma non disse nulla.
Il Vultan, da parte sua, parve ascoltare i respiri del suo giovane paziente: ancora irregolari, ma già meno stentati di poco prima. «Obi-Wan» annunciò quindi, «ti abbiamo preso in tempo».
Qui-Gon inspirò bruscamente, con un sollievo così intenso da spazzar via qualsiasi traccia di rabbia.
Gli occhi di Obi-Wan cercarono il suo Maestro, mentre il ragazzo tentava debolmente di liberarsi delle coperte che lo avvolgevano.
Qui-Gon si protese su di lui, così da aiutarlo.
«Grazie» mormorò l’apprendista, con voce esausta. «Era troppo caldo».
«Vado a informare il pilota che ti sei rimesso» intervenne Von Le, rivolto ad Obi-Wan. «Torno subito».
Il ragazzo aggrottò la fronte e Qui-Gon chiese al suo posto: «Non torniamo a Coruscant?»
Lo sguardo di Von Le si fermò sul Maestro Jedi. «Per il momento, preferisco non spostarlo» rispose il Guaritore, seriamente. «Partiremo quando avrà recuperato un po’ di energie».
Qui-Gon annuì. «Molto bene».
Von Le fece per uscire dalla tenda. «Ah» disse, tornando a girarsi verso gli altri due, «se riesci, fagli bere qualcosa».
Quando furono di nuovo soli, Qui-Gon incrociò gli occhi del suo Padawan. «Vuoi provare a bere un po’ d’acqua?» domandò.
Obi-Wan esitò. «Forse…» Si schiarì la gola. «Forse è meglio aspettare un attimo».
L’uomo annuì. «Va bene» disse, osservando il volto del suo apprendista.
Era un’impressione, o le guance del ragazzo erano già più rosee di qualche momento prima?
E le sue labbra, non erano forse meno esangui?
Silenziosamente, Qui-Gon allungò una mano a tirare gentilmente la treccia di Obi-Wan.
Un sorriso balenò sul volto del ragazzo, ma scomparve subito. «Maestro…» esordì Obi-Wan, tentennante.
«Sì, Padawan?» Vedere il suo allievo di nuovo lucido, e sapere che la sua salute sarebbe andata migliorando, era un toccasana. «Che succede?»
Obi-Wan lo guardò. «Ecco, io… Mi dispiace per… per aver fatto il difficile…» Corrugò la fronte. «…su dove volevo morire. So che, a questo proposito, i Jedi possono scegliere ancor meno degli altri…»
Qui-Gon scosse la testa, ma per un momento ebbe voglia di sorridere. Era caratteristico del suo Padawan, pensò, sfiorare la morte e poi vergognarsi per aver mostrato una minima debolezza.
L’uomo tornò con la mente ai momenti peggiori del malessere del suo allievo. Ogni gemito, ogni ondata di dolore, erano stati per lui a malapena tollerabili.
Se aveva rifiutato di considerare l’ipotesi della morte di quel ragazzo, non era stato solo per il proprio solido legame con la Forza Vivente… Ma anche – e soprattutto – per il fatto che lui non riusciva nemmeno a contemplarla, un’ipotesi simile.
Tra i Koonich, ricordò Qui-Gon, c’era chi raccoglieva un po’ della cenere del fuoco sacro… E alla sera, come buon augurio, la utilizzavano per disegnare un piccolo cerchio al centro della fronte dei suoi figli.
Era un simbolo di protezione, di benedizione.
D’impulso, le dita di Qui-Gon andarono a sfiorare la pelle liscia del suo giovane apprendista, si mossero sulla sua fronte.
«Non importa, Obi-Wan» disse l’uomo, fermamente. «Non devi scusarti. Credo che nessuno possa essere biasimato perché non desidera morire lontano dalla propria casa».

**

Quando Qui-Gon Jinn venne ucciso, era lontano tanto da Coruscant quanto dal suo pianeta natale.
Non morì mentre la lama lo oltrepassava da parte a parte, né mentre lui crollava sulle proprie ginocchia e poi sul pavimento freddo.
Morì tra le braccia di Obi-Wan Kenobi, probabilmente la persona che amava di più nell’intero universo.
Erano molti, i Jedi che morivano in terre estranee e desolate, lontani dalla propria casa.
Con Qui-Gon Jinn, la Forza fu più misericordiosa.





















Note:
Innanzitutto, ringrazio Sylvia Naberrie: è probabile che, senza di lei, il mio scetticismo cronico verso tutto quello che scrivo mi avrebbe trattenuto dal pubblicare questa storia per un bel po’ di mesi (se non per sempre).
In secondo luogo, spero di non aver disgustato nessuno.
Per quanto riguarda la storia, Von Le è un personaggio che avevo inventato per una long-fic (mai pubblicata ora pubblicata, qui) su Qui-Gon e Obi-Wan… Spero non abbia fatto brutta figura.
E il finale è stato ispirato da mio padre, e dalle sere in cui mi faceva il segno della croce sulla fronte al momento della buonanotte.
Ora me ne vado, prima che le note diventino più lunghe della storia…
  
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