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Autore: Dani85    06/09/2013    4 recensioni
“Questa è la vita! / Un oscillare eterno / Fra paradiso e inferno / Che non s'accheta più.”
(Dualismo - Arrigo Boito)
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Questa è la vita di Remus Lupin, tra inferno e paradiso, dall'inizio alla fine.
Raccolta di istanti, pensieri e sensazioni; attimi per raccontare carezze e schiaffi di una vita intera, orribile e meravigliosa tutt'insieme.
[Famiglia Lupin | Malandrini | Remus/Dora]
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Dalla storia:
#1. Oltre la finestra, la notte continuava a stingere e la stanza cominciò a rischiararsi di bagliori azzurrati: l'alba del 10 marzo si apriva sul sonno dell'ultimo arrivato in casa Lupin.
#3. Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
#4. Cinque, come gli anni di Remus. Cinque, come i desideri di Lyall.
#6. Tutto tornò improvvisamente triste, come nella casa di prima e in quella prima ancora.
#7. «Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
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Storia Incompleta
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope Howell, I Malandrini, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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N.d.A.
Salve : ) Dunque, terza shot e si cambia registro. Siamo su un piano più introspettivo e cupo, la sera dopo lo scontro al Ministero tra Lyall Lupin e Fenrir Greyback. È notte di Luna Piena e be', sappiamo cosa succederà a Remus. Queste sono le sensazioni di Lyall nelle ore che precedono il dramma, senza particolari aspettative. Ah, Remus qui ha quasi cinque anni e, insieme alle info sulla dinamica della sua aggressione, è un dato che deriva dalla sua bio che J.K. Rowling ha scritto per Pottermore.
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in HP, appartengono solo a me.
Note: Infanzia di Remus – Citazione iniziale da “Chioma di Luce” di Manuel Altolaguirre 
 
Questa è la vita
Ombre

Ombre

Se è così triste la notte,
è triste per colpa mia

[Chioma di Luce – M. Altolaguirre]

Lyall affrettò il passo, desideroso di mettere quanta più distanza possibile tra sé e i colleghi di quell'improvvisato gruppo di lavoro. Ignorò la coda di risatine sarcastiche che sentì quando imboccò le scale e le percorse di fretta, senza mai voltarsi indietro. Respirò davvero solo quando fu in strada, il Ministero della Magia invisibile da qualche parte alle sue spalle.
Era stata una giornata assolutamente terribile, l'eco della serata precedente che lo aveva seguito in ogni angolo del Dipartimento per la Regolamentazione e il Controllo delle Creature Magiche, appiccicato addosso lungo i corridoi, tra i muri, nelle stanze del Ministero intero. Si era sforzato di essere sordo ai pettegolezzi sul suo scatto di rabbia, ma aveva lavorato male: ancora non riusciva a credere che esperti di creature oscure avessero potuto lasciarsi abbindolare da quel Greyback. E invece era andata proprio così: maghi che si professavano ben più esperti e capaci di lui si erano bevuti la storiella del senzatetto Babbano e avevano lasciato andare quello che in realtà era, senza alcun dubbio, un Lupo Mannaro. Avevano ignorato ogni segno, ogni atteggiamento, tutto. E ora si ritrovavano con un licantropo a piede libero, accusato di avere attaccato e ucciso due bambini. Di peggio non sarebbe potuto capitare.
Lyall sospirò, mentre deviava la sua strada e si infilava in un vicolo. Era buio e il freddo di febbraio gli strisciava fin sotto il mantello, dentro le ossa. La notte precoce dell'inverno lo nascondeva quanto bastava per non attirare troppo l'attenzione, lui e le sue occhiate indagatrici, lui e i suoi abiti da mago. Scivolava come un'ombra tra le ombre, a cercare nemmeno lui sapeva bene cosa.
Un riscatto? Una specie di prova da sbattere in faccia a quanti lo avevano deriso? Cosa diavolo stava cercando davvero lì, tra la sporcizia e il degrado dei bassifondi londinesi? Era davvero una semplice questione di orgoglio?
Lyall strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, l'orgoglio ferito che si ritirava come un'onda di sale che lasciò una scia di bruciante angoscia. Era quello ad averlo portato lì, l'angoscia che quel Greyback attaccasse di nuovo, con la Luna Piena alta in cielo e il Ministero preso per i fondelli.
Nel cono di luce di un lampione, un fuoco divampava tra le pareti di un bidone di metallo, le fiamme che guizzavano a un soffio dalle mani tese degli uomini che vi si riscaldavano vicini. Lyall si appoggiò al muro e strinse meglio gli alamari del mantello, lo sguardo che saettava sulle figure cenciose e sulle loro schiene curve. Cosa si aspettava di trovare tra le fiamme di quel fuoco? Gli occhi ferini sul viso scavato di Greyback? Quel suo ghigno indolente sulle labbra sottili, magari proprio mentre la Luna Piena lo trasformava? Per fare cosa poi? Per attaccarlo? Assurdo, era un pensiero assurdo: pensare di attaccare un Lupo Mannaro era come condannarsi a morte con le proprie mani o, nella migliore delle ipotesi,  a un futuro che sarebbe stato una maledizione.
Lyall si passò una mano sul viso e tra i capelli, infinitamente stanco. Era assolutamente consapevole che non avrebbe trovato lì Greyback, ma era un tentativo che doveva fare. Per la sua coscienza, per acquietarla, per dirsi che le aveva provate tutte, anche cercare da solo un licantropo vicinissimo alla trasformazione.
La luce del lampione sfarfallò, lingue di fuoco che la ingrigivano di fumo, mentre lui si spostava dal muro con una spinta delle spalle. Non aveva senso stare lì, non era lì che avrebbe trovato Fenrir, a fingersi il senzatetto delle sue frottole. Non quella notte, con la Luna che sarebbe sorta da lì a poco, tra i nuvoloni minacciosi e sempre carichi di pioggia dell'inverno britannico.
Qualcosa frusciò alle sue spalle, e fu come se il buio respirasse e avesse occhi e avesse mani pronte ad afferrarlo. Il fuoco che crepitava nel bidone di metallo però, fu tutto ciò che Lyall vide, il respiro e gli occhi e le mani che erano ombra e sembrarono solo angoscia.
 
*

Il vicolo buio era sparito nel suono morbido della Smaterializzazione, che era stata un pop soffice tra il fruscio del boschetto comparso tutto intorno a Lyall. Alti alberi dai rami scheletrici sembravano quasi danzare nel vento e proiettavano ombre tremule e confuse, sotto la luce dei lampioni lontani e del cielo che scappava tra le nuvole. Quella sera, con l'angoscia che gli mangiava il cuore, anche quel boschetto, che gli era familiare e che conosceva come le proprie tasche, sembrava nascondere ogni sorta di possibile pericolo. Dal vento che sibilava alle foglie ghiacciate che scricchiolavano sotto i suoi stessi piedi, tutto sembrava minaccioso. Lyall sospettò di essere diventato anche paranoico in quelle 24 ore, oltre che insofferente e infuriato. Era bastato un faccia a faccia con un vero mostro come Greyback per sconvolgerlo e rivoltarlo come un calzino, con la rabbia e la frustrazione che ribollivano sottopelle, la consueta tranquillità andata a farsi benedire.
Avrebbero dovuto ascoltarlo, dannazione!
O, più probabilmente, lui sarebbe dovuto restarsene tra i boschi di Cardiff a catturare Mollicci, invece che andarsi a chiudere in un ufficio del Ministero: se lo avesse fatto, non si starebbe tormentando ora, col terrore di ritrovarsi a dover contare altre vittime di un licantropo che lui – lui – avrebbe potuto evitare. Magari un altro corpicino di bimbo, con le mani piccole e il faccino tondo come il suo Remus, con un mucchio di domande sul mondo e un sorriso dispettoso sbriciolati per sempre da un morso.
Lyall scosse la testa strizzando violentemente gli occhi, tutta la sua volontà impegnata a soffocare quei pensieri. Quando li riaprì, si concentrò sul paese e le sue case illuminate, tranquille e silenziose avvolte nella luce polverosa dei lampioni, come se fosse un piccolo porto franco dalle brutture del mondo. Stretto nel suo mantello, Lyall si lasciò il bosco alle spalle e imboccò la strada per casa. Casa sua, con la sua Hope e la sua cucina Babbana, con il suo bambino e i suoi libri delle favole più grossi di lui, con il fuoco acceso nel caminetto e tutto il resto fuori. Casa sua, per scacciare il tormento di quella notte. Affrettò il passo, la testa già a casa, e l'ombra dietro di lui ghignò in un baluginio di denti affilati. Sembrò solo angoscia ma fu respiro e occhi e mani.
 
*

Il fuoco crepitò sonoramente quando Lyall vi gettò un paio di ciocchi di legno, le fiamme che si riflettevano sui giocattoli che Remus aveva sparso sul pavimento.  Girato a pancia in giù, il piccolo se ne stava puntato sui gomiti e giocava con dei cubi colorati, lettere e numeri stampati sulle facciate. Erano un regalo di nonna Martha e Lyall li aveva incantati, così ogni volta che Remus provava a formare una parola e la sbagliava, quelli protestavano, fischiavano come teiere impazzite e si allontanavano oscillando buffamente sui propri spigoli. Hope aggirò con un sorriso il suo bambino che giocava e poi scivolò alle spalle di Lyall, lo sguardo fisso sulla notte oltre la finestra.
«Ehi, stai bene?» gli chiese abbracciandolo da dietro, la fronte appoggiata tra le sue scapole.
«Se dico di sì, mi credi?»
«No, sei un pessimo bugiardo!» ridacchiò lei contro il suo maglione, la lana spessa che le lambiva le labbra.
Lyall sbuffò una mezza risata. Hope aveva ragione: non era per nulla bravo a mentire o, per lo meno, non era per nulla bravo a mentire a lei.
«Pensi ancora a quel Greyback?»
Il tono di Hope si era fatto più basso e accorto, attenta che Remus non li sentisse.
«Non riesco a non pensarci! È libero, capisci Hope? E invece dovrebbe essere ad Azkaban per quello che ha fatto a quei bambini...» mormorò, le braccia intrecciate a quelle della moglie.
«Non è colpa tua se è libero, non sei tu ad averlo lasciato andare!»
«Non lo so...» sospirò Lyall, «e poi ho un brutto presentimento, non so spiegartelo, è una specie di angoscia. Proprio qua!» disse e si picchiettò il petto, il loro riflesso trasparente sui vetri chiusi della finestra.
«Non succederà niente stanotte, vedrai! E domani spiegherai di nuovo a quelli del Ministero chi si sono lasciati sfuggire! Andrà tutto bene!»
Lyall si girò tra le braccia di Hope, la strinse e le rubò un bacio, riconoscente. Era bello il suo ottimismo, era come un balsamo per i tormenti di quelle ore.
Una versione particolarmente acuta di un fischio da teiera invase la casa e attirò l'attenzione di Hope e Lyall: davanti al caminetto, Remus si stava tappando le orecchie, mentre uno dei suoi cubi fischiava contrariato roteando sugli spigoli delle facce.
«Un po' troppo chiasso per una parola sbagliata, vero amore?» rise Hope, accucciandosi accanto al figlio.
«Ma io l'avevo scritta bene la parola!» protestò Remus, il viso atteggiato in un adorabile broncio.
«Sì sì, ti credo! Anche i cubi si confondono!» gli diede corda la madre, mentre gli assestava una pacca sul sederino. «Su, in piedi, è ora di andare a dormire!»
Remus sbuffò un po', solo un pochino, intanto che si alzava da terra.
«Ok!» esclamò puntando un ditino contro Hope, «Prima però, papà mi racconta una storia!»
Lyall si trovò puntati addosso due paia di identici occhi verde chiaro.
«Quale vuoi sentire?» chiese l'uomo, un enorme sorriso che era tutto per il suo bambino.
«Quella del Molliccio che ha attaccato la mamma!» saltò su lui, mentre correva verso il padre e lo afferrava per le mani, il suo piccolissimo e fragile riflesso impresso contro la finestra.
Lyall allargò il sorriso, e sembrava fosse impossibile, e si lasciò tirare davanti al fuoco, tutti i pensieri che si facevano corpo e crudeltà fuori da casa sua.
E l'ombra fu di nuovo respiro e mani e un baluginio di denti affilati in quella notte di Luna Piena e fu un diavolo che aveva deciso di prendersi un angelo.
Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
  
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