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Autore: The queen of darkness    09/09/2013    1 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel cuore della notte, il sospettato per omicidio plurimo Paul Smith chiese un bicchiere d’acqua. La guardia, notando che la cena era rimasta intatta nel vassoio, aveva fatto ritorno con l’oggetto richiesto. Mezz’ora più tardi, la scena si ripetè.
L’agente di turno, la mattina seguente, dichiarò che il sospettato appariva pallido ed emaciato come se stesse male, e urinava frequentemente. Prese a tossire attorno alle tre del mattino e poi, “con lo stesso aspetto di  un fantasma”, chiese un blocco per scrivere e una penna.
Sotto sorveglianza di due poliziotti poco inclini a gentilezze a quell’ora del giorno, il sospettato stilò un resoconto preciso di quello che era successo e poi, di proprio pugno, lo firmò. Infine, aggiunse una postilla in cui confidava di essere malato terminale di cancro e di non voler finire la propria vita in prigione.
-Che cosa? – chiese Hotch, sbalordito.
Lo sceriffo Dawson non si scompose. –Proprio così. Il bastardo ha confessato tutto.
Eva coprì discretamente uno sbadiglio con la mano. La sera prima era riuscita a dormire ben poco e in quel momento, incredula di fronte alla possibilità che il caso fosse già risolto, desiderava ardentemente un caffè.
JJ, nel frattempo, prese a massaggiarsi le tempie. –Abbiamo bisogno di una conferenza stampa?
Di solito, come la nuova arrivata aveva potuto osservare, l’agente aveva ben chiaro quello che doveva fare, ma una confessione così improvvisa e la rivelazione che il sospettato fosse in punto di morte sconvolgevano decisamente il corso dell’indagine.
-Io suggerirei di aspettare – intervenne Emily, conciliante. –Non abbiamo ancora provato la credibilità di quanto afferma.
Lo sceriffo Dawson sollevò le sopracciglia cespugliose. –Non è tutto.
Morgan sospirò, ma non intervenne. Considerò saggio non rendere la situazione ancora più complicata di quello che era.
Lo sceriffo, infatti, da scettico si era dimostrato ora completamente ostile. Non aveva mai riposto particolare fiducia nella squadra intervenuta in loro aiuto, ma essendo stato avvisato del fatto che Smith non andava considerato come l’esecutore materiale, si sentiva ingannato. Quella dichiarazione firmata in un tribunale sarebbe parsa molto più credibile di un cumulo di supposizioni, e questo lo sapevano tutti.
Reid arrivò in quell’esatto momento, e porse ad Eva una tazza di caffè bollente. Lei lo fissò, sorpresa, ma il giovane stava fissando il viso dello sceriffo, con l’evidente intenzione di non farle commentare la cosa.
In quelle poche ore trascorse dal loro incontro sul tetto, il ragazzo sembrava molto cambiato. Forse più stanco del giorno prima per la mancanza di sonno, ma anche stranamente soddisfatto e sereno. Non era stata l’unica ad accorgersene, però: nemmeno a Rossi passò inosservata quella piccola gentilezza.
“È snervante essere circondata da profiler”, pensò la ragazza, esasperata, “hanno mille occhi, si accorgono di ogni cosa!”
-Potrebbe essere più preciso? – come al solito, fu Hotch a riportare tutti alla realtà.
L’uomo sfogliò il raccoglitore che teneva in mano, rileggendo il rapporto.
-Citando testualmente la confessione scritta: “Due settimane fa, poco dopo aver scoperto di essere malato di cancro, feci la conoscenza che cambiò del tutto il mio modo di vedere il mondo. Quell’uomo mi insegnò molti lati che avevo sempre preferito trascurare della natura umana e, sotto la sua guida, ho cominciato ad apprezzare la bellezza insita in ogni azione violenta. Sono il diretto responsabile di parte degli omicidi di cui sono accusato”
Le reazioni furono contrastanti. Eva e Reid spalancarono gli occhi, una con la tazza ferma a mezz’aria e l’altro con la bocca semi-aperta dallo stupore. Hotch si passò una mano sul viso, visto che la situazione si complicava ulteriormente; Rossi, invece, si mantenne imperturbabile, sedendosi sul bordo di una scrivania là vicino. JJ, con un paio di fogli in mano, chiuse gli occhi e sussurrò qualcosa a mezza voce. Morgan trasse il cellulare dalla tasca con sguardo tagliente.
-Questo presuppone che il nome del secondo S.I. non sia esplicitato, giusto? – osservò Rossi, ironicamente.
-Esatto – confermò Dawson. Fece un sospiro. –Abbiamo tredici agenti sul campo, al momento; quattro stanno perquisendo l’abitazione di Smith e due hanno appena portato l’auto nella rimessa della centrale.
-Non troverete niente – osservò pacatamente Rossi, ancora una volta. –Le parole che Smith ha usato sono fuori dal suo vocabolario usuale; non sono opera sua. Sicuramente è stato imbeccato, e aveva paura di dover passare tutto il suo tempo rimanente in cella.
-Il secondo S.I. ci sta provocando – disse Hotch. –Tramite l’arrestato ci comunica che vuole essere trovato da noi, e che nuovi omicidi sono in programma.
-Ma non poteva compierli prima? – domandò lo sceriffo, apertamente dubbioso.
-No – spiegò Reid, - se l’avesse fatto, Smith sarebbe sembrato innocente e rilasciato.
-Per lui, Smith non significa niente – intervenne Emily, - è stato solo un mezzo per raggiungere più facilmente il suo fine.
-Ovvero? – chiese Dawson.
-Ovvero – disse Hotch, - quello di eliminare quante più prostitute possibili e dare inizio ad una caccia all’uomo.
Detto questo, agguantò il telefono e scomparve nell’altra stanza. Eva si chiese a chi stesse telefonando con tanta insistenza, ma le parve fuori luogo dirlo in quel momento.
-Forse – espose timidamente, - il mentore potrebbe essere l’uomo ipotizzato in precedenza, un datore di lavoro. Smith fa il fattorino, giusto? Potrebbe aver incontrato così il dominante.
-Sottomesso anche nel posto di lavoro all’S.I..  Assoluta dipendenza da lui, sia finanziaria che morale. Negli omicidi, nel lavoro, nella vita era completamente succube di lui – ipotizzò Morgan. 
-Controllo totale – disse Emily, con una smorfia. –Non ci dirà mai il suo nome.
-Non importa, possiamo scoprirlo – disse l’agente di colore. Prese il proprio cellulare e compose il numero di Garcia. L’agente informatica rispose al primo squillo.
-Dimmi tutto, zuccherino! – cinguettò.
-Ti ho messo in vivavoce – l’ammonì l’uomo di colore. Posò il telefono al centro della scrivania in modo che tutti sentissero la conversazione. –Garcia, dovresti fare una ricerca.
-Sono nata per questo – gli ricordò. In sottofondo, già si sentiva il rumore dei tasti che venivano premuti con grande velocità.
-Il nostro sospettato, Paul Smith, ha un mentore. Probabilmente, l’uomo in questione ha un controllo assoluto sulla sua vita, e ipotizziamo sia il suo datore di lavoro. Quando ha cominciato a lavorare come fattorino?
-Due anni fa, circa – rispose la donna, - ad intermittenza, per un negozio di ferramenta. Sospeso a causa dei numerosi richiami disciplinari, licenziato e poi riassunto in seguito ad un arresto per ubriachezza molesta, scontato poi con i domiciliari.
Morgan scosse la testa. –No, Smith non si sarebbe mai comportato in modo scorretto con il dominante, lo venera. Cerca qualche rapporto di qualsiasi tipo che sia iniziato due settimane fa.
Dopo qualche secondo, Penelope manifestò il proprio disappunto.
-Non c’è… niente. Niente di niente. Nessuna spesa, nessuna telefonata, nessuna multa, zero assoluto. È come se nell’arco di questo tempo Smith non sia esistito affatto.
-L’S.I. ha provveduto a cancellare le tracce – riflettè Rossi. Poi si rivolse direttamente alla collega. –Cerca qualsiasi cambio di domicilio nell’ultimo mese.
-Ecco… Smith si è trasferito nell’ex appartamento di una vecchia zia, morta recentemente senza stilare le proprie ultime volontà. Lui era l’unico erede. Nel condomio vivono… tre famiglie e due uomini single, più un’anziana signora.
-Cosa sai dirci dei due uomini? – chiese Morgan.
-Uno, Richard Duly, divorziato con tre figli. Arrestato tre anni fa per violenza domestica e tentato omicidio, con precendenti per aggressione e guida in stato d’ebrezza. Attualmente ricoverato in una clinica di disintossicazione. L’altro, Glenn Michaels, possessore di due appartamenti nello stesso palazzo. Recentemente uscito di prigione per possesso di stupefacenti, ha precedenti per spaccio e induzione alla prostituzione, ma nell’ultimo caso le accuse sono cadute.
-Glenn Michaels – mormorò Eva, impallidendo. –È il protettore di Tracy.
Derek le lanciò uno sguardo d’assenso. –Garcia, quando è stato scarcerato Glenn?
-Due settimane fa. L’ultimo periodo ha dovuto passarlo ricoverato nella clinica St. Louis per una ricaduta. Hey, aspettate un attimo… i referti medici di Smith vengono dallo stesso ospedale!
Nella stanza, tutti si guardarono.
-Grazie, bambolina – grugnì Derek, chiudendo la comunicazione.
-Glenn Michaels è il proprietario di un secondo appartamento – intuì Reid, - forse lo stesso usato per commettere le torture. Inoltre possiede un furgone, l’ho visto in un dossier; l’ideale per trasportare le vittime ancora vive.
Rossi sembrava nauseato. –Sicuramente il lavoro di Glenn rendeva più facile per entrambi avere delle prede. Smith è rimasto succube dell’altro in un momento di debolezza, e insieme hanno sfogato le loro pulsioni.
-Smith dipende completamente da Glenn: sicuramente l’uomo avrà provveduto a saldare tutti i suoi conti a proprio nome – disse Reid.
-E perché avrebbe dovuto farlo? – intervenne lo sceriffo, dopo un lungo silenzio.
-Perché così Smith si sarebbe convinto che la sua devozione era ricambiata dalla fiducia – spiegò Morgan, - e Glenn si assicurava che l’adepto non facesse errori o non avesse scontri violenti con i creditori per attirare l’attenzione.
-E perché farsi arrestare? – chiese lo sceriffo, di nuovo. –Perché non continuare questo perverso giochetto fino a quando Smith non ci avesse rimesso le penne?
Fu Emily ad intervenire. –Smith non è affatto il complice ideale. Non è sufficientemente intelligente e non è affatto discreto e, inoltre, è incline ad ubriacarsi. Molti farmaci per le terapie contro il cancro, opportunamente lavorati, possono diventare sostanze eccitanti. In più, Glenn ha delle manie di onnipotenza: avere un solo seguace non gli avrebbe dato la fama che lui voleva.
-Ma venire arrestato e portarsi nella tomba anche qualche poliziotto sì – spiegò Rossi.
-Maledetto bastardo… - sibilò lo sceriffio Dawson.
Si voltò e abbaiò qualche ordine ad un paio di agenti lì nella centrale: -Sullivan! Raduna una squadra e fai mettere posti di blocco ad ogni uscita! Quel maledetto figlio di puttana non riuscirà ad uscire vivo da questa città!
Hotch, che era appena tornato, non commentò quanto appena visto. Morgan, velocemente, gli espose la situazione.
-Dunque non abbiamo bisogno di un secondo profilo – la sua, più che una domanda, pareva un’affermazione. Derek annuì ugualmente.
-Bene, allora – commentò il capo. –Morgan e Rossi, con me. Reid: stai qui in centrale e riferisci ogni singolo spostamento sospetto. JJ, invece, prepara una conferenza stampa per allertare la popolazione.
Gli agenti, uno dopo l’altro, annuirono e si sbrigarono a seguire le proprie faccende, andando chi in una stanza, chi nel parcheggio esterno per accendere il motore del SUV.
-E… noi, signore? – chiese Eva, con un certo disappunto.
Hotch si voltò verso di lei quel tanto che bastava per non fermare il proprio passo di marcia e, quindi, sprecare tempo prezioso.
-I signori Granger stanno ancora aspettando – disse, senz’ombra di seccatura nella voce, - tu ed Emily cercherete di scoprire cosa aveva attirato Michaels proprio verso la loro figlia.
Congedate con quelle parole, le due donne si guardarono.
-Non preoccuparti per tutta questa fretta – si premurò di dirle Prentiss, - è solo che è costantemente messo sotto pressione. La Strauss non gli sta dando tregua… ogni sviluppo deve passare attraverso di lei.
-Comprese le lame delle armi del delitto? – osservò Eva, sarcastica.
La collega, dopo qualche attimo, realizzò la battuta e fece una risata con sbalordita complicità.
-Se te lo stai chiedendo – disse la ragazza, - ho già avuto modo di parlare con l’angelo di donna, e l’impressione che mi ha fatto non è stata delle migliori.
Emily annuì, comprensiva. –È sempre molto stressante quando ci sono modifiche o nuovi arrivi nella squadra. Ha l’illusione che se non allenta la presa qualcosa possa andare storto.
Mentre lo disse, arrivarono davanti ad una stanza abbastanza appartata nella centrale. Ogni angolo, infatti, brulicava di agenti in uniforme che si spostavano da un telefono all’altro con un marasma di fogli stretti in mano, preda del nervosismo generale.
-Eccesso di zelo – chiese Eva, con tono pensieroso, aprendo la porta ad Emily, - oppure distruttiva curiosità?
La donna non rispose, ma le lanciò un’occhiata divertita. Eva aveva imparato con il tempo che puntare sulle antipatie comuni può essere un ottimo modo per attaccare bottone e far sentire i propri colleghi a proprio agio. Era come se la condivisione comune di opinione fosse un universale metodo per stare meglio nel proprio posto di lavoro.
-Buongiorno, signori Granger – salutò Prentiss, entrando. Assunse subito un’espressione composta e professionale. –Io sono l’agente Emily Prentiss, e lei è la nostra consulente, Eva Arcangeli.
Il cognome venne pronunciato in modo scorretto, ma Eva era sicura che i genitori, sconvolti e stanchi, non vi avrebbero fatto caso. Il padre, con la barba di due giorni a corprire il mento, i capelli aggrovigliati e un paio di occhiaie rossastre, allungò stancamente una mano e la strinse ad entrambe.
La moglie, invece, rimase seduta a tamponarsi le guance con un fazzoletto sgualcito, usato già molte volte. Il trucco sbavato era stato miseramente contenuto con l’uso di un qualche latte detergente, ma l’unico effetto ottenuto era un viso provato e arrossato, con la pelle ammorbidita dalle lacrime.
-Sono stati… sono stati due giorni d’inferno – spiegò la donna, tirando su col naso.
-Lo possiamo immaginare, signora – disse Eva, rassicurante. Le si accomodò davanti mentre Emily, silenziosa, si spostò dal lato del tavolo dove non aveva nessuno di fronte.
In quello stesso istante, Eva capì che quello era un esame, l’ennesima prova da superare: Hotch aveva incaricato segretamente la donna di tenere d’occhio la nuova agente e testare le sue capacità in un incontro con i parenti delle vittime e, anche se quello era un campo in cui era in grado di muoversi senza difficoltà, rendersi conto di essere analizzata in ogni minima mossa la metteva piuttosto in ansia.
-Inanzitutto – esordì, - siamo venute qui per cercare di conoscere meglio  vostra figlia. So che è doloroso parlare di certe cose, ma avremmo bisogno di sapere quante più cose possibili su di lei.
Fu la madre, soprendentemente, a prendere la parola.
-  La nostra Elise era una ragazza per bene. A scuola aveva tutti ottimi voti, non ci diede mai nessun motivo di preoccupazione. Eccelleva nell’equitazione e ha sempre vinto un sacco di premi. Però… all’università le cose sono cambiate…
Il tono, da orgoglioso e un po’ tremolante, si fece quasi desolato.
L’attenzione di Eva aumentò. –Potrebbe, per favore, spiegarsi meglio?
Il marito intervenne. –Venne ammessa all’università migliore della città. Voleva diventare veterinario, era la migliore del corso. Solo che… lo stress da esami l’ha avvicinata al mondo della droga.
La moglie ebbe un singulto, e il consorte abbassò lo sguardo. Il tono dell’agente si addolcì, sotto lo sguardo vigile di Emily.
-Qual era la sua materia preferita? – domandò.
I coniugi si scambiarono un’occhiata, confusi. Poi lei, con un lieve sorriso, rispose: -Anatomia. Aveva ottimi voti.
-E anche biologia – intervenne l’uomo. La moglie assentì con un gesto del capo.
-Aveva una macchina tutta sua, vero? – chiese ancora Eva, dimostrando una certa complicità.
-Gliel’avevamo comprata per il suo ventesimo compleanno – giustificò l’uomo, piuttosto sorpreso,  - visto che aveva completato il semestre nel migliore dei modi. E poi la metro era scomoda, non c’era una stazione vicino all’università.
-Doveva sempre fare circa quindici minuti di strada a piedi – confidò la donna.
-Scommetto che fosse un’ottima atleta – commentò Eva.
-Lo era – sorrise la donna.
L’agente rispose al sorriso. Emily la stava osservando, stavolta piuttosto incerta su cosa pensare. Lo si leggeva dal suo volto; la nuova arrivata aveva dimostrato una grande abilità nel far sentire a proprio agio i genitori e, al tempo stesso, scoprire qualcosa di lei.
Lo sguardo di Eva si fece improvvisamente triste e, con voce partecipe del loro dolore, parlò sommessamente.
-Dopo… dopo la sua caduta nella dipendenza, vi siete rivolti ad una clinica? Ad uno specialista?
Il signor Granger, per la prima volta durante l’interrogatorio, strinse la moglie circondandole le spalle con un braccio, in un gesto di conforto. Si presero qualche attimo prima di parlare apertamente.
-Noi ci eravamo accorti che Elise aveva un problema. Era assente, strana… stava via sempre più spesso, e quando le facevamo domande era schiva, riservata.
Fu la moglie a continuare: -Un giorno le abbiamo detto che avevamo trovato delle pillole nella sua borsa. Lei si infuriò e disse che non potevamo capire, che lo stress la stava uccidendo e che… che… - la voce le mancò e si concluse in un singhiozzo.
Il marito la strinse più forte e completò il racconto.
-Da allora scappò di casa. Provai io stesso a cercarla, ma non avevo idea di dove avrebbe potuto essere… non sapevo dove andare. Eravamo disperati. Denunciammo la scomparsa alla polizia, e loro ci dissero che era stata… che era stata arrestata.
La signora si asciugò le lacrime con lo stesso fazzoletto umido di prima, prendendo forza.
-Pagammo la cauzione e la portammo a casa. La facemmo mangiare, ci sforzammo di trovarle un lavoro. Ma una settimana dopo era già sparita di nuovo.
-Questa volta per sempre – mormorò l’uomo, affranto.
Eva non disse nulla per un lungo momento, limitandosi ad osservarli. Erano sinceri, su questo non c’erano dubbi, e questo confermava il rilascio in seguito allo stato di fermo per adescamento registrato nella fedina della vittima. Forse era entrata nel giro di Glenn Michaels fin dai tempi dell’università, e questo poteva poi giustificare la successiva serie di eventi.
-Sono sinceramente dispiaciuta per la vostra perdita, signori Granger. Elise aveva l’aria di essere una ragazza davvero meravigliosa.
-Avete… avete già un sospettato? – domandò l’uomo. Sembrava stesse per ricominciare a piangere.
L’agente abbassò il capo, ma parlò con delicatezza. –Questo purtroppo non posso dirlo, per quanto io voglia, ma sarete i primi ad essere informati degli sviluppi nelle prossime ore.
In quello stesso istante, il cellulare di Emily prese a ronzare discretamente. La coppia, fortunatamente, parve non accorgersi di nulla, ma Eva scambiò con la collega un’occhiata d’assenso.
-Signori – annunciò, il più gentilmente possibile, - vi ringraziamo sentitamente per la vostra collaborazione, ma adesso dobbiamo andare. Provvederò personalmente a farvi riaccompagnare a casa. Desiderate un caffè, un po’ d’acqua?
-Io sì, grazie – mormorò la donna, distrutta. –Un caffè, per favore.
-Glielo porto subito – promise Eva. Poi uscì dalla stanza seguita dall’altra donna.
-Era Hotch – spiegò subito, senza troppi convenevoli. –I posti di blocco non hanno rivelato nessun movimento, e le stazioni di treni, autobus e aereoporti non hanno portato a niente. Non sta cercando di fuggire, questo è certo.
- È assurdo – disse Eva, confusa. –Il profilo dice che necessita di una caccia all’uomo in grande stile, deve averla per soddisfare il proprio ego!
Emily scosse piano la testa, mormorando una fatale domanda: -Cos’altro potrebbe dargli la stessa ebrezza di un inseguimento?
Un pesante silenzio assorbì l’interrogativo. Ad un tratto, la ragazza più giovane sollevò la testa, allarmata. Corse velocemente lungo il corridoio e si affacciò nella stanza dove c’era un agglomerato impressionante di scrivanie incastrate fra loro, come una brutta copia dell’open-space che avevano all’FBI.
-Sceriffo Dawson! – gridò. – Faccia sgombrare l’appartamento del sospettato Michaels! Immediatamente!
L’uomo, sentendosi interpellato, posò una mano sulla pistola, chiusa nella fondina, il passo immobile fuori dalla porta del proprio ufficio.
-E perché mai? – urlò di rimando, per sovrastare il brusio dall’altro lato della stanza.
La ragazza tradì il proprio nervosismo mordendosi il labbro.
-Perché c’è una bomba!
 
  
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