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Autore: Neal C_    11/09/2013    0 recensioni
Jean Marc de Ponthieu o Ian Maayrkas?
Più che mai questo interrogativo assilla la mente di Ian quando si vede costretto ad onorare i suoi obblighi di vassallaggio, “condannando” un figlio ad un matrimonio di interesse.
Il feudatario deve rassegnarsi ma può farlo l’americano che fa della libertà il suo stendardo?
Nel desiderio di schiarirsi le idee, Ian tornerà nel ventunesimo secolo da Daniel sfruttando ancora una volta la tecnologia di Hyperversum.
Ma gli eventi precipitano e il diabolico Hyperversum strapperà a Ian la sua famiglia, trascinando con se anche Geoffrey Martewall, da sempre propenso a credere che Ian non è mai stato il cadetto dei Ponthieu.
Il Falco e il Leone, in lotta fra loro, ancora una volta.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daniel Freeland, Geoffrey Martewall, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Ian/Isabeau
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Nihil morte certius*


Ian scuoteva il capo sordo ad ogni suono, rumore o parola che sia.
Davanti a lui Isabeau gli spiegava ancora una volta, pazientemente, quale grande onore e quale immenso vantaggio sarebbe stato per il loro figlio cadetto quel matrimonio con la figlia di Martewall.
“è tuo amico Jean. È una famiglia di cui fidarsi. ”
“è l’Inghilterra! È un paese pericoloso!”  le urlava addosso l’americano e sentiva le lacrime pungergli gli occhi tanto che dovette trattenersi con veemenza.
Non era bene che l’uomo si mostrasse debole, anche davanti alla propria moglie.
é il codice di qualunque cavaliere degno di questo nome, pensò Ian con amarezza.
Ormai si ritrovava sempre più spesso ad ammettere a sé stesso che la sua identità di americano del ventunesimo secolo stava lentamente sbiadendo.   E ogni volta se ne pentiva.
Gli sembrava di fare un passo indietro, dalla civiltà alla barbarie.
Un mondo e un tempo barbaro dove lui era l’uomo e Isabeau la donna, dove Bianca di Castiglia invece che essere una  donna in quota era una strega, dove si frustava chi commetteva un furto e si mandava a morte chi si macchiava di omicidio, un mondo dove si combinavano i matrimoni per non soccombere.
L’amarezza si trasformò in disgusto e si ritrovò a desiderare, solo per un momento di fuggire aldilà del tempo, di viaggiare verso casa, verso il suo appartamento e la sua cattedra alla  University of Phoenix, le cene da John e Sylvia, i pomeriggi ai videogames con Daniel e Jodie e le partire di basket di Martin.
Poi guardava la moglie che si adoperava disperatamente per farlo sorridere e rassegnare e scacciava ogni pensiero con tutte le sue forze.
“Tra l’altro Michael era entusiasta di andare in Inghilterra da Geoffrey. Si piaceranno vedrai, questo renderà tutto più facile. Si conosceranno. È la cosa migliore che potesse capitargli, Jean”
Per un attimo il mondo si fermò.
E se si fosse preso un paio di giorni? Se ne avesse riflettuto con Daniel e con Jodie davanti ad una bella pizza, dopo una doccia calda?  E se si fosse allontanato per un po’ da quel mondo stressante, dalla tana del lupo e dai suoi famelici ospiti?
Il suo pensiero saettò subito al codice di famiglia che aveva nel cassetto del suo ufficio all’Università.
La cattedra era stata istituita per lui, in fondo non potevano averlo spostato senza attendere il suo consenso. Tutti i suoi materiali di ricerca dovevano essere lì.
L’idea di sbirciare fra le pagine di un atlante storico il destino di suo  figlio lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Ci sarebbe riuscito? Valeva la pena di provarci.
“Jean? Amore? Mi ascolti?”
“si, si” rispose Ian in fretta guardandola con i suoi occhi chiari e arrossati, desiderando perdersi in quelli nocciola di lei. Era lo sguardo di un cucciolo smarrito, ferito nell’anima e bisognoso di calore.
Isabeau si addolcì con un sorriso luminoso andandosi a sedere vicino a lui sul letto a baldacchino preparato sontuosamente con lenzuola di lino e inserti in seta.
I piedini bianchi spuntavano timidamente da una lunghissima camicia da notte bianco latte e lei lasciò che lo scialle di cotone azzurrino scivolasse timidamente lasciandole le spalle scoperte.
Rabbrividì al tocco freddo della mano  di Ian che le sfilava lo scialle dalle spalle e la invitava gentilmente a stendersi accanto a lui.
Nonostante il caldo degli ultimi di luglio che promettevano una notte afosa, Isabeau appoggiò la massa di ricci biondi sul petto nudo del marito lasciandosi accarezzare il viso con dolcezza.
Lui mormorò dolcemente al suo orecchio “speriamo”
E si ripromise di farle domani la sua proposta mentre la spostava dolcemente da se e si chinava a baciarle la fronte protettivo.

************

“Vuoi tornare nel futuro?!”
Daniel era sbalordito.  Non riconosceva quella stessa persona che lo aveva pregato strenuamente la prima volta di non allontanarlo dalla sua amata anche se pugnalato a morte e la seconda volta che gli aveva impedito di cambiare vita quando tutto sembrava perduto.
Non ne vedeva la ragione.  
“Che senso ha!? Non dovresti stare qua a combattere la tua battaglia per la sua libertà?!”
Ian sospirò funereo annunciandogli tetramente “Non c’è niente per cui combattere, Daniel.
Non è previsto che io rifiuti.”
“Non vorrai accettare una cosa del genere?! Ian, cristo, è tuo figlio!”
Lo vide alzarsi feroce e rosso in viso, quasi minaccioso nelle sue vesti principesche.
Ian aveva sempre torreggiato su tutti loro eppure aveva tentato di dissimulare la sua altezza e prestanza fisica in tutti i modi. Daniel ricordava uno Ian che voleva passare inosservato, che cercava di mettere ciascuno a proprio agio, deciso ma sempre cortese, umile e mai arrogante.
Ma davanti a lui c’era un feudatario francese la cui smorfia sul viso suggeriva che non fosse affatto un tipo abituato ad ascoltare consigli altrui o sentirsi apostrofare in quel modo brusco e poco rispettoso.
“COSA CREDI?! CHE IO NON LO SAPPIA?!”  si fermò per riprendere fiato e per abbassare lentamente il tono di voce; con i suoi ruggiti rischiava di attirare l’attenzione di tutto il castello.
“E allora dimostrami che non sei una testa vuota, riempita fino all’orlo di queste ridicolaggini medievali!
Dimostra di essere ancora Ian Maayrkas, quello che un tempo ha sfidato Ponthieau e a fregato a Mr cadetto il posto di preferito e la moglie più bella d’Europa.  Ragiona! Questa è follia! ”
Ian alzò gli occhi al cielo davanti alla sarcastica sintesi della sua vita fatta dal suo migliore amico e cercò di evitare il suo sguardo nel timore di leggervi lo stesso disgusto che aveva provato a sua volta.
Non voleva avere conferma che quella fosse una follia anzi, voleva in tutti modi convincersi che sua moglie avesse ragione.
 Ma solo  quel codice medievale poteva aiutarlo a fare luce su questo mistero, a costo di leggervi l’irreparabile.
“Daniel, ti ho già spiegato i motivi. Dovrai ammettere che sono tutti ragionevolissimi.
Inoltre non ho scelta e persino Isabeau sostiene che questo farà la fortuna di Michael.
Ti prego, non rendere tutto più difficile.”
L’altro si zittì percependo la disperazione nella voce dell’amico ma quando stava per riprendere a ribattere fu preceduto da Ian che cercò il suo sguardo annunciando con decisione:
“Adesso ho bisogno di te. Tu mi porterai con te questo week-end a New York.
Ho bisogno di sapere se mio figlio sarà al sicuro. Ti prego.”
Il biondo sbuffò e aggiunse, velenoso, con una stoccata che l’altro incasso faticosamente, con un singhiozzo
“E cosa farai se scoprirai che questo potrebbe portare alla sua morte? Lo darai lo stesso in sposo a quella  lì?”
“Non lo dire neanche per scherzo” si ribellò con tono rabbioso il giovane padre “Io so che non è così”
Daniel abbassò lo sguardo mortificato e sconfitto mentre mugugnava di malumore
“programmi per il week-end? Come hai in mente di assentarti per le prossime quarantotto preziosissime ore?”
Ian cominciò ad esporre il suo piano, meditando su ogni parola, ripassandolo in ogni dettaglio.
Contava di raccontare che avrebbe passato qualche giorno in pellegrinaggio al monastero di Saint Michael come buon auspicio per la decisione presa mentre Daniel avrebbe fatto finta di partire per il porto a cui avrebbe attraccato la nave che lo avrebbe condotto oltre Manica, verso la fantasiosa Scozia da cui dicevano di provenire.
Daniel sarebbe tornato momentaneamente a casa e avrebbe calcolato in base ai tempi del gioco come programmare la partita salvata che avrebbe riportato l’amico al Monastero, al momento in cui Ian aveva finito la sua preghiera ed era andato a fare una passeggiata nel bosco, oltre il recinto del cortile esterno alle mura della struttura monastica.
In quel punto sarebbe stato prelevato da Daniel e in quel punto sarebbe poi tornato, due giorni dopo, con un nuovo backup di dati.
Fatti i conti per bene, fra i due momenti ci sarebbe stato uno scarto di massimo due minuti, anche meno.
E nel frattempo Ian e Daniel avrebbero avuto il loro weekend.
Il biondo si complimentò con l’amico. Ormai era diventato anche troppo bravo ad escogitare sotterfugi.
Semplicemente adesso è meno difficile. Posso fare quello che voglio e raramente devo rendere conto  a qualcuno, pensò dolente Ian mentre concludeva fra se e se,  è il potere, ti apre tante strade e poi, all’ultimo, ti taglia via le ali.

E così fu.
Ian dovette congedarsi dai suoi ospiti che reagirono tutti in maniera piuttosto simile, apprezzando e lodando il suo gesto pio e congratulandosi per la buona scelta e il matrimonio alle porte.
In fondo sarebbe stata questione di sei anni. Infatti Ian aveva però ottenuto che il figlio non si preparasse al matrimonio né lasciasse casa prima dei sedici anni.
Per la sua istruzione innanzitutto e poi doveva dimostrare di essere un uomo e un cavaliere gareggiando al primo torneo in nome della sua dama.
Con grande fortuna di Ian, il torneo estivo capitava pochi giorni prima del compleanno di suo figlio.
Dunque il suo debutto in società non sarebbe stato prima di metà settembre.
Avrebbe avuto ancora un mesetto in più per prepararsi a dire addio alla casa paterna.
Ancora una volta Ian si era fatto promettere che il torneo non fosse spostato né posticipato in alcun modo.
Prima di metà settembre suo figlio sarebbe stato ancora un uomo libero.
Le sue volontà furono messe per iscritto, firmate dal Conte con inchiostro nero e con un sigillo della  casa.
Mancava solo la firma di Geoffrey Martewall ma Ian era certo che anche lui avrebbe acconsentito.
In fondo, prima di accogliere il figlioccio, Martewall doveva assicurarsi che il futuro marito di sua figlia fosse un abile cavaliere e un uomo istruito.  In compenso Ian si impegnava a mandarlo in Inghilterra ad agosto, per tutto il mese, ogni anno escluso quello del suo sedicesimo compleanno.
Per Michael sarebbe stata una buona occasione per esercitare il suo inglese e soprattutto la scherma con il futuro suocero. Inoltre sarebbe stato partecipe della gestione della casa e avrebbe avuto occasione di abituarsi alla presenza della sua sposa e imparare a comportarsi come di dovere.
Non che in Inghilterra le buone maniere fossero molto diverse ma era fondamentale abituarsi e conoscere la tana del lupo prima di avventurarcisi.
Daniel assisté sgomento ma quasi incuriosito alla cerimonia di giuramento che coinvolse Ian e il messo inglese che fu investito dell’autorità del padrone in assenza del barone di Dunchester.
Ian si guadagnò lo sguardo soddisfatto e compiaciuto di Guillaume.
A lui disse più tardi che semplicemente non ne poteva più della folla di personaggi politici più o meno influenti che affollavano casa sua e che voleva stare da solo per pensare.
“è una cosa ammirevole.  So che non è stata una decisione facile. Sono fiero di mio fratello in questi momenti.”
Se credeva di riscaldare il cuore di Ian non aveva fatto i conti con il suo disagio, il disagio del bugiardo che nascondeva, per l’ennesima volta, i suoi  sotterfugi e i suoi inganni per salvarsi la pelle.
Ma in fondo Jean Marc era ancora troppo scosso dalla notizia del fidanzamento prossimo del figlio perché il suo disagio non potesse essere scusato.
Chi invece fu doloroso salutare fu Isabeau, ma Ian non se la sentiva di darle una simile preoccupazione.
Per lui erano quarantotto ore ma per lei sarebbero stati pochi secondi.
“Il solito samaritano” commentò Sancerre scandalizzando Grandprè mentre il giovane de Bar rideva beffardo. Inoltre Etienne si fece promettere che tutti i giovani cadetti del mitico gruppo da torneo avrebbero organizzato a Michael un addio al celibato degno di questo nome.
Aveva poi aggiunto che un padre così pio e religioso certo non avrebbe provveduto ad educare e affinare le arti dell’amore del suo giovane figliolo dunque spettava agli zii e cugini acquisiti colmare quelle lacune.
Ian si era fatto finalmente una risata dopo giorni, incapace persino di fare il finto offeso mentre Daniel nascondeva l’ilarità nel bavero della sua casacca e Isabeau arrossiva, gli occhi pericolosamente allarmati  e la boccuccia spalancata.
Proprio mentre cercava le parole più adatte per inchiodare il vecchio amico di ventura fu, ancora una volta interrotto da un messo, stavolta un giovane inglese rossiccio dall’aria piuttosto conosciuta.
“Monsieur Jean?”
“Beau?”
Il giovane Beau, un ragazzo alto e muscoloso, vestito con i colori dei Martwell veniva avanti fiero, con gli occhi scintillanti dalla contentezza e dall’orgoglio, specie nel vedere la meraviglia e la gioia del suo ex-cavaliere e mentore.
Ian corse persino ad abbracciarlo.  In quel momento la gioia lo sopraffece forte almeno quanto lo erano stati altri sentimenti negli ultimi giorni.
Alla fine, davanti all’imbarazzo del giovane, stamperò l’abbraccio con qualche pacca vigorosa sulla spalla eppure era certo che anche Beau, in un certo senso, ricambiasse.
“Come te la passi? Come va con Sir Martewall?”
“Oh, Monsieur, sarò scudiero ancora per poco! Dopo il torneo di Natale mi è stata promessa l’investitura!”
Il giovanotto ventunenne scoppiava di orgoglio come un pavone che sfoderava la sua coda multicolore.
“Magnifico! E vedo che il tuo francese è assai migliorato e il tuo accento peggiora di giorno in giorno.” Lo rimbecco Ian per mitigare quella valanga di complimenti che rischiava di far scoppiare d’orgoglio il giovane scudiero.
“Prima di tutto Monsieur, ho per voi un messaggio da parte di Sir Martewall. Si scusa molto ma è sbarcato due giorni fa sulla vostra terra ed è a riposo. In realtà ha avuto una brutta febbre durante il viaggio e dunque rimarrà a riposo un altro giorno prima di raggiungervi qui a Bearne.”
Ian annuiva preoccupato per la salute dell’amico,  non osando interrompere il ragazzo.
“Intanto potrai riposarti per un paio d’ore, e con Monsieur Daniel, davanti ad un bel bicchiere di vino saremo felici di sentire qualcuno dei tuoi racconti. ” la voce si fece severa e grave “Poi potrai dire a Geoffrey che l’indomani parto per un pellegrinaggio  al Monastero di Saint Michael in onore del legame che unirà le nostre casate.” Notando alcune perplessità del giovane ripetè l’ordine in inglese e continuò così, notando il sollievo plateale del giovane  “e dirai che se mi vuole raggiungere lì sarò lieto di incontrarlo, fargli firmare un contratto in cui sono riportare le mie condizioni così che lui possa scrivere le sue e io a mia volta mi impegno a firmare e ad adempiere alle sue richieste.
Per lui sarà un sollievo visto che il monastero è più vicino al porto dove è sbarcato e a Chatel Argent.
Inoltre i frati sono molto ospitali con i viaggiatori  e sicuramente saranno trovare dei rimedi alla febbre e all’influenza del tuo padrone.”
Daniel ancora una volta assisteva alle mirabili conclusioni di Jean Marc de Pontieu che, come un novello Sherlock Holmes, sapeva mettere ogni tassello al posto giusto, prevedere ogni cosa e incastrare in ogni attimo della sua vita un’incombenza.
Gli ci vuole proprio una vacanza, si diceva, impressionato.
Inoltre non riusciva bene a capire cosa ci fosse di buono nell’attirare Martewall proprio laddove volevano compiere la famosa stregoneria e dileguarsi.
Una tragica fatalità poteva, ancora una volta, distruggere la vita di Ian in quel mondo per sempre.
Oppure, pensava Daniel con raccapriccio, chissà di cosa sarebbe stato capace Guillaume de Pontieu per sbarazzarsi di un testimone scomodo come Martewall?
Si disse che lo avrebbe concordato a suo tempo con Ian.  In fondo l’amico sapeva quello che faceva.
Doveva solo fidarsi di lui e sperare che niente rendesse la situazione attuale più complicata di quanto già non fosse.

*****************

Il giorno dopo Ian lo dedicò ai figli.
Portò a caccia Marc e Michel, la mattina presto, dovette onorare l’invito a pranzo della Regina ma nel pomeriggio si dileguò, scusandosi infinitamente;  purtroppo i figli erano indietro con lo studio  e non aveva intenzione di sollevarli dal loro dovere neanche un attimo.
Scoprì orgoglioso che Marc, per il decimo compleanno del fratello, aveva fabbricato con le sue mani un piccolo arco.
Si era fatto aiutare da alcuni soldati di Chatel Argent con cui usava allenarsi di tanto in tanto al “poligono da tiro”.
Lui aveva fatto fare per Michel un pugnale con intarsi in argento e con inciso lo stemma dei Pontieu e inoltre, cosa sulla quale Guillame aveva avuto da ridire, aveva fatto fare per lui un anellino con il sigillo del casato di famiglia.
Era abbastanza strano, quasi sconveniente, che il minore, il conte cadetto, ricevesse un dono così importante ma Ian volle rimarcare una cosa evidente a tutta la corte: era e sarebbe sempre stato suo figlio, qualunque cosa avessero detto e fatto di lui le alte sfere.
Marc non se la prese e non dette adito alle voci degli invidiosi.
Era troppo eccitato per la presenza dei cugini della casa De Bar, Grandpré e de Sancerre e quasi trovò invadente la presenza costante e affettuosa del padre.
Si mostrò insofferente durante le noiose lezioni di latino e inglese e promise che avrebbe letto il capitolo giornaliero de “La Mort d’Artu”* prima di coricarsi.
Ovviamente non lo fece e il padre, prima di dargli la buona notte, glielo fece notare con un finto cipiglio severo. Il piccolo ne fu così mortificato che promise che il giorno appresso ne avrebbe letti due.
Naturalmente non lo avrebbe fatto, questo Ian lo sapeva bene, eppure sorrise intenerito per poi andare a salutare Michel.
Lo trovò mezzo addormentato, che già sonnecchiava, la mente lontana anni luce dagli intrighi terrestri in cui era inconsapevolmente coinvolto.
Ian gli accarezzò la fronte ed ebbe un singhiozzo quando lo vide sbadigliare e accogliere quella carezza esitante con un’espressione di abbandono e di pace interiore divine.
L’americano richiamò se stesso all’ordine.   In fondo si stava comportando come se suo figlio fosse stato condannato a morte e ancora una volta si ritrovò a pensare che in fondo la tesi di Isabeau era più che ragionevole.  Era un onore e un privilegio agli occhi di tutti, tranne per lui.
Dunque, era forse Ian che sbagliava?

Daniel era partito quella mattina stessa da Bearne, ufficialmente diretto verso il sentiero che passava per Saint Michel e portava poi nel feudo di Montmayeur fino ai porti sulla Manica.
Dopo circa venti minuti di cammino, fece una ricognizione nei dintorni e, appurato di essere solo e indisturbato, aveva richiamato l’icona di Hyperversum, pronto per essere catapultato nel suo tempo.
A casa lo aspettava Jodie, appena tornata a casa con le buste della spesa, che trafficava in cucina con il forno.  Daniel si infilò alle sue spalle sorprendendola con un bacio a tradimento, sulla nuca.
“Brrr, mi fate rabbrividire Monsieru Freeland!” scherzò la ragazza mentre infornava un gustoso gatteau.
“Sei stato da Ian?” chiese poi, seria e preoccupata  “tutto bene o beghe in arrivo?”
“si  è cacciato in un bel pasticcio” ammise Daniel raccontando di Michel e della promessa di matrimonio firmata davanti a Bianca di Castiglia e Monsier de Champagne.
Jodie si mostrò molto turbata e quasi indignata dalla brutalità della pratica.
“Io non potrei mai sopportarlo per mio figlio, mai!” aggiunse addolorata  “per caso Ian ha perso il senso delle cose? Della giustizia? Come ha potuto?”
“Non ha avuto scelta” cercò di giustificarlo Daniel sebbene non potesse fare a meno di ricambiare il punto di vista della moglie.
“Si ha sempre una scelta” replicò Jodie, spazientita e Daniel ne approfittò per cambiare in fretta argomento.
“Comunque passerà da noi per il weekend” questo bastò a farle tornare il sorriso sulle labbra
“e ha qualche desiderio?” disse lei con uno strano  tono che a Daniel non piacque  “si, stasera pizza.
Io avrei qualche desiderio, sai com’è”
“Oh, ma con mio marito non è divertente” civettò la ragazza.
“E Johnny?” cambiò argomento Daniel, guardandosi intorno, quasi allarmato dal silenzio che invadeva il resto della casa.
“Johnny è da un’amica”
“un’amica?”
Vedendo il sopracciglio alzato del marito Jodie ridacchiò, divertita, e lo tenne in sospeso per un po’ mentre tagliava le cipolle per l’insalata.
“A studiare. È la migliore della classe.”
“Ah”
“lo vado a prendere per cena e prendiamo la pizza da  ‘al dente’ ”
“io margherita. Vedrai che Ian vorrà quella quattro stagioni.”
Sorrise fra se e se pensando alla reazione deliziata di Ian davanti alla pizza.
Per quanto non lo volesse ammettere, Daniel sapeva quanto gli mancasse la modernità dopotutto.
Fu distratto dall’impetuoso Jay, il cane con cui conviveva da almeno tre anni.
Avevano pianto moltissimo la morte di Skip, il vecchio cane di Ian che era sopravvissuto fino a sette anni.
Era cresciuto con Johnny ed erano passati alcuni anni dalla sua morte prima che i Freeland si decidessero a prenderne un altro.
Eppure Jay era talmente esuberante e ricordava talmente tanto Skip che non avevano potuto resistere.
“Tra un po’ conoscerai Ian” gli disse, a mezza voce, carezzandolo sulle orecchie e alzandosi mentre il cagnetto lo seguiva scodinzolando.


***********************

Geoffrey Martewall mosse qualche passo fuori dalla canonica.
Dopo di lui qualche giovane francescano lo superò, discreto,  abbassando il capo in segno di rispetto.
Si udivano ancora gli ultimi canti gregoriani , la messa era quasi terminata ma l’inglese non aveva voluto aspettare.
Aveva bisogno di aria  e non ne poteva più di stare in ginocchio, con le mani congiunte, mentre intorno a lui salmodiavano in latino.
Si sentiva stanco, ancora debilitato dalla febbre che lo aveva costretto a passare il viaggio nella stiva, in preda al mal di mare e a forti coliche.  
Aveva mangiato pane spugnato e per poco non aveva evitato che un terzo salasso lo uccidesse.
Quel bastardo del medico di bordo, pensava, per poco non lo aveva fatto ammazzare, con quegli insulsi rimedi a base di sgombri e impacchi di sale che avrebbero dovuto alleviare il mal di mare.
Ricordava ancora con terrore invece quei prelievi forzati che gli annebbiavano la vista e gli toglievano la terra sotto i piedi;  perdere la facoltà di ragionare, anche per pochi minuti,  era una tortura e il viaggio era stato un insopportabile successione di buchi neri, in cui tutti i sensi erano appannati e il bruciore gelido della febbre lo consumava incessantemente rendendo incoerente qualunque pensiero.
A stento era riuscito a riferire a Beau il messaggio per Jean, mentre il trasporto verso il monastero di Saint Michael  procedeva a rilento.
Adesso, dopo tre giorni di cure incessanti da parte dei monaci, finalmente era tornato a camminare e perfino a tirare di scherma,  ma ancora non aveva riacquistato i suoi riflessi veloci e faticava a concentrarsi.
Si guardò attorno, con un senso di sospetto e inquietudine che lo inseguivano da mesi, da quando si era deciso a partire per la Francia.
Neppure lì, in quel piccolo e arroccato monastero, riusciva a sentirsi tranquillo e portò istintivamente la mano al fodero della spada vuoto, che gli pendeva dal fianco.
All’interno del convento, come sempre nella casa di Dio, era proibito portare armi e la cosa lo fece sentire ancora più indifeso. In quanto malato non aveva conservato niente, neppure il pugnale che solitamente portava nascosto fra le vesti. Tutti i suoi vestiti erano stati lavati e rinfrescati e ogni lama era custodita dai padri nell’armeria, conservata gelosamente perché proprietà di un ospite illustre, amico intimo del Conte de Ponthieu.
Dopo un po’, si disse che era il caso di tornarsene nel cubicolo che gli era stato assegnato e si disse che sarebbe passato in biblioteca, con il permesso dell’abate, e ne avrebbe approfittato per scambiare quattro chiacchiere sulle difese del monastero e carpire qualche consiglio di strategia francese.
Infatti, nonostante la sua salda alleanza con la Francia, gli riusciva ancora difficile pensare ai francesi come conterranei date le sue varie e per lo più negative esperienze.
E poi le curiosità non si negano a nessuno, aggiunse fra se e se.
“Geoffrey!”  Lo richiamò una voce familiare  “Ti aspettavo”
All’ingresso della canonica si ergeva Jean de Pontieu che gli sorrideva, sollevato.
Era vestito di una semplice tunica bianca,  spoglio di qualunque veste regale e dei simboli dei Pontieu;  sembrava solo un ragazzone in forma, poi con quei capelli scompigliati e neri e i piedi neri che calzavano i sandali di cuoio tipici del saio francescano.
Eppure gli occhi tradivano una scintilla di intelligenza, erano brillanti e chiari come zaffiri;   
Inoltre Martewall conosceva bene il suo amico e sapeva che quell’accenno di catenina d’argento che spuntava dal collo rozzo della tunica informe portava appeso l’anello della casata, con il sigillo dei Ponthieu, dono del fratello da cui non si separava mai.
“Jean”
“Amico mio, ho saputo della tua malattia. Spero che tu ti stia rimettendo.”
Ian si era avvicinato preoccupato, cercando nel viso del compagno provato  i segni evidenti della sua salute fragile.
“Si, il viaggio è stato duro.  Ma adesso abbiamo molte cose di cui discutere.”
 Lo richiamò all’attenzione Martewall, quasi perentorio.  Gli fu grato che fosse passato all’inglese e ancora una volta non potette non meravigliarsi dell’inflessione curiosa che sia lui che il biondo straniero Freeland avevano sempre avuto.   Eppure cominciava quasi a sentire un accento francese, musicale,  che si affacciava quando Ian abbassava la guardia.
“Ti spiace se facciamo una passeggiata nel giardino qui fuori?” chiese cautamente l’amico.
“Il cimitero?” grugnì Martewall con un lampo di ironia negli occhi che fece sorridere Ian.
“Qui sono sepolti alcuni miei illustri parenti” confessò Ian, lanciando uno sguardo  vacuo alle cinque file di lapidi che spuntavano dal terreno scuro, con qualche ciuffo d’erba striminzito che ancora sopravviveva.
“è piuttosto piccolo.” Osservò Martewall
“come tutto il resto del complesso” Ian scrollò le spalle.
“Tutti illustri guerrieri?” chiese l’inglese ma Ian rispose scuotendo la testa e ribattendo pensoso
“Illustri si, ma ecclesiastici.”
“francescani?” si meravigliò Martewall, tanto che Ian abbozzò un sorrisetto e corse a tormentarsi il labbro con i denti prima di rispondere   “Benedettini. E non particolarmente parchi e sobri. Non tutti almeno.”
“Una razza diffusa” commentò anche con un misterioso tono l’inglese
Ian lasciò passare ancora un momento prima di rivolgergli lo sguardo interrogativo.
Aveva notato quanto Martewall si guardasse intorno, come se si sentisse spiato  e come se quel luogo non lo tranquillizzasse. Stava quasi cominciando a pensare ad una nevrosi tanto era difficile seguire lo sguardo diffidente del leone di Dunchester.
“C’è qualcosa che devi dirmi Geoffrey?”
“Abbiamo dei nemici, Jean.”  Gli annunciò l’inglese, con un tono rabbioso che faceva paura tanto era grave   
“Nemici potenti che non vogliono questo matrimonio.   Ma non so chi e non so perché.”
Ian rimase profondamente turbato e sentì le spalle irrigidirsi, in un moto di paura; sospettava che questa situazione sarebbe stata pericolosa per suo figlio e adesso i suoi timori promettevano di realizzarsi molto presto.
“Cosa sai?”  lo implorò con lo sguardo e Martewall, inarcata la schiena con una smorfia di stanchezza, si mosse in direzione di una panca, posta proprio all’entrata del piccolo cimitero.
“Non credo che siano coinvolti i pretendenti inglesi che mi hanno chiesto precedentemente la mano di Leowyn.  Sembrano tutti abbastanza innocui. ” si interruppe  e Ian sentì l’ansia montare  “ma potrebbe essere qualcuno che si ripromette di fare domanda non appena io o te saremo spariti dalla circolazione.”
“Sono questi i tuoi timori? Come fai a dirlo?”  Ian si sentiva il sangue gelare e strinse i pugni, rabbioso.
“Lo so perché questa mia malattia non è affatto casuale, Jean. Credo di essere stato avvelenato ma non so come. Forse lentamente, giorno per giorno, dunque sono certo che c’è un inglese dietro tutto questo.”
“Magari un inglese che aspira a conquistate feudi che si uniscano ai baroni ribelli e rinneghino l’alleanza con Sua Maestà Luigi il Santo.” Completò Ian per lui, quasi senza fiato e il barone dovette notarlo perché commentò, pensieroso:
“Come al solito mi stupisci con la tua straordinaria capacità di  interpretare le trame segrete dei tuoi nemici e il tuo intuito.”
“Già, un vero occhio di falco”  ribatte amaro il giovane.
“più che un dono, è una maledizione” riflettè ad alta voce l’inglese guadagnandosi un sospiro sfinito di Ian.
“Cosa altro hai dedotto?” incalzò l’americano, impaziente.
Si fidava del giudizio dell’amico come di se stesso e non stentava a credere che l’unione dei loro casati sarebbe stata l’epilogo di una lunga battaglia.
“Intanto ho buone ragioni per credere che ad avvelenarmi sia stato il medico di bordo.
Ma qualcun altro, fra le mura di casa mia, deve aver dato inizio a tutto.
Quell’insulso insetto avrebbe solo dovuto debilitarmi ancora ma non capisco a che pro visto che non sono stato attaccato durante il viaggio.”
“Forse sperava che tu morissi di febbre. ” dedusse Ian, accigliandosi  “Beau mi ha raccontato che hai rischiato molto. ”
“No. Non così tanto” sminuì l’inglese “ho la pelle più dura di quello che sembra”.
“Eppure ero certo di potermi fidare di quel medico, visto che me lo ha consigliato la Regina Bianca ” rivelò Martwell, stavolta visibilmente inquieto “potrebbe mai volersi liberare di me in modo così subdolo?”
“Non ci pensare neanche!” si ribellò Ian, quasi offeso dall’entità dell’insinuazione “ non ti permetto di insultare in questa maniera la mia regina!”
“Sei un fedelissimo, come sempre.” Si compiacque Martwell con un mezzo sorriso sotto i baffi
“Ti pare il momento di scherzare Geoffrey?” lo rimproverò l’americano, continuando a fare l’offeso.
“Non fu quel de Lusignan a cui la regina affidò il compito di presiedere l’unione fra i nostri rampolli? ” chiese conferma il barone lasciando Ian stupefatto.
Ecco il perché della presenza di quei due, personaggi estremamente scomodi oltre che impopolari se non nel novero degli scandali degli ultimi anni.
“Vuoi dire che…” Ian soffocò per la sorpresa, lasciando la frase a mezz’aria,
“i traditori restano sempre traditori, Jean.” Ribattè duro Martewall.
“No, io non posso credere… Sua maestà si fida di loro e…” le proteste degli giovane furono zittite dall’occhio attento di Martewall che gli fece cenno di tacere.
“Hai sentito anche tu?”
“Co…!” il clangore del ferro si abbattè sul legno della panca mentre Ian era sbalzato all’indietro dalla spinta energica del barone. Il pugnale lo aveva mancato di pochissimo, constatò il giovane  e un lampo di rabbia quasi lo accecò, aiutandolo a rimettersi in piede dopo la brutta botta sul fondoschiena.
Accanto a lui Martewall era inchiodato per terra cercando di frenare la mano del suo assalitore, avvolto dal saio  e coperto in viso da un cappuccio.
Ben presto fu raggiunto da un complice che oltrepassò velocemente l’entrata del cimitero, avvicinandosi minaccioso per dare man forte al compagno.
Ian strisciò per terra, dietro la panca,  e si avventò sull’assalitore di Martewall come un rinoceronte alla carica. La sua altezza e la sua possanza fisica ebbero la meglio sul monaco ma dovette constatare con orrore che non impugnava più il pugnale.
Poco dietro di lui, Martewall respirava a fatica,  il ferro conficcato nel petto.  
Ian, furibondo e rabbioso come una belva ferita, colpì nella bocca dello stomaco l’uomo costringendolo a ripiegarsi su se stesso con un grido soffocato.  Con un ultimo colpo al collo l’assalitore rovinò per terra, sbattendo la testa e poco dopo, rivoli di sangue colarono copiosi dal naso e dalle orecchie.
Con grande stupore dell’americano, il secondo uomo giaceva riverso, dietro la panca con una freccia conficcata nel cuore.
“Ian!” la voce di Daniel lo riscosse dalla sorpresa e il conte lo raggiunse, accanto al corpo del barone, ancora boccheggiante.
“Geoffrey! Geoffrey! ” Daniel si scostò perché lui potesse chinarsi sull’amico gravemente ferito e Ian prese a scuoterlo, temendo che perdesse i sensi  “Dio! Geoffrey!”
“Ian, ormai è tardi. Fra poco sarà morto.”  Gli fece con un fil di voce il biondo.
“NO! Possiamo salvarlo!” singhiozzò disperatamente il giovane mentre lacrime calde gli offuscavano lo sguardo .
“è impossibile! Solo una sala operatoria potrebbe salvarlo! Ian!”
E in quel momento, dallo sguardo disperato dell’amico, Daniel intuì cosa avrebbero potuto fare.
“Io… non è una buona idea” rispose solo, balbettando , disgustato da se stesso per quello che stava per dire
“DANIEL! VOGLIO SALVARLO! ORA!”  gli tuonò contro l’americano ma Daniel scosse il capo,
lo sguardo vacuo.
“è il suo destino Ian. Lui è nato qui e morirà qui.”  Pronunciò quelle parole lentamente e incassò con una smorfia lo schiaffo dell’amico che gli lasciò la guancia arrossata e dolorante.
“RICHIAMA HYPERVERSUM! ORA!” gli ordinò Ian, gli occhi iniettati di sangue.
Suo malgrado Daniel evocò la mela e si costrinse ad aprire il varco mentre intorno il silenzio era rotto solo dal respiro stantio di Geoffrey.
Un momento prima di ordinare il “chiudi partita” Daniel si concesse un’occhiata al volto livido di Martewall.
Era bianco, cadaverico, gli occhi sbarrati davanti all’icona fiammeggiante e guardava le loro figure come se avesse davanti il demonio. Il suo respiro era accelerato e più affannoso di prima mentre mugolava dal terrore.
Ma, all’ennesimo ruggito di Ian che chiamava il suo nome, il chimico chiuse la partita, senza più esitazioni.
Immediatamente si sentì formicolare ovunque  e fu risucchiato ancora una volta dal vortice di quella diavoleria tecnologica.


Presto riprese il contatto con la realtà. Percepiva sulle mani i guanti e sentiva il pavimento sotto le gambe incrociate, le cuffie gli irritavano le orecchie e il profumo di gatteaux si affacciava, fievole, dalla cucina.
Il suo sguardò andò subito a Ian accanto a sé ma quello che vide gli apparve straordinario.
Distesi sul tappeto di casa c’erano Ian Maayrkas in maglietta bianca  e jeans chiari e accanto a lui Geoffrey Martewall in maglietta e jeans neri, entrambi senza un graffio, semplicemente immersi in un sonno profondo.
Davanti a lui, sullo schermo i dati della partita erano stato cancellati e Hyperversum aveva resettato tutto il suo database. Ancora una volta gli proponeva, beffardo, una nuova partita.
Daniel si prese la testa fra le mani, stropicciandosi le palpebre e lasciandosi andare in un sospiro frustrato.
Non ce la faceva più, quel maledetto gioco era una diabolica stregoneria.


*********************
 

 
Note

* Titolo, tr. Niente è più certo della morte  [WIKI]  
* “La Mort d’Artu” Thomas Mallory  [WIKI]  


COLONNA SONORA:

Muse, H.A.R.P, Wembley  [LINK] 
El*ke, Rock’n’roll High school  [LINK] 
Placebo, Twenty Years [LINK]  
 

Angolo dell’autrice

Colpo di scena, DANDAN.
E adesso comincia la trama promessa nell’introduzione.
Mi scuso per la patetica scena di combattimento. È la prima che abbia mai scritto e direi che è abbastanza penosa, al limite dell’irragionevole, non lontano dal fantasioso.
E so che le premesse ricordavano il modo in cui Ian è stato strappato alla morte (fine Hyperversum I) ma stavolta la cosa è abbastanza diversa dal momento che ne Ian ne Geoffrey riportano ferite e soprattutto, in genere, non c’è modo per trasferire oggetti o altre persone che non siano personaggi giocanti del gioco attraverso il varco nel tempo.  Ma è esattamente quello il mistero e non penso che riuscirò a spiegarlo.
Questo ovviamente rende piuttosto difficile trovare il modo di riportarli indietro.
Non so se lo farò.   Ci devo pensare.
Magari se mi sento buona vedrò di non condannarli all’agonia per tutta la vita.
Grazie sempre a chi legge, recensisce e sopratutto fa notare qualunque imperfezione/disattenzione/errore ecc.
A presto,

Neal C.

  
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