Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Marti Lestrange    11/09/2013    7 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Emma/Hook; long; New York!AU; what if?
Dal capitolo 6:
{– A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.}
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un grazie speciale alla mia ciurma: Lilyhachi, Pikky, Ally e Giulia. Vi adoro <3


Haunted
CAPITOLO 3
 
 
 
 
~ Tribeca, New York - febbraio 2013
 
Voci nella sua testa. Voci tutti intorno - intorno e dappertutto. Voci che gridavano, voci che rimbombavano, voci sconosciute. Premevano contro le orecchie - prepotenti, violente, assordanti. Vorticavano nella testa, e spingevano, spingevano, cercando di entrare.
Luci abbaglianti si rincorrevano al margine dello sguardo, luci gialle, rosse, verdi. Apparivano davanti agli occhi come dei flash veloci e rapidi, per poi scomparire nella notte scura. Tutto era buio, dietro le palpebre serrate, venato qua e là da sprazzi di consapevolezza uniti a fitte lancinanti.
La testa pulsava, proprio all’altezza della tempia sinistra, e Killian poteva sentire tutto il dolore concentrarsi in quel punto preciso, addensarsi e poi esplodere in mille stelle colorate e accecanti. Premette le dita sulla fronte e sentì il sangue viscido e denso condensarsi sotto la pelle. Riuscì quasi a sentirne l’odore, metallico e pungente.
Gli sembrava di non sentire più le gambe e le braccia, come se all’improvviso fosse stato privato degli arti, un corpo lasciato alla deriva in un oceano buio. L’oceano. Gli mancava, la sua vita in mare, durante quegli anni selvaggi in cui aveva abbandonato la civiltà e aveva abbracciato se stesso e la solitudine. Gli mancava il silenzio.
In quel momento avrebbe solo voluto spegnere la luce - e le luci che gli vorticavano intorno pazzamente. Avrebbe voluto rannicchiarsi su se stesso e dormire. Per giorni. 
Il suono assordante della sirena si interruppe all’istante e Killian venne mosso oltre un paio di porte a vetri, dentro un ambiente riscaldato e ancora più caotico. Sentiva intorno a lui l’affanno di parecchie persone e una voce conosciuta che mormorava il suo nome, “William”. No, non era il suo nome, William, ma era come se lo fosse diventato, come se Killian fosse scomparso sotto una coltre di menzogne e di vite fittizie e diverse. 
Aprì piano gli occhi e vide il suo volto. Colei che lo aveva trovato. Colei che lo aveva salvato. Gli sembrò di scorgere una macchia azzurra e un balugino dorato. E poi lei china su di lui, i suoi capelli biondi che erano come il sole, un sorriso rassicurante sul volto assorto. Non sapeva il suo nome. Non sapeva niente di lei. Sapeva solo che l’aveva trovato, quando il mondo tutto intorno aveva assunto l’aspetto di un baratro buio e senza fondo, vorticoso di gelo e fumo, mentre la notte premeva contro i suoi occhi.
« Lo portiamo in sala 2, intanto. Prenota una TAC, Elginore » sentì che diceva la prima voce conosciuta, che però non riuscì a riconoscere, non ancora.
« D’ora in poi ce ne occupiamo noi, agente Swan » continuò la voce, questa volta rassicurante, ma sempre con un pizzico di autorità.
Agente Swan. Si chiamava “Swan”.
« Andrà tutto bene » gli disse di nuovo lei, chinandosi un’ultima volta su di lui e guardandolo negli occhi. Killian le rivolse un’occhiata vuota e vitrea, per poi abbandonarsi al sonno.
 
 
* * *
 
 
~ Greenwich Villlage, New York - febbraio 2013
 
« Quindi l’avete trovato in quel vicolo. Completamente pesto. Non deve essere stato un bello spettacolo… »
« No, affatto, ma ci sono abituata, ormai. »
Emma sedeva al tavolo del Granny’s Diner, la sua tavola calda preferita di New York, una cioccolata alla panna con una spruzzata di cannella stretta tra le mani. La sua amica Ruby Lucas¹ - che lavorava come cameriera nel locale - le sedeva di fronte, sorseggiando del caffè, durante un momento di pausa dal servizio. La guardava interessata, lo sguardo comprensivo, un sorriso dolce sul bel viso. Ruby era stata la sua prima amica, quando Emma era arrivata a New York per entrare in polizia. Le aveva appena raccontato quello che era successo con quel tipo, William Jones, la notte prima. 
« E così oggi pomeriggio torni al Downtown per fargli qualche domanda » continuò Ruby.
« Esattamente. Quando l’unica cosa che vorrei fare al momento è dormire. E vorrei dormire anche oggi pomeriggio, e stasera, e stanotte… e tutto domani, probabilmente. »
Ruby rise, poggiando una mano su quella dell’amica. « È uno dei privilegi della tua appartenenza alle forze dell’ordine, agente Swan. Hai dei doveri. Così come io ho il dovere di farmi trovare qui tutti i giorni alle sei e trenta in punto. »
Emma le sorrise.
« Hai ragione. Lo so che hai ragione. Prova però a dover trattare con un uomo mezzo moribondo, e molto probabilmente frastornato, senza le tue otto ore di sonno… »
« Okay, hai vinto » esclamò Ruby alzando le mani e lasciandosi ricadere sul divanetto in pelle rossa. 
« Hey, splendori! »
Lacey French², una cara amica di Emma e Ruby, era appena entrata nel locale e si avvicinava al loro tavolo a passo sicuro, la gonna svolazzante, i tacchi che risuonavano sul pavimento. I lunghi capelli castani le incorniciavano armoniosamente il viso sorridente.
« Lacey! » esclamò Ruby. « Ti aspettavo mezzora fa… Che è successo? »
La ragazza si lasciò cadere accanto ad Emma, che l’abbracciò a mo’ di saluto.
« Tutto bene? » le chiese.
Lacey si strinse nelle spalle.
« Diciamo di sì. Ho incontrato Gaston³ lungo la strada. »
« Gaston? E che ci fa qui? » esclamò Emma.
Gaston Leroux era l’ex fidanzato francese di Lacey. L’aveva conosciuto a Parigi, durante i suoi studi alla Sorbonne. Avevano avuto una storia piuttosto turbolenta e Lacey lo aveva lasciato parecchi mesi fa, trasferendosi a New York e aprendo la sua prima libreria, la “Bruised Apple Books⁴”, proprio lì nel Village. Aveva conosciuto Ruby - e quindi Emma - proprio al Granny’s
« Non ci credo che sia arrivato fin qui solo per trovarti » continuò Ruby incrociando le braccia al petto.
« Invece sembra che sia così… Ve lo giuro, sarei voluta scappare a gambe levate, quando l’ho visto. Peccato che mi stesse aspettando praticamente sotto casa… »
« Come ha fatto a trovarti? »
« Ha detto che ha chiesto ad alcuni suoi amici qui sull’isola⁵… Insomma, mi ha cercata e mi ha trovata. E continua a chiamarmi “Belle”. Lo odio! »
Ruby scoppiò a ridere.
« Belle. Che soprannome strambo. »
Emma alzò gli occhi al cielo.
« Io gli avrei già sparato, mi avesse chiamata “Belle”. »
« Sappiamo che sei cinica, Emma Swan » commentò Ruby alzandosi dal divanetto.
« Che cosa ti porto, dolcezza? » chiese poi a Lacey.
« Penso che prenderò la cioccolata con la panna. Mi ci va proprio. Grazie, tesoro. »
Ruby le sorrise e poi si avviò al bancone.
Emma aveva sempre adorato il Granny’s. Era un piccolo fabbricato basso, con un cortiletto sul davanti e un’insegna luminosa appesa all’esterno. Era incastrato fra due palazzi di media altezza, in una via relativamente tranquilla del Village. All’interno, tutto era fermo agli anni ‘50: tavoli di metallo con divanetti in pelle rossa, un lungo bancone, sgabelli d’acciaio e un vecchio jukebox nell’angolo. Emma ci passava quasi ogni giorno, prima del lavoro, per colazione, oppure ci bazzicava nei suoi giorni liberi, per bersi una cioccolata e chiacchierare con Ruby. Ci aveva portato anche il suo collega Graham, che sembrava aver apprezzato in modo particolare “il personale”. Oltre che la cucina di Granny, ovviamente. Granny Lucas era la nonna di Ruby, una piccola vecchietta con i capelli bianchi, tutta rosea e in carne. Granny gestiva la tavola calda, la cucina e un piccolo bed&breakfast al fondo della strada, proprio accanto alla sua abitazione, una villetta gialla con le imposte bianche e un cane lupo che gironzolava nel giardino. 
« Tu come stai? » chiese Lacey, riscuotendola.
« Bene. Stavo giusto raccontando a Ruby le ultime novità… »
E così raccontò anche all’altra amica di William Jones, della loro corsa al Downtown Hospital e del pomeriggio che l’aspettava.
« Che roba! Pestare un uomo, così…! » esclamò Lacey, sconvolta.
« Già. New York è piena zeppa di criminali. Dobbiamo soltanto fare alcune verifiche e parecchie domande a quel Jones. La cosa puzza. »
« Pensi che sia immischiato in qualche strano traffico illecito? »
Emma scoppiò a ridere, davanti alla faccia sconvolta dell’amica. Lacey si stupiva sempre dei mali che affliggevano il mondo. Pensava che tutti gli esseri umani fossero sostanzialmente buoni, bastava solo cercarne il potenziale. Era limpida e dolce, ed Emma le voleva molto bene, nonostante la conoscesse solo da qualche mese.
Ruby tornò con la cioccolata per Lacey, che la ringraziò dolcemente.
« Ora torno al lavoro, o Granny si infurierà. Dice che passo troppo tempo a chiacchierare » disse la ragazza alzando gli occhi al cielo.
« D’accordo. Meglio non farla arrabbiare… » ridacchiò Lacey.
« Emma, conto di vederti domani, voglio sapere che cosa nasconde il nostro Jones… » aggiunse rivolta all’amica.
« Va bene. Dopo che avrò dormito per almeno dodici ore, però » promise Emma.
Ruby sbuffò e agitò una mano, per poi dirigersi verso un altro tavolo per prendere le ordinazioni. Il suo completo da cameriera bianco e rosso le donava in modo particolare e i suoi capelli scuri, lunghi e ondulati, spiccavano contro il candore della camicetta. Era sempre seguita da parecchi occhi maschili, Ruby.
« Temo di dover andare anche io » disse Emma. « Passo in centrale e poi volo al Donwtown. Prima finisco questa cosa, prima andrò a dormire. »
« Buon lavoro, allora » disse Lacey sorridendole. « Salutami tanto Graham, è da un po’ che non lo vedo. Come sta? »
« Benissimo, direi » rispose Emma sbadigliando. « Tu che farai? È sabato, sarai in libreria? »
« Direi di sì. Sempre che Gaston non mi trovi anche lì… »
« Se esagera, dimmelo. Facciamo partire un ordine restrittivo. Hai capito? »
Lacey annuì, abbassando gli occhi sulla sua cioccolata.
« Dammi un abbraccio, dai » concluse Emma chinandosi verso la sua amica.
Quest’ultima la strinse e le due rimasero per un momento abbracciate, ognuna persa nei suoi pensieri.
« Grazie, Emma. »
« Buona giornata, Lacey. »
 
 
* * *
 
 
~ Downtown Hospital, Tribeca, New York - febbraio 2013
 
« Buongiorno, sono l’agente Swan. Sono qui per parlare con William Jones. »
Emma stava in piedi di fronte al bancone accoglienza del pronto soccorso del New York Downtown Hospital, i gomiti poggiati sul legno chiaro, di fronte a lei un’infermiera di colore che indossava un camice rosa.
« Agente Swan! » esclamò una voce alle sue spalle, poco prima che l’infermiera aprisse la bocca per replicare.
Emma si voltò. Un giovane dottore le veniva incontro dal corridoio alla sua sinistra, il camice bianco svolazzante indossato sopra una divisa casacca e pantaloni verde acceso. Le sorrise, porgendole la mano con fare cordiale. Era il dottore che li aveva accolti la notte prima. 
« Penso si ricordi di me… » cominciò. « Phillip Kingston⁷. Piacere. »
Parlava con un marcato accento inglese, cosa inusuale nella Grande Mela.
« Emma Swan » rispose lei stringendogli la mano.
Aveva un’aria competente, nonostante apparisse così giovane. Molto probabilmente dimostrava meno della sua età effettiva. 
« Venga, andiamo a parlare nella saletta » aggiunse lui mettendole una mano sulla schiena e sospingendola dolcemente lungo il corridoio dal quale era arrivato, verso una porta socchiusa, oltre la quale si apriva la saletta privata del personale, con due tavolini, sedie e un divano mezzo sfondato. Lungo la parete si sviluppava una piccola cucina con un frigorifero, tre forni a microonde e due bollitori pieni di caffè. Kingston chiuse la porta e indicò ad Emma una delle sedie.
« Prego, si accomodi. »
Emma prese posto, guardandosi intorno un’ultima volta prima di puntare lo sguardo su Phillip Kingston.
« È venuta per interrogare Jones, vero? » le chiese lui senza tanti preamboli.
« Interrogare è una parola grossa, temo » rispose Emma sorridendo. « Vorrei solo fargli qualche domanda, se è possibile. Prima è, meglio ricorderà maggiori dettagli. »
« Certo, capisco. Non le ho offerto del caffè, che sgarbato! » aggiunse alzandosi in piedi e dirigendosi alla cucina.
Emma non rispose e Phillip interpretò il suo silenzio come un assenso, perché tornò subito dopo con due tazze spaiate ricolme di caffè lungo e forte. Emma sorseggiò lentamente il suo, per poi poggiare la tazza sul tavolo.
« Come sta? » gli chiese.
« Si sta riprendendo in fretta, tutto sommato. Aveva una costola incrinata, una piccola commozione  cerebrale alla tempia sinistra e vari lividi ed ematomi su tutto il corpo, ma tutto sommato risponde bene alla terapia. Contiamo di dimetterlo nel giro di una settimana, dieci giorni al massimo. Occhio e croce. Non posso fare stime a lungo termine, per ora⁸. »
Emma annuì. « Ovviamente. »
« Non so se questo possa interessare le sue indagini, agente, ma Jones ed io siamo amici di lunga data. Ci conosciamo da anni e siamo come fratelli. Non so chi l’abbia ridotto a quel modo e lui ovviamente non mi ha detto niente. Forse non lo sa nemmeno lui… »
« Il fatto che siate amici non ci interessa » replicò Emma professionalmente. « Ovviamente sentirò quello che Jones ha da dire. Se la sua deposizione non sarà di alcun interesse rilevante per eventuali indagini, il suo coinvolgimento finisce qui. Sarà eventualmente rintracciato nel caso in cui gli assalitori - o l’assalitore, ma a giudicare dalla stazza di Jones e dalla portata delle ferite, propendo per una coppia o più - vengano rintracciati e acciuffati. Tutto qui. »
Phillip annuì, soppesando il contenuto della sua tazza.
« Bene. Se non c’è altro, le chiederei di portarmi da Jones » concluse lei.
Il dottore si riscosse e annuì nuovamente. « Certo. Subito. »
I due percorsero lo stesso corridoio di prima, continuando a procedere in avanti, allontanandosi dalla reception. Kingston si fermò di fronte ad una porta chiusa, il vetro schermato da veneziane verdi. 
« Un’ultima cosa » disse. « Jones è ancora piuttosto debole e intontito dagli antidolorifici. Non sarà propriamente lucido e attivo. Veda solo di non stancarlo troppo. Ha un quarto d’ora. Venti minuti al massimo. D’accordo? »
« Me li farò bastare » borbottò Emma.
Così dicendo, aprì piano la porta, richiudendosela poi alle spalle in silenzio. William Jones, che lei ricordava solo attraverso il velo della notte e la luce dei fari della sirena, era steso sul letto, le coperte tirate sul petto. Aveva gli occhi chiusi e respirava piano. Il petto si alzava e si abbassava con regolarità stanca, come se facesse fatica a compiere anche il minimo movimento. Aveva il viso tumefatto in vari punti e sulla tempia sinistra campeggiava una brutta abrasione viola. Sembrava dormire profondamente, così Emma gli si avvicinò ancora, sedendosi sulla sedia accanto al letto. Portava i capelli neri corti e il colorito era pallido e malaticcio. Tutto sommato, non era male. Emma si sgridò subito dopo per aver anche solo pensato alla prestanza di Jones mentre era malato e sofferente in quel letto. Che diavolo le era preso?
« Se vuole posso procurarle una mia foto autografata » sussurrò lui all’improvviso.
Emma quasi sobbalzò sulla sedia, mentre Jones apriva gli occhi lentamente, puntandoli nei suoi.
« Ovviamente è in omaggio, per ringraziarla per avermi salvato » aggiunse lui con un ghigno.
« Mi spiace doverla disturbare, signor Jones » disse Emma senza replicare alla provocazione, decisa solo a fare il suo dovere. Lo sguardo di quell’uomo la confondeva e la turbava. Gli occhi erano azzurri e profondi come due pozze gelate. « Le farò soltanto poche domande. Ho poco tempo a disposizione. »
« Immagino che il mio caro amico Phillip le abbia dato quindici, venti minuti…? »
Emma annuì. « Esattamente. Procederei con il chiederle cosa ci faceva in quel vicolo ieri notte… »
« Facevo una passeggiata » rispose. 
« Faceva una passeggiata? » ripeté Emma, sconcertata.
« Facevo una passeggiata, . Non mi sembra difficile. »
Emma si rabbuiò, decisa a non farsi intimidire.
« Faceva un passeggiata, molto bene. Cosa ricorda, esattamente? »
Jones sospirò, chiuse gli occhi e poi li riaprì, puntandoli nuovamente su Emma.
« Ricordo solo che all’improvviso sono stato afferrato prepotentemente, qualcuno mi ha scaraventato contro il muro e mi ha frugato nelle tasche. Dopo di che, è arrivato il primo colpo e penso di aver perso conoscenza quasi all’istante. »
Emma annuì, lanciando un’occhiata alla brutta tumefazione sulla testa dell’uomo.
« Ricorda qualche particolare dei suoi aggressori? »
Jones sembrò riflettere, per poi annuire. « Indossavano dei passamontagna. Ho intravisto un paio di occhi azzurri, di un azzurro molto acceso. Erano in due. »
« Erano in due, come pensavo » borbottò Emma continuando a prendere appunti sul suo bloc notes.
« Avevo appena ripreso conoscenza, quando l’ho vista avvicinarsi lungo il vicolo. Penso di aver nuovamente perso lucidità, quando mi ha trovato e ha blaterato qualcosa riguardo un’ambulanza… parlava con qualcuno, mi pare… »
« Il mio collega, sì. E io non blatero » aggiunse poi Emma.
Lanciò uno sguardo a Jones, che la osservava con un sorriso divertito e mezzo storto.
« Sa se qualcuno l’ha presa di mira? Qualche regolamento di conti o una vendetta personale? »
« Faccio il fotografo per hobby e professione. Chi mai vorrebbe vendicarsi di me? »
« Qualche vecchia conoscenza? Magari legata a qualche precedente lavoro? »
« Direi di no. »
« Be’, non si spiega perché due individui si siano dati la pena di pestarla e lasciarla mezzo morto senza rubarle nulla, no? »
« No, non si spiega, ma questo fa parte del vostro lavoro. Della polizia. Indagare, scoprire e raccogliere indizi. E infine scovare il colpevole. No? »
Emma cominciava seriamente a sentirsi irritata e nervosa. Quel Jones la mandava su tutte le furie. Sapeva di dover essere paziente, in fondo era un pover’uomo che era stato pestato e menato e lasciato morente in un brutto vicolo puzzolente, anche lui doveva essere nervoso. Tutto questo sembrava però passare in secondo piano, di fronte alla sua supponenza e presunzione. Non vedeva l’ora di alzarsi e andarsene.
Lanciò un’occhiata all’orologio appeso sopra la porta. Le restavano dieci minuti.
« In fondo, dovrei ringraziarla » disse Jones cogliendola alla sprovvista.
Emma l’osservò attentamente, soppesando le sue parole.
« Dovrebbe? »
« Devo » si corresse lui prontamente. « Grazie, agente Swan. »
« Agente Swan… Come sa il mio nome? »
« L’ho sentito ieri notte, mentre vagavo in un limbo indistinto. Qualcuno l’ha chiamata per nome. Per cognome, dovrei dire… »
« Emma » aggiunse lei, senza nemmeno sapere perché stesse dando il suo nome ad un perfetto sconosciuto, per giunta vittima di un pestaggio sul quale avrebbe dovuto indagare. « Mi chiamo Emma. »
« Be’, grazie, allora. Emma. »
Lo sguardo di Emma si perse in quello di lui e per un momento si sentì come sospesa, in una dimensione senza tempo e senza forza di gravità. All’improvviso, però, la porta della camera venne aperta con irruenza e la figura alta e allampanata di Graham Humbert fece il suo ingresso nella stanza. 
Emma si voltò verso di lui, alzandosi di scatto dalla sedia. Jones le rivolse un’ultima occhiata, prima di girarsi a guardare il nuovo arrivato.
« Oh, eccoti, Emma! » esclamò Graham affannato. « Sono in ritardo, lo so. Hunter mi aveva detto di essere presente al momento dell’interrogatorio, è solo che non ho sentito la sveglia. Perdonami. »
« Il suo amico parla sempre così tanto? E a questa velocità? » chiese Jones ad Emma, visibilmente divertito ma anche irritato.
Emma lanciò uno sguardo al malato e poi posò gli occhi su Graham.
« Non preoccuparti, ho appena finito. »
« Aspettate » esclamò Jones. « Ha detto “interrogatorio”… Volete scherzare? Io qui sono la vittima… »
« Il mio collega si è espresso male, signor Jones » si affrettò a chiarire Emma. « Graham, andiamo » aggiunse rivolta all’amico, che non sembrava apprezzare in modo particolare l’umorismo dell’uomo.
Emma tornò a guardare Jones.
« Chiederò le sue generalità. Per l’indagine. Resti a disposizione, può essere che ci rivedremo. »
« Quando vuole, agente Swan. »
 
 
* * *
 
 
~ Unknown location, New York - febbraio 2013
 
« Infine, per quanto riguarda la cronaca cittadina, riportiamo la notizia dell’ennesima aggressione perpetrata ai danni di un cittadino della nostra città. L’aggressione è avvenuta nel quartiere di Tribeca, in un vicolo poco frequentato nei dintorni di Warren Street. La coppia di aggressori non sembra aver derubato la vittima, che attualmente si trova al Downtown Hospital in seguite a gravi ferite. Per adesso, la polizia è ad un punto morto. Non sembra che ci sia un movente plausibile diverso da quello di un atto di criminalità e violenza cittadina come migliaia di altri qui nella Grande Mela. I poliziotti intervenuti nel salvataggio della vittima, gli agenti Swan e Humbert, non hanno rilasciato dichiarazioni. Staremo a vedere come la centrale di Ericsson Place gestirà il caso… »
 
« Spegni quella dannata televisione, Nate. Non li sopporto, i notiziari. »
« Sono interessanti, Victor. Dobbiamo sapere cosa succede in città, no? »
L’uomo chiamato Victor sbuffò, infastidito.
« Dovremmo dirgli i nomi dei poliziotti. Vorrà indagare. »
« Certo. Glieli diremo. »
« Non ne sarà contento. Sperava che Jones non avrebbe parlato. »
» Non penso abbia parlato, capo. Altrimenti ci avrebbero già trovati. E penso anche che Jones ti abbia riconosciuto, ieri… »
« Non dire sciocchezze. Certo che mi ha riconosciuto. Doveva. Altrimenti che avvertimento sarebbe stato, con mittente sconosciuto? »
L’uomo chiamato Nate annuì, sogghignando.
 
 
CONTINUA…
 
 
 
 
Note:
1. Ho pensato di dare a Ruby il cognome di Granny – Lucas, appunto – visto che non sappiamo quale sia il suo. Oltretutto, Granny è la nonnina…
2. Ho preferito utilizzare Lacey French, come nome per Belle. Quest’ultimo avrebbe rimandato troppo al cartone. Infatti l’ho relegato a semplice “nomignolo”.
3. Ho inserito Gaston – Leroux, cognome assolutamente inventato da me – come ex fidanzato di Lacey a Parigi.
4. La “Bruised Apple Books” esiste davvero, e si trova proprio a New York.
5. “Isola” è uno dei modi per riferirsi a Manhattan, che è appunto un’isola.
6. [su word non c’è l’apice 6, quindi mi tocca lasciarlo vuoto XD]
7. Phillip Kingston, alias prince Phillip, che diventa dottore e grande amico di Killian/William. Kingston è il cognome di Wren, personaggio di “Pretty Little Liars” interpretato sempre da Julian Morris, il nostro Phillip in “Once Upon a Time”.
8. Per quanto riguarda i dati medici, specifico che non sono un dottore, quindi, dopo alcune ricerche, sono approdata alla conclusione che per una costola incrinata non c’è una cura, quindi il periodo di convalescenza necessario in ospedale può essere una settimana, come dieci, quindici giorni. 
 


Per qualsiasi chiarimento, potete scrivermi qui su Efp, oppure mi trovate qui: https://www.facebook.com/marti.lestrange
Inoltre, ho inaugurato un nuovo gruppo Facebook tutto dedicato ad “Haunted”. Chiunque voglia iscriversi, per spoiler, aggiornamenti costanti e quant’altro – come fangirlare XD – può cliccare qui:
https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
Trovate anche l’album dei prestavolto e dei luoghi di “Haunted”.
 
Ringrazio ancora una volta i followers di questa storia, che da 12 sono saliti a 19, soltanto grazie al secondo capitolo: siete fantastici e vi adoro! Grazie! Ovviamente, un grazie speciale và anche ai recensori/lettori silenziosi/fans senza ritegno della CaptainSwan/amanti di Hook :3 siete i migliori!
 
Alla prossima!
 
~Marti
 
 
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Marti Lestrange