Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: BlueSkied    11/09/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14.

Attenzione, questo capitolo contiene dei passaggi violenti
BlueSkied



Inverno 1553 - Primavera 1554


Il silenzio della cripta, di solito portatore di pace, in quel momento le parve opprimente. La duchessa rabbrividì, più per l'inquietudine che per il freddo invernale, ma non si mosse dalla sua posizione di fronte al piccolo altare. Le mani giunte erano intirizzite, ma il suo cuore sussultava, spingendo terrore e rabbia bollenti nelle sue vene.
Se solo avesse potuto, avrebbe urlato e imprecato, come nemmeno il suo signore si era abbandonato a fare. Da donna, pensava che esprimere le proprie passioni le sarebbe stato scusato, ma da duchessa non poteva permetterselo. Eppure, fin da quando erano sposati, lei e Cosimo si erano trasmessi i sentimenti l'uno dell'altra, come se a provarli fossero stati ognuno in prima persona, scambiandosi patimenti e gioie.
Così lui aveva avuto il cuore spezzato per tutti e tre i bambini che avevano perso, e lei aveva odiato visceralmente tutti coloro che lui detestava.
Adesso le stava accadendo la stessa cosa, ne era certa: quell'ira insopprimibile non era sua, ma lo era diventata. Il duca aveva parlato con calma, come suo solito, non si era lasciato a nessuna esternazione eccessiva, ma lei sentiva, fin sotto la pelle, che dentro schiumava. Da spirito indomabile qual era, Cosimo non sopportava l'umiliazione, la sottomissione, ed era stato costretto a entrambe le cose.
I francesi gli avevano teso la trappola, Sua Maestà e i suoi alleati, tra cui lo stesso padre di Eleonora, ce l'avevano spinto dentro. Il duca aveva ignorato le accuse di don Diego, quel pavido coniglio, aveva finto di piegarsi a quel patto di non belligeranza con re Enrico, ma poi, don Pedro s'era fatto prendere dal panico. I turchi, alleati dei francesi, sciamavano con le loro flotte intorno alle sue coste, e lui aveva insistito con ogni mezzo con il genero perché Siena fosse liberata dai francesi, ma Cosimo s'era rifiutato.
Eleonora ebbe, involontariamente, gli occhi colmi di lacrime. Pensava di aver già pianto fino allo sfinimento per la morte del padre. La sua impresa contro Siena era durata un soffio di vento: consunto dalle febbri, se n'era venuto a morire a Firenze, lasciando l'esercito allo sbando e la città nemica più in mano dei francesi che mai. La duchessa aveva adorato il genitore, ma ora non poteva perdonarlo: la sua avventatezza aveva sbriciolato ogni muro di prudenza il duca aveva costruito, gettandolo nei sospetti dell'imperatore e nella mire dei francesi. Cosimo non aveva potuto evitare di spedire rinforzi alla Corsica, proprietà dei Doria e invasa dai turchi, e questo aveva innescato la fiamma della guerra, che ora cominciava ad ardere in Siena con sempre maggiore insistenza. Come se non bastasse, la regina Caterina aveva messo a capo delle proprie forze da inviare in Toscana  i peggiori nemici del duca, Piero e Leone Strozzi, che andavano spergiurando di voler strappare Firenze al tiranno.
Cosimo aveva lanciato uno strano sguardo a sua moglie, quando furono loro riferiti quei discorsi, una smorfia a metà tra la rassegnazione e un' implacabile risolutezza:
- Il tiranno - aveva commentato, semplicemente, la voce ferma e venata di furia imbrigliata.
La duchessa amava il suo signore per le molte virtù, ma sapeva che egli non era generoso, non era magnanimo, non perdonava né dimenticava, e lei non cercò di placarlo, né ci avrebbe mai provato. Non si poteva vuotare il mare con un cucchiaio.

La lupa è più fiera del lupo, quando deve proteggere i suoi cuccioli, questo lo sapevano tutti. Piero Strozzi la trovava una bella immagine, la considerò molto pertinente, mentre il gruppo di soldati nemici gli veniva gettato ai piedi. Siena era un mezzo, una via lastricata d'oro per raggiungere i suoi scopi, e per ora era meravigliosamente dritta. Le parole stavano funzionando efficacemente quanto le armi, e lui aveva maledettamente ragione, lo sapeva. E più induceva il duca di Firenze a comportarsi crudelmente, più lui era vicino alla vittoria.
Non gli importavano le beghe fra Enrico e Carlo, quelle erano cose che i ministri avrebbero aggiustato, a tempo debito. Condurre le proprie milizie attraverso i territori di Cosimo, che lui considerava così ben difesi, era già per lo Strozzi una mezza ricompensa. Le fortezze gli si piegavano davanti, i soldati gettavano le armi e si davano alla fuga o imploravano il perdono. Certo, non tutto filava così liscio, c'era chi resisteva, chi credeva in quel fantoccio d'un Medici, e perdeva la testa. Ma erano piccolezze, piccolezze! Lui era dalla parte della ragione e della libertà, per quale motivo avrebbe mai dovuto fallire?
Piero sorrise fra sè, impercettibilmente, ordinando che metà dei prigionieri fosse risparmiata. Così dimostrava la sua superiorità rispetto allo spietato nemico, che faceva strage indiscriminata di chiunque prestasse aiuto ai francesi e ai rinforzi di fuoriusciti fiorentini, soldati, contadini, vecchi, donne e ragazzi. Fin dall'inizio di quell'anno 1554, con l'acuirsi e l'esplodere della guerra in Toscana, quei carnai si erano susseguiti, da una parte e dall'altra. Anche lo Strozzi sapeva bene come essere privo di pietà. Ogni guerra valeva il sacrificio di tutti, per qualcosa di più nobile ed elevato. Sentì la legittimità della sua causa come un secondo scudo al braccio. La cittadella fortificata nella piana pistoiese che avevano appena conquistato fumava appena, gli abitanti e la difesa avevano ceduto subito.
Per quanto fosse uomo di mondo e d'azione, che si vantava di conoscere l'animo degli esseri umani, Piero Strozzi non notò gli sguardi di quella gente. Non capì che si erano arresi non perché convinti dai suoi ideali, ma solo per sopravvivere. Anche loro avevano sentito parlare di mucchi di cadaveri, di messi devastate, di donne crocifisse alle porte delle città, e non distinguevano un colpevole dall'altro, non era cosa che gli interessasse. Il pastore voleva solo ritrovare almeno parte delle sue pecore, il contadino almeno una delle sue vacche. Che i potenti giocassero pure a dividersi la terra come se partissero il pane. I loro incubi sarebbero stati comunque meno tormentosi dei loro.

Cosimo era rimasto sveglio fino a tardi, come spesso accadeva in quei mesi. Aveva letto rapporti dai suoi generali, il Colonna e il conte di Marignano, e aveva studiato la traduzione di una lunga lettera del generale spagnolo. Tutto procedeva lentamente, troppo lentamente, e niente riusciva a frenare l'avanzata di Piero Strozzi verso Firenze. Ma era impossibile, che riuscisse anche solo a vedere le luci della città, impossibile.
Leggermente confuso dalla stanchezza, attraversò lo studio e si diresse verso le proprie stanze, ma nell'oltrepassare le doppie porte, non trovò le due guardie che stavano sempre al loro posto. Si meravigliò, e chiamò un paio di attendenti, per una spiegazione. Nessuna risposta. Le camere erano, oltretutto, immerse nella più completa oscurità, e questo lo fece infuriare: afferrò una torcia e l'accese a una candela posata sul suo scrittoio, poi si avventurò attraverso le tenebrose sale del palazzo. La luce tremula colpì le grottesche sulle pareti, facendole somigliare agli spettri dei racconti da balie, le figure allungate di ninfe e dei negli affreschi erano ombre nere. Il duca scacciò dalla mente con impazienza quelle suggestioni infantili, ma alla rabbia per la disobbedienza del servidorame si era sostituito il dubbio: perché sembrava non esserci anima viva? A quel punto, si accorse che dentro il palazzo non s'udiva un solo rumore, ma fuori c'era un chiasso da festa. Anche il bagliore aranciato che proveniva dalle finestre faceva pensare a falò e fuochi colorati. Spalancò la finestra più vicina, e il cuore gli si fermò: la città bruciava.
Sul momento, non riuscì a capire, pensò a un incendio o a un disgraziato incidente, ma la totale assenza di chiunque nel palazzo lo trasecolava. Mentre cercava un appiglio logico per capire cosa dovesse fare, udì delle voci, un concitato biascicare in francese, e comprese: quel demone incarnato e traditore dello Strozzi era penetrato nelle mura, dunque, e tutto era perduto. Non lasciò che la paura e l'odio lo sconvolgessero, doveva correre dalla duchessa e dai principi e cercare di salvare almeno le loro vite.
Per percorsi segreti e nascosti, attraversò rapido il palazzo, fino alla parte più antica, dove erano gli appartamenti della moglie, e là, a terra, sulle scale, scorse i corpi senza vita di fantesche, servitori e soldati, crollati sotto colpi di spada e archibugio. Dominò l'orrore e li superò, raggiungendo la scala che portava alle camere dei figli. Fece gli scalini a tre a tre, boccheggiando, ignorando i polmoni brucianti, e spalancò le porte con veemenza.
Solo la sua anima urlò, distinguendo le figure cadute tra i letti e il pavimento: Maria, la dolce Maria, aveva tentato di trascinarsi fino alla porta, stringendo fra le braccia il più piccolo dei fratelli, Ferdinando. Francesco era stato colpito mentre cercava di far scudo a loro e a Lucrezia, raggomitolata dietro di lui. Isabella giaceva accanto a Garzia, aggrappato alla sua camicia e a una mano di Giovanni. Balie e serve erano state uccise e trascinate vie per prime, senza poter far nulla.
Avrebbe voluto cadere in ginocchio e piangere su quei resti amatissimi, ma non poteva perdere altro tempo. Alimentato da una debolissima, bruciante speranza, tornò sui suoi passi, con quanta velocità glielo concessero le gambe e la mente stravolta.
Le stanze della duchessa parevano più buie di tutto il resto, ma non c'erano i cadaveri delle sue cameriere, forse si erano salvate o erano state risparmiate. Non c'erano neppure segni di lotta, e quella sembrava l'unica camera dove la devastazione non era penetrata. Eppure, le tende del letto erano tirate, come se la signora dormisse ancora, indisturbata. Credendolo vuoto, il duca le scostò, già pronto a cercare sua moglie da qualche altra parte, quasi rassicurato.
Il dolore doveva distorcergli la percezione. Eleonora sembrò giovanissima nella morte, stesa su un fianco, con i capelli sciolti che fluivano in una massa oscura fra le lenzuola macchiate di sangue. L'avevano spogliata e forse oltraggiata, prima di sgozzarla. Come ultimo affronto, sulla schiena le erano state incise delle parole in punta di coltello, Chienne Hispanique, cagna spagnola.
Non aveva più niente, ormai. Rimase immobile per un tempo che gli parve infinito. Non si voltò, quando sentì dei passi, ma riconobbe la voce:
- Crepa, porco de'Medici - sibilò Piero Strozzi, tagliandogli la gola.
Il duca spalancò gli occhi, trovando solo il reale, meravigliosamente concreto, baldacchino del letto. Tutto era tranquillo, niente fuochi, niente silenzio di morte. E la duchessa dormiva accanto a lui. Non si mosse, ascoltandone il respiro per pochi istanti. I sogni erano inganni da vecchie megere, cose di cui non tenere conto. Quelle orribili scene non erano che una febbre passeggera: i ragazzi erano al sicuro, Giovanni a Roma, e se lo Strozzi si fosse avvicinato alla città, lo avrebbe saputo con largo anticipo. Ma non poté riprendere sonno, con brani di quelle suggestioni impresse dentro gli occhi. Nessuno più di lui sapeva che in guerra nessuno poteva avere il lusso di non tremare.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: BlueSkied