L'ultima strofa della canzone – 1a Parte
Era una tiepida giornata
di Giugno. La sveglia di Conan iniziò a suonare e una mano spuntò
fuori dalla coperta per spegnerla.
Le vacanze erano
cominciate e lui si era dimenticato di disattivare la sveglia
giornaliera. Per tre mesi avrebbe avuto un po' di pace dalle noiose
lezioni delle elementari. In cuor suo sperava che fossero finite
definitivamente perché avrebbe riacquistato il suo corpo di
adolescente. Aveva festeggiato sette anni il mese prima, il quattro
Maggio. Aveva perso i suoi diciassette anni e nessuno glieli avrebbe
più ridati. I suoi tre amici gli avevano regalato un pupazzo del
loro eroe preferito e un libro giallo. Ai di nascosto gli aveva
regalato un libro molto intricato e difficile di un autore straniero
inglese, famoso per i suoi scritti gialli ma che in Giappone era
praticamente sconosciuto. Ma la cosa più imbarazzante fu il
comportamento di Ran: l'aveva svegliato la mattina, era sabato quel
giorno, con un vassoio pieno di leccornie per colazione, poi lo aveva
portato con sé al parco e a pranzo gli aveva cucinato i suoi piatti
preferiti. Come regalo un completo nuovo elegante, scelto
appositamente da lei.
Si era imbarazzato da
morire, ma aveva dovuto fingere di essere contento di tutte quelle
attenzioni, come solo un bambino di sette anni può essere. Finita la
festa, la sera nel suo letto, aveva chiuso gli occhi desiderando con
tutte le sue forze di essere Shinichi Kudo e non più Conan Edogawa.
Alla fine decise di
alzarsi e quando aprì la porta della stanza si accorse di essere
solo. Si ricordò solo in quel momento che Goro era andato a trovare
un suo amico che aveva da poco aperto un bar e Ran era andata a una
lezione mattutina di karate. Andò in bagno con calma e si lavò i
denti, sistemò i capelli neri e lavò il viso. Mangiucchiò una merendina
e bevve un succo mentre guardava il notiziario finché il suo
cellulare non squillò.
Masticando l'ultimo pezzo
di merendina rispose << Pronto? >>.
<< Sono io Shinichi
>>.
<< Ai dimmi >>.
La ragazzina dai capelli
biondi e i tratti occidentali se ne stava seduta sul divano della
spaziosa ed eccentrica abitazione del dottor Agasa con una tazza di
tè in mano e la cornetta nell'altra.
<< Sto lavorando a
un nuovo prototipo dell'antidoto, volevi dirti che potrebbe essere
pronto tra qualche giorno. Vorrei che tu lo provassi >>.
<< Èdefinitivo?
>>, chiese speranzoso.
<< Temo di no, ma
almeno è qualcosa >>.
Sospirò. Era quasi un
anno che andava avanti a tornare adulto per ventiquattro ore
sporadicamente. E solo una volta era riuscito a dire a Ran cosa
provava, ma purtroppo avevano dovuto interrompere.
<< L'unico modo
perché sia definitivo è quello di cercare i documenti in possesso
in mano dell'Organizzazione >>.
<< Lo so. Ma tutte
le sedi da te conosciute sono state distrutte e le altre segrete.
Chissà se poi sono rimasti documenti di qualcosa >>, disse
affranto. Quella mattina non si era svegliato con l'umore migliore.
<< Sei di cattivo
umore? >>, chiese la piccola scienziata.
<< No, sto bene. Ora
devo andare, ho un appuntamento con i miei genitori a casa mia >>.
<< Va bene, se vuoi
dopo passa, così ne parliamo meglio del tuo cattivo umore e
dell'antidoto temporaneo >>.
La conversazione si chiuse
senza aggiungere altro, tipico di Ai. Non le si poteva nascondere
niente. Si mise una maglia e un paio di pantaloni, lasciò un
biglietto a Ran, prese lo skate e si diresse verso la sua vecchia
casa. Il giorno prima i suoi genitori gli avevano mandato un video
messaggio dagli Stati Uniti in cui gli annunciavano la loro visita.
Una visita breve, ma pur sempre una visita. Accelerando con lo skate,
fu davanti a casa sua in pochi minuti. La macchina dei suoi era
parcheggiata fuori, un auto blu presa a noleggio. Spinse il cancello
di ferro e poi busso al portone di legno ma si sorprese di trovarlo
aperto.
Lo aprì leggermente.
<< Mamma? Papà? >>.
<< Siamo in salone
tesoro >>, si sentì rispondere da sua madre.
Lasciò le scarpe
all'ingresso e mise un paio di pantofole, lasciò lo skate fuori.
Andò in salone per salutare i suoi ma si bloccò.
Quella era l'ultima cosa
che si aspettava di vedere.