Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Aura    11/09/2013    1 recensioni
Diana cambia città, trasferendosi in un posto dove l'unica persona che conosce è Michele, un tempo suo mentore ma ora praticamente un estraneo, dopo dieci anni in cui non si sono né visti né sentiti. E quando lo rivede capisce che quello che prova è ben più della nostalgia di un'amicizia: ma Michele è anche il suo nuovo capo, e il ricordo del loro passato è troppo bello, così l'unica cosa sensata da fare è cercare di soffocare quel sentimento nascente.
Riprenderà in mano le bottiglie e ricomincerà a fare la barista, lasciando che Michele ancora una volta torni ad essere il suo mentore; lei dovrà solo preoccuparsi di tenere a bada i pensieri che hanno iniziato a tormentarla.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
daiquiri        









Gettò la sigaretta ed entrò nel locale, guardandosi intorno: avrebbe lavorato lì, fra non molto quell'ambiente le sarebbe sembrato famigliare, ma in quel momento non riusciva ad immaginarsi a camminare con disinvoltura su quelle mattonelle immacolate, raggiungere il retro da una porta che chissà dov'era, e ritornare a trasformare il banco nel suo regno incontrastato.
Schivò una giovane cameriera che le stava passando accanto con una torre di bicchieri, e istintivamente tirò la gonna che si era messa verso il basso, cercando di coprire più pelle possibile: quella era una ragazzina, esattamente come lo era lei quando lavorava in quell'ambiente. Raggiunse il bancone e guardò il suo riflesso negli specchi dietro le bottiglie: ora era un'adulta che metteva la crema contorno occhi già da un anno. E che data la sua avversione allo struccaggio serale avrebbe dovuto presto sostituire con una più forte.

Quindi, cosa vuoi?
Diana distolse lo sguardo dallo specchio, e si trovò di fronte un barista alto e spallato. Indugiò sulle braccia muscolose che uscivano dalla camicia smanicata, e in preda alla depressione si nascose la faccia con le mani.
– Magari sapere che cosa ci faccio qui! – bofonchiò.
Il ragazzo si protese verso di lei.
– Non ho capito, leva le mani! – urlò.
Diana scoprì il viso.
– Ho detto: sapere che cosa diavolo faccio qui. Ma in alternativa fammi un Mojito. – disse, porgendogli una banconota da venti euro.
Lui gliene restituì una da dieci, e le mise davanti il cocktail, ma fu fermato da Michele, comparso in quel momento, che aggiunse al resto una banconota da cinque euro.
– Sconto dipendenti, – spiegò al barista, – lei è la nuova, che prenderà il posto di Cecilia.
Diana ascoltò immobile, senza dire una parola, e poi seguì con lo sguardo Michele, che era stato chiamato dall'altra parte del bancone da una ragazza dai capelli rosso fuoco e l'atteggiamento festaiolo.
Il ragazzo si guardò intorno, e vedendo che in quel momento non aveva clienti da servire si appoggiò sul bancone.
– Ciao, – disse, porgendole la mano, – io sono Stefano. E così sei tu che sostituirai Cecilia, eh? – le chiese, indicando con la testa la ragazza dai capelli rossi.
Diana bevve cupamente un sorso del suo Mojito.
– Mah, non so. – sospirò, fra sé e sé.
Ma Stefano non sembrava voler terminare la conversazione.
– Perché prima hai detto quelle cose?
Lei si scansò, per permettere a una cameriera di raccogliere i bicchieri vuoti che si trovavano sul bancone, e la guardò eloquentemente, per poi passare a Cecilia con lo stesso sguardo.
– Ma mi vedi? Che cosa c'entro io qui? Sono anni che non faccio più questo lavoro, sì, ero bravina, ma è da secoli che non preparo più un cocktail, e quando lo facevo ero una ragazzina come loro: ora sembro una vecchia bacucca!
Stefano si mise a ridere,
– Ma cosa dici, quanti anni avrai, trenta? Hai ancora tutta la vita davanti!
Diana scivolò giù dal suo sgabello, fulminandolo con lo sguardo.
– Ventotto, prego. – disse, prima di eclissarsi tra la gente.

Non aveva fatto i calcoli che il motivo per cui lei affrontava sempre le novità con entusiasmo era proprio per il fatto che erano nuove: poteva solo migliorarsi, era quello il suo stimolo.
In quella occasione, invece, doveva misurarsi con una versione più allenata e più giovane di sé stessa: era già stata brava, e ora probabilmente non sarebbe riuscita ad arrivare agli stessi livelli.
E poi c'era un motivo per cui aveva smesso di lavorare nei bar e nelle discoteche: un giorno, nella caffetteria in cui lavorava, aveva conosciuto una nuova collega. Si chiamava Sonia, aveva quarantacinque anni, e nonostante dalle ginocchia in su avesse un aspetto curato, ai piedi aveva un paio di ciabatte ortopediche. Tipo quelle degli ospedali.
Diana aveva guardato i suoi stivali, e aveva promesso a sé stessa che non si sarebbe mai ridotta così.
E ora si vedeva, in mezzo a tutti quei ragazzi, a un passo dal diventare la milfona di turno, non tanto per l'avvenenza quanto per l'età.

Provò a cercare con lo sguardo Michele, per ritrattare la sua assunzione, ma sembrava scomparso nel nulla; allora dopo aver sbollito un po' l'offesa legata all'età, sentendosi una stupida a rimanere da sola, tornò al banco da Stefano.
Si sedette sullo sgabello, e aspettò pazientemente che finisse di servire la gente che aveva davanti.
– Scusa per prima. – disse, attirando la sua attenzione, – Comunque io sono Diana, e non so ancora se diventeremo colleghi.
– Un'improvvisa tremarella?
Diana si mise comoda.
– Ascolta, non scherzavo quando dicevo che sono secoli che non faccio più niente: di sicuro non mi ricordo come si fanno la maggior parte dei cocktail. E inoltre mi sento fuori luogo: tu quanti anni avrai? Venticinque? E sembri il più grande, l'età media dei dipendenti di questo locale sarà vent'anni!
Michele comparve di fianco a lei, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
– Dimentichi che ci sono io ad alzare la media. – disse, dimostrando di avere sentito la conversazione. – Domani mattina verrai qui insieme a me, a locale chiuso: ripasseremo insieme tutto quello che c'è da sapere. E se ti può far stare più tranquilla i primi giorni ti affiancherò, va bene?
Daiana sollevò lo sguardo piano, come se avesse potuto incenerirla solo guardandola; eppure allo stesso tempo in quei riguardi ritrovava il suo vecchio amico.
– Saresti gentile, grazie.
Stefano applaudì.
– Guarda guarda: la cocca del boss. Con me non sei mai stato così tenero! – si ribellò ridendo, mentre strizzava l'occhio a Diana.
Michele sbuffò:
– Questo è perché tu sei una testa di cazzo. – borbottò, bevendo l'acqua tonica che Stefano gli aveva messo davanti. – Bene, sarà meglio che vada in ufficio a guardare un po' di scartoffie, se le prossime sere dovrò stare qui con voi altri.
Lanciò il bicchiere a Stefano, che lo prese al volo, e dopo aver dato un amichevole pacca sulla spalla a Daiana se ne andò in mezzo alla folla di ragazzi che ballavano.
Lei guardò Stefano, sollevando le sopracciglia.
– È il mio mentore. – gli spiegò, finendo di bere il suo Mojito.

Una volta nel suo letto tirò un sospiro: i suoi dubbi, riguardo all'età, non erano svaniti, ma aveva deciso che avrebbe dato almeno una chanche a quella vita in cui si era buttata.
Si rigirò sul fianco, rannicchiandosi, e sorrise ripensando a Michele. Era decisamente strano, averlo rivisto dopo tutto quel tempo, troppo strano.


La mattina dopo si alzò quasi all'alba, impaziente che la giornata iniziasse, e dopo aver fatto un abbondante colazione e aver continuato a sistemare le sue cose, che la sera prima aveva per lo più lasciato nelle valigie, aspettò che Michele arrivasse: gli aveva mandato un messaggio, dicendogli che lei era pronta ad andare quando voleva.
Quando gli aprì la porta di casa le fece ancora quello strano effetto: da un lato le sembrava di tornare a dieci anni prima, dal momento che lui sembrava assolutamente identico, e dall'altro si sentiva tutto il peso di quegli anni addosso.
Lo seguì verso la sua macchina, Michele aveva messo in chiaro che ora era lei l'ospite nella sua città e ci avrebbe pensato lui a guidare, e mentre andavano verso il locale continuò a guardarlo di sottecchi, sperando che iniziasse da un momento all'altro a raccontarle qualcosa sulla canzone che passavano alla radio. Ma forse quello non era il suo genere. Era come se fosse sulle sue, quello sguardo che gli aveva visto negli occhi la sera prima, quando si era offerto di aiutarla, era scomparso.
Cercò di non rimanere intimidita di fronte al pensiero di un'intera giornata insieme a lui in quelle condizioni, così silenzioso e indifferente, facendosi coraggio con l'opzione che se ne sarebbe potuta andare da un momento all'altro: forse la sua nuova vita, che aveva cercato lì a Padova, la stava aspettando da qualche altra parte.

E invece, dopo che lui fece il giro di accensione delle luci e la trovò titubante con una bottiglia in mano, la magia ricominciò.

– Dimmi un po', – rise, – non vorrai prenderla in mano così quella povera bottiglia!
Diana sussultò, posizionandosi subito nella maniera corretta: le dita intorno al collo e il pollice dritto verso l'apertura.
– Certo che no! – gli rispose, un po' seccata nell'essersi fatta trovare in fallo su una cosa talmente tanto basilare. Michele la raggiunse, sostituendo tutte le bottiglie che aveva davanti con dei vuoti pieni d'acqua, ovviamente ognuno con la sua etichetta che contraddistingueva un distillato diverso.
– Forse è meglio usare questi, Daiana. – le disse, leggermente ironico. Forse era per come l'aveva chiamata, forse era per il suo sorriso, ma lei sentì che il ghiaccio si era sciolto di nuovo.
– Dimmi tutto, maestro.


Magari il detto che non si scorda mai ad andare in bicicletta si poteva riferire a tante altre cose: certo, ricordava solo le ricette basilari, ma se Michele le elencava gli ingredienti riusciva a ricavarne le dosi corrette; poi ci sarebbe voluto molto tempo prima che riacquistasse scioltezza nel flair, o forse non ce l'avrebbe mai fatta, ma lavorando sotto pressione, con lui che le chiedeva un cocktail dietro l'altro, aveva ritrovato una certa scioltezza nei movimenti base.
– Sono un vero danno, vero? – gli chiese a tarda mattinata, mentre lui osservava tutta l'acqua e il ghiaccio che erano finiti sulla pedana. Michele le mise una mano sulla spalla.
– Non ti preoccupare, sarai tu a pulire la tua postazione, fino a quando non sarai più ordinata. – disse sarcastico.
Diana ignorò il fatto che il contatto la rendeva particolarmente euforica, e cercò di comportarsi normalmente.
– Ti ricordi con chi stai parlando? Io? Ordinata?
Michele diventò serio.
– Non ti ho portata perché tu diventassi la barista più brava o più veloce, sono altre le cose che mi aspetto da te, e sicuramente quella che tu diventi un esempio per i tuoi colleghi è la più importante.
Annuì, imbarazzata.
– Pausa sigaretta? – chiese.
Michele guardò l'orologio.
– Meglio, andiamo a mangiare.

E se era stato strano incontrarlo, mangiare davanti a lui un piatto di spaghetti aveva un che di paradossale; ma la cosa positiva era che lui sembrava a tutti gli effetti tornato quello che ricordava:
non appena erano entrati in macchina aveva fatto partire il lettore Cd, interrogandola sul gruppo e chiedendosi sconsolato perché sembrava che in tutti quegli anni non si fosse fatta una cultura musicale decente. Diana chiuse gli occhi, ascoltandolo parlare, con quella sua voce roca e dall'inconfondibile accendo padovano, pensando che era il suono più gradevole che ascoltava da molto tempo.
E quando si erano seduti al tavolo non aveva smesso, stuzzicato dalla sua domanda su un autore che anni prima avevano scoperto piacere ad entrambi, le stava raccontando che cosa aveva considerato geniale nell'ultimo romanzo che aveva letto.
Diana arrotolò gli spaghetti alla forchetta, felice.
– Cosa intendevi, prima? – trovò il coraggio di chiedergli, all'insalata.
– Prima quando?
– Quando hai detto cosa ti aspetti e cosa non ti aspetti da me: perché mi hai offerto il posto? Probabilmente avresti potuto trovare qui qualcuno che fosse produttivo più velocemente di quanto potrei fare io.
Michele prese un pezzo di pane, iniziando a masticare lentamente.
– Perché tu me lo hai chiesto.
Scosse la testa, non ci credeva che era solo per quello, e le parole di quella mattina ne erano la conferma.
– No, davvero: cosa ti aspetti da me?
Lui sospirò, appoggiando i gomiti sul tavolo.
– Che tu non sia solo una brava barista: sei intelligente, sei sveglia, e non hai dimenticato le cose importanti di quando si sta dietro a un bancone. Ora però è prematuro che io ti dica altro, tu pensa a lavorare.
Diana fece una smorfia, e poi guardò il dessert che era stato portato al tavolo vicino.
– Prendiamo il dolce?

Nel pomeriggio il lavoro fu più impegnativo: Michele voleva che si esercitasse nella preparazione di diversi cocktail alla volta, e a ricordarsi i trucchi necessari per fare più abbinamenti.
– Michi non mi ricordo praticamente di flair! – si lamentò.
Lui le si mise accanto,
– Non pensare alle stronzate che ti ha insegnato quel pirla di Frank. – disse, quasi arrabbiato. – Quello che conta non è fare spettacolo, è riuscire a ottimizzare i movimenti, in modo da sincronizzare i tempi: il tuo cervello non può pensare a contare le once di tre bicchieri diversi che hai iniziato a versare in tre momenti diversi, ma il tuo corpo sì.
Le mostrò, mentre ancora sinuoso e elegante lanciava e prendeva una bottiglia con una mano, mentre con l'altra ne prendeva un'altra facendole fare un giro diverso; poi la prima mano passò ad un altro bicchiere, mentre la seconda rimise a posto la bottiglia prendendone un'altra ancora.
Quello doveva ammetterlo: lei, neanche nei suoi momenti migliori, era mai stata così elegante, così precisa. Ci aveva provato, in passato, ma si era sempre sentita goffa.
– Forse il mio cervello non è in grado di comandare al mio corpo di farlo. – borbottò, umiliata. Ma Michele non si diede per vinto, e le lanciò una bottiglia.
– Partiamo con una mano, insieme: ruota il gomito e poi lascia che sia il peso della bottiglia a darti il ritmo, assecondalo. Visualizzalo nella tua mente, lo so come ragioni. – cambiò idea, mise a posto la sua bottiglia e si posizionò dietro di lei. – Senti il movimento che devono fare i tuoi muscoli, la bottiglia seguila nella tua mente, chiudi gli occhi e guardala girare – continuò, mettendole una mano sul polso e aiutandola con il movimento.
Ma Diana era nella crisi più nera: com'era possibile concentrarsi sul braccio e sulla bottiglia se l'unica cosa che sentiva era Michele e la sua mano stretta intorno al suo polso?
E specialmente: non le era mai successo, non con lui. Anni prima si era beatamente addormentata sulla sua spalla, senza nessunissimo pensiero se non il grande affetto che provava per lui, e ora non era più così. Ora sentiva la sua presenza, percepiva il suo profumo, e il cuore iniziava a battere annebbiandole la mente.
– Ho capito, fammi provare da sola. – mentì, pur di farlo allontanare.
Michele si spostò di qualche passo, e incrociò le braccia, guardandola.
Diana inspirò: non doveva sbagliare, assolutamente. Provò a concentrarsi su quello che le aveva spiegato, sul visualizzare la bottiglia; chiuse gli occhi e pensò al movimento, al peso della bottiglia che girava su sé stessa e poi ritornava nella sua mano, secca, senza una sbavatura. Poi gli aprì e cercò di trasformare quel pensiero in realtà.
Fece tutto il movimento, chiuse solo la mano mezzo secondo prima, riprendendo la bottiglia leggermente inclinata, ma tutto sommato era più che soddisfatta. Si girò sorridendo vittoriosa a Michele, che le stava battendo le mani.
– Ora ti meriti una sigaretta. – le concesse, mentre lei, tornata con la mente ragazzina, già saltellava verso la sua borsa, per cercare il pacchetto.

Soffiò il fumo sopra di sé, osservandolo disperdersi nel cielo, mentre una strana sensazione, nel suo stomaco, la spingeva a sperare che quella giornata perfetta non finisse mai.

Alle cinque l'aveva accompagnata a casa, in modo che potessero entrambi prepararsi al lavoro, e mentre era sola, facendosi la doccia, liquidò i pensieri che l'avevano assalita come una cosa momentanea: a lei non piaceva Michele, era impossibile, non le era mai piaciuto.
Forse era semplicemente contenta di stare ancora con lui, decretò.
Ma mentre gli aprì la porta di casa, quando venne a chiamarla, inclinò la testa, lasciando che i capelli coprissero il rossore sulle sue guance.



Nda: ed ecco in botta il secondo capitolo, che ho pubblicato subito in modo che poteste avere una migliore visione dell'insieme.

Con questo vi saluto, sperando che qualcuno si soffermi a dirmi la sua opinione ;-)

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Aura