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Autore: Hiraedd    12/09/2013    9 recensioni
A Godric’s Hollow tutti conoscono i Potter:
la signora Dorea, donna tutta d’un pezzo, bella, furba, con quello splendido sorriso sulle labbra delicate;
il signor Potter, Charlus, sempre con una buona parola per tutti in bocca e quell’imprecazione così strana, “dannati serpeverde!”, a terminare tre frasi su cinque, specie quelle rivolte alla moglie;
i due ragazzi, poi, chi potrebbe non conoscerli? James e Sirius, hanno dietro una fila di cuori infranti che va dalla porta di Casa Potter fin al centro della piazza del paese, circa al monumento dei caduti.
Tuttavia, è degli ultimi due arrivi che si fa un gran parlare.
La signora Bensy ha detto alla signora Segrfid, la moglie del panettiere, di aver sentito da Jhon il calvo –gran pettegolo, quello!- che la signora Remsy –l’altra buona- ha ospitato per un intero pomeriggio uno dei due figli dei Potter, e la di lui ragazza, a casa sua.
Per giudicare l’altra ragazza, è bastato guardarla appena: bella come la morte e con un sorrisetto malizioso sul volto. Le ragazze del paesello sono concordi: è a dir poco insopportabile… e, no, non c’entra nulla l’aver tolto dalla piazza quel gran bel pezzo di figliolo che è Sirius Black.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fabian Prewett, Gideon Prewett, Marlene McKinnon, Mary MacDonald, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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COSA SUCCEDE NEL PRESENTE:
grazie a diversi piccoli indizi ritrovati sia dagli Auror che dai membri dell’Ordine ma soprattutto grazie ad un biglietto spedito a Dorea firmato semplicemente con una “M”, si sospetta che Mary sia tenuta prigioniera a Villa Selwyn, nel nord della Scozia.
Dorea riconosce nella firma la persona di suo fratello, Magonò di cui lei non ha notizie fin dalla nascita di James, diciotto anni prima, e decide di muoversi nonostante il parere contrario di buona parte della squadra, che ritiene il tutto troppo pericoloso e non abbastanza organizzato. Si decide alla fine di fare un sopralluogo, per cercare tracce di magia e della presenza dei Mangiamorte nella zona.
All’interno della Villa, Mary viene torturata al fine di scoprire più cose possibile sull’esistenza dell’Ordine della Fenice. Stravolta dal dolore, Mary decide di parlare cercando di limitare però i danni alle persone più capaci dell’organizzazione. Inizia così a fare il nome di Albus Silente.
Proprio mentre stanno per riportare Mary alla sua cella, Fabian Prewett e Daisy Empty, nascosti in una seconda stanza, riconoscono la ragazza malconcia nelle mani di due Mangiamorte. Avvisando il resto della squadra decidono di intervenire e cercare di salvare la prigioniera.
 
COSA è SUCCESSO NEL PASSATO (flashback):
gli studenti del settimo anno Grifondoro sono in guerra tra di loro. Lily e Sirius hanno tenuto nascosto per mesi a tutti (escluso Silente) il fatto di sapere che a torturare Emmeline e Lily a novembre era stato Rabastan. Per causa di ciò, quindi, Emmeline e James sono costretti a riconsiderare il rapporto con i propri migliori amici, sentendosi da loro traditi. In particolare James, sentendosi considerato come un bambino in mezzo agli adulti, non riesce a perdonare il proprio migliore amico. A lezione, un pomeriggio, denuncia Sirius alla McGrannitt per uno scherzo fatto a Mocciosus. Quando Sirius torna in dormitorio dopo una lunga punizione, stremato, inizia a prendersi a male parole con James, e in breve finiscono per arrivare alle mani in piena notte.

 
 
 
LILY
JAMES
LèNE
SIRIUS
EMMELINE
REMUS
MARY
PETER
ALICE
FRANK
RABASTAN
REGULUS
CORRISPONDENZA
 


 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
PIANTERRENO, incidenti da manufatti, esplosioni di calderoni, ritorno di fiamma di bacchette, scontri tra scope eccetera…
ORE 11.03 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
-la sua mano sarà come nuova entro una settimana, Signora Webster. Torni venerdì prossimo per la rimozione della fasciatura, cerchi di non lasciare per troppo tempo il braccio a contatto con l’acqua e non rimuova le bende per nessun motivo. Il balsamo che le ho messo non deve prendere aria, deve restare protetto dalle garze-.
 
-grazie, Signorina-.
 
-si figuri, è il mio lavoro! Stia lontana dai calderoni almeno fino a quando non si sarà rimessa, la prego-.
 
A novantaquattro anni suonati sarebbe pure il caso, poi, di lasciarli perdere per sempre, i calderoni.
 
Dorcas Meadowes tira un sospiro di sollievo riponendo su uno scaffale alcune boccette e qualche garza. Con uno svolazzo della bacchetta sterilizza il tavolino su cui ha appena lavorato e getta uno sguardo attento all’interno del piccolo ambulatorio.
 
Il reparto Incidenti da Manufatti dell’Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche, che funge anche da Pronto Soccorso, raramente conosce un attimo di tregua: pare ci sia sempre, a qualunque ora del giorno e della notte, qualcuno che per un motivo o per l’altro riesce nel mirabolante intento di farsi esplodere la bacchetta in faccia.
 
-Dorcas, che cosa le è successo questa volta?-
 
Una ragazza scura di capelli fa capolino dalla porta con la testa, arricciando il nasino pieno di lentiggini in una smorfia fanciullesca.
 
La Vedova Webster –novantaquattro anni, miopia accentuata e decisamente dura d’orecchi- è una delle loro pazienti abituali. Potrebbe quasi essere definita una cliente affezionata, da tante volte se la ritrovano ad aspettare all’accettazione.
 
-ha infilato la mano nel calderone di Doxycida che stava facendo in casa. Pare abbia confuso il calderone con la sacca degli ingredienti-.
 
-potremmo fare una tessera a punti, ogni dieci visite regaliamo una tazza- propone la ragazza lentigginosa trattenendo una risata. Con un cenno della testa, poi, indica la sala d’accettazione oltre il corridoio –C’è il tuo amico che chiede a gran voce di te, il giocatore delle Vespe, quello che sembra un principe azzurro. Merlino, è così perfetto! Vorrei…-.
 
-Caradoc è gay, Tania- la frena Dorcas con un sorriso.
 
-quelli perfetti raramente non lo sono. E se sono etero sono già impegnati- borbotta la Medimaga scrollando le spalle e tornando in corridoio, seguita da Dorcas. Traffica per qualche secondo con i fogli della tavoletta che regge in mano e poi sospira quando insieme arrivano all’accettazione –comunque è una gioia anche solamente per gli occhi, dovresti dirgli di venire qui più spesso-.
 
-lo farò-.
 
La sala è in fermento, come al solito: una lunga fila di persone più o meno sane si snoda per tutto il perimetro davanti alla strega dell’accettazione, il baccano è quasi insopportabile.
 
Caradoc Dearborn, fremente davanti alla porta d’ingresso, appare elegante perfino se visibilmente preoccupato. A Dorcas basta un solo sguardo al volto angosciato del ragazzo per capire la gravità della situazione.
 
-l’hanno trovata, Fabian è arrivato con lei una decina di minuti fa. I guaritori del quarto piano non dicono nulla e…-.
 
-vai su- lo interrompe Tania guardandosi attorno e poi gettando un’occhiata alla cartellina che tiene tra le mani –vai su con lui, qui possiamo pensarci noi-.
 
 
*
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
QUARTO PIANO: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata d’incantesimi eccetera.
ORE 13.00 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
La prima volta che venni al San Mungo fu per la morte di mia nonna.
 
Era la mamma di mio papà e di lei non ricordo altro che il tono gentile della voce e l’odore penetrante della lavanda, che era anche il suo profumo preferito.
 
Una cosa però che mi è rimasta bene impressa è la tristezza che per la prima volta, sulla soglia della stanza in cui nonna Gana morì, potei vedere sui volti straziati dei miei genitori.
 
Avevo tre anni e la ferma certezza che mamma e papà fossero degli eroi. Loro non dovevano piangere mai, perché gli eroi non piangono come i bambini e non sono mai tristi, impegnati come sono a salvare il mondo.
 
Quel giorno, per la prima volta, vidi nei miei genitori due persone vere, e iniziai a capire, forse, che per quanto grande una persona possa essere non smetterà mai, dentro di se, di rannicchiarsi come un bambino in un angolo quando succede qualcosa di triste.
 
Da allora, associai al San Mungo quelle lacrime che avevo visto solcare le guance di mamma e papà. Tutto quello che è successo dopo la morte di Morgana Bones in Potter –le varie volte in cui mamma e papà sono finiti in ospedale a causa del loro lavoro, l’attacco a Lily dello scorso novembre, l’incendio a Diagon Alley con conseguente ricovero di Sirius e Marlene- non ha fatto che confermare l’aura di tristezza che secondo me aleggia su questo ospedale.
 
-Jamie, vuoi una Bolla Bollente?- domanda Sirius porgendomi un pacchetto di gomme.
 
Sta seduto di fronte a me, le spalle al muro opposto al mio, sul pavimento del corridoio del quarto piano del San Mungo. Dorcas è entrata nella sala in cui stanno visitando Mary da ormai quasi un’ora, ma non si vede ancora nessuno all’orizzonte che possa spiegarci come stia la mia migliore amica.
 
-se mi metto a masticare qualcosa potrei vomitare- borbotto a mezza voce tormentandomi le mani, nervoso.
 
Fergus McDonald segna a grandi passi il corridoio andando avanti e indietro, mentre Jill di quando in quando sbuffa per richiamarlo, mordicchiandosi le labbra per l’angoscia.
 
Forse sono troppo giovane per capirlo, ma invidio loro la calma che stanno nonostante tutto mostrando in questa occasione. Se fosse mia figlia quella che hanno ritrovato dopo diversi giorni di prigionia e non me la facessero vedere, tenendomi in sospeso con le notizie, probabilmente darei di matto.
 
-non hanno ancora fatto sapere niente?-.
 
Gideon, con le mani occupate da diversi generi procurati nella sala da tè al piano superiore, sorpassa trafelato l’angolo del corridoio. Porge una tazza con del caffè dentro a Sirius, poi si volta verso Charlus che fa un cenno negativo.
 
-Signora McDonald, le ho preso dei biscotti di frolla se le fanno piacere, per ingannare il tempo- mormora porgendogli un sacchettino con una decina di biscotti dentro –James, vuoi del tè?-.
 
Scrollo il capo in risposta, guardandolo mentre si siede su una delle panchine di ferro che costeggiano il corridoio. Lo vedo sbuffare.
 
-Gid, sai dove è il resto della squadra di mamma e papà?-.
 
Prewett mi guarda per un attimo, probabilmente perso nei propri pensieri, prima di riscuotersi e chiedermi di ripetere la domanda.
 
Fergus e Gillian si irrigidiscono, a quanto ho capito c’è stata tra loro e i miei genitori una lite furibonda al momento in cui sono venuti a sapere –come è logico che fosse- dell’esistenza dell’Ordine della Fenice.
 
-tua madre e tuo padre hanno indetto una conferenza stampa, Daisy e Artemisia sono tornati al quartier generale a stendere il rapporto, insieme a Robert e Albert. Fab è andato a… avvisare gli altri. Gli altri, immagino, saranno tornati al Ministero per rimettersi al lavoro. Si teme una risposta forte da parte dei Mangiamorte dopo la liberazione di Mary, per cui Gilbert e Annie stanno lavorando su una lista di possibili bersagli da mettere al sicuro al più presto-.
 
-la testimonianza singola di Mary sarà sufficiente per mettere in catene qualcuno dei loro?-.
 
Gideon scuote la testa, sospirando ancora. Ha sottili rughe che gli increspano la fronte e profonde occhiaie a cerchiargli gli occhi. Quando è arrivato al quartier generale, questa mattina, ad avvisare della manovra in atto per liberare Mac pareva furioso e collerico come una belva in gabbia. Ora sembra semplicemente stanco, e più preoccupato che mai.
 
-non ne ho la più pallida idea- mormora coprendosi gli occhi con una mano –non lo so proprio-.
 
Un silenzio lungo una vita che dura ancora un’intera ora, prima che quella porta oltre cui dicono sia sparita Mary si apra per lasciar passare Dorcas.
 
La Medimaga che è entrata due ore fa non è quella che ne esce, e questa è la prima cosa che capisco guardando il volto stanco e tirato della Meadowes. Il sorriso normalmente gentile esce ora a stento, preoccupato, tra quei lineamenti morbidi.
 
-è viva?-.
 
Gli occhi di Fergus, dal colore così simile a quelli di Mary, si aggrappano speranzosi al camice verde di Dorcas e alla mano che ora impugna la bacchetta. La Medimaga annuisce passandosi una mano sul volto accaldato.
 
-non volete parlarne in privato?-.
 
Gillian passa uno sguardo acceso di speranza su Gideon, ora vivo e fremente, e poi su me e Sirius, ancora seduti ai piedi del muro. Torna con un’occhiata su Dorcas, scuotendo la testa e facendole cenno di parlare pure con tutti e cinque.
 
-è viva, e i Guaritori sono tutti concordi nel dire che ogni ferita fisica esterna guarirà con il tempo. Mary presenta pochi segni di tortura visibili dall’esterno, la maggior parte delle ferite appaiono auto inferte ai palmi delle mani o sui polsi. Ha solamente una ferita che desta più preoccupazione, che all’altezza della spalla destra le attraversa una buona porzione di schiena, e che sicuramente lascerà una cicatrice visibile. I danni più preoccupanti, in ogni caso, li ha subiti agli organi interni, e non siamo a conoscenza della maledizione che li ha provocati. In un primo momento sembrerebbe che i danni vadano a riassorbirsi da soli, ma in ogni caso monitoreremo comunque la situazione costantemente. In particolare, i reni sembrano colpiti in modo piuttosto serio. Aspetteremo il risveglio di Mary per saperne di più. Le è stata somministrata una pozione per il sonno che dovrebbe cessare il suo effetto entro stasera alle sette-.
 
Fergus, che per ascoltare Dorcas ha interrotto il suo cammino per il corridoio, si lascia cadere sfinito su una sedia. Un secondo dopo piange come un bambino, le guance arrossate e le mani a tenersi la testa.
 
-possiamo vederla?- domanda Sirius passandosi le dita tra i capelli.
 
Dorcas scuote il capo.
 
-quando si sarà svegliata potranno vederla i parenti più stretti, secondo la procedura standard del San Mungo, e in base al modo in cui reagirà si programmeranno le successive visite-.
 
-Dorcas…-
 
Non so come porre la domanda, ancora scombussolato.
 
-hai qualche domanda, James?-.
 
Il suo tono gentile mi spinge ad essere più fiducioso. Professionale ma non troppo distaccata, la Meadowes sembra ora molto meno preoccupata di quanto non fosse quando è uscita dalla sala.
 
-in che senso le ferite che Mary ha addosso possono essere auto inferte?-.
 
Gillian, alle mie spalle, si irrigidisce.
 
-Mary si è fatta del male da sola? L’hanno costretta? Cosa le hanno fatto?-.
 
-dall’angolazione e dalla profondità della ferita pensiamo che siano ferite auto inferte, ma non sappiamo spiegarlo con certezza- mormora la Meadowes sospirando e rivolgendo uno sguardo gentile a Jill –Signora McDonald, Mary è una ragazza forte e molto furba, potrebbe doversi essere ferita da sola per le più svariate ragioni. È fortemente disidratata, quando è arrivata era sporca e mostrava segni di denutrizione. Forse Mary si è ferita utilizzando il dolore come un diversivo, magari ai morsi della fame o alle torture. Faremo più chiarezza non appena si risveglierà, ma è necessario da parte nostra mantenere la calma-.
 
-non sappiamo se si salverà, hai detto- ribatto tanto per chiarire che Mary non è ancora del tutto in salvo, caso mai se lo fosse dimenticata –è ancora in pericolo-.

 
 
*
 
 
Perdere la calma e farsi sopraffare dall’agitazione non aiuterà nessuno.
 
-Signori McDonald- interviene alla fine di un lungo silenzio Dorcas –Mary dormirà fino a questa sera, e sarà vegliata ogni minuto da occhi vigili. Se volete andare a casa a riposare, a cambiarvi o rinfrescarvi, vi posso giurare che mi occuperò personalmente di tenervi informati ogni ora, anche se le condizioni di Mary restassero senza alcun cambiamento fino alle sette. Forse vi farebbe bene anche solo una boccata d’ari…-
 
-io resto qui- taglia corto Jill tornando a sedersi su una di quelle scomode sedie –non ho intenzione di muovermi fino a stasera-.
 
La Medimaga, davanti allo strenuo orgoglio di quella madre, non fa altro che sorridere. Lavora in quel campo da abbastanza tempo da averne viste di tutti i colori, e pare naturalmente già portata ad essere una persona paziente. Pare in qualche modo felice di quelle parole, quasi come se pensasse che Jill, rifiutando di tornare a casa lasciando sua figlia appena dopo averla ritrovata, stesse facendo la cosa più giusta.
 
-come preferite. Qualsiasi cosa sceglierete di fare, qualunque domanda avrete da porre, potrete venire allora a cercarmi giù all’accettazione. Tornerò in questo reparto ad ogni ora, comunque, per avere qualche notizia-.
 
Fergus e Gillian sembrano ora più rincuorati. Seduti l’uno accanto all’altra, le mani intrecciate, sembrano darsi conforto a vicenda.
 
Passato lo scoglio più duro, Dorcas si volta verso i due giovani ragazzi seduti sul pavimento.
 
-James, Sirius, credo sarebbe meglio che qualcuno portasse queste notizie agli altri. Dite che non c’è alcun bisogno che vengano qui in massa, stasera di certo non li faranno entrare in visita. Secondo la procedura saranno ammessi alla presenza della degente solo i genitori ed eventuali Auror-.
 
Sirius Black annuisce, alzandosi in piedi e rassettandosi i jeans con un elegante gesto distratto. Vedendo James fare lo stesso si volta lievemente verso Gideon, ancora seduto sulla sedia senza l’aria di volerla abbandonare per il resto della vita, e gli scocca un’occhiata in tralice.
 
-cosa…?-
 
-voi andate, ci penso io- mormora Dorcas seguendo lo sguardo del giovane. Rassicurato, Black passa un braccio sulle spalle del proprio migliore amico, forse in un blando tentativo di rassicurarlo, e si avvia all’uscita con passo barcollante.
 
Solo quando vede entrambi i ragazzi uscire dal reparto in direzione delle scale si avvicina cauta a Gideon e gli posa una mano esitante su un braccio.
 
-Dorea non ti ha permesso di prendere parte alla missione, vero?-.
 
Prewett scrolla il capo, dimostrando la sua attenzione nonostante lo sguardo vacuo di nuovo puntato sulla parete opposta.
 
-troppo coinvolto. Probabilmente avrei mandato a rotoli tutto-.
 
-resta qui di guardia, se vuoi, allora. Lei non vorrebbe altri che te a proteggerla-.
 
Sgranando gli occhi Gideon si volta verso Dorcas. Lei sorride appena e gli accarezza la guancia lasciandogli un piccolo buffetto su una gota, in uno di quei rari contatti che si permette ogni tanto con i suoi amici.
 
-in realtà ho come l’impressione che, nonostante quanto ho detto prima a James e Sirius, ben presto questo corridoio sarà molto affollato. Se dovesse succedere, o meglio quando dovesse succedere, puoi anche decidere di andare a riposare un po’. Hai la faccia di chi non dorme da giorni-.
 
-resterò qui, invece. Io non voglio che sia qualcun altro a proteggerla-.
 
 
*
 
 
La banchina della metro a Charing Cross è tutto sommato piuttosto libera dalla calca di gente che normalmente l’assiepa a quest’ora del giorno. James, col viso ora più rilassato, mi cammina affianco mentre ci dirigiamo alla porta rossa che rimane in fondo al canale.
 
-pensi che Mary sarà tanto diversa, d’ora in poi?- domando spezzando il silenzio che ci accompagna fin dalla nostra uscita dal San Mungo.
 
James si ferma proprio davanti alla porta e mi rivolge un lungo sguardo.
 
-chissà cosa è successo in quel posto. Ho paura al solo pensarci. Tu avevi messo in conto che una cosa del genere potesse succedere quando siamo entrati nell’Ordine?-.
 
-mettere in conto qualcosa non è come trovarsi di fronte al fatto compiuto. E io… io non credo di essere fatto per rassegnarmi davanti alla certezza di una morte del genere, mia o dei miei amici. No, non ero preparato. Non lo sarò mai-.
 
Lo sento sospirare, al mio fianco, poi vedo che si appoggia al muro accanto alla porta senza dare alcun segno di voler entrare. Deve essere qualcosa che gli pesa terribilmente, questo pensiero e questa paura, perché oltre quella porta, dietro un lungo corridoio e una seconda porta c’è Lily che lo aspetta. E se non  fa di tutto per raggiungerla vuol dire semplicemente che c’è qualcosa che lo turba e che non vuole mostrare davanti a lei per non agitarla ancora di più.
 
-ho una paura infernale. Ricapiterà, lo sappiamo tutti. Non a Mary, forse, ma a qualcun altro. Uno dopo l’altro, tutti ne pagheremo il prezzo. Questo non vuol dire che io abbia voglia di tirarmi indietro, sia chiaro!-.
 
-lo so, James- lo rassicuro –ti conosco. E ti capisco, perché per me è lo stesso. Anche io ho paura, e anche io ho intenzione di lottare fino alla fine contro questo terrore che non mi abbandona. Siamo fratelli, no?-.
 
Quando James Potter sorride gli si forma una ruga lieve proprio in mezzo agli occhi. La vedo ogni giorno da quando avevo undici anni, ormai, e per me è diventato sinonimo di quello che siamo. James sorride così solo quando è con me, quando è con suo fratello. È il nostro sorriso.
 
Non voglio nemmeno pensare a cosa mi succederebbe se il prossimo a finire in mezzo a tutto questo disastro che è la guerra fosse lui. O Lène. O addirittura la Evans.
 
Preferirei che prendessero me.
 
 
Flashback  
HOGWARTS, SERRA NUMERO 7 DI ERBOLOGIA
ore 01.15 del 5 marzo 1978
 
-prego, consegnatemi le bacchette- ringhia furiosa la McGrannitt –e che non vi passi in mente di fare tutto il caos che stavate facendo in dormitorio, sia chiaro. Alla prossima l’espulsione a vuoi due non la toglie nessuna. Da due studentelli del primo anno potrei anche aspettarmi un tale colpo di testa, ma siete adulti ormai e da due studenti del settimo come voi, Signor Potter e Signor Black, mi aspetto un minimo di ragionamento. Zitto, Potter, non osare aprire quella bocca o mi costringerai a legarti la lingua con un incantesimo. Verrò domani mattina a ricontrollare a che punto siete, e non mi importa se vi ritroverò a brandelli, la cosa importante è che facciate silenzio-.
 
Frank ci aveva avvisato che a forza di urlarci contro, in pieno notte in dormitorio, la McGrannitt sarebbe accorsa a dividerci. E a punirci. Ho finito la mia punizione dei bagni di Mirtilla nemmeno due ore fa ed ora eccomi di nuovo in detenzione, con le braccia coperte fino ai gomiti del concime in cui giacciono le piante di fagioli sopoforosi della Sprite.
 
Io non odio il mio migliore amico, ma in questo momento lo detesto fin dal profondo di me stesso.
 
-è inutile che fai quella faccia- mi borbotta contro non appena la McGrannitt si chiude la porta della serra alle spalle. Probabilmente ci chiuderà dentro fino all’alba con un incantesimo, ma non mi importa. Anzi, questa notte avrò occasione di fare chiarezza, dopo più di due settimane, con quella testa calda del mio migliore amico, che non mi rivolge più la parola se non per insultarmi –te lo sei meritato!-.
 
Poso la zappa da giardinaggio con cui dovrei smuovere il concime e mi siedo per terra a gambe incrociate. Non ho intenzione di fare il diavolo a quattro, il mio migliore amico mi manca davvero. Voglio riaverlo anche a costo di essere per una volta io la persona seria della situazione.
 
Chissà se Remus si sente così ogni santo giorno.
 
-è vero, me lo sono meritato- ammetto provando ad intavolare una conversazione civile –io mi sono meritato di finire in questa punizione, io mi sono meritato di finire nella punizione precedente, io ho attaccato la veste di Mocciosus alla sedia con un incantesimo di adesione permanente, io. Da solo. Per le ultime due settimane. Qualunque cosa io facessi, tu non c’eri. Anzi, di più, mi hai remato spietatamente contro-.
 
James si agita, rimanendo inginocchiato a spalare concime con sempre più forza, cacciandone ovunque attorno a noi. Non mi importa, mi tocca fare la persona seria.
 
-ti posso ricordare… che hai anche deciso… tu da solo.. anzi, no… insieme alla mia fidanzata… di nascondermi qualcosa di… così importante… come il nome… della persona che… ha torturato Lily?-.
 
Scandisce ogni frase con uno sbuffo, accanendosi sempre di più sul vaso di quelli che un tempo erano fagioli sopoforosi.
 
Alle sue parole inizio ad agitarmi anche io, quindi taccio per un secondo e tiro un sospiro lento e lungo.
 
-hai ragione- ammetto di nuovo, abbassando la testa –quello che ho fatto è stato terribile, da parte mia. Ti chiedo scusa, l’ho già fatto e se sarà necessario sono disposto a farlo per il resto della nostra vita, ma… per favore. Non…-
 
Non cosa?
 
Non tradirmi così?
 
Sembro una fidanzata delusa, e non è quello che voglio dire.
 
James lo sa. Lo deve sapere, lo ha sempre saputo.
 
Lui è mio fratello, dannazione! È sempre stato al mio fianco, sempre vicino a me, pronto a trascinarmi in ogni scherzo ma, di più, pronto in prima linea a subirne le conseguenze, insieme a me, al mio fianco.
 
Sempre.
 
Anche nei momenti peggiori, anche al tempo dello scherzo a Mocciosus sulla pelle di Remus, anche se mi odiava, non mi ha mai abbandonato.
 
Voglio bene a tante persone, e di alcune di queste sono quasi dipendente. Eppure James è l’unico a condizionare sempre, con ogni sua scelta, tutta la mia vita. È la mia Stella Polare, la mia bussola. Lui punta al nord, lui mi salva la vita. Se lui non ci fosse stato, o mi avesse rifiutato fin dall’inizio di questa nostra amicizia, io sarei diventato come mio fratello.
 
E lui questo lo sa. Lui lo sa, dannazione, che è lui il tronco, tra i due. Io sono solo un ramo, mezzo rinsecchito, che senza il tronco è buono solo a bruciare, a rinsecchirsi del tutto e ad autodistruggersi.
 
Mentre io lo guardo, ragionando, lui continua a picchiare vasi e fagioli sopoforosi.
 
Il disastro attorno a noi ormai è indescrivibile. Lui deve sfogare la rabbia, e guardandomi attorno non posso far altro che ringraziarlo per aver evitato di farlo prendendomi a pugni. Questo indica che tiene ancora a me più di quanto tenga a quei vasi di fagioli sopoforosi, se non altro.
 
-non mi lasciare solo-.
 
Sull’eco delle mie parole lui si ferma, le braccia sporche fino ai gomiti di concime e lo sguardo scuro ancora un po’ adombrato.
 
-non mi lasciare solo, James-.
 
Deglutendo, lascia perdere l’ennesimo vaso e lentamente si siede per terra. Si rigira la zappa tra le mani riflettendo.
 
-mi ha fatto male quello che avete fatto tu e Lily. In un modo che non avrei mai creduto possibile- sussurra alla fine.
 
-lo so, io…-
 
-no. Non è il fatto che mi abbiate taciuto di Rabastan, anche se sarebbe bastato in se a farmi girare le palle. Voi pensate a me come a un bambino, a quanto pare. James Potter l’immaturo, anzi, l’infantile, che non è capace di trattenersi. Meglio che ci pensino gli adulti, a tenerlo fuori dai guai-.
 
-James, no, io non…-
 
-si, Sirius- alza la voce zittendomi –io non sono il tuo migliore amico, sono il tuo amichetto del cuore. Non sono il fidanzato di Lily, sono il suo ragazzino. Se questo è vero, ti prego di dirmelo, perché vuol dire che ho sbagliato tutto-.
 
Ha gli occhi lucidi ed è nervoso, lo vedo da come si rigira l’attrezzo da giardinaggio tra le mani.
 
Restiamo in silenzio per un po’, poi mi guardo attorno. I fagioli sopoforosi sparpagliati dall’attimo di furia di James indicano che dovremmo fare un gran lavoro per rimettere tutto in ordine prima dell’arrivo della McGrannitt, ma ora la cosa inizia a non terrorizzarmi più così tanto.
 
Negli occhi di James vedo una luce, ed è la luce in fondo a questo tunnel che è stato lungo due settimane e mi ha spezzato come non immaginavo qualcuno sarebbe mai arrivato a fare.
 
-James, hai presente i tavolini da tè?- chiedo all’improvviso.
 
Lui mi scruta per un attimo arricciando la fronte.
 
-e cosa c’entrano adesso?-.
 
Sorrido appena, amaro.
 
-ne esistono di tanti tipi, sai. Esistono quelli che hanno quattro gambe,quelli che ne hanno di più. E poi ci sono quelli che ne hanno una sola, un po’ più grande, proprio nel mezzo. Hai presente, no?-.
 
-si-.
 
-se a uno dei tavolini da tè con quattro gambe tu ne spacchi via una, il tavolino rimane in piedi lo stesso. Un po’ malconcio, non proprio nuovo di pacca, è vero. Ma resta in piedi. Se tu togli ad un tavolino da tè con una gamba sola quell’unica gamba che si ritrova, cade tutto. Non cade solo la superficie del tavolo, non crederlo: cade il ripiano di legno, cadono le tazzine di ceramica che sicuramente si ritrova sopra, la teiera, la zuccheriera, pure il contenitore del latte e il piattino dei pasticcini. Tutto, in un gran fracasso, e di quello che c’era prima restano solo macerie-.
 
James resta ancora in silenzio, probabilmente in attesa di scoprire dove voglio andare a parare.
 
-io e Lily lo sappiamo che quello che abbiamo fatto è sbagliato, e che puoi decidere tu se perdonarci o rimarcarcelo per tutta la vita che ci resta. Però siamo solo due tavolini con un’unica gamba, e quell’unica gamba, per entrambi, sei tu. Sei libero di fare quello che vuoi, ma devi sapere che in caso decidessi di cadere tu, ti trascineresti dietro tutti e due. E lo so che è un discorso tremendamente egoistico da parte nostra, che sei tu la parte offesa e noi non dovremmo aver diritto di replica, ma le cose stanno così. Quindi, se credi davvero che valga la pena buttare tutto all’aria per questo va bene, ma avrai sulla coscienza anche la nostra caduta. Forse è ingiusto e egoista, ma è così-.
 
-quindi sarei la… vostra gamba?- sorride dopo un po’ di silenzio con un ghigno divertito –è davvero la cosa più originale che sei riuscito a tirare fuori? Perdi colpi, Pads-.
 
È lusingato, dietro a quel sorrisetto sornione. La cosa mi fa venir voglia di piangere dal ridere, ma forse è meglio se mi contengo.
 
-ah, eddai, era per dire- sbuffo scherzando e dandogli, timidamente, una gomitata scherzosa –che poi ha anche una sua poesia, questa cosa dei tavolini. Seriamente, non ti commuove nemmeno un po’?-.
 
È un abbraccio che ho aspettato per giorni, questo. E credo sia valsa anche la pena di aspettarlo tanto, se porterà nuovamente un po’ di pace.
 
Staccandosi dall’abbraccio, alla fine, James si guarda attorno con lo sguardo impietosito da tutto il casino che ha fatto lui stesso solo poco prima.
 
-credi che la McGrannitt ci ucciderà quando vedrà tutto questo concime ovunque?- domanda giulivo, alzandosi –perché senza magia non credo proprio riusciremo a sistemarlo a dovere-.
 
Sorrido, divertito. Vedere James scherzare è come tornare a casa dopo tanto tempo.
 
All’alba, quando la McGrannitt apre la porta della serra, ci trova ancora nel concime fino ai denti, e tuttavia fa una cosa strana: sorride vedendoci scherzare come abbiamo sempre fatto.
 
Annuendo come se non si fosse aspettata altro che questo, ci consegna le nostre bacchette e poi ci dice di tornare in dormitorio per prepararci alla colazione.
 
Fine flashback.
 
 
-Alastor pensa che abbiano tenuto Mary viva per tutto il tempo perché hanno scoperto dell’esistenza dell’Ordine. Ho sentito che lo diceva questa mattina alla mamma, in ospedale. È vero, secondo te? Sanno di noi?-.
 
La domanda di James mi distoglie dai ricordi.
 
-beh, non potevamo certo aspettarci di rimanere segreti per sempre- mormoro scrollando il capo e aprendo la porta che dà sul corridoio interno –segreti come questi non restano mai nascosti per troppo tempo-.
 
Ad aprirci la porticina in fondo al corridoio, quella che ci fa accedere finalmente al quartier generale, è Emmeline. Ci scruta con occhi nervosi e colmi d’ansia, ma quando James non riesce a trattenere un sorriso Emme scoppia in una risata argentina, lasciandosi andare ad un abbraccio inaspettato da una normalmente controllata come la Vance.
 
All’interno del quartier generale decine di paia di occhi ci osservano affamati di informazioni. La stanza è più affollata del previsto, quasi tutti sono presenti, e allo scoppio della risata di Emmeline esplodono pianti e applausi.
 
-Mary non è ancora del tutto fuori pericolo- esclama James per richiamare il silenzio, abbracciato a Lily e con una mano sulla spalla di Alice, in lacrime –adesso è sotto l’effetto di una pozione del sonno che cesserà la sua azione non prima di stasera. Dorcas dice che, questa sera, le visite saranno permesse esclusivamente ai genitori ed ai parenti stretti, quindi non ha senso andare adesso tutti in massa all’osp…-
 
-non ha senso?- esclama scandalizzata Alice, alzandosi di scatto dalla sedia su cui sta seduta –togliti di mezzo, James Potter. Voglio stare vicino alla mia migliore amica anche se non me la faranno vedere, e non saranno di certo Guaritori e Medimaghi ad impedirmelo-.
 
Mentre l’onda di gente provocata dalle parole di Alice si dirige verso la porta, intenta chi a raccogliere mantelli chi ad organizzarsi per uscire con ordine, guardo Jamie e lo trovo a sorridermi, ancora abbracciato alla Evans.
 
-che avete da sghignazzare, voi due?- domanda Lily con gli occhi lucidi dalla commozione.
 
Io scrollo le spalle, fingendomi innocente.
 
-tu hai intenzione di uscire in maniche corte sotto questa pioggia?- le ritorce contro James indicandole i mantelli appesi all’entrata. Lily sbuffa, poi gli scocca un bacio sulle labbra prima di dirigersi verso gli altri.
 
Alla fine torna serio, quasi lontano, senza distogliere lo sguardo da tutti gli altri.
 
-lo affronteremo a tempo debito, ad ogni modo. Tutto quello che succederà, intendo, lo affronteremo a tempo debito- mi dice arricciando le labbra.
 
Annuisco con un sorriso triste.
 
-a suo tempo, e tutti insieme-.

 
 
*
 
 
OSPEDALE SAN MUNGO PER FERITE E MALATTIE MAGICHE,
QUARTO PIANO: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata d’incantesimi eccetera.
ORE 18.45 DEL 5 AGOSTO 1978
 
 
-Dottoressa, l’effetto della pozione sta svanendo. La ragazza sarà perfettamente cosciente entro
mezz’ora. Siamo pronti per far entrare i parenti più stretti-.
 
La Guaritrice alza lievemente lo sguardo occhialuto dalla cartellina che sta compilando e scrolla il capo rivolta ai numerosi ospiti che sostano in quel corridoio. Alcuni tallonano la porta fin dalla mattina, con lo sguardo stanco e preoccupato, altri sono arrivati mano a mano nel pomeriggio come una lenta processione di pellegrini. Gente di tutte le età e di tutte le forme, ma per di più ragazzi della stessa età della giovane degente che occupa dalla mattina la camera più grande del piano.
 
Sorride lievemente, la donna, guardando diverse coppie o gruppetti occupati a tenersi le mani e a rassicurarsi a vicenda. Spicca soprattutto una ragazza florida dai capelli corti e scuri, con gli occhi particolarmente brillanti di preoccupazioni: sta seduta accanto a due giovani molto simili, gemelli, e tiene una mano appoggiata alla schiena di quello più vicino a se.
 
-no. Tre ore fa è arrivata la richiesta, firmata personalmente dal Ministro, di far accedere prima di ogni altra persona la squadra Auror che si è occupata del caso, in modo da dare l’opportunità alla ragazza di fornire ogni dichiarazione con la mente più lucida possibile-.
 
-ma, Dottoressa, la procedura stabilisce che….-
 
-la richiesta del Ministro è chiara, Sullivan-.
 
-la ragazza potrebbe reagire male alla presenza esclusiva di estranei all’interno della stanza. È stata rapita e tenuta segregata per giorni!-.
 
-non sono tutti estranei per lei. Il suo caso fu a suo tempo affidato alla squadra dei Potter, che sono per lei amici di famiglia…- mormora la donna sistemandosi gli occhiali sul naso con un dito –guardi là. I due gemelli sono i fratelli Prewett, entrambi membri della squadra Auror dei Potter e ottimi amici della giovane. Facciamo entrare prima loro due, e si mandino a chiamare il Signore e la Signora Potter con la solo squadra. Al termine delle dichiarazioni faremo entrare i famigliari più stretti e poi, solo dopo, gli amici-.
 
Il tirocinante Marcus Sullivan, alto e allampanato come una cicogna, scrolla il capo guardando di sottecchi la Guaritrice Hamilton uscire dal reparto. Sembra che diventare guaritore indurisca il cuore.
 
-i parenti di Mary McDonald?-.
 
Una decina di sguardi si fissano su di lui, all’improvviso, non appena il suono della sua voce va a spegnersi nella tensione ora quasi elettrica del corridoio.
 
-si è svegliata?-.
 
La donna che parla, ancora vestita di una lunga sottoveste rosa antico malamente ricoperta da un mantello, deve essere la madre della degente.
 
-l’effetto della pozione è svanito, tra non più di quindici minuti la Signorina McDonald dovrebbe essere completamente sveglia. Mi dispiace informarvi, Signora McDonald, che il Ministro in persona ha richiesto che fossero i membri della squadra Auror che si è occupata del caso a vedere Mary non appena la ragazza si sveglierà e…-
 
-la squadra Auror?- lo interrompe il vocione inquieto di quello che con ogni probabilità deve essere il Signor McDonald, membro eminente del Wizengamot –per quale ragione? Le procedure stabiliscono che…-
 
-al caso di sua figlia è stata data la massima priorità, e il Ministro vuole assicurarsi che le dichiarazioni della degente siano fatte a mente quanto più lucida possibile. Capisco che la situazione sia inaspettata ed angosciosa, tuttavia le assicuro che al termine delle dichiarazioni sarà dato ai parenti più stretti il permesso di vedere la ragazza-.
 
Gillian McDonald pianta uno sguardo furente negli occhi del tirocinante, letale come una tigre a cui minaccino un cucciolo. Prima che chiunque tra i presenti riesca a raccattare il coraggio di aprire bocca, è lei a rispondere con una tale asprezza da far indietreggiare Marcus Sullivan di un paio di passi.
 
-mia figlia è stata rapita e torturata per giorni, riportata come una bambola rotta in quest’ospedale e trascinata in quella stanza stamattina sotto i miei occhi. Sono passate sette ore, tacete la maggior parte delle informazioni e vi divertite a giocare con me e mio marito come fossimo pedine su una scacchiera… -
 
-Jill!- tenta di rabbonirla il marito.
 
-Mary non è ancora fuori pericolo, Fergus!- ribatte energicamente  -e se l’interrogatorio fosse troppo per lei? Se non lo sopportasse? Sarà come rivivere tutto! Permetterai davvero a loro di interrogarla, magari per ore, rischiando in questo modo che lei possa avere un crollo, dopo nemmeno sette ore dalla sua liberazione? Ti importa così poco di tua figlia?-.
 
Lo sguardo con cui McDonald si rivolge alla moglie ha il singolo potere di tenerle testa. Sciocco colui che crede di non dover temere Fergus McDonald. Lo descrivono innocuo come un agnellino, e forse lo è davvero nella maggior parte delle situazioni.
 
Nel corridoio, ancora negli abiti da notte con cui  i due coniugi sono accorsi in ospedale, si stanno sfidando potenze titaniche.
 
Davanti alla coppia, in piedi, Sullivan si sente come una barchetta a remi nel bel mezzo di un tornado.
 
 -la nostra rabbia non aiuterà Mary in alcun modo, né lo farà stare qui a discutere per ore su una questione del genere. Provare a sbattere ad Azkaban quei bastardi, forse questo la aiuterà-.
 
Un padre, con una pena incancellabile addosso e il peso del mondo sulle spalle: ecco come si sente il Signor McDonald. Negli occhi, una stanchezza secolare; sul viso, un dolore immutabile.
 
Alla fine nello sguardo compare uno stralcio di dolcezza.
 
-tesoro- mormora alla moglie, sfiorandole un braccio con la mano destra –lascia che gli Auror parlino con lei, ti prego. Mary è una persona forte, e a mente fresca forse potrà fornire più dettagli per favorire la cattura di quelli che le hanno fatto questo. È per il suo bene, amore mio-.
 
Jill abbassa lo sguardo lasciando che una piccola, semplice lacrima si tuffi oltre l’orlo delle sue ciglia per ricadere sulla guancia arrossata dalla passata furia. Fa male non poter ancora rivedere Mary, soprattutto ora che ha questa voglia incredibile di stringersela al petto per non lasciarla andare mai più. Quanto più sopportare il cuore di una madre?
 
Forse Fergus ha ragione, forse può sopportare ancora qualche ora.
 
-fate come volete-.
 
Anche Fergus, allora, dopo un sorriso si rilassa visibilmente.
 
-fra quanto si risveglierà, Mary?- domanda al tirocinante.
 
Sullivan, con gli occhi ancora socchiusi e l’espressione impaurita di chi si aspetti lo scoppio di un’altra bufera da un momento all’altro, si raddrizza.
 
-la pozione ha cessato il suo effetto dieci minuti fa, signore. Per quanto ne so potrebbe essere già sveglia, ma se ancora non lo è non impiegherà a svegliarsi che dieci minuti al massimo a partire da adesso. Dipende soprattutto dal suo fisico e da come ha metabolizzato l’infuso-.
 
-Gideon, potresti entrare tu mentre Fabian chiamerà Dorea e Charlus?-.
 
 
*
 
 
Non so dire esattamente da quanto tempo sono riemersa da quella specie di tenebra comoda in cui sono caduta dopo aver sentito parlare Fabian, tuttavia mi rendo conto che ormai devono essere passati diversi minuti.
 
Per un attimo ho temuto di essermi immaginata tutto, la voce di Fabian, gli Auror, quella che deve essere stata una fuga, e di essere ancora a Villa Selwyn. Ma qui non c’è il rumore del mare, né il tanfo del sangue rappreso e della sporcizia di quel letamaio in cui mi tenevano rinchiusa. Allora ho pensato di essere morta, e in qualche modo mi è sembrata una cosa dannatamente ingiusta.
 
È vero, è quello che ho sperato per gran parte della prigionia, e tuttavia morire a diciotto anni –anche se per sfuggire a tutto quel dolore- è un’idea che non mi ha mai attirato molto prima di quest’ultima settimana.
 
Alla fine sento una porta aprirsi, con un lieve cigolio. Dubito che nell’aldilà ci siano porte, personalmente, e se anche ci fossero dubiterei del cigolio. Quindi sono viva.
 
E, per la prima volta da una settimana –me ne accorgo con una felicità che non pensavo di poter ancora provare- sono pienamente in possesso delle mie facoltà mentali.
 
Sono dolorante, stanca, spaesata e un po’ impaurita. Ma sono viva, e talmente cosciente di me da saper indicare con precisione ogni punto, giuntura, osso o tessuto, lacerato, rotto o offeso. Sento il dolore quasi come una benedizione, e accolgo con gioia quest’aria pulita che mi sfiora il volto per finirmi nei polmoni, a spazzare via l’ultimo rimasuglio del fetore di quella lattrina.
 
Comunque torno con la mente in questa stanza pulita e profumata in cui una porta si è aperta e, presumibilmente, qualcuno è entrato.
 
Cosa dovrò fare? Ho di nuovo paura.
 
Se apro gli occhi, vedrò quello che mi hanno fatto. Distrutta, sporca, ferita e lacera. Un relitto, in pratica. Apro gli occhi e dovrò affrontare tutto quello che mi è successo, ma soprattutto il modo in cui ho reagito: questa nuova consapevolezza di me davanti alla morte, impaurita come una bambina e ignorante con una qualsiasi mortale.
 
La coscienza di non essere un’eroina, ma una formica.
 
E, a farmi più paura di tutto, è sapere che dovrò farlo da sola, contando solo sulle poche forze che mi restano.
 
Passi lenti si avvicinano, il fruscio di una tenda che si sposta, e poi una sedia trascinata per un breve tratto sul pavimento. Qualcuno si siede, e quel qualcuno profuma del profumo più buono del mondo.
 
Scoppierei a piangere subito, lo so, ma quel qualcuno fa una cosa inaspettata e mi sfiora con poche dita la guancia. Poi il profilo del naso, poi le labbra. La sua mano, alla fine, si ferma tra i miei capelli, restando lì, in sospeso.
 
Sono sempre stata una persona molto fisica: i miei amici mi prendono in giro per la forza stritolatrice del mio abbraccio, famosa in tutta Hogwarts e anche fuori, o per la mania che ho di salutare quasi chiunque –indipendentemente dal grado di importanza nell’ambiente sociale e culturale- con il classico bacio sulla guancia.
 
Tra tutti i tipi di contatto fisico che si possono considerare dimostratori d’affetto, però, quello che amo di più è la carezza.
 
Quando papà mi sfiorava la fronte, la sua carezza aveva il potere di scacciare i mostri da sotto il mio letto, nel bel mezzo della notte, se per caso mi svegliavo urlando. La carezza della mamma, invece, come per magia mi infondeva torpore appena prima di andare a dormire, la sera, dopo la favola della buona notte. Mia nonna mi accarezzava la guancia destra con una specie di piccolo buffetto, ogni volta che dimostravo di saper fare qualcosa da grande, come mettere le palline sull’albero di Natale da sola o riuscire per la prima volta a dare da mangiare alla sua civetta senza meritarmi nessuna beccata da parte di quell’animale infernale.
 
Una carezza, che sia data in punta di dita o a pieno palmo, tra i capelli o sulla spalla, ha il meraviglioso compito di informarti che, qualunque cosa tu abbia fatto, qualunque mondo tu abbia sognato, con ogni tuo pregio o difetto, ci sarà sempre qualcuno pronto ad accettarti e ad amarti.
 
Riesco a trattenere le lacrime giusto il tempo che impiego per aprire gli occhi: voglio vedere Gideon, almeno per un secondo, senza la patina di lacrime a sfumarmi la vista. Voglio guardare la linea decisa della sua mandibola e quella lunga e dritta del suo naso, la piega lieve e carnosa delle labbra e il chiarore dei suoi occhi azzurri.
 
Quello che mi vince, alla fine, è qualcosa che mi stupisce: la traccia salata di una lacrima sulla sua guancia, che serve forse da richiamo a tutte quelle assiepate giusto sull’orlo dei miei occhi.
 
Per giorni ho immaginato tutto questo, e adesso non so fare altro che piangere. Dopo pochi secondi scoppio in singhiozzi, ignorando il male ai polmoni e a ogni costola, quando con delicatezza lui si sporge sul lettino dell’ospedale per abbracciarmi.
 
-sei ancora tu, Mary?-.
 
È una domanda che ne contiene mille.
 
Quello che ti è successo ti ha cambiata? Ti ha uccisa? Sai ancora sorridere come prima? quanto male ti hanno fatto? Mi riconosci? Sei completamente in te? Sai ancora scherzare e ridere dopo aver visto il buio?
 
-malconcia, sporca e distrutta- mi sento di dire in tutta coscienza, con una voce flebile ma nonostante tutto senza esitazioni –forse mi ci vorrà un po’, ma sono ancora io-.

 
 
*
 
 
Sdraiata su quel lettino, pallida tra quelle lenzuola pallide, gli è sembrata ancora più piccola.
 
Il tirocinante che lo ha accompagnato alla stanza in cui tengono in osservazione Mary gli ha spiegato le funzioni principali della pozione che le hanno somministrato questa mattina, un infuso creato apposta per reintegrare in parte energie ai malati esausti e capace di far cadere chi lo prende in un sonno riposante e senza sogni. Lo ha avvisato che l’infuso non rimetterà a nuovo Mary, e che anzi lei resterà molto stanca per i primi giorni, ma cosciente di se fin dal suo risveglio, e quindi completamente in possesso di ogni facoltà mentale almeno per tre o quattro ore.
 
Ha capito subito, quindi, che è sveglia, fin da quando attraversando la soglia ha notato il lieve fremito delle ciglia e lo spasmo involontario di una mano. Avvicinarsi, guardarla e sfiorarle il viso sono state azioni quasi involontarie, che non si è nemmeno accorto di aver fatto, azioni tuttavia assolutamente necessarie per rendersi conto della realtà che lo circonda. Ha fatto mille sogni quasi uguali, ma mai il profilo di Mary è parso tanto solito sotto i suoi polpastrelli.
 
Egoisticamente ha pianto di gioia vedendola avvolta fino a metà del busto in calde coperte, e constatando la veridicità delle affermazioni di Dorcas quando aveva detto che Mary non presentava gravi ferite esterne.
 
Per brevi attimi hanno pianto insieme, lei probabilmente per il dolore, la pena e il sollievo di trovarsi in salvo, lui per l’incanto stupito del piccolo sorriso che ha visto nascere sulle sue labbra quando aprendo gli occhi e si è accorta della sua presenza.
 
Alla fine, dopo un breve scambio di parole commosse, Mary ha insistito per tirare leggermente più in alto la testa. Lui, dopo giorni in pace con se stesso e con il mondo, ha evocato un cuscino e lo ha aggiunto a quello già presente.
 
Adesso, di nuovo seduto al suo fianco, la guarda senza staccarle gli occhi di dosso, con impresso nello sguardo lo stupore con cui si osserva un miracolo.
 
-fuori da qui ci sono tua madre e tuo padre. E… beh, in realtà ci sono un po’ tutti-.
 
A spezzare il rinnovato silenzio è Gideon, che non riesce a smettere di sorridere.
 
-tutti?- sorride Mary.
 
Prewett annuisce, tornando poi lentamente serio.
 
-Mary, io… io non…-
 
-non sei qui in veste di amico, lo avevo immaginato- lo interrompe lei dando in una piccola smorfia –in qualità di Auror che si occupa del caso devi interrogarmi-.
 
-in realtà sono qui soprattutto come amico, e non mi frega assolutamente niente di quello che può dire il Ministro della Magia di tutto questo. Ma il motivo per cui sono entrato per primo è che, per richiesta del Ministro, sarebbe meglio se rilasciassi tutte le dichiarazioni sui fatti a noi Auror. È la nostra squadra che si è occupata del tuo caso, e tra un po’ arriveranno anche Dorea e qualcun altro per aiutarci a fare luce sulla questione. Tu… te la senti?-.
 
Mary volta lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, guardandosi attorno. Ha un livido scuro su una guancia, un sopracciglio e un labbro spaccati e ancora un po’ di sporcizia sfuggita agli incantesimi pulitori dei Guaritori. Vederla così getta per qualche attimo Gideon in uno stato di rabbia nascente.
 
-non è che abbia molta scelta, vero?- domanda retoricamente.
 
Gideon risponde dapprima con un lunghissimo silenzio. Segue il suo volto con gli occhi come se avesse ora un terrore cieco di perderlo di nuovo. Si beve ogni movimento su quel viso come un assetato berrebbe ad una fonte nel deserto.
 
-non importa quello che ti impongono, tu scegli liberamente. Te la senti?-.
 
Mary lo guarda negli occhi limpidi e scuote il capo.
 
-no, ma è la cosa giusta da fare, e la farò- mormora sorridendo appena –tu… mi faresti un favore?-.
 
-qualsiasi cosa-.
 
-abbracciami. Forte. E poi tienimi la mano, così non rischierò di perdermi-.
 
Ha la voce di una bambina e lo sguardo di un’adulta, Mary.
 
Abbracciandola, Gideon soffoca ancora una volta le proprie lacrime. Dicono che Mary non sia ancora fuori pericolo, ma una con così tanta forza non può morire.
 
Non va ancora tutto bene, ma per la perfezione –ora che Mary è salva- hanno un sacco di tempo.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
non so se vi ricordate di me. Ciao. Ormai non so nemmeno più cosa dire per scusarmi per il ritardo, quindi forse è meglio se rimango zitta, che ci faccio una figura un poco migliore. Forse.
Come al solito non ho scuse, quindi passo a ringraziare chi ancora mi segue con pazienza facendomi commuovere ogni volta che accedendo a EFP trovo una magnifica recensione piena di parole splendide che in fondo sento di non meritarmi. Grazie anche a chi non mi ha ancora mandato a quel paese continuando semplicemente a leggere. Bastonatemi se è necessario, perché me lo merito alquanto.
Dunque, questo capitolo mi piace molto anche se non sono riuscita ad inserirci tutto quello che volevo. Nel prossimo rispuntano anche altri personaggi oltre a Mary… è che trattando questo punto del rapimento e del ritrovamento di Mary, è proprio indispensabile parlare così tanto di lei. Non ci sono mezze misure, mi spiace.
Da adesso fino a nuovo ordine ho intenzione di scrivere un sacco di fluff e un po’ di momenti ciccipucci, perché ne ho mentalmente bisogno e mi piacerà un sacco tornare alle tenerezze dopo tutto questo angst.
E quindi niente, ringrazio ancora tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono, ricordano o recensiscono e vado a rispondere a quelle chicche di recensioni che ho fatto aspettare per un sacco di tempo.
Sperando che vi piaccia,
Hir
   
 
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