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Autore: rekichan    19/03/2008    2 recensioni
Chissà cosa lo aveva spinto a credere che gli Uchiha fossero tutti uguali.
Lo avrebbe dovuto comprendere subito che Obito, col suo sorriso incancellabile, perfino nella morte, aveva costituito una tanto improbabile quanto meravigliosa eccezione.
Così come doveva comprendere che quel ragazzino dagli occhi neri e il broncio sul volto non sarebbe mai stato come lui.
E non avrebbe più riso, perché le risate dei bambini, quelle che si rompono e si trasformano in etere fate, si erano perse per strada allo svoltare dei suoi sette anni.
No.
Decisamente, a Kakashi, quel Sasuke adolescente non piaceva.
Forse, perché erano troppo simili.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Missing moment IV: Who did you meet?

Oh, who did you meet, my blue-eyed son?

I met a young child beside a dead pony

Kakashi non passava più davanti al quartiere Uchiha.

Aveva deciso di evitarlo completamente, in modo da non incontrare mai più quel ragazzino.

Né sentire il fantasma di Obito, naturalmente.

Aveva perfino smesso di andare alla sua tomba.

Se non vedeva la lapide, non poteva incontrarlo, no?

Eppure, aveva la strana sensazione di essere seguito costantemente.

Era Obito che gli soffiava sul collo, cercando di attirare la sua attenzione, o erano il fantasma di Rin e quello del suo maestro a tentare - invano - di incontrarlo?

Non lo sapeva, né voleva divenirne consapevole.

Kakashi aveva deciso di lasciare i morti nelle tombe e concentrarsi sui vivi.

Eppure, la sua attenzione verso questi era nulla.

Kakashi incontrava gente, senza realmente interessarsi ad essa.

Kakashi conosceva persone, di cui si dimenticava subito il nome.

Kakashi era un morto che camminava per le strade di un villaggio costruito sul sangue di cadaveri che, sebbene tali, erano più vivi di lui.

Eppure i morti ritornano sempre.

Per tutti.

Una maledizione, forse.

O, per alcuni, una benedizione.

In fondo, c'è chi non aspetta altro che incontrarli.

Purtroppo.

Il sogno segreto di Sasuke era, tutt'ora, rivedere i genitori.

Sperava che un giorno sarebbero tornati; lo avrebbero preso per mano e lo avrebbero portato con loro.

Se questo, avesse significato la morte, poco importava.

Anche perché, con loro, ci sarebbe stato anche Itachi.

In fondo, lui non poteva morire prima di averlo ucciso, no?

Una volta morto il fratello, anche lui sarebbe stato libero di rincontrare i suoi genitori, e allora sarebbero stati di nuovo tutti insieme, proprio come deve essere una famiglia.

Sasuke sorrideva e si crogiolava in quel sogno infantile. Quindi, si addormentava, con la speranza che quel giorno arrivasse presto.

Al mattino dopo, quando si risvegliava, la vista del quartiere vuoto gli rammentava che, prima di morire, c'erano tante cose da fare.

Sasuke non doveva solo uccidere Itachi: doveva riportare il clan Uchiha in vita.

Però, per quanto avesse tentato di interessarsi a qualcuna di quelle ragazzine petulanti che gli correvano dietro, si era reso conto che a lui non interessava nessuna. Ma proprio nessuna nessuna.

Allora, aveva deciso che ci avrebbe pensato dopo aver ucciso Itachi.

In fondo, era ancora troppo piccolo per incontrare la persona della sua vita.

In realtà, non era neanche convinto che questa esistesse.

In realtà, non gliene importava davvero niente.


Who did you meet, my darling young one?
I met another man who was wounded with hatred,

Kakashi si era ormai rassegnato alla solitudine.

A dire il vero, vi si crogiolava.

Con quel senso di compiaciuto vittimismo che attanaglia chiunque è testimone e vittima di una grande tragedia, si lasciava semplicemente vivere.

Aveva le donne, quando ne aveva bisogno; aveva cibo e lavoro in abbondanza.

Però, Kakashi, era solo.

E, in questa solitudine, sguazzava.

In fondo, non aveva bisogno d’altri che di se stesso.

Era molto più facile, vivere così.

Davvero molto, molto più facile.

Eppure, a volte si rammaricava di quella sua situazione.

Allora usciva e camminava senza meta per il villaggio.

Chissà perché, se era soprappensiero, finiva sempre di fronte al quartiere Uchiha.

E, chissà perché, incontrava sempre quel ragazzino ossuto e truce che lo sorpassava senza degnarlo di uno sguardo.

Si era alzato. Il bambino che era stato non c’era quasi più e Kakashi poteva intuire che, tra non molto, il moccioso che non riusciva a fare centro con gli shuriken, si sarebbe diplomato.

La cosa lo infastidiva.

Razionalmente, pensava che, per essere un Uchiha, ci stesse mettendo troppo a finire l’accademia.

Inconsciamente, pensava che, per essere un bambino, ci stesse riuscendo troppo in fretta.

Peccato. Si disse, osservandolo mentre correva verso casa, avvolto in vestiti troppo larghi.

Un’altra infanzia bruciata.

Come quella di tutti i ninja, del resto.

Come la propria.

Quando Kakashi incontrava Sasuke per strada, solitamente, la cambiava per non incontrarlo.

Non per antipatia, né per snobismo.

Semplicemente, gli faceva male vederlo.

Il perché, non riusciva a spiegarselo.

D’altronde, la piccola figura piegata sotto il peso degli allenamenti, gli ricordava tanto [troppo] Obito, perché potesse avvicinarcisi.

D’altro canto, quel bambino non era Obito, quindi non avrebbe avuto motivo di incontrarlo.

Ne sei davvero sicuro, Kakashi?

Sasuke ricordava con esattezza i giorni in cui, da piccolo, i genitori lo portavano alle feste di Konoha.

C’erano tante luci, giochi e colori e lui correva estasiato tra le varie bancarelle tradizionali, avvolto nel suo piccolo e ingombrante kimono blu scuro.

Era orgoglioso di quel kimono. Lo aveva cucito personalmente sua madre e vi aveva ricamato sopra lo stemma degli Uchiha.

Adesso che lo aveva ritrovato, constatò con orgoglio che era davvero cresciuto, perché non gli stava più.

Allo stesso tempo, però, se ne dispiacque.

La mamma cuciva sempre personalmente i kimono per le feste.

Sasuke ricordava che, ogni anno, prendeva le misure a lui e ad Itachi, in modo da poterli adattare alla loro crescita.

Quel kimono risaliva a quattro anni prima. I suoi sette anni, per l’esattezza.

L’ultima festa che avrebbero festeggiato assieme.

Sasuke ricordava che la madre aveva riunito tutto il clan e tutti avevano indossato il kimono.

Le donne del clan avevano cucinato tanti dolci e tante altre cose buone e lui aveva ricevuto il permesso di restare alzato tutto il tempo che voleva.

Era il suo compleanno, e ricordava di essere stato felice, quel giorno.

Anche ora era il suo compleanno, ma non c’erano luci, né dolci, né aveva voglia di restare alzato fino a tardi.

Tanto, anche volendo, non aveva il kimono fatto da sua madre per festeggiare i suoi undici anni e quello vecchio non gli entrava più.

Sasuke osservò gli altri kimono e vide che, nella scatola che conteneva i vecchi abiti di Itachi, c’era quello che il fratello aveva indossato il giorno dei propri undici anni.

Allora si arrabbiò.

Con Itachi, perché aveva avuto il suo kimono degli undici anni.

Con se stesso, perché era ancora così stupido e infantile da preoccuparsi di una sciocchezza del genere.

Però, tutti i suoi tentativi di mostrarsi superiore, non servirono a non fargli lasciare il kimono di Itachi fuori dalla scatola, a riempirsi di polvere.

Who did you meet, my darling young one?
I met one man who was wounded in love,

Kakashi camminava stanco verso casa.

Era buio, pioveva ed era ormai ora di cena; il suo stomaco brontolava affamato.

Un borbottio sommesso, unito al proprio inveire contro l’Hokage e le sue stupide missioni dell’ultimo minuto.

Il suo unico desiderio, adesso, era rientrare alla propria abitazione; mangiare qualcosa, farsi una doccia e buttarsi sul letto a leggere un buon libro.

Sasuke correva verso casa.

Era buio, pioveva ed era ormai ora di cena; il suo stomaco brontolava affamato.

Un borbottio sommesso, unito al proprio inveire contro il tempo e le proprie stupide idee dell’ultimo minuto.

Il suo unico desiderio, adesso, era rientrare alla propria abitazione; farsi una doccia, andare al tempio e passare la serata in compagnia di mamma e papà, proprio come doveva essere.

In fondo, era per loro che era uscito ed era per loro che aveva acquistato quegli incensi.

I ravioli di pesce, invece, erano per lui.

Avrebbe preferito i pomodori, ma al negozio erano finiti, quindi non li aveva potuti comprare.

Era la sera del suo undicesimo compleanno.

Scioccamente, aveva deciso di festeggiarlo.

Scioccamente, aveva pensato di invitare anche gli altri bambini dell’accademia, ma poi si era accorto di non conoscere neppure i loro nomi, eccetto quello di qualche mocciosa particolarmente fastidiosa e di quel ragazzino biondo che non faceva altro che provocarlo.

Così, si era detto che il compleanno andava festeggiato in famiglia, come aveva sempre fatto.

Però non poteva andare al tempio senza un’offerta e aveva finito l’incenso.

Quindi, era corso a comprarlo. Poi aveva sentito l’odore dei ravioli e si era ricordato di quelli che faceva la zia. Erano buoni i ravioli della zia.

Così, ne aveva comprati un po’.

«Stasera festeggeremo tutti assieme.»

Si era detto, ed era stato un po’ contento.

Però poi aveva cominciato a piovere e l’incenso si era bagnato. I ravioli anche.

Sasuke correva, senza accorgersi che anche i suoi occhi erano bagnati e non solo di pioggia.

Kakashi vide una piccola figura correre verso di lui, tra la fitta pioggia.

La scorse, però, troppo tardi perché potesse evitare lo scontro e il bambino cadde a terra, rovesciando i pacchetti che teneva in mano.

«Ehi, piccolo. Ti sei fatto male?»

Domandò Kakashi, porgendo la mano al bambino.

Un’altra seccatura, ma non gli andava di sopportare i piagnistei di un moccioso.

E poi, non aveva nient’altro da fare, no?

«Non sono piccolo.»

Il bambino lo fissò storto.

Si rialzò, senza afferrare la mano che l’uomo tendeva e raccolse i pacchetti.

Lo sguardo triste e rammaricato di fronte al fatto che, ormai, erano zuppi, non sfuggì a Kakashi.

Così come non gli sfuggì lo stemma del clan Uchiha sulla schiena.

Con un sospiro, si chinò ad aiutarlo, raccogliendo l’incenso sparso in giro.

«Grazie.»

Bofonchiò Sasuke, quando ebbero finito.

«Che ci fai in giro a quest’ora, ragazzino?»

«La spesa.»

«Un po’ tardi per andare a trovare i morti, non trovi?»

Sasuke si morse il labbro e distolse lo sguardo.

«Ci vado quando voglio.»

Sbottò.

Kakashi sospirò.

La mano tentennò un attimo sul capo del bambino, indecisa se dargli un’energica scompigliata o meno, poi si ritrasse.

«Andiamo, ti accompagno a casa.»

«So andare da solo.»

«Ti bagnerai.»

«Lo sono già.»

Un altro sospiro; Kakashi scosse il capo e sollevò di peso quel ragazzino indisponente.

In breve, erano arrivati al quartiere Uchiha.

Fu con imbarazzo che Sasuke, dopo aver protestato un attimo sul fatto che sapeva arrivare a casa da solo e che non aveva chiesto il suo aiuto, lo ringraziò.

Indugiò, però, un attimo di troppo nel chiedergli se voleva entrare e, quando si decise, se ne era già andato.

Sasuke rientrò in casa; asciugò l’incenso e i ravioli e andò al tempio.

Quella sera festeggiò il suo compleanno con un po’ più di calore nel piccolo cuore di bambino.

«Auguri, Sasuke.»

«Auguri.»

Fuori, continuava a piovere.

And it's a hard, it's a hard, it's a hard, it's a hard,
It's a hard rain's a-gonna fall.

   
 
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