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Autore: _Frame_    13/09/2013    3 recensioni
I piccoli difetti che ce li fanno amare diventano delle vere e proprie patologie.
Otto pazienti rinchiusi in un ospedale.
Un ospedale da cui non si potrà più uscire.
Benvenuti alla clinica Welt di Berlino.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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CAPITOLO 15
 
L’atmosfera si sta facendo irrespirabile, nonostante la porta blindata sia rimasta aperta dopo l’irruzione di Arlovskaya. Traggo un profondo sospiro, riempiendomi di quell’aria umida e tiepida che mi frigge i polmoni. Appoggio una mano dietro alla schiena, con il palmo aperto sulle piastrelle lisce e fredde. Sollevo la punta del naso verso la luce bianca, immobile, dei tubi al neon che irradiano l’intera stanza.
Mi cingo l’altra mano sul fianco, facendo scorrere le dita sul camice annerito dalla macchia lasciata dalla ferita. La stoffa si è quasi seccata, il sangue si è fermato da parecchi minuti. Faccio una leggera pressione sul bacino e aggrotto la fronte, deglutendo un boccone di saliva. Una scossa mi fulmina fin sotto la spalla.
Basta non toccarla. Basta solo non toccarla e non mi darà problemi.
Lascio ricadere il braccio sulla gamba distesa sul pavimento. Agito un piede per evitare che s’intorpidisca e la punta della scarpa sfiora la gamba di Feliciano, inginocchiato vicino ai corpi dei due fratelli, paralizzati al suolo come marionette inanimate.
I capelli di Braginski gli cadono sulla fronte, spettinati dalla fascia del Transfert ben stretta attorno alle tempie, e gli coprono completamente il viso incollato al pavimento. Le braccia distese vicino alle guance hanno i gomiti lievemente piegati verso l’esterno, le sue dita sono raggomitolate sui palmi. Un paio di cavi del connettore si annodano attorno alle punte, sopra le unghie, tra i pollici e gli indici. I fili colorati scorrono fin sopra le spalle, arrampicandosi sulla sua schiena come radici. Poi risalgono, penetrando nel tessuto della fascia di Arlovskaya.
La giovane ragazza è ancora avvinghiata attorno al fratello, le braccia si annodano attorno al suo bacino. Hanno tremato più volte durante la seduta, stringendo la morsa. I fini capelli platinati scivolano sulla schiena di Braginski, cadendogli di fianco. Le punte vanno a sfiorare il pavimento.
Una guancia di Arlovskaya preme sulla stoffa della divisa del fratello, proprio in mezzo alle scapole, così metà del viso rimane coperta. Una grossa ciocca argentea le cade davanti alla palpebra chiusa, coprendola come un nastro di velluto.
Arlovskaya è stata l’unica ad aver accennato un qualche movimento, o dei leggeri spasmi, durante il processo. Braginski è rimasto immobile come un cadavere. Ma non è ancora finita, entrambi dormono ancora, infatti.
Feliciano è rimasto quasi tutto il tempo con gli occhi incollati su di loro. Il suo sguardo, ogni tanto, ha ruotato verso di me. Ma, quando cadeva sulla mia ferita, le sue sopracciglia s’inarcavano e gli angoli della bocca si piegavano verso il basso. Feliciano distoglieva subito gli occhi, nascondendoli sotto la frangia.
I passi di Kirkland rimbombano tra le quattro mura spoglie, rimbalzando da una parete all’altra. Cammina con la fronte bassa, le mani incrociate dietro la schiena e gli occhi imbronciati, scossi da un tremolio di impazienza.
Gilbert si trascina di qualche centimetro più vicino a me. Sento la stoffa della sua divisa strofinarsi sulle piastrelle. Si muove ad intervalli regolari, ma non apre bocca. L’unico suono udibile sono quei maledetti piedi nudi di Kirkland che schiaffeggiano sul pavimento.
Si ferma un attimo, cala gli occhi sui due fratelli in trans e sbuffa una soffiata dalle narici. Torna ad abbassare il capo e disegna una piroetta sul suolo, riprendendo a camminare nella direzione opposta.
“Probabilmente...” La mia voce interrompe quell’esasperante ticchettio che va avanti da almeno un’ora.
Kirkland inclina la testa verso di me. Feliciano lo imita, ma guardandomi bene negli occhi, stando attento a non abbassarli.
“Probabilmente il processo finirà presto, ormai è quasi un’ora che va avanti.” Gli dico.
Mi porto una gamba vicino al petto, lasciando ciondolare un braccio sul ginocchio. Le palpebre si socchiudono davanti ai miei occhi puntati nel vuoto.
“Puoi anche smettere di agitarti, Kirkland. Tra poco sarà tutto finito.”
Kirkland ruota i piedi verso di me e stringe i pugni sui fianchi. Il suo sguardo s’incupisce, le sopracciglia si inarcano sopra gli occhi scuri.
“Me lo auguro. L’attesa è più esasperante di quel che pensassi.”
Gilbert, alle mie spalle, soffoca una risata tra le labbra, ma senza sforzarsi troppo per trattenerla.
“Ah, non dirlo a me!” Esclama.
Io non mi volto nemmeno.
Kirkland solleva il mento, ruotando lo sguardo al soffitto. La luce della lampada gli illumina la pelle lattea, il riflesso smeraldino dei suoi iridi si accende come una punta di diamante.
“Comunque, cosa intenderai fare, quando si saranno svegliati?” Mi domanda.
Una sua pupilla rotea nella mia direzione, attraendo i miei occhi come una calamita. Aggrotta la fronte, incrociando le braccia sul petto.
“Mi auguro che non ti sia nemmeno passata per la testa, l’idea di liberarli, dottore.” Scuote il capo. “Non ci sono scuse a loro favore, non dopo quello che hanno fatto entrambi, poi.”
La mia mano torna a posarsi inconsciamente sulla ferita. Mi ritrovo con le dita immerse nel sangue rappreso senza nemmeno essermene reso conto.
“Se il Transfert funzionasse, allora non vedo perché dovrebbero restare rinchiusi.”
“Non dire idiozie, dottore!” Sbotta Kirkland, inasprendo il tono. “Credi davvero che quel tuo affare possa cancellare questo?”
Getta il palmo aperto verso il mio fianco. La sua mano compie un ampio arco a mezz’aria, come se mi avesse spostato un lenzuolo di dosso, rivelando la ferita lasciata dallo sparo.
Io aggrotto la fronte, stringendo la presa.
“A tutti voi è stata data una possibilità. Perché con Braginski e Arlovskaya dovrebbe essere diverso?”
“Perché loro due sono realmente pericolosi!” Esclama Kirkland, aprendo l’altra mano sul fianco.
Trae un respiro dalle narici, e le sopracciglia s’inarcano fino a toccare la base del naso.
“Ora ti rivelerò una cosa, dottore.”
Anche Feliciano solleva il capo verso di lui, lasciando sciogliere le dita vicino alle cosce. Lo sguardo di Kirkland è irremovibile.
“Nessuno di noi è realmente guarito, spero che tu te ne sia reso conto.”
Affondo le dita nella stoffa, le unghie premono sulla carne viva, piagata dal passaggio del proiettile. Mi sembra quasi di sentire il piombo freddo che si sposta tra le mie fibre. Il dolore dovrebbe farmi torcere in due, ma la mia schiena rimane dritta come un palo.
Kirkland deglutisce. “Forse è perché alcuni di noi non sono mai stati davvero malati, fatto sta che il Transfert ti ha solo permesso di scoprire la causa della nostra reclusione.”
Scuote nuovamente la testa. La frangia gli trema sulla fronte.
“Non è una cura, dottore, è solo un tramite. Un fottuto connettore di pensieri!”
I suoi occhi continuano a schiacciarmi. “E tu lo sai. Lo hai sempre saputo.”
Le spalle di Feliciano si scuotono, e lui si porta le mani vicino al petto, ma senza voltarsi verso di me. L’aria della stanza diventa un blocco di ghiaccio che ci imprigiona nei suoi cristalli. Il tempo sembra fermarsi, in nostri respiri cessano.
Kirkland rilassa le spalle, i lineamenti del suo viso si distendono. Abbassa le palpebre, prendendo una profonda boccata d’aria dalle labbra.
“Prima ti ho fatto una domanda, dottore, e ora te la ripropongo.”
Socchiude gli occhi, ma questa volta vacillano. La luce bianca scorre sul suo iride come un’onda.
“Perché le celle devono essere vuote?”
Di nuovo una raffica di pensieri torna a vorticarmi nel cervello. Una tempesta neuronale che mi martella il cranio, come una serie di mille esplosioni. Mi pare quasi di sentire i nervi friggere.
Siamo al numero sette, ma anche la numero otto è qui. È quasi fatta, ma manca ancora... manca ancora...
Ruoto gli occhi verso Kirkland, guardandolo da sotto le palpebre socchiuse. Le mie labbra si piegano verso il mento.
“Non posso dirtelo, Kirkland.”
Lui impiega qualche secondo per realizzare la mia risposta. Poi, la sua fronte torna ad aggrottarsi, i suoi denti stridono, contenendo la rabbia. Un’ ombra cupa cala sul suo viso.
“Perché no?! Hai giocato con noi fino ad ora, ho il diritto di...”
“Non posso dirtelo, Kirkland!” Ho alzato la voce.
Il mio sguardo s’indurisce. “Ma posso fartelo vedere.”
Sì, forse lui potrebbe capire. Potrebbe quantomeno aiutare me a capire.
Lo sguardo di Kirkland torna ad ammorbidirsi. Inclina la testa di lato, una ciocca bionda gli cade davanti a un occhio.
“Che cosa vuoi dire?” Mi chiede.
Io abbasso il capo e torno a posare il braccio fasciato attorno al mio fianco sul ginocchio.
“Tu permettimi di fare il mio lavoro, Kirkland, e di compiere le scelte che io ritengo essere più giuste. Ti prometto che, se ti fiderai di me, poi comprenderai ogni cosa.”
Se lo portassi vicino alla numero nove, lui potrebbe essere in grado di capire cosa si nasconde dietro di essa. È un azzardo, ma con le sue... capacità potrebbe davvero svelare il mistero.
Kirkland ruota gli occhi al cielo, deformando la bocca in una smorfia. Solleva il naso, e le sue pupille ripiombano su di me, guardandomi come due mirini.
“È un ricatto, dottore?” Mi domanda con tono acido.
Io scuoto la testa, tentando addirittura di sorridere.
“Come sei cinico.” Gli rispondo. “Prendilo più come un patto. Fidati di me.”
Kirkland sembra ammorbidirsi, in un primo momento. I suoi occhi si addolciscono, e il suo viso si rilassa. Poi, scuote la testa, calando nuovamente quella cupa maschera d’odio.
“Fidarmi? Perché dovrei farlo?”  Sbotta, tenendo lo sguardo basso. “Ti sei preso gioco di noi per anni, e anche ora stai continuando a farlo.”
Io cerco di mantenere il sangue freddo, un mio minimo cedimento emotivo potrebbe essermi fatale. I miei occhi sono immobili, fermi su di lui.
“Tu non vuoi liberarci, dottore.” Continua Kirkland. “Non so cosa ti stia passando per la testa, ma non chiedermi di fidarmi di te. Non posso.”
Ora sì che vorrei urlare. Stringo le mani attorno alla stoffa dei pantaloni, trattenendo l’impulso di saltargli addosso e di scrollarlo, gridandogli in un orecchio che desidero davvero farli uscire tutti da questo fottuto ospedale del diavolo. Tutti.
La mia schiena si gonfia, ho iniziato a respirare più a fondo, riempiendomi i polmoni fino a scoppiare.
“Non... non dire queste cose!” Una vocina tremante parla al posto mio.
Sollevo la fronte, madida di sudore appena lacrimato. Aggrotto le sopracciglia, davanti alla visione di Feliciano impennato sulle ginocchia, con la schiena dritta e le spalle larghe. I pugni alzati davanti al petto si stringono, fino a che le nocche non diventano bianche.
Riesco a vedere il suo profilo. Lo sguardo vacilla, le labbra tremano, ma l’atmosfera che aleggia da quell’espressione mi scuote qualcosa in fondo al petto.
Kirkland scatta, strabuzzando lo sguardo, e il suo collo s’inarca all’indietro. Rimane ammutolito, con le labbra schiuse da cui non passa un filo d’aria.
“Ludwig... Ludwig ce la sta mettendo tutta.” Gli dice Feliciano, alzando la punta del naso su Kirkland. “Lui ha lottato fin dall’inizio per cercare di liberarvi. Ha messo in pericolo la sua vita in tante occasioni, e ha sofferto esattamente come voi per tutte le volte in cui ha indossato il Transfert.”
Feliciano scuote la testa, il ciuffo arricciato si sfrega sulla spalla. Alcune ciocche di capelli gli rimangono incollate al viso imperlato di sudore.
“Come puoi... come puoi dire una cosa del genere dopo che Ludwig ha liberato sia te che Alfred, Arthur? Se Ludwig dice che c’è un modo anche per liberare Ivan e Natalia...”
Piega la testa dietro di sé, abbassando lo sguardo sui due fratelli ancora stesi a terra, divorati dai cavi del Transfert.
“Io allora gli credo.”    
Di nuovo il silenzio che cala, di nuovo i nostri fiati che si mozzano nelle gole. Sento il pavimento cigolare alle mie spalle, e Gilbert sbuca al mio fianco strisciando a quattro zampe con le ginocchia che sfregano le piastrelle. Solleva la fronte verso Feliciano, i suoi occhi lo fulminano con una rapida ma dilaniante scossa scarlatta. Anche le sue labbra tremano, ma sono deformate in un ghigno che gli va a toccare il mento.
“Voi... voi siete tutti matti.” Dice con voce traballante, ma tagliente come una lama affilata.
Deglutisce e rannicchia le spalle vicino alla testa, alzata verso Feliciano.
“Io non intendo approvare la liberazione di questi due. Abbiamo... abbiamo già avuto la prova di quanto siano pericolosi. Liberarli sarebbe... sarebbe solo...”
Si morde un labbro, risucchiando l’aria direttamente dalle narici.
“Sarebbe solo la più grande cazzata della tua vita, Ludwig!” Urla, strizzando le palpebre.
Gilbert riprende fiato, e la sua testa torna a ciondolare. I capelli gli ricadono sul viso, nascondendo gli occhi storpiati dalla rabbia. Le sue dita si stringono sul pavimento, chiudendosi a pugno.
“Dammi solo un motivo...” Dice, abbassando il tono. “Dammi solo un unico motivo per il quale questi due dovrebbero uscire, e allora forse farò finta di crederti.”
Gilbert ruota il capo all’indietro, fulminandomi con il suo sguardo tagliente.
“Guarda come ti ha ridotto.” Continua, arrochendo la voce. “Pensi davvero di fargliela passare come se non fosse mai successo nulla? Ti ha sparato, cazzo! Potrebbe... potrebbe rifarlo in qualsiasi momento.”
Gilbert lascia scivolare le gambe sul pavimento e rizza la schiena sulle ginocchia come Feliciano, lasciando cadere le braccia sui fianchi.
“Dobbiamo andare via dal Welt, Ludwig. Scappiamo e basta.” Conclude.
Io chino il capo e i pugni si serrano. Sento un fremito scuotermi il petto, un leggero brivido mi corre su tutto il corpo.
È la prima volta in cui non so davvero dove sbattere la testa.
Torno a ruotare gli occhi verso Braginski e Arlovskaya. Se li lasciassimo qui da soli, in questo momento, non ci sarebbe pericolo, e potremmo andarcene senza essere scoperti.
Stringo i denti, soffocando un debole latrato. No, non posso. Non posso lasciarli. Ma non so cosa fare. Dio, non so cosa diavolo...
“Scappare dal Welt?” La vocina di Feliciano che squittisce mi soffia via quel tarlo che mi stava masticando il cervello.
Sollevo la fronte, rimanendo abbagliato per un secondo dalla luce. Ora Feliciano è più rilassato. Si porta il dorso di una mano vicino alla bocca e i suoi occhi si abbassano al suolo, fermi. Alza le sopracciglia, simulando uno sguardo concentrato.
“Forse, la soluzione non è scappare. Non lo è mai stata.”
Raddrizza le spalle, portando lo sguardo al soffitto, e un’onda color miele gli attraversa la chioma castana.
“Arthur prima ha detto che in realtà nessuno è guarito, ma questo significherebbe che nemmeno Lovino lo è, e neanche Kiku.” Scuote la testa. “Anche se fosse davvero così, noi abbiamo fatto fuggire tutti dopo aver fatto rivivere i loro ricordi. Abbiamo permesso a tutti di scappare e, forse, di dimenticarli di nuovo.”
Volta gli occhi verso di me. I nostri sguardi s’incrociano, e le sue labbra si piegano in un lieve e morbido sorriso.
“Forse Alfred continuerà a fare le stesse pazzie che lo hanno portato qui, ma ora c’è di nuovo Arthur a tenerlo d’occhio. E poi, noi abbiamo promesso a di prenderci cura di Kiku, una volta usciti dal Welt. E anche Francis...”
Feliciano si porta un indice sulle labbra, sollevando la punta del naso. “Beh, non ho ancora capito quale fosse la sua malattia, ma di lui potrebbe occuparsi Arthur, visto che ha solo l’incarico di sorvegliare Alfred.”
Kirkland strabuzza lo sguardo, e un angolo della bocca si piega verso il basso in un ghigno di ribrezzo. Fa un passo all’indietro, arricciando le braccia davanti al petto.
“Che?! Hai voglia di scherzare? Non ho intenzione di...”
“Aspetta, Kirkland.” Lo interrompo, alzando una mano davanti a me.
Kirkland torna subito serio, e ci scambiamo un’occhiata ferma e decisa. Io aggrotto la fronte.
“Lascia che finisca.”
Kirkland rilassa la schiena e getta una sbuffata d’aria fuori dalle narici. Torniamo tutti a guardare Feliciano e lui alza un pugno vicino al petto.
“Di Lovino, invece, si occuperà Antonio. Sono sicuro che saranno felici di stare di nuovo insieme e, infine...”
China la testa dietro di sé, scrutando i due fratelli riversi al suolo.
“Di Ivan e Natalia potremmo sempre pensarci io e Ludwig. Se continueranno ad essere pericolosi, Ludwig saprà sicuramente come trattarli: è un dottore!”
Annuisce deciso, stringendo il pugno. “La risposta è sempre stata questa. Restare uniti, tutti insieme! Noi...”
Apre una mano e tocca ogni singolo dito con la punta delle dita dell’altra mano, mormorando qualcosa tra le labbra.
“Noi dieci non dobbiamo separarci, ma restare insieme!” Batte il pugno sul palmo e il suo sorriso s’illumina. “È questa la cura, Ludwig!”
Io rimango ammutolito. Rilasso i muscoli del viso, e resto a fissare Feliciano con quell’aria serena, distesa. Mi poso una mano sul petto, e un forte battito mi pulsa sotto la pelle.
“I-insieme?” Mormoro.
Gilbert strabuzza gli occhi.
“Ehi, aspetta! E io che fino ho fatto, eh?” Gracchia, indicandosi il petto con la punta dell’indice.
Feliciano scatta, voltandosi verso di lui. Si porta una mano dietro alla nuca, sfregandosela con movimenti nervosi.
“Ehm, hai ragione. Allora siamo in...” Alza di nuovo gli occhi al cielo. “In undici. Ma ce la faremo!”
Feliciano si piega sul pavimento, e inizia a trascinarsi verso di me. Io non riesco ancora a muovere un muscolo. Le sue gambe sfiorano il mio polpaccio ancora disteso sulle piastrelle. Feliciano mi guarda negli occhi, e io non riesco a scollarmi da quello sguardo.
Si rizza sulle ginocchia, con entrambi i pugni stretti davanti a sé. Allunga il collo, distendendo un sorriso sulle labbra.
“Lasciamo il Welt, Ludwig.” Dice. “Niente più luci e corridoi bianchi, niente più porte blindate, niente più Transfert.”
Quando si ferma, nessuno osa battere ciglio.
Feliciano inspira una boccata d’aria. “Solo noi undici.”
I suoi occhi brillano, sotto il riverbero del neon. La luce gli avvolge l’iride castano, facendolo scintillare come la scheggia di un cristallo.
Ma come fa? Come riesce sempre a sorridere davanti ad ogni cosa?
Un gorgoglio mi stringe lo stomaco, ma non sento dolore. Mi poso una mano sulla pancia, sperando di placare quel formicolio che si sta espandendo in ogni cellula del mio corpo.
Quel suo sguardo che... che io ho...
Una scossa mi fulmina il cervello e la vista traballa, annebbiandosi come se mi avessero soffiato sugli occhi una polvere nera. Oh, no, di nuovo!
... io ho... devo averlo già... già...
Una macchia scura, come una chiazza di petrolio, si espande su tutta la stanza. La testa si appesantisce e la lascio ciondolare sulle spalle, abbassando la fronte al suolo. Di nuovo il buio, di nuovo quelle braccia che mi trascinano.
“Ah, Ludwig! Stanno...” La voce di Gilbert mi scuote.
La macchia si dissolve, risucchiata dal bianco. Sollevo il capo e mi accorgo solo ora di aver premuto una mano sulla tempia. Mi do una scrollata alla testa, inspirando profondamente con il naso, e riapro le palpebre verso mio fratello.
Gilbert stropiccia  lo sguardo e punta il dito tremolante verso il basso, indicando Braginski e Arlovskaya.
Deglutisce un boccone di saliva. “Si... si stanno svegliando, credo.”
Trattengo il fiato e il mio sguardo vola dritto sui due. Braginski muove un dito che si piega sul pavimento come attraversato da una scossetta. Il suo capo si volta verso di noi, i capelli si trascinano sulle piastrelle come a volerle spolverare. La sua schiena si gonfia leggermente.
Gilbert scatta all’indietro e finisce col sedere per terra. Si butta sulle piastrelle piegandosi come un gambero, rintanandosi dietro di me. Le nostre schiene rimangono incollate l’una all’altra, e sento i suoi tremiti scuotermi la spina dorsale. Gilbert agita la testa, e i suoi capelli mi solleticano il collo.
“Non dargli retta, Ludwig.” Mormora, ma la sua voce traballa ancora. “Non liberarli, non farti ingannare. È un’idiozia!”
Quando parla sento la sua schiena vibrare.
Braginski inarca il collo, e il suo viso si scolla dal pavimento. Due fili del Transfert gli cadono dentro alle orecchie, mentre uno si annoda attorno al suo naso. L’ultimo gli è scivolato sulle labbra.
Braginski fa pressione sulle mani, dandosi una spinta che lo aiuta a sollevare il capo. La sorella continua a trascinarlo verso il basso, e lui riesce ad avvitare solo il busto.
Kirkland arretra, lasciando strisciare i piedi sulle piastrelle. Il suo riflesso lo segue.
Braginski mi fissa con aria assonnata e sbatte le palpebre un paio di volte, prima di tornare lucido.
“Oh, è già finito?” Domanda con voce pacata.
Non ha per niente l’aria affaticata, il suo respiro è regolare come sempre. L’ossigeno entra ed esce dal suo naso senza un briciolo di fatica. Avevo intuito che la sua mente si sarebbe dimostrata abbastanza forte da resistere al Transfert, ma non fino a questo punto.
Io sospiro, e il mio sguardo s’indurisce.
“Sì, il processo è terminato.” Gli rispondo.
I suoi occhi si rilassano, e ruotano inconsciamente al suo fianco, inquadrando le  braccia della sorella che gli strozzano il busto. Braginski scatta, e prova a strisciare di qualche centimetro davanti a sé. Arlovskaya non cede, e sembra quasi stringere ancora di più la morsa.
Io aggrotto la fronte.
“Arlovskaya, alza gli occhi.” Le ordino con voce ferma.
Braginski s’immobilizza.
“So che sei sveglia.” Concludo, ammorbidendo il tono.
D’un tratto, un riflesso blu brilla da sotto la chioma della ragazza. I capelli le scivolano sulle braccia, ma il viso è ancora coperto dalla cascata di crini platinati. Due cavi del Transfert le si aggrovigliano attorno ai capelli.
“Ora aprite le orecchie, tutti e due.”
I loro sguardi si voltano, entrambi mi guardano rimanendo in silenzio. Io mi faccio coraggio e inspiro a fondo.
“Braginski, tu cosa faresti, se ti lasciassi andare libero fuori dal Welt?”
Braginski sgrana le palpebre. I suoi pacifici occhi viola sono attraversati da un veloce lampo. Inclina il capo, alzando il naso al cielo.
“Sono rimasto qua dentro per così tanti anni...” Risponde con tono morbido. “Ma, penso proprio che tornerei a casa, alla mia vecchia vita e...”
La voce si strozza in gola, soffocata dall’abbraccio della sorella. Arlovskaya gli stritola il bacino, affondando le dita nella stoffa bianca, e lui tira un sorrisetto traballante, abbassando le palpebre.
“O-ovviamente resterei con Natalia. A volte.”
Io abbasso la fronte e mi porto una mano sotto il mento.
“Forse avrei dovuto chiedertelo prima.” Gli dico. “Ma, cos’hai visto con il Transfert? Insomma, può in qualche modo averti cambiato?”
Braginski socchiude un occhio e solleva le spalle fino a toccarsi le guance. Arlovskaya non molla la presa.
“Io... io non credo di aver capito bene cosa sia successo.” Risponde con voce strozzata.
La sua pupilla si abbassa verso la ragazza. “Ma, credo che...”
“È ovvio che non può aver funzionato, Ludwig!”
La schiena mi vibra, scossa dal gracchiare di Gilbert ancora appiccicato a me come una sanguisuga. Getto la coda dell’occhio alle mie spalle, e lui apre il palmo della mano verso l’alto, sollevandolo vicino al mio fianco.
“Questa è un’altra prova a sfavore della tua idea balorda, Ludwig.” Dice, placando il tono. “Non puoi essere sicuro che l’operazione sia andata a buon fine, non hai sperimentato sulla tua pelle i ricordi le emozioni. Chissà cosa diavolo frulla nella testa di quei due?”
Il suo busto si avvita, sfregando sulla mia schiena.
“Non potrai mai saperlo, e farli uscire dal Welt sarebbe solo un inutile rischio.”
Persino Kirkland annuisce, e abbassa la fronte verso di me.
“Sì, anche io la penso così.” Dice. “Ammetto che la tua proposta di poco fa era allettante, e sono parecchio tentato a venirti dietro, dottore.”
Scuote la testa, abbassando le palpebre. “Ma come possiamo stare tranquilli dopo quello che è successo?”
Lascio che le dita risalgano fino a una tempia, e appoggio tutto il peso della testa solo su una mano. I miei occhi si scollano da quelli di Kirkland, ignorandolo, e tornano su Arlovskaya.        
“Tu cosa faresti, invece, Arlovskaya?”
La ragazza stringe le spalle, e sfrega il viso sul petto del fratello. I suoi occhi mi spiano, ma i capelli le scivolano sulla spalla, lasciandole il viso scoperto. Sulla pelle bianca non c’è traccia di sudore.
“Starei con il mio fratellone.” Risponde, inclinando le sopracciglia.
Io socchiudo una palpebra. “Tutto qua?”
Arlovskaya annuisce. “È tutto ciò che voglio, e ciò che ho sempre desiderato.”
Torna a strofinare il naso tra la stoffa della divisa di Braginski, e le sue dita s’appigliano attorno alle braccia del fratello.
“Non ho mai chiesto altro, tutto quello che volevo era ritrovarlo e stare insieme a lui. Sono anche disposta a farmi rinchiudere di nuovo, ma...”
Un lampo blu saetta verso di me. Il suo occhio mi lacera con un solo sguardo.
“Ma fatemi restare con lui. Anche a costo di essere incatenati insieme.”
Braginski viene scosso da un tremito. Le sue mani si agitano sui fianchi, ancora bloccate dalle presa di Arlovskaya.
“Ehm, non credo che sia il caso di ricorrere a questo. Non ci tengo proprio ad essere rinchiuso di nuovo.”
Sollevo un sopracciglio con uno scatto fulmineo. Mi incrocio le mani davanti alla bocca, sperando di trattenere il sorrisetto.
Questo volevo sentirti dire.
“Quindi vorresti uscire?” Gli domando.
Braginski ruota gli occhi verso di me. Il suo sguardo, però, è diverso. Non è spaventato, non è minaccioso o inquietante. Socchiude gli occhi, animati da una strana luce.
“Certo che lo voglio.” Dice, con voce ferma ma calda come al solito. “Chiunque vorrebbe uscire da qui.”
Kirkland abbassa le palpebre e il suo ghigno di rabbia si distende. Le sue labbra si arricciano, come stessero provando a trattenere dentro qualcosa.
“Kirkland.” Lo chiamo, ma lui si volta verso di me solo dopo qualche attimo.
“Capisco che tu non ti fidi di me, e non ti obbligherò certo a farlo. Tuttavia...” Faccio una pausa, concentrandomi sui suoi occhi severi che mi scrutano. “Fidati almeno di Feliciano.”
Sia lui che Feliciano hanno un momento di esitazione. Feliciano inclina il capo di lato, fino a sfiorarsi la spalla con l’orecchio.
Io mi schiarisco la voce. “Se lui pensa che uscire da qui e rimanere assieme sia la risposta a tutto, allora voglio credergli. Voglio davvero credere che la cura sia questa.”
Abbasso lo sguardo, posandolo sul piccolo italiano.
“Non sarebbe la prima volta in cui il suo intuito si dimostrerebbe veritiero.”
Feliciano sbatte le palpebre, poi il sorriso torna ad allargarsi sulle guance arrossate.
“Da-davvero lo pensi?” Mi domanda con voce squillante.
Io mi limito ad annuire. Dietro di me, Gilbert si dimena, rantolando gemiti confusi fuori dalla bocca.
Braginski ruota di nuovo gli occhi al soffitto. Un cavo del Transfert gli scivola di lato, lasciandogli il viso scoperto.
“Insieme?” Mormora, socchiudendo gli occhi.
Le palpebre si abbassano, e il sorriso torna ad accarezzargli le labbra un’altra volta. “Potrebbe essere bello.”
Di nuovo Arlovskaya si avvinghia al suo busto, mozzandogli il fiato in gola. Braginski ghigna, e il suo sorriso trema.
“Sì, sì, non ti lascio.” Le dice, con voce traballante.
Feliciano scatta in piedi, alzando le braccia al cielo. Allarga un sorriso più raggiante del sole e i suoi occhi brillano di una luce viva, niente a che vedere con il riverbero del neon.
“Evviva! Usciremo tutti insieme! Ce l’hai fatta, Ludwig!”
Io sospiro, rilassando le spalle.
Ce l’ho fatta davvero? È tutto finito?
Kirkland scuote la testa, e anche lui sbuffa.
“So già che mi pentirò di avertelo lasciato fare.” Dice con tono acido.
Socchiude un occhio, e un lampo verde mi trafigge. “A proposito...”
Io alzo lo sguardo su di lui. Torno serio, non posso permettermi ancora di rilassarmi.
“Me l’hai promesso, dottore. Ricordi?”
Io aggrotto le sopracciglia, affondando i denti nel labbro inferiore. Annuisco deciso, senza distogliere lo sguardi da Kirkland.  
“Sì, hai ragione.”
Mi do una spinta, scollandomi dalla schiena di Gilbert che rimane accasciato al suolo, rannicchiato tra le sue stesse spalle. Io mi strofino il camice, lisciando la stoffa, ma non ho bisogno di portare una mano sul fianco. La ferita ha smesso di pulsare.
“Te lo mostrerò.”
Kirkland annuisce.
Ruoto il capo vero Gilbert, ma lui continua a crucciarsi con la testa spremuta tra le mani.
“Gilbert, aiuta entrambi a togliersi il Transfert.” Gli ordino, e lui si limita a mugugnare un lamento confuso.
Ruoto i piedi sul pavimento, avviandomi verso la porta.
“Seguimi, Kirkland.”
No, non è ancora finita.
 
Eccomi, un’altra volta qui.
La cella numero nove sembra brillare di luce propria, nel fondo del corridoio. La vernice nera, densa e pesante, trascina il numero che mi osserva con quel suo occhio pallido. Sulla ruota dentata risplende una scintilla bianca, per qualche secondo. Poi scompare.
Di nuovo i miei occhi scorrono su tutta la sua superficie, quasi accarezzandola con un solo sguardo. Il cuore riprende a martellarmi nel petto, rivoli di sudore iniziano già a lacrimare dalle tempie.
La numero otto è rimasta semiaperta, non è necessario richiuderla. I rumori provenienti dalla cella numero sette si fanno ovattati. Le mie orecchie si tappano, i timpani fischiano silurandomi il cranio.
“È questa?” La voce di Kirkland fa scomparire lo stridulo acuto.
Mi porto una mano sulla tempia e strizzo le palpebre, poi annuisco.
“Sì.” Rispondo, socchiudendo un occhio. “Questa è... la causa di tutto il trambusto.”
Kirkland si porta i fianco a me, i suoi passi sono lenti e cauti. Solleva la punta del naso verso l’alto, come a voler annusare l’aria.
Io deglutisco. “Coraggio.”
Kirkland si gira a guardarmi, ma io non riesco a spostare gli occhi dalla porta.
“Prova a toccarla.”
Kirkland inarca un sopracciglio e piega un angolo della bocca verso il basso.
“Co-come?”
“Toccala, Kirkland.” Gli ripeto, aggrottando la fronte. “Ti ho detto che ti avrei mostrato il perché di tutto questo ed eccolo qui.”
Deglutisco un boccone amaro, con il cuore incastrato in gola. “Toccala.”
Kirkland sospira, abbassando le spalle. Torna a portare gli occhi sull’entrata e il suo sguardo si fa di nuovo serio. Una sua mano si solleva delicatamente dal fianco, le dita scivolano sulla stoffa dei pantaloni bianchi. Lentamente, come una gentile carezza, i suoi polpastrelli sfiorano la superficie metallica, scorrendo prima sulla parte bianca, poi sul numero nero.
Mi volto verso di lui, pronto a cogliere ogni sua minima variazione facciale. Il suo viso è impassibile. Kirkland appoggia tutto il palmo sulla porta, tastandola più volte in vari punti, ma con più sicurezza rispetto a prima. L’eco metallico rimbomba nel corridoio.
“Allora?” Gli domando, con voce tremante d’impazienza. “Senti nulla?”
Kirkland fa una smorfia sulle labbra, e arriccia il naso all’insù. I suoi occhi continuano ad esaminare l’entrata.
“Cosa... cosa dovrei sentire?” Mi domanda.
Io aggrotto la fronte, e il cuore mi si ferma in mezzo al petto.
“Non senti... niente?” Balbetto.
Kirkland si gira verso di me e scuote la testa. Il suo viso torna a rilassarsi.
“No, mi dispiace. Niente di niente.”
La sua mano scivola verso il basso, scavalcando la serratura a ruota e staccandosi dalla superficie. Io sospiro, buttando fuori una boccata d’aria dalle labbra. Il cuore riprende a battere normalmente, risistemandosi nel petto. Una goccia di sudore mi riga la fronte, poi la pelle smette di lacrimare.
Non importa.
“Lo immaginavo.” Dico, abbassando le palpebre. “Non fa niente. Deve essere... deve essere solo un mio problema, allora.”
Affondo le mani nelle tasche e inclino le spalle in avanti, ingobbendomi la schiena.
“Torna fuori, Kirkland. Io arrivo... arrivo subito.”
Kirkland aggrotta le sopracciglia. Inclina il capo verso la fine del corridoio e i suoi piedi nudi iniziano a schiaffeggiare il pavimento.
“Già, oggi...”
Si volta, dandomi le spalle, e la sua figura scompare dietro alla mia schiena. “Oggi sei davvero strano, dottore.”
I suoi passi si ammorbidiscono, e anche la loro ombra inizia a scomparire. D’un tratto, io sgrano le palpebre e rizzo il collo, sollevando la schiena con uno scatto fulmineo.
“Kirkland!” Lo chiamo un’ultima volta, con voce ferma.
I suoi passi si fermano. Aspetto una manciata di secondi, poi inspiro e distendo un leggero sorriso sulle labbra.
“Io volevo davvero liberarvi, te lo giuro.”
Lui resta zitto, non muove un muscolo. Punta l’uscita rimanendo rigido come un palo in mezzo al corridoio.
“È vero, io ho bisogno che le celle restino vuote per quello che sto per andare a fare ora. Ma...”
Un tiepido tepore mi scioglie il groppo annodato nello stomaco. Ora riesco a sorridere con più naturalezza.
“Ma ho sempre desiderato liberarvi. Dico sul serio, Kirkland.”
Il ragazzo resta immobile, come se le mie parole gli fossero passate attraverso. Kirkland sghignazza, e volta finalmente il capo nella mia direzione. Le palpebre abbassate e l’immancabile, cinico, sorriso disegnato sulle labbra.
“Allora ti aspetto, dottore.”
Quattro ombre investono la sua figura, i brusii della cella numero sette si fanno più intensi.
Feliciano saltella fuori dall’entrata, raggiante come un bimbo a Natale. Arlovskaya si lascia portare da Braginski, appesa ad un suo braccio e con il capo appoggiato su una spalla. Lei e il fratello si guardano in giro con fare spaesato, poi i loro nasi tornano ad abbassarsi e i loro sguardi si fanno più seri.
Gilbert esce per ultimo. Le due fasce del Transfert ciondolano da una sua spalla, e i cavi gli rimbalzano sul fianco ad ogni suo passo. Alza le braccia al cielo, stirando le vertebre della schiena.
“Oddio, finalmente è finita.” Esclama, inarcando la schiena all’indietro.
Anche io mi avvicino, lasciandomi indietro – per il momento – la cella numero nove.
Gilbert strizza le palpebre, deformando la bocca in un ghigno.
“Non ne potevo più di starmene chiuso qua dentro. Quanto diavolo di tempo sarà passato?”
Socchiude un occhio, puntandolo sulla cima della parete di fronte a lui. Sfortunatamente per Gilbert, questo è l’unico luogo del Welt che non ha alcun orologio appeso alle mura.
“Mi sembra trascorso un secolo da quando abbiamo iniziato a trafficare con questo affare nella cella dello yankee.” Sbuffa.
I cavi del Transfert ciondolano, sfiorandogli le ginocchia. Io guardo un’ultima volta quell’arnese infernale come sperando di dirgli, con la mia sola occhiata: Ho vinto io.
Abbasso la fronte, socchiudendo le palpebre.
“Potrebbe essere passata anche una giornata intera, per quel che mi riguarda.” Sospiro a fondo. “Ma non è questo che ci interessa ora, perché...”
“Ce l’hai fatta, Ludwig!”
Feliciano mi salta al collo e io dondolo all’indietro, reggendomi sulle gambe traballanti. Mi irrigidisco come uno stoccafisso, rimanendo con le braccia spalancate a mezz’aria e le dita rigide, contorte verso i palmi. Feliciano stringe la presa, avvolgendomi le spalle. Oddio, sento il suo cure battere, i nostri petti sono troppo vicini!
Credo che la mia faccia sia diventata viola.
Feliciano finalmente si scolla e mi guarda con un viso irradiato dalla gioia e dall’innocenza che solo lui sa trasmettere.
“Li hai liberati tutti, Ludwig. Ce l’hai fatta!” Esclama di nuovo.
Io sbatto le palpebre un paio di volte, guardandolo con occhi affogati nella confusione. Ora che ci penso, effettivamente, li ho liberati tutti per davvero.
Mi stringo la stoffa del camice all’altezza del petto, nel punto che sento farsi più caldo.
Li ho liberati.
Ruoto inconsciamente lo sguardo alle mie spalle. Di nuovo quella fottuta stanza che raggela le mie speranze.
Feliciano continua a sorridere, e piega la testa di lato come se si stesse aspettando qualcosa da me. Mi si spezza il cuore al pensiero di trascinarlo un’altra volta dentro alla numero nove.
“Feliciano...”
Abbasso la fronte, nascondendo lo sguardo sotto l’ombra dei capelli. “Feliciano... noi dobbiamo...”
“Wah, aspetta! Ma manca ancora la numero nove, giusto?!” Esclama Gilbert con il suo tempismo da oscar.
Strabuzza gli occhi fiammeggianti, piegando le labbra in un ghigno che si solleva fino ad infossarsi nelle guance.
“Giusto, giusto! Ora viene la parte divertente, vero? Ah, però...”
Gilbert volta il capo alle sue spalle, scavalcando con lo sguardo Kirkland, Braginski e Arlovskaya.
“Mhm. Immagino che là fuori sia diventato un bordello. Ci conviene sbrigarci a ribaltare quella stanza, prima che succedano altri incidenti con qualcuno di loro.”
Alza gli occhi su Braginski, che sorride pacifico con le palpebre abbassate e la mani giunte sul grembo.
“Sì, di te continuo a non fidarmi.” Gli dice Gilbert, gracchiando.
Braginski piega la testa di lato. “Oh, ma non ti devi preoccupare per me. Non ho intenzione di fare nulla di male, a me piace incontrare altre persone.”
Gilbert esita, e inarca il collo all’indietro con una smorfia.
“Di’ quel che vuoi, ma secondo me è meglio non abbassare la guardia. Giusto, Lud?” Mi domanda, lanciandomi una veloce occhiata d’intesa.
Io abbasso le palpebre, ruotando il capo di lato con un gesto lento.
“Sì, penso anch’io che sia rischioso lasciare incustoditi tutti quanti, fuori nel corridoio.” Dico.
Gilbert annuisce deciso. “Ecco, ho ragione io, dunque. Vediamo di fare in fretta e...”
“È per questo, Gilbert...” Lo interrompo, alzando il tono.
Lui aggrotta le sopracciglia, ma io sono irremovibile.
“È per questo che tu andrai con loro.”
Gilbert sgrana lo sguardo, i lineamenti del viso si stropicciano come un foglio di carta straccia. La bocca si contorce in mille forme diverse e le pupille quasi scompaiono dentro agli iridi.
Arretra di un passo, allargando le braccia sui fianchi. Le fasce del Transfert gli cadono dalla spalla fino al gomito.
“Co... come? Vuoi sbattermi fuori? Ma... ma io non...”
“Va’ con loro, Gilbert.” Gli ripeto.
Sospiro, cercando di apparire più sereno possibile. “ Io e Feliciano torniamo subito, promesso.”
Anche Feliciano esita, ma si limita a portarsi un pugno vicino al petto e a inarcare le sopracciglia. Gilbert trattiene il fiato ancora per qualche secondo, rantolando qualcosa tra i denti serrati. Poi, anche le sue spalle si rilassano e butta fuori tutta la tensione dalla bocca con un profondo sospiro.
“Agli ordini, Herr Doktor.”
Io annuisco, e volto già i tacchi verso la fine del corridoio.
Kirkland è il primo a muovere un passo verso l’uscita, precedendo gli altri.
“Andiamo, allora.” Dice, e Gilbert si volta verso di lui tuffando le mani nelle tasche.
La sua schiena s’ingobbisce e lui inizia la sua malinconica marcia verso la conclusione del suo viaggio. Arlovskaya si avvinghia al braccio di Braginski ancora di più, e solleva il naso verso il suo viso.
“Andiamo, fratellone.”
Braginski viene di nuovo scosso da un veloce tremito, poi però il suo sguardo passa dalla sorella su di me. Incrocio i suoi occhi socchiusi e resto a guardarlo in silenzio.
“È sempre stato uno di poche parole, dottore, e non ha ancora risposto alla mia domanda di prima.” Mi dice lui, distendendo un sorriso.
Io inarco un sopracciglio, non capendo.
Braginski inclina la testa di lato, piegando ancora di più gli angoli della bocca verso l’alto. “Quello era un sì, immagino.”
La mia mano torna inconsciamente sul lacero lasciato dallo sparo. Le dita scorrono sulla stoffa bruciata e umidiccia di sangue raffermo, ma la pelle non pulsa più.
Non so come, ma riesco anch’io a farmi scappare un sorriso.
“A quanto pare è così.” Gli rispondo.
Feliciano ci guarda entrambi, facendo schizzare gli occhi attraversati da un lampo di confusione.
“Eh? Cosa? Quale sì?” Domanda.
Io scuoto la testa.
“Non importa, Feliciano.” Sollevo lo sguardo, incrociandolo con il suo. “Non importa.”
Braginski raddrizza il collo e solleva le spalle.
“Bene. È davvero un sollievo sentirglielo dire.”
Si volta insieme alla sorella e mi lancia un’ultima occhiata. Ma questa volta è più seria, vera, e dannatamente profonda.
“Allora ci vediamo tra poco. Ricordi che l’ha promesso.”
Io annuisco con sguardo deciso e i miei occhi restano a guardare i due fratelli che vengono inghiottiti dalla luce del corridoio. Se ne vanno lentamente, scivolando via da questo inferno esattamente come ci sono entrati.
 
***
 
Cella # 9
Paziente: ?
 
Tutti se ne vanno. Il corridoio si svuota in silenzio, Ivan e Natalia sono gli ultimi ad uscire.
Mi metto vicino a Ludwig ed entrambi restiamo ad osservarli mentre la luce bianca li avvolge, inglobandoli nel suo candore. Le loro ombre sono ancora allungate sul pavimento come sagome nere.
Io sorrido, senza staccare gli occhi da loro.
“Però, Gilbert ha ragione, in fondo.” Dico.
Ludwig china il capo verso di me, ma io resto con lo sguardo dritto.
“Sembra passato tanto di quel tempo dalla liberazione di Alfred, che è stato il primo. E se ripenso a tutte le cose che sono successe oggi...”
Mi porto una mano sulla testa, strofinandomi i capelli.
“Mhm, ce ne sono davvero troppe, speriamo di riuscire a ricordarle tutte.” Rido, ma Ludwig rimane muto.
Mi nascondo il viso con il braccio, continuando a strofinarmi la nuca. “Spero davvero di non dimenticarle.”
Le ombre svaniscono, dissolvendosi nel bianco. La porta scatta, e anche il rumore dei passi si soffoca, divorato dal silenzio ovattato. Io e Ludwig non apriamo bocca. Persino il ronzio delle lampade al neon sembra tacere.
Chino il capo verso il pavimento e mi porto le mani sul grembo, iniziando a giocherellare con le dita. Sento il cuore martellarmi nel petto, e le vene pulsano, scorrendo in ogni fibra del mio corpo. Getto la coda dell’occhio su Ludwig, ma lui è fermo con la schiena dritta e le spalle larghe. Chissà se ha paura anche lui?
“Usciremo davvero?” Gli domando, quasi sussurrando.
Finalmente sento il suo sguardo abbassarsi e le mie spalle si raggomitolano, quasi inconsciamente.
“Tu vuoi uscire?” Mi domanda Ludwig con voce ferma.
Io esito. Mi limito a continuare ad annodare tra di loro le dita, che iniziano ad impiastricciarsi di sudore.
“S-sì. Sì, io voglio uscire.” Rispondo.
Ludwig annuisce e volta i tacchi sul pavimento che geme sotto i suoi piedi. Si gonfia il petto, inspirando una profonda boccata d’aria.
“Allora non avere paura.”
Io ruoto gli occhi su di lui. Ludwig aggrotta la fronte, stringendo i pugni sui fianchi.
“Usciremo, Feliciano. Ce ne andremo dal Welt, ma...” Il suo sguardo s’incupisce, le sue sopracciglia s’inarcano, arricciando il naso. “Ma non abbiamo ancora finito.”
Pochi passi. Solo una manciata di passi ci separa da quella porta. Con soli tre salti potrei raggiungerla. La sua aura elettrica frigge nell’aria, volteggiando verso di noi.
Non fa ombra sul pavimento, ma riesco comunque a sentire la tenebra che si allunga sulle piastrelle, arrampicandosi su di noi come un grande fascio di braccia artigliate.
Il numero nove mi guarda, risucchiandomi nel suo oblio.
La testa mi gira.
 
La mano di Ludwig è stretta attorno alla chiave, risucchiata dalla serratura. L’altro braccio è teso davanti al suo petto, le dita attanagliate sui denti della ruota che funge da serratura.
Ora anche Ludwig inizia a tremare. Abbassa le palpebre e socchiude le labbra, respirando un fioco alito d’aria solo con la bocca. Piega le spalle in avanti, sorreggendosi sulla porta con i gomiti che traballano.
“Feliciano, se... se dovesse succedermi...” Trattiene una boccata d’ossigeno, inumidendosi le labbra. “Se dovesse succedermi qualcosa, allora tu scappa, hai capito?”
Le sue pupille roteano su di me, la luce degli iridi balena sul mio viso come un lampo azzurro.
“Promettimelo.”  
Io inarco le sopracciglia, guardandolo con aria pietosa. Poi, sento un improvviso formicolio agitarsi sul petto, che scorre fin dentro allo stomaco. Alzo una mano, sollevandola dal fianco, e anche io mi appiglio alla ruota dentata. È freddissima, e un brivido mi corre fin sulla spalla.
“D’accordo, prometto che...” Sollevo gli occhi su Ludwig, sorridendogli. “Prometto che, se ti dovesse succedere qualcosa, io scapperò. Ma ti porterò con me.”
Ludwig rilassa il viso, sbattendo un paio di volte le palpebre davanti agli occhi. Scuote la testa, scostando lo sguardo dal mio, ma mi sembra che stia sorridendo.
“Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe stata un’impresa, disfarsi di te. L’ho capito...”
L’ombra dei capelli gli nasconde il viso. Io inclino il capo, restando in silenzio.
“L’ho capito fin dal primo momento in cui sei entrato nel mio ufficio.”
Io allargo il sorriso, dopo un momento di esitazione, e stringo la presa attorno alla serratura. Il cuore mi si alleggerisce, un tiepido tepore mi scorre fino alla punta dei capelli.
Sì, voglio uscire. Voglio uscire e vivere mille momenti felici come questo.
Cerco di trattenere le lacrime, ho pianto fin troppo, oggi. Le nostre mani sulla superficie della ruota metallica quasi si sfiorano, legate da una piccola scossa che vibra tra noi due.
La serratura inizia a cedere, le nostre braccia scivolano verso sinistra, accompagnando i movimenti della ruota.
Un piccolo, minuscolo, spiraglio tra la porta e il muro irradia una luce strana, molto più bianca rispetto a quella del corridoio o delle altre stanze. Ludwig appoggia una spalla sull’anta, spingendola sul pavimento. I cardini cigolano, un debole fruscio si spalma sulle piastrelle.
La luce. La luce di nuovo mi acceca. Un vortice di sfolgorii ruota attorno alla mia fronte, spappolandomi le tempie. Ludwig entra, ma io mi accascio sull’architrave.
 
Riesco a vedere la sagoma di Ludwig che entra nella cella numero nove, ma io non posso muovere un singolo passo dall’entrata. Lui è cauto, si guarda in giro avanzando lentamente.
Le mie palpebre si abbassano, schiacciate dal sudore che mi annebbia il viso. Ogni volta che Ludwig avanza di un passo nella cella, è come se si portasse via un pezzo delle mie viscere, srotolandole fuori dalla mia pancia. Mi poso una mano sulla bocca per trattenere i conati di vomito, e fascio l’altro braccio attorno allo stomaco, fino a che le dita non toccano la schiena. Le ginocchia traballano come gelatina. Allargo le gambe per cercare di tenermi in equilibrio, ma il peso sulle spalle è troppo.
Scivolo sul pavimento con la schiena inarcata verso il soffitto. Le piastrelle sono fredde, ma non sento nulla. Credo anche di aver sbattuto i gomiti a terra, ma il dolore che sento pulsa solo dentro alla testa.
Sgrano gli occhi e una raffica di flash bianchi mi stordisce, schiaffeggiandomi la vista. Poi, un vortice. Un vortice di immagini somiglianti a diapositive inizia a frullare intorno a me. Il cerchio si stringe e, man mano che si fa più piccolo, la sua velocità aumenta e le immagini si confondono tra loro in un’unica striscia. Diventano un unico fascio di mille colori che si mescolano.
Credo di aver sentito la voce di Ludwig, ma è lontanissima, poco più di un eco confuso. Rimbomba nella mia testa, ma un coro di mille altre voci prende a strillarmi nei timpani, emanando un forte fischio acuto.
Infine, il silenzio. Il mio respiro che si blocca, il mio cuore che si ferma in mezzo al petto. Solo un freddo e disarmante silenzio.
Ora ricordo. Ricordo ogni cosa.
La testa non gira più.
 
***
 
Avevo giurato a me stesso che non avrei mai più rimesso piede qua dentro. A quanto pare, sono un bugiardo cronico.
 
La porta è completamente spalancata, ora. Il numero nove si ritira, invitandoci ad entrare.
Ingoio un grumo di saliva, quasi strozzandomi. Sgrano gli occhi sotto le sopracciglia inarcate, e le palpebre rimangono ferme. Non batto ciglio, come per paura che quel buio mi porti via. Inspiro una sorsata d’aria dal naso e la trattengo nel petto, che si gonfia sotto il camice. Sento una vena del collo pulsare, battendo come un tamburo. Quel suono martellante vibra fino alla tempia.
Riesco finalmente a scollare un piede dal suolo, e lo porto davanti a me con un gesto lento, timido. Poso la gamba sulle piastrelle quasi accarezzandole, come se avessi il timore di calpestarle. Ad ogni mio passo stringo i denti, trattenendo il fiato in gola.
Senza rendermene conto, sono già vicino alla barriera divisoria, e riesco quasi a vedere il mio pallido riflesso sul vetro forato.
Ma non succede nulla. Non una scossa, nemmeno uno svenimento o un minimo giramento di capo. È tutto normale, sto benissimo.
Sospiro a fondo, rilassando la schiena, e le spalle si abbassano facendo frusciare il camice. Mi poso una mano sul petto, tentando di placare il cuore impazzito. Sembra quasi che voglia far scoppiare la cassa toracica che vibra sotto il mio palmo.
“È... tutto normale.” Mormoro.
Mi passo una mano tra i capelli, poi la lascio scivolare sul viso, stropicciandolo in varie direzioni. Quando la ritiro, la pelle gronda di sudore.
“Forse, quel giorno in cui siamo entrati la prima volta ero davvero solo stanco. In questa stanza non ci sono fantasmi, né altre strane presenze.”
Sollevo il naso al soffitto, abbassando le palpebre sugli occhi.
“Possiamo andarcene.”
Resto in silenzio, in attesa di un’esclamazione, di una risposta, o di un semplice sospiro. Ma tutto tace.
Inarco le sopracciglia, e una leggera scossa mi pizzica il cervello.
Dov’è Feliciano?
Prima che io abbia tempo di finire di chiedermelo, sento un forte ruzzolare giungere al mio orecchio. Prima il suono delle scarpe che cigolano sul pavimento, poi i palmi che schiaffeggiano le piastrelle. E il tonfo, secco e pesante.
Mi volto di scatto, e solo ora mi rendo conto che Feliciano non ha oltrepassato l’entrata. La sua figura china, accovacciata sotto l’architrave, è rimasta nella penombra del corridoio. Feliciano abbassa il capo, coprendosi il viso con la frangia che gli cade fin sulla punta del naso. La sua schiena è uno spasmo continuo. A volte viene scossa da tremiti più forti, come brividi di freddo. Una mano tremolante è stretta sul suo stomaco, mentre l’altra è sollevata sul muro, ma sta lentamente scivolando verso il basso. 
Io sgrano gli occhi e scatto sul posto, allarmandomi. Senza pensarci due volte gli corro incontro, lasciandomi alle spalle la barriera e la mia ombra che si allunga nella cella.
“Ehi, Feliciano, stai bene?”
Mi getto vicino a lui, ma Feliciano resta con la fronte bassa, e continua a tremare come un gattino bagnato. Gli poso una mano spalla, dandogli una leggera scossa. La stoffa della sua divisa è pregna di sudore ghiacciato.
“Cosa ti succede? Ti senti male?”
Feliciano deglutisce e scuote la testa. I suoi occhi restano nascosti sotto la frangia traballante. Io aggrotto la fronte e stringo la presa attorno alla sua spalla. Sento le sua ossa strofinarsi sotto la mia morsa, sottili e fragili, tanto che potrei sbriciolarle con un solo colpo.
“Sì, invece.” Gli rispondo, ingrossando la voce.
Gli afferro anche l’altra spalla e provo a sollevarlo.
“Andiamo, ti porto fuori di qui.”
“No, Ludwig.” La sua voce traballa, proprio come quando è sull’orlo del pianto.
Io non lascio andare la presa, ma mi inginocchio davanti a lui. Chino la fronte verso il basso, cercando il suo sguardo che non si fa trovare.
“Perché, Feliciano?” Gli domando con tono rigido.
“La stanza è vuota, non abbiamo più nulla da temere, non corriamo alcun pericolo. Possiamo...” Inspiro. “Possiamo andarcene e lasciarcela alle spalle per sempre.”
Di nuovo Feliciano scuote la testa e la sua mano si stacca definitivamente dalla parete, ricadendo su un suo fianco. Feliciano si arriccia su se stesso, inarcando la schiena verso l’alto.
“No, non possiamo.” Mi risponde con un filo di voce.
Quel suono mi raggela il cuore. Il sangue smette di fluire, fermandosi nelle vene. Io sgrano gli occhi, e un strano brivido corre sulla schiena, penetrandomi fino al midollo.
“Perché no, Feliciano?” Insisto, ma la mia voce inizia a vacillare proprio come la sua.
Feliciano strozza un lamento tra i denti, come se si stesse soffocando. Si porta il palmo della mano sul viso, e le ciocche di capelli sudaticci si intrecciano con le sue dita tremolanti, bianche e sottili come quelle di uno scheletro.
“Perché io so di chi è questa cella.” Risponde tra i singhiozzi.
Il cuore mi sfonda le costole con un solo battito. Una vampata di ghiaccio mi investe la faccia, mentre un’ondata di vapore rovente mi stritola il petto. Resto a guardare Feliciano con le palpebre sgranate. Raddrizzo la schiena, staccandogli le mani dalle spalle.
“Ma... cosa... cosa stai dicendo?” Gli domando. La mia voce è quasi un sibilo.
Quando lui non mi risponde, io mi faccio forza e stringo i pugni sui fianchi, serrando i denti. Le ginocchia appoggiate sul pavimento iniziano a farmi male.
“E allora di chi è la numero nove? Parla!” Ho alzato il tono.
Tutto il mio corpo freme come attraversato da mille scariche elettriche. Feliciano singhiozza ancora, e si arriccia ancora di più tra le sue stesse spalle. Poi, il collo inizia a sollevarsi, e i capelli si scostano dal viso ancora coperto dalla mano gracile e pallida. Solo un occhio spunta dalle sue dita, lucido e gonfio come una grossa biglia. La sua bocca si contorce in un lamento straziante, che ti spezza il cuore.
“Ludwig... questa cella...”
I miei occhi si sgranano ancora di più. Trattengo il fiato, non riesco a respirare, parlare, ragionare. Resto solo a guardare Feliciano che sta di nuovo per scoppiare in lacrime. Tutti i suoni della stanza sono ovattati, solo la voce di Feliciano è nitida, rimbombante nel mio cranio.
Lui inspira, risucchiando una boccata d’aria dal naso, tenendo i denti ben stretti tra le labbra.
“... è la tua!”
 
No.
Non è vero.
 
Feliciano si scioglie in un mare di lacrime, sfregandosi il viso annaffiato dal pianto con il palmo delle mani. Sembra proprio un bambino.
Lascia scivolare le gambe davanti a sé e le richiama al petto. Si cinge le ginocchia con le braccia, annegando nei suoi stessi singhiozzi.
“Ludwig... de... devi... devi...”
Io mi sento morire. Il mio viso diventa una maschera di panico, scura e grigia come la morte. Appoggio i palmi delle mani dietro alla schiena, buttando tutto il peso sui polsi che premono sul pavimento. Inizio a strisciare, arretrando come un gambero.
“No... non è vero...” Sibilo, scuotendo la testa.
Quando tocco la barriera con la schiena, strozzo un urlo tra i denti, incollando i palmi alla base del vetro. Sbarro le palpebre, e ogni singolo respiro d’aria che ingollo diventa cemento che si solidifica dentro ai polmoni.
Aggrotto la fronte, spalancando la bocca. “È una bugia, è tutta una...!”
Una ragnatela di crepe inizia ad arrampicarsi sul muro. Seguo con lo sguardo lo scorrere di quelle venature che iniziano a dividere la parete in blocchi deformi e irregolari. Della polvere comincia a piovere dagli spacchi, portandosi dietro dei granelli di cemento più grossi. Il pianto di Feliciano viene coperto dal suono secco del muro che si crepa, come se qualcuno stesse calpestando dei cocci d’argilla rotti.
La lampada al neon ronza, e la luce traballa come se l’energia si stesse esaurendo. Un grosso pezzo di intonaco crolla vicino a Feliciano frammentandosi in mille schegge che schizzano sul pavimento.
Tutta la cella numero nove trema, e le mura cedono definitivamente, sbriciolandosi come pane secco. Le piastrelle si ricoprono di grosse scaglie di parete bianca, che si accumula intorno ai miei piedi seppellendoli fino alle caviglie.
Feliciano fa scattare il capo con un gesto fulmineo, e il viso arrossato e distrutto si scopre. Allunga la stessa mano che lo sorreggeva verso di me. Le sue dita sottili si stendono fino a che i polpastrelli si sbiancano.
“Ludwig... devi venire con me!” Esclama Feliciano, spalancando le palpebre.
Io non riesco a muovere un muscolo. Resto incollato alla parete divisoria, sommerso dalla pioggia di cemento che continua a scrostarsi dai muri e dal soffitto. La lampada sfarfalla di nuovo, oscurando per qualche secondo la figura di Feliciano.
“Afferra la mia mano, Ludwig! Devi seguirmi!” Continua ad urlare.
Una forte scarica elettrica mi penetra nella nuca. È proprio quella scossa a farmi staccare dalla parete forata.
Scatto in avanti, scivolando sul pavimento e finendo con la faccia premuta tra i cocci ruvidi e appuntiti. Non bado al dolore, stringo i denti e continuo a trascinarmi verso Feliciano.
La lampada ronza, la luce si spegne e si riaccende.
Getto il braccio davanti a me. Un pezzo di soffitto mi sfiora la mano, e io allungo le dita verso quelle di Feliciano. Ci sfioriamo. Un veloce e fugace tocco, debole e delicato come un sospiro.
Poi, la luce si spegne definitivamente e il muro smette di cadere. È il pavimento a sprofondare, questa volta. Non so quanto io sia caduto, ma le piastrelle si sono sciolte sotto i miei piedi come cera liquefatta.
C’è solo il buio, ora. Un nero che non finisce più.
 
***
***
 
Sbatto le palpebre, ma la vista è ancora annebbiata. Ci sono solo macchie indistinte di colori che si mescolano tra loro senza alcun ordine.
Provo a muovere la mano, e le dita si sfregano sulla coscia, scivolando fino al ginocchio. I piedi ciondolano, e un tallone va a sbattere contro la gamba della sedia. La testa è pesante, la fronte fradicia di sudore brucia come fosse spalmata di urticante.
Socchiudo di nuovo gli occhi, e una luce tremolante mi accarezza la vista, aiutandomi a distinguere le ombre davanti a me. Una voce ovattata mi scuote la testa, facendomi tendere l’orecchio. Sgrano le palpebre, stropicciandole con il dorso della mano che riesco finalmente a sollevare dalla gamba.
I contorni della stanzina bianca si definiscono, riesco addirittura a vedere il corridoio dal vetro della finestra incastonata sul muro di fianco a me.
“Tutto bene, Herr Vargas?” La sua voce è più vicina.
Ruoto lentamente il capo e qualcosa striscia dietro al mio orecchio, cadendomi sulla spalla. Il dottor Roderich si china, appoggiando una mano sullo schienale della seggiola dove sono accasciato. Inarca le sopracciglia da dietro le lenti degli occhiali, e il suo sguardo si ferma sui miei occhi ancora intorpiditi.
“Allora, com’è andata?” Mi domanda con voce calma.
Io sbatto di nuovo le palpebre, e mi porto le dita vicino a una tempia, sperando di far cessare le pulsazioni. I polpastrelli si sfregano sulla stoffa ruvida della fascia che mi soffoca la fronte, stringendola fin dietro alla nuca.
“Io... io non...”
Lascio scorrere il tocco sul mio collo, intrecciando le dita con i cavi del Transfert che ciondolano dal mio cranio, posandosi sulle gambe. I fili colorati continuano a correre, cadendo sul pavimento. Poi risalgono, arrampicandosi come radici selvatiche sul bordo della brandina bianca.
Scorrono sul materasso, fermandosi nel lato che si incastra nell’angolo della parete. Il fascio di cavi risale sul suo corpo, strisciando prima sulle sue gambe e poi sul suo petto. Affondano nella fascia nera che gli cinge la testa, e il filo blu gli cade davanti all’occhio ancora chiuso.
Ludwig è immobile, acciambellato nell’angolo con le braccia e le gambe ciondolanti sul letto. Respira piano, e la divisa bianca si solleva di poco sotto il suo petto che si gonfia e si sgonfia. Socchiude lievemente le labbra, come per far passare un filo d’aria, ma le palpebre rimangono serrate.
Sento il cuore stritolarsi in una morsa rovente. Soffoco un singhiozzo, e affondo il viso nella mano gelida e tremante. Le unghie penetrano nella stoffa del Transfert, facendo gocciolare il sudore sopra i polpastrelli.
Stringo i denti, trattenendo il fiato in gola.
“Io non... non ce l’ho fatta.”
 
Cella #9
Paziente: Ludwig Beilschmidt
Affetto da una grave forma di amnesia a lungo termine di tipo retrograda. Il paziente riscontra la perdita quasi totale di ogni ricordo precedente alla data del trauma fisico riscontrato nel sistema limbico.
Inoperabile.
   
 
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