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Autore: Rexam    13/09/2013    1 recensioni
In una notte nera come il carbone, un uomo ripercorre la strada della sua vita in un lungo flusso di coscienza, lanciando una disperata richiesta d'aiuto. Le lancette di un orologio scandiscono ogni istante. E ogni ricordo si contrae in un vortice di sensazioni, scorrendo lento nel fiume della memoria.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia di Nessuno

Il buio avanzava turgido in quell’oscura notte d’inverno senza stelle. Il cielo era coperto da una coltre implacabile di nuvole, come se ogni lamento echeggiasse fra le tortuose vie acciottolate per poi innalzarsi a coprire il chiarore della pallida luna. Riesci a vederlo? Io credo di aver dimenticato la forma delle stelle. Piccole lucciole sospese nel cielo, soppresse dai neon del ristorante di fronte. Ammazzate quasi dalle migliaia di candele accese quaggiù in quest’inferno. All’improvviso la vedo. Eccola che arriva. Ci avrei scommesso. La donna dall’abito rosso come ogni sera si fa largo fra i rifiuti calpestati per terra, allontanandoli come se fossero ciarpame. Coperta con il suo regale mantello compie il suo trionfale ingresso in quella reggia dall’altra parte della strada. Mi guarda come se fossi uno scarafaggio. La detesto con tutto me stesso. Le insegne attorno a me sono logore e cadenti ma in quel castello, illuminato da più di mille candele, il tempo non è mai fermo come lo è il mio. Ricordo che una volta anch’io partecipavo a gloriose sere di gala e sfoggiavo il mio abito nero appariscente, ammiccando ad ogni donna che volgeva lo sguardo verso di me. All’epoca mi sarei visto come uno scarafaggio. Il mio volto sarebbe stato deturpato dal disgusto. Troppo è il ribrezzo che provo verso colui che sono stato… Mi sarei comportato esattamente come la donna dall’abito rosso. Dovrei allora essere in grado di capire, ma l’odio mi distrugge. Forse perché nulla di tutto quello che avevo è rimasto. «A volte mi chiedo cosa stiamo davvero aspettando», avevo domandato una volta. «Che sia troppo tardi, sir» mi era stato risposto. E ora è davvero troppo tardi. È già mezzanotte e l’orologio della piazza suona la dodicesima ora. Dal ristorante di fronte riesco ancora a percepire l’acre odore di celebrità. Non riesco a dormire con tutto quel frastuono. I flash mi accecano. Decine di macchine fotografiche ponevano i loro obiettivi su di me, solo qualche anno fa. E io sorridevo, ignaro del tiro mancino che la sorte mi stava preparando. Credevo di sapere tutto. Il mondo era il mio servo ed io ero il padrone. Una magnifica magione, donne, auto veloci. Questo era il mio mondo. Un mondo malvagio, governato da una creatura infida, di cui ogni uomo è schiavo. Il suo nome è Potere e il suo dominio incontrastato. La musica si fa sempre più alta. I miei timpani bruciano. Fatemi dormire vi prego! Solo cinque minuti e poi… che la vostra dannata festa continui! Mi raggomitolo sotto un giornale, coperto di stracci. Leggevo Kafka e Orwell, mi dilettavo fra Platone e Marx. Il pomeriggio Leopardi o Alighieri. Passavo giornate intere in quell’enorme biblioteca che mi era stata concessa. Vagavo incerto fra quegli scaffali altissimi, spulciando racconti e saggi di cui s’è persa memoria. Quante volte sono rimasto appollaiato alla mia sedia in mogano perdendo la cognizione del tempo…  Non ce la faccio! Non ce la faccio! Proverò a dormire altrove. Qui la musica è troppo forte e i ricordi troppo velenosi. Mi stendo su un gradino del pub sulla diciottesima strada. Finalmente il silenzio. All’epoca non c’erano che urla e grida in casa mia. Ognuno correva da una parte all’altra fra mille impegni e timori. Sentivo continuamente lo scalpiccio su e giù per le scale. Lorena strillava furiosa dicendo di non avere alcun vestito che le stesse bene e il suo guardaroba era pieno. La sala da pranzo era a soqquadro… Perché mi svegliate ancora? Avevo appena chiuso gli occhi. Il gestore del pub mi ha appena sferrato un calcio. Vuole che me ne vada. Io prendo la mia roba e sparisco. Non ho voglia di mettermi a discutere. Ho soltanto sonno, tanto sonno. Da lontano sento l’orologio della piazza ticchettare le due e mezza. ‘Cipicchia come è tardi. Ma tardi per cosa? Mi trascino lungo una viuzza laterale. E il tempo è tutto mio. Vorrei poter credere ancora che non tutte le cose sono bianche o nere. Ah, una panchina! Mi poggerò qui. Il legno sotto di me è freddo, e la schiena mi fa male. Il dottor Constantine era sempre stato una brava persona. Trovava sempre un momento per ricevermi con il suo fare gentile e un po’ pacchiano. Non mi ha più telefonato da allora. Non ci avrei mai creduto se me lo avessero detto. Sento il ticchettio del mio orologio da polso sul braccio, e il mio cuore scandisce ogni singolo secondo con il suo battito incessante. All’improvviso non ho più freddo. Anzi, sento che sto quasi per prendere sonno. Buonanotte, amici miei. Gli occhi mi si chiudono. L’orologio non ticchetta più. E non c’è più nessun battito a scandire le mie ore.


L'Angolo dell'Autore
Ciao a tutti! Dopo la pausa estiva eccomi qui a pubblicare di nuovo qualcosina. Questa storia mi è venuta in mente durante un viaggio che ho fatto diverse settimane fa. Come vedete, non è altro che un lunghissimo flusso di coscienza. Ho voluto sperimentare questa tecnica questa volta per vedere cosa sarebbe uscito fuori. Ovviamente a voi i commenti! Piccola anticipazione: presto pubblicherò un'altra storia nella categoria dei Gialli, quindi restate connessi!!
  
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