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Autore: Giulia_1997_    13/09/2013    1 recensioni
-Le cose più belle accadono a chi sa aspettare-. Be', in questo caso siamo in presenza di Charlie, una ragazza che non si aspetta niente, ma che, alla fine, riesce ad apprezzare la vita e le cose che essa ha in serbo per lei. Non è la solita storia d'amicizia, di romanticismo, d'avventura. E' la storia di Charlie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi aspetta come sempre davanti alla porta di casa; arrivo facendogli cenno con la mano e con l'altra afferro saldamente il manubrio, cercando di tenere l'equilibrio.                                                                                                     
Quasi sembro uno di quei giocolieri che camminano su grandi monocicli, con addirittura entrambe le mani impegnate a far saltare diverse bocce dall'una all'altra, solo che, a differenza loro, mi spiaccico sul suolo perchè, come già risaputo, le mie abilità circensi sono davvero scarse.     
Corre verso di me, tenendo ironicamente una mano sulla faccia, come per dire:
-Sei sempre la solita!-
Con la schiena mezza rotta faccio per alzarmi, quando Andrew mi afferra da sotto le braccia, facendomi rialzare. Finalmente riesco a vederlo: occhi scuri, che al sole assumono diverse sfumature di marrone, capelli castani, altissimo e discretamente muscoloso; indossa una maglietta rossa, pantaloni al ginocchio e delle scarpe da ginnastica rovinate dal tempo.
 -Buongiorno!- mi dice quasi sarcasticamente, dando un'occhiata alla mia faccia leggermente sconvolta                                                                                                                                                                                                         
 -Ciao- riesco a pronunciare con aria seccata, avendo colto la sua beffardaggine.      
Mi chiede se sto bene ed io, nonostante i dolori un po' sparsi, per non dargli soddifazione, rispondo
-Mai stata meglio-
-E' inutile che fai la seccata, tanto lo so che tra poco ti passa!- dice Andrew.
Ed ha dannatamente ragione.
Ci conosciamo più o meno da una vita, a scuola sempre seduti insieme, nonostante le solite battutine infantili del tipo 'I due fidanzatini' con tanto di imitazione (pessima, direi) della marcia nuziale di sottofondo. Ma io ed Andrew a queste cose non davamo importanza, nè quando eravamo più piccoli nè adesso. Il nostro essere così affiatati, ormai, ci viene naturale. All'età di otto anni, incuriositi e, perchè no, anche un po' preoccupati della nostra frequenza nel vederci, i nostri genitori ci spiavano da dietro la porta quando eravamo nella stanza a giocare, o dalla finestra, quando eravamo in giardino. Finalmente, all'età di nove anni, hanno capito che la nostra era semplice e pura amicizia e non dovevano disturbarsi a fare Sherlok Holmes e Watson, che, tra l'altro non sapevano interpretare considerato le loro tecniche di mimetizzazione facevano fiasco (Elementare, Watson!)                                                                    A dodici anni Andrew fece amicizia con un gruppo di ragazzi più grandi e, vuoi per la curiosità e per l'eccitazione di essere accettato da persone più grandi, iniziammo a vederci sempre meno, ad uscire sempre meno ed io ci stavo male, sempre di più.               
Ricordo che mi chiudevo in camera a piangere, perchè mi ritenevo sbagliata, in tutto ciò che facevo, a scuola, in famiglia, con le persone; non sapevo come comportarmi.                                                                                    Non avevo amici ed amiche all'infuori di Andrew e, sotto sotto, sapevo che il giorno in cui Andrew mi avesse esclusa dalla sua vita sarebbe arrivato, e temevo questo.
Ma non ci potevo fare nulla, era più forte di me; quando mi avvicinavo ai miei compagni di classe cercando di far venire fuori la persona che ero, non quella timida e impacciata, ma la vera Charlie, non mi davano retta, giravano i tacchi e mi lasciavano lì, come una mummia imbalsamata nell'attesa delle'estirpazione degli organi. Pensavo che ci fosse un problema nel mio modo di parlare e di vestire, soprattutto di vestire: magliette grandi, capelli un po' alla rinfusa erano le mie prerogative. Ma questa ero io, e se farsi accettare voleva dire trasformarmi in qualcuno che non ero e che non volevo essere, tanti saluti e ciao.
Seguendo questo ragionamento, logico in fondo, ho passato i tre anni più brutti della mia vita. La mia unica soddifazione era la scuola ed i libri. Quanto leggevo! ( e quanto leggo tutt'ora!) leggere è stata sempre la cosa più bella per me, tramite la lettura ho capito ciò che sono, ciò che voglio essere, ciò che voglio. Insomma, grazie alla lettura ho formato il mio carattere e mi sono rialzata.
Un giorno, prendendomi di coraggio, ho chiamato ad Andrew e gli ho detto che lo aspettavo al parco, teatro della nostra infanzia. E' venuto, anche se mezz'ora dopo rispetto all'orario prestabilito, che ho tradotto come segno di menefreghismo puro, e gliene ho dette quattro. Si è sentito mortificato, glielo si leggeva negli occhi. Ho fatto per andarmene a casa a piedi; dopo cinque minuti sento il rumore di piedi in corsa dietro di me, ed un secondo dopo mi ritrovo le sue braccia intorno al collo.
-Sono stato un cretino- ammette.
-Lo so-
-Mi sei mancata, Charlie-
-Anche tu-.

-Charlie... Charlie?-
Una voce familiare in lontananza mi chiama.
-1, 2, 3 pianeta Terra chiama Charlie...-
La sento più vicina.
-CHARLIEE!-
Mi risveglio di soprassalto come da un trance; ed ecco che per la seconda volta nella giornata mi è venuta a prendere la macchina del tempo; sì, sono una ragazza che si immerge nei pensieri molto spesso, dimenticando per un attimo la realtà e rifugiandomi sia nei momenti belli che in quelli brutti, ma che, comunque, per la maggior parte delle volte, hanno avuto un ruolo significativo nella mia vita.
-Eh? Ah, sì, ci sono!
-Mi devi avvertire quando hai 'sti scatti di ipnotizzazione-
-Stavo solo pensando a dove potremmo andare!- mi giustifico.
-Pronto? Ci aspettano al porto! Non ti ricordi cosa dobbiamo fare?- mi chiede un po' stupefatto Andrew.
Cercando di mettere insieme parole di senso  compiuto, poichè sono ancora in balia dei miei pensieri -Giusto, sì.- gli dico -Andiamo!-.
Andrew mi passa il casco, che puntualmente mi ero dimenticata da lui la volta prima, indossa il suo, e, dopo essere montati sulle rispettive bici, partiamo verso il porto.
Andrew è davanti a me, lo guardo pedalare. E' sempre attento, sia quando è in bici che quando guida il motorino. E' sempre stato così, diligete, responsabile e mentro lo osservo penso:
-Che fortuna averti come amico!-
Si gira, come se sentisse che lo stavo fissando; per un attimo si distrae dalla guida.
-Chi arriva ultimo paga il pranzo!- gli urlo. E così dicendo, prendo la testa e pedalo quanto più veloce possibile. Nonostante i tanti anni della nostra amicizia, non ero mai riuscita a dirgli "Ti voglio bene".
  
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