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Autore: Water_wolf    14/09/2013    5 recensioni
[STORIA IN FASE DI RISCRITTURA]
Sintesi della mia vita: sfida mortale.
Dopo aver attraversato un fr-- portale magico anticonformista, la lista di persone che mi vogliono morta si sta allungando parecchio.
Perché? Perché sono l'Ereditaria del Segno del Sagittario, e non solo. Oppure perché ho sfiga.
***
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino. [...] Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride. [...] -Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
***
-No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e quello di Giove, non c'è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
***
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
***
Tante coppie shippose e peripezie alla 'Rick Riordan' (non che io sia minimamente brava come lui, che è un colosso çwç)
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Colonna Sonora Consigliata per la sfida: "My Songs Know What You Did in the Dark - Light em' up" FallOut Boys

https://www.youtube.com/watch?v=LkIWmsP3c_s

7.La lingua delle lame

Non ci furono ultimi consigli da parte di Pholos, nessuno sguardo, solo una stretta sulla spalla. Riuscii a sentire, invece, cosa diceva Pirro a Gwen. Distruggila.
Tirai un sospiro, aggirando l’arena e arrivando di fronte al cancello a nord.
Gwen, dall’altra parte, sillabò: “si comincia, baby”. “Questa sera mangerò spezzatino” non potei trattenermi dal rispondere, nonostante pensassi tutt’altro.
Pholos mi porse una freccia, aprendo lui stesso il cancelletto.
Lo varcai, deglutendo a vuoto. Era il momento di dimostrare la mia forza, la tempra dell’Ereditaria del Segno del Sagittario.
Mia cugina entrò fiera nella lizza, lisciando con apparente noncuranza la coda della sua freccia. La prima sfida era la più semplice: dal centro della lizza, dovevamo scoccare una freccia nell’aria attraverso otto cerchi di pietra –tanti quanti le stelle della costellazione del Sagittario- e centrare il tizzone ardente posto nell’ultimo, infine colpire il bersaglio oltre di esso.
Si continuava finché una concorrente non completava un tiro perfetto che finiva nel centro del cerchio, con un massimo di cinque frecce, e, nel caso non ci fosse una vincitrice regolare, si contavano i punti: se si era riusciti a far incendiare la freccia, dove avevamo colpito il bersaglio…
Almeno, non ci si doveva uccidere l’un l’altra.
Pholos e Pirro, gli ambasciatori dell’incontro, batterono gli zoccoli a terra, facendo scuotere il terreno, ricreando la forza della natura e del suo supremo dominio. Ritmarono lo scalpiccio, tirarono fuori un corno per ognuno e vi soffiarono dentro.
Il suono fendette l’aria con potenza, facendomi rizzare il peli sul dorso.
Pholos lanciò un’occhiata indecifrabile al fratello, prima che proclamassero:- Nel sacro nome di Marte, dio della guerra, e quello di Giove, dio del cielo e della folgore, codeste intrepide giovani si sfidano ai cinque tempi, combattendo per la gloria, l’onore guerriero e la conquista delle ricchezze e dei poteri dell’altra. Oh dèi, noi vi preghiamo, e porteremo a termine questo duello per compiacervi. Possano i centauri correre veloci come il tuono!
Dagli abitanti si levò un grido unanime di approvazione. I due fratelli si guardarono di nuovo, poi, suonarono ancora il corno, che emise un rombo tetro.
Il terreno sembrò voler scomparire da sotto le mie zampe, tanto vibrò.
Zolle di terra si staccarono, rivelando giganteschi cerchi in marmo bianco, sempre più piccoli man mano che si andava avanti, sorretti da un lungo stelo squadrato. In fondo, intravedevo il punto rosso del tizzone ardente e del bersaglio in legno dietro a esso.
–Incordate gli archi!- ordinò Pirro.
Sia io che Gwen impugnammo l’arma, preparando la prima freccia. Una scossa mi percorse la schiena, dandomi la forza necessaria per portare a termine la prima sfida.
–Prendete la mira!- esclamò Pholos, con una sfumatura seria che non gli avevo mai sentito prima.
Alzai l’arco, portando il gomito alto e la mano dietro l’angolo della bocca, in quella posa che per primo mi aveva insegnato Tompson e che ora era diventata una mia caratteristica. Strizzai gli occhi, compiendo con lo sguardo il viaggio che avrebbe fatto la mia freccia.
–Tirate!- ordinarono all’unisono.
Non guardai Gwen, ne mi preoccupai della miriade di possibilità di fallire. Tirai e basta.
L’asta sfrecciò a pochi centimetri dal mio volto, schizzando come un lampo attraverso i primi cerchi. Pregai di aver impresso abbastanza forza da raggiungere il tizzone. La freccia oltrepassò l’ottavo cerchio. La coda s’infiammò, istigata dal fuoco e dall’ossigeno, e si conficcò nel centro del bersaglio di legno con un sonoro stock.
Mi voltai verso Gwen, che intanto si era morsa le labbra quando la sua freccia era avvampata troppo in fretta, calando la traiettoria e mancando completamente il punto cui aveva mirato.
Gioii internamente. Robin Hood mi faceva un baffo. Osservai mio padre, ma il suo viso non tradiva alcuna emozione. Si portò il corno alla bocca e annunciò la prima vittoria di quella sfida: la mia. Trottai verso di lui, porgendogli l’arco.
–Non aveva scampo con quest’arma- annunciai, raggiante.
Il centauro mi passò la mia lancia, incrociando la sua mano alla mia quando l’afferrai.
–Ricorda che sei tu quella che non avrà scampo nelle prossime sfide, Victoria- disse, con gelida consapevolezza.
–Hai detto che i nomi sono potenti: il mio inizierà a portarmi fortuna adesso- ribattei, allacciandomi al braccio sinistro lo scudo tondo che mi porgeva.
Mi voltai, fronteggiando mia cugina, che dagli occhi mandava fiamme per la rabbia e l’odio. Con un’arma come quella, era terrificante. Nonostante il coraggio acquisito, però, non potei impedirmi di stringere convulsamente la lancia.
Mi allontanai di qualche metro dal cancello, portandomi alla giusta distanza dalla mia avversaria.
Dovevo semplicemente aspettare il suono del corno e lanciarmi al galoppo, brandendo l’arma contro il suo scudo e cercando di sbilanciarla il più possibile per farla inciampare e cadere, facendole perdere la sfida.
I tre assalti concessi sarebbero bastati a farmi ottenere la vittoria. O la sconfitta, aggiunsi subito dopo.
La fissai intensamente, isolandomi dal resto del mondo. Pirro portò alle labbra lo strumento e ci soffiò con forza. Nelle mie orecchie risuonò un’eco lontana, e furono le mie gambe equine ad agire per me.
Lo scintillio della punta aguzza della lancia di Gwen mi riportò alla realtà. Mirai allo scudo, slanciandomi con il busto in avanti, come avevo imparato.
Mia cugina emanava un’aria di potenza pura. Strinsi l’arma convulsamente. Pochi metri.
L’urto fu tremendo, e si ripercosse su per l’intero braccio sinistro, strappandomi un gemito di dolore. Lottai per non sbilanciarmi con la parte umana e cadere, costringendomi a respirare con calma.
Mi guardai la mano destra, che stringeva il moncone della lancia: anche il mio colpo era andato a segno. Mi massaggiai il braccio sinistro dolorante, che iniziò a formicolare.
Tornai indietro da Pholos per ricevere la seconda lancia, incontrandomi a metà campo con Gwen, che sembrava illesa e senza un’ammaccatura.
–Questo non era niente- sibilò, trottando via.
Ingoiai il vuoto, perché di saliva non ne avevo.
L’impatto non era stato facile da reggere, contando che mia cugina era più forte e allenata di me, e non stava nemmeno mettendo tutta se stessa. Presi l’arma che mi porgeva Pholos, mi misi in assetto e sperai di resistere.
Udii perfettamente il suono del corno che annunciava il secondo assalto, ma mi concentrai unicamente sullo scatto che compii e sulla forza da imprimere nel colpo. Gwen e io macinammo i metri che ci separavano in pochi secondi.
L’impatto mi tolse il fiato, ricordandomi un tir che passa sopra un’utilitaria. Strinsi i denti e mi morsi la lingua per non gridare. La punta di ferro della lancia di Gwen si era conficcata nello scudo, facendo saltare via numerose schegge di legno. E non osavo pensare fin dove fosse arrivata.
Perlomeno, non ero caduta a terra, ne mi ero trasformata per sbaglio in una delle mie altre forme. La sfida poteva continuare.
Imprecai a denti stretti in tutte le lingue che conoscevo –non che fossero molte-, mentre tornavo da Pholos. Cercai di non mostrare per intero il dolore che provavo, ma il braccio mi faceva un male cane. Mio padre non si fece ingannare, ma non disse nulla.
Gwen sorrideva beffarda dall’altra parte del campo, come se due lance frantumate sullo scudo non fossero nulla d’importante.
Relegai il dolore al braccio in una parte della mente e mi concentrai sull’avversaria. I corni suonarono, annunciando la carica. Io puntai allo scudo, come prima, ma Gwen aggiustò il tiro più in alto.
Cosa c’era da colpire al di sopra di uno scudo? Ci misi due secondi a capirlo. Gwen mirava alla mia testa.
Oh cazzo.
Un colpo del genere mi avrebbe trapassato il cranio! Perché i centauri non  usavano degli elmi?
Vedere il mio cervello infilato sulla punta della lancia come uno spiedino non era contemplato; dovevo trovare un modo per evitarlo, qualsiasi cosa, purché non mi centrasse la testa.
Ma ormai mancavano pochissimi metri, mia cugina mi avrebbe colpito di striscio anche se mi fossi scansata. Stavo per fare la mossa più azzardata della mia vita.
Scagliai via la lancia, strappai via lo scudo dal braccio e lo lanciai contro Gwen a mo’ di frisbee.
La centauressa dovette ripararsi dietro il suo, che sbilanciò l’assetto giusto per il tiro. Scattai via, ormai disarmata e senza protezioni.
Ma Gwen doveva essere più brava di quello che pensavo, perché avvertii un dolore cocente alla schiena. Il colpo a tradimento mi mozzò fiato, e io caddi con il busto in avanti.
Vidi la terra avvicinarsi pericolosamente alla mia faccia.
In neanche in secondo, mi trasformai in umana e atterrai con una capriola. Il braccio sinistro protestò con una fitta intensa. Un rumore di zoccoli mi fece alzare lo sguardo.
Gwen galoppava come il vento verso di me, con la lancia in resta. Non potei impedirmi di sgranare gli occhi. Ero arrivata alla parte à outrage della sfida.
Evitai di farmi schiacciare all’ultimo, poi mi misi a correre verso Pholos. La sua faccia era cinerea.
–La spada!- gridai.
Mi voltai giusto in tempo per vedere Gwen piombare su di me ed evitare gli zoccoli. Mi rialzai di scatto, pronta a correre, ma una fitta alla schiena mi fece piegare in due. Tentai di ritrasformarmi in centauro, per avere più possibilità, ma non riuscii a mantenere quella forma per molto.
Non avevo tempo di interrogarmi il motivo, perché Gwen stava tornando alla carica e Pholos aveva appena lanciato la spada verso di me. La afferrai al volo, sentendomi minimamente più protetta.
Evitai l’ennesima carica, portandomi verso il centro della lizza, dove avevo più campo libero.
–Vogliamo passare alla scherma? Non mi ricordavo avessi un buon rapporto con la spada- mi schernì, ma non accolsi la provocazione.
Gwen consegnò la lancia a Pirro, prendendo al suo posto un’arma a doppio taglio dall’aria temibile.
Si diresse al passo verso di me, chinò il capo in un cenno di saluto, toccando con la punta della sua lama la mia.
Poi, ritirò la spada e fendette l’aria davanti a sé.
Indietreggiai, non sapendo come agire con davanti un centauro. Con Pride mi ero allenata solo a piedi, adattando alcune mosse alla mia forma ibrida, ma non avevamo mai parlato di tecniche per difendersi da terra contro un centauro!
Dovetti improvvisare. Sviai i fendenti di Gwen alla bell’e meglio, senza mai intrattenere un conflitto di forza, sicura che non avrei resistito. Mia cugina si stava innervosendo, dato che non le stavo dando la soddisfazione di schiacciarmi dopo il primo assalto.
Pensa a qualcosa! mi dissi, roteando su me stessa, evitando l’ennesimo colpo.
La seconda idea folle della giornata fece capolino nella mia mente: la miglior difesa è l’attacco.
E’ una pazzia,
pensai immediatamente dopo, ma seguii l’istinto.
Respinsi la lama di Gwen, scattai in avanti e tranciai l’aria davanti a me. Un guizzo maligno illuminò gli occhi di mia cugina. Impegnai la sua spada, affiancando tecniche e mosse secondo l’ispirazione del momento e le possibilità che mi offriva Gwen.
Le nostre lame parlavano da sole, con sibili intimidatori e bagliori mortali. Avevo già il fiatone, e sentivo il sudore scendermi giù lungo il marchio. Non avrei resistito ancora molto.
Esausta, azzardai un affondo al fianco. Con mio supremo stupore, Gwen non riuscì a schivarlo ne a pararlo e la lama aprì uno squarcio sulla sua parte equina. Non era grave ne impediva di combattere, ma di sicuro faceva male e sanguinava.
La centauressa gridò. Si portò una mano alla ferita, intingendo due dita nel suo stesso sangue e portandosele vicino al volto, osservandole con una smorfia di rabbia.
–Sei una sorpresa continua, Victoria. Ti dimostrerò che è una dote di famiglia- minacciò, e il suo corpo iniziò a contrarsi.
Mia cugina si accartocciò su se stessa come una lattina, costringendomi ad allontanarmi.
Lanciò un grido bestiale, strinse gli occhi, si morse le labbra a sangue ma non mollò, qualunque cosa stesse facendo.
Quando il suo corpo perse le quattro zampe scure dei cavalli e ne assunse due più corte con dei piedi, al posto degli zoccoli, compresi.
Capii che ero spacciata.
Gwen era appena diventata umana.

 


L’attacco diretto mi riportò bruscamente alla realtà, e la forza che ci impresse fu tale da farmi scricchiolare le ossa del polso. Mi costrinsi a controbattere, scacciando via i pensieri su quello che era appena accaduto.
Mia cugina sapeva trasformarsi in umana, nonostante fosse molto più feroce e di natura più simile a una puledra con la voglia di correre.
Non capivo come ci fosse riuscita, come si potesse indurre una trasformazione contro le regole ordinarie, perché di questo ero certa: Gwen non era nata con questa capacita come me.
Mia cugina m’incalzò con la spada, palesemente divertita dal mio sgomento, come suggeriva il ghigno che aveva stampato in faccia. Il fianco sanguinava, ma sembrava non sentire il dolore.
Il braccio con cui impugnavo la spada, invece, era indolenzito. Era già un miracolo che fossi riuscita a sopravvivere fin lì, contro ogni pronostico.
Gwen si mosse rapida, fece un mezzo giro su se stessa e colpì di piatto la mia lama, impegnandola e strappandomela di mano.
La scagliò in alto, facendola ricadere di punta verso il terreno, dove si conficcò.
–Sei morta- mormorò.
Affondò in avanti, squarciandomi il corpetto di cuoio dall’ascella sinistra al fianco destro.
Non sentii nulla, ero come stordita, incapace di realizzare cosa era successo. Udii il tonfo di un corpo che cadeva a terra, attutito dall’erba. Intuii fosse il mio.
E poi, all’improvviso, arrivò il dolore tutto insieme. Cocente, dilaniante, mi bloccava, mi impediva di respirare, bruciava e congelava insieme, freddo come la lama d’acciaio di Gwen e caldo come il sangue che pompava il cuore nelle vene.
Sbattei più volte le palpebre, mettendo a fuoco la visuale.
Mia cugina ghignava, imponente sopra di me. Aveva impugnato anche la mia spada, e ora le teneva a forbice, pronte a tagliarmi la testa.
Ma non potevo morire, non volevo. Non avrei deluso me stessa, o Pholos, e non avrei nemmeno dato altro modo a qualcuno di provare pena per me.
Qualcosa mi si mosse dentro.
Un scarica di energia infiammò la freccia tatuata sulla mia schiena, facendomi dimenticare il dolore provocato dai lividi e dalla ferita.
–E’ giunta la tua ora- sibilò Gwen.
–No. Non ancora- ringhiai.
Feci un balzo all’indietro, compiendo  una capovolta in aria e atterrando in piedi. Non stetti a domandarmi come diavolo ci fossi riuscita, perché il mio corpo si muoveva per sé.
Sfruttai lo stupore di Gwen, mi portai di lato e sferrai due calci in rapida sequenza: uno al fianco e uno alla mano che impugnava la mia spada. E mentre quella roteava in aria, costrinsi Gwen a terra con un calcio, schiacciandole la mano che reggeva l’altra lama.
Afferrai senza nemmeno guardare la mia con la sinistra, feci un gesto intimidatorio e gliela puntai alla gola.
Lei emise un ringhio basso e cupo.
–Finiamo questa sfida così, porterai a casa la pelle e l’orgoglio- dissi.
–Scordatelo!- ruggì.
Lasciò l’elsa della spada e mi afferrò fulminea la caviglia, trascinandomi giù, mentre lei si rialzava con un colpo di reni. Non le permisi di cambiare la situazione; rotolai per qualche metro, allontanandomi, e mi tirai su, decisa a fronteggiarla.
Brandii la spada a due mani, e caricai. Gwen mi accolse con potenza, e con potenza ricambiò l’assalto. Ci incrociammo, giocammo, ci tenemmo a distanza, minacciammo l’un l’altra e aumentammo il ritmo, facendolo diventare così serrato da tagliare il respiro, come se si stesse sott’acqua.
Respinsi un nuovo attacco, mi portai in assetto e, prima che Gwen potesse intrappolarmi in quel vortice di acciaio e cozzare di lame, saltai.
Puntai la spada verso il basso, mirando alla testa di mia cugina come se fosse un melone da tagliare in due. Quando la stavo per falciare, mi resi conto che non la volevo morta, che non l’avrei uccisa.
Deviai il colpo mortale, ma la mia spada affondò comunque nella sua spalla. Mi fermai quando avvertii la consistenza dell’osso della clavicola.
Mi bloccai, esausta e senza fiato.
Io e Gwen ci fronteggiammo, unite e divise dalla mia lama ancora dentro le sue carni. Ci fissammo, scrutammo le nostre espressioni, sapendo che la sfida era conclusa.
Estrassi la spada con un colpo secco, strappandole un mezzo grido.
Cadde in ginocchio, stringendosi la spalla, che iniziò a sanguinare copiosamente. Raccolsi la sua arma, che era ricaduta nell’erba, come bottino di guerra.
L’aria era ferma, i presenti immobili.
Qualcuno applaudì, riscuotendosi e riconoscendo la mia vittoria. Altri si unirono a lui, finché tutti batterono le mani per me.
Levai la mia spada al cielo, accogliendo le urla di gioia dei centauri presenti e il suo dei corni che decretavano la vincitrice. Quando la abbassai, la stanchezza mi schiacciò.
Camminai lentamente, quasi zoppicando, verso Pholos, che nel frattempo aveva già aperto il cancelletto.
Feci per uscire, ma mi ritrovai davanti Pirro.
Pholos lo affrontò con lo sguardo.
–Ho il diritto di prendere le tue proprietà, quelle di nostro padre- disse, lapidario.
–Ma non lo farai- replicò il minore.
Mio padre strinse gli occhi, facendoli diventare due fessure. –No, non lo farò.
-Perché non hai spina dorsale, come nostro padre- accusò Pirro.
–Sai bene che non è per questo che non lo farò.
Il fratello minore rise. –Già, non lasceresti mai un padre e una figlia alla mercé degli elementi, vero? Sei proprio come un insulso umano, debole, e non un degno centauro. Non meriti ciò che hai.
-Esattamente come te, adesso.
Guardai prima mio padre, poi Pirro. Non mi piaceva quella conversazione.
Il minore abbassò il capo, si umettò le labbra e fissò intensamente il maggiore. Gli sputò in faccia.
Fremetti sul posto. Avrei volentieri dato una lezione a Pirro, ma non ero nelle condizioni adatte.
Pholos si passò una mano sulla guancia, pulendosela.
Si rivolse a Pirro, duro:- Vattene via da qui. Tua figlia si sta dissanguando da sola nella lizza, non credo tu voglia lasciarla lì. Chiuderemo questo conto in un momento migliore.
Il centauro rimase qualche momento a scrutare il fratello, ma dovette riconoscere che aveva cose più importanti a cui pensare. Si allontanò, entrando nel campo adibito alla sfida.
Quando anche quell’ennesima scarica di tensione e adrenalina finì, mi sentii prosciugata da ogni forza. Pholos prese le spade e se le assicurò al fianco, mi sollevò delicatamente e mi mise sulla sua groppa.
Mi portai una mano alla ferita, sentendo il caldo viscido del sangue. Pholos mi condusse nella sua abitazione, dove un ripiano in legno era già stato sistemato come un lettino di un’infermeria.
Scesi con fatica dal suo dorso, distendendomi su quella sotto specie di barella. Pholos mi tolse l’armatura in cuoio e la maglia imbottita che c’era sotto, cercando di non procurarmi altro dolore, per quanto fosse possibile.
Iniziò a pulirmi la ferita, lavando via il sangue per vedere meglio come operare. Si allontanò per andare a prendere un barattolo di vetro, dentro il quale si vedeva una sostanza verde muschio gelatinosa. Svitò il tappo e ci intinse due dita, poi, la spalmò sul taglio. Il contatto freddo mi fece rabbrividire, ma mi imposi di rimanere ferma dov’ero.
–Non è grave, le protezioni hanno fatto il loro dovere, non servono punti- mi rassicurò. –E’ stata la vicinanza e la forza del colpo a farti cadere.
Riuscii a leggere nei suoi occhi un “per fortuna”, ma mi limitai ad annuire. Pholos prese garze e bende, fasciando la zona ferita.
–Mettiti seduta, controlliamo quel braccio- disse. –Intanto- si chinò verso il basso- bevi questo. Hai perso sangue, un po’ di vitamine ti rimetteranno in sesto.
Osservai scettica il succo d’arancia in tetrapak che mi porgeva, mentre mi alzavo. Lo presi sulla parola, dubbiosa riguardo agli effetti di una spremuta.
Nel frattempo, Pholos si occupò del mio braccio. Stavo succhiando beatamente il succo, quando avvertii uno strappo allucinante al polso.
Sobbalzai sul posto, sputando la spremuta d’arancia. –Perché l’hai fatto?!- strillai.
–Era necessario, Victoria. Se ti avessi avvertita, avresti con tutta probabilità sentito più dolore.
Borbottai qualcosa di incomprensibile e mi concentrai unicamente sul succo in tetrapak.
Il centauro mi fasciò stretto il braccio, strappandomi più volte gemiti di dolore. Dopodiché, mi fece salire di nuovo in groppa, diretti alla casa nel bosco per un po’ di riposo e per discutere certi particolari della sfida.
Mi lasciai cullare dal suo passo lento, dimenticandomi di tutto ciò che mi stava attorno. Pholos mi dovette scuotere delicatamente per farmi uscire da quel dormiveglia. Scesi dal suo dorso, mentre lui si trasformava in umano e apriva la porta.
Entrò per primo, ma si immobilizzò all’improvviso.
–Pholos?- chiamai, ma non mi rispose.
Mi feci strada nel soggiorno, guardando il punto che fissava il centauro. Mi pietrificai.
Sulle scale, giaceva disteso il corpo di Pride: i piedi erano nudi, segno che si era appena alzato; la maglietta arancione era strappata, come bruciata, sulla schiena, lasciando intravedere il marchio dell’Ereditario del Segno del Leone; le mani si stringevano ancora ai gradini, mentre dalla tempia cadeva un rivoletto di sangue.
Il mio cuore perse un colpo.
Pride!

 

***

Angolino dell'autrice:

Sono di nuovo e decisamente in ritardo sulla mia tabella di marcia per gli aggiornamenti, e credo che lo sarò molto spesso visto che per me la scuola è iniziata .-.

Cooomunque, abbiamo avuto la sfida, nonché tante tante domande. Com'è riuscita Gwen a diventare umana "contro natura"? Come ha fatto Victoria a rialzarsi? Come mai è diventata d'un tratto una samurai abilissima con la spada e a fare salti del genere? Ma -cosa che preme di più a tutte le ragazze che leggono *ammicca*-   cos'è successo a Pride?

Io, ovviamente, so già tutto e non aprirò bocca *risata malvagia*  Spero che la sfida sia piaciuta, adoro la canzone di sottofondo, e tra l'altro l'hanno usata nella prima scena del film "Percy Jackson e il Mare di Mostri" in cui si vede Logan Lerman. Mi sono dovuta trattenere dal cantarla a squarciagola hahaha LoL Questo a voi non frega una beata cippa, ma io sto ancora sclerando da ieri che ho visto il film -che più diverso dal libro non poteva essere xD

Spero che il capitolo sia piaciuto e che vogliate dirmi cosa ne pensate!

Baci :*

Water_wolf

 

  
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