Dovere
Hai fallito, Annie.
Poggiato ad un albero l'enorme corpo del titano giaceva apatico, fumi roventi si innalzavano in spirali tortuose e avvolgevano gli arti snelli ed inerti; la corteccia coriacea e secca sfrigolava a contatto con i muscoli scoperti della schiena ― arroventati, bollenti, ardenti come tizzoni ― e l'erba consumandosi crepitava leggermente.
Faceva
male, la
consapevolezza era
tanto forte da bruciare nel petto come un fuoco inestinguibile e il
dolore non poteva placarsi. Annie avrebbe voluto urlare, rigenerare
all'istante i tendini delle braccia solamente per picchiare con forza i
pugni contro il terreno e, allo stesso tempo, estirpare quel
briciolo di
umanità che ancora le rimaneva radicato nel petto e le
faceva torcere
spasmodicamente le budella – le sue, quelle vere, non il
ventre
vuoto del titano. Perché era la consapevolezza
a straziare,
poiché era la certezza di aver ammazzato inutilmente,
stroncato
vite con facilità disarmante, a tormentare maggiormente.
Quanti ne aveva uccisi per poi mancare d'un battito di ciglia
l'obiettivo della missione?
Hai fallito, Annie.
Quasi
la sentiva, la sua coscienza,
mentre ripensava all'attimo in cui, appena pochi minuti prima, Rivaille
le aveva lacerato il muscolo della mandibola e aveva reso
vani i
suoi sforzi.
Eren le era semplicemente scivolato fuori dalle fauci e lei, lei non
aveva potuto fare nulla.
Tutto questo a cosa era servito?
Il vento che le sferzava le membra gigantesche pareva beffarla e, quando s'insinuava fra i rami e frustava le foglie con impeto, sembrava soffiare a suo indirizzo un inconsistente hai perso – un sussurro che trascinava con sè per tutta la foresta, accusandola implicitamente dell'incapacità di portare a termine un unico compito.
Hai fallito, Annie.
E
gocce salate cominciarono improvvisamente ad inumidirle le guance.
Se le braccia non fossero stato paralizzate, avrebbe portato le mani
agli occhi per accertarsi che quelle fossero lacrime vere.
Se gliel'avessero detto, avrebbe stentato a credere di essere ancora in grado di piangere, soprattutto in quello stato, in quella innaturale forma. Forse fu proprio per questo ― perché era capace di farlo anche così ― che si sentì quasi come tutti gli altri, quasi umana; e sarebbe stato sicuramente grandioso, di certo straordinario, potersi illudere esattamente come tutti gli altri che l'umanità avesse ancora un futuro innanzi a sè, ma lei sapeva ed era chiaramente un'illusione, sogni che sarebbero andati in frantumi e l'avrebbero solamente distratta dal vero obiettivo.
Così,
quando si liberò dalle fibre
fumanti del titano, fu come se nulla fosse accaduto: la maschera ― un
po' più incrinata, meno solida rispetto a qualche ora prima
―
tornò in fretta al suo posto e la farsa
ricominciò.
Era di nuovo un soldato, era di nuovo pronta a portare il peso delle
proprie responsabilità e ad accantonare temporaneamente la
consapevolezza della colpa, vivendo nel tentativo di ignorare i propri
peccati e annegando il disprezzo verso se stessa in un mare di
fasulla indifferenza.
La sua corazza di cristallo tornò a proteggerla
e la consueta bolla d'apatia, unico conforto di una vita non
voluta, l'avvolse.
Annie, se tu stessa non puoi perdonarti, chi mai potrà farlo?