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Autore: Diamont Duchess    15/09/2013    0 recensioni
Venezia 1853. Teatro La Fenice di Venezia. L'opera nuova in cartellone : La Traviata. Musica del Maestro Giuseppe Verdi.
Una tra le opere più famose del Maestro di Busseto che gli donerà gli allori musicali e l'amore verso una donna : Elisabetta Vinci.
La musica unisce popoli e cuori ed è ciò che accadde ad un Maestro Bussetano pieno di gloria ed ad una nobildonna italiana.
Sullo sfondo l'Italia del Risorgimento.
Genere: Fluff, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: L'Ottocento
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                                                                                                  CAPITOLO II

“ Maestro. Avanti. Faremo tardi! Quanto ci mettete per indossare un abito? Siete peggio di mia moglie!”
Piave era dietro alla porta, pazientemente attendeva che il Maestro si decidesse ad uscire dalla stanza tutto pronto. Erano già in ritardo, dovevano già esser a Teatro da un bel pezzo, ma , come sempre, il Maestro doveva aspettare gli ultimi istanti per prepararsi.
Non aveva chiuso occhio tutta la notte, aveva bevuto, aveva fumato, aveva passeggiato per la stanza in cerca di requie e cosa aveva trovato? Solo una grande dose di nervosismo e soprattutto una grande dose di stanchezza.
Non riusciva mai a dormire prima di una “prima”. Era una sua abitudine. E adesso, come da copione , ne faceva le spese.
Dritto davanti allo specchio guardava il suo riflesso. Davvero penoso. Con quei capelli così scarmigliati l’avrebbero scambiato per un matto, con quella barba così folta per un zotico e con quell’abito nero per un damerino fuori posto. Odiava questi abiti , non poteva sopportarli.
Avrebbe preferito una tenuta più informale , ma non ci si può presentare a Teatro ed ad una prima con un abito lacero e non elegante. Non sarebbero bastati i fischi all’opera, sarebbero arrivati anche alla sua persona conciata alla bene e meglio. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta !
Meglio vestirsi e pettinarsi, meglio da una vaga apparenza di normalità.
Verdi passò una mano fra i capelli cercando di sistemare quella chioma che non poteva sopportare in quanto ribelle e poco incline al pettine. In effetti avrebbe dovuto pensarci un po’ prima a prepararsi, adesso erano in ritardo.
Messa la “brillantina” su entrambe le mani, osservato un’ultima volta il suo ritratto allo specchio, iniziò a sistemarsi i capelli. Prima la parte sinistra e poi la parte destra del capo. Non si piaceva, non si piaceva conciato così, ma doveva conciarsi.
Sospirò a più riprese mentre si sistemava la chioma ,dopo qualche istante fu il turno della sua barba.
Mai come quella sera avrebbe voluto tagliarsela , toglierla dal viso! Altri minuti persi a sistemarla!
Il pettine correva in quella folta selva che ormai era divenuta celebre fra gli italiani . Tutti l’avrebbero riconosciuto a Teatro solo per quella barba, tutti lo riconosceva per quella barba e basta.

“ Verdi! Siamo in ritardo! Sbrigati! “
Piave continuava a sbraitare mentre Verdi si spazientiva sempre di più. Doveva mantenere la calma altrimenti a Teatro non ci sarebbe più andato. Respirava molto, ma molto lentamente per controllare i suoi nervi già tesi per quello che già si preparava a Teatro.
L’opera era buona, perché mai avrebbero dovuto fischiarla? Perché parlava di una “puttana” che sapeva amare? Per caso le puttane non sanno amare? Non hanno un cuore? Non hanno dei sentimenti?
Più pensava a questo, più si innervosiva sapendo bene che quella sera avrebbe urtato la morale di molti benpensanti! Già li sentiva tutti quegli aristocratici imbellettati fino alla punta dei piedi lamentarsi della sua opera senza nemmeno badare all’insegnamento che c’era sotto. Li sentiva di già, vedeva di già le loro brutte facce. Non avrebbe detto una parola, se ne sarebbe andato se solo una persona si fosse alzata per lamentarsi. Era una promessa con se stesso.
La mano correva lungo il gilet nero fino ad andare ad infilarsi nella tasca della camicia. Uscì velocemente il piccolo orologio da taschino. Per poco non gli venne un colpo.
Le otto e mezza! Erano in un ritardo bestiale.
Ripose velocemente l’orologio, una rapida occhiata al suo riflesso : sì, era accettabile. Non avrebbe turbato i sogni delle signore con la sua brutta cera da contadino della Bassa.
Con un colpo secco aprì la porta, gli occhi accessi da una scintilla indefinibile, il corpo pervaso da una scintilla elettrica. Sì, avrebbe combattuto stasera per la sua opera, sarebbe stata accettata! Ne era sicuro!
Lo sguardo si posò sul povero librettista veneziano Piave, amico dai tempi dell’Ernani, prima opera di Verdi rappresentata alla Fenice , un sorriso quasi di sfida si dipinse sulle labbra del Maestro, quel sorriso che hanno i bambini prima di combinarne una delle loro.
Le labbra sottile dell’uomo coperte dalla barba si aprirono per dare voce ai suoi pensieri.

“ Non facciamo più aspettare il nostro pubblico, Piave! Vogliono l’Opera? E l’Opera avranno!”


La carrozza correva veloce lungo le strade di Venezia. La Fenice non era lontana.
Piave aveva i nervi a fior di pelle, si portava continuamente le mani al volto e piano tirava la pelle, sapeva che il pubblico non avrebbe apprezzato questo ritardo. Ma cosa poteva mai fare lui?
Entrare nella stanza del Maestro e vestirlo lui stesso? Era già stato troppo petulante a richiamarlo ogni tre per due, ma aveva ragione. Avevano accumulato troppo ritardo . Piave non osava immaginare il brusio che si sarebbe levato da tutti i palchi e da tutte le gallerie al loro arrivo. Ci giocava la testa, l’Impresario avrebbe richiamato lui, il povero Librettista , invece che il Maestro, vera causa del ritardo.
Ma non si può richiamare l’astro della serata? Sarebbe sconveniente e soprattutto non si può richiamare Giuseppe Verdi dal momento che il carattere del Maestro non era di certo incline a rimproveri di qualsiasi tipo, anche dei più amichevoli.

“ Piave. Avanti. Hai un muso da far paura anche a me! Sta tranquillo ti dico. E’ bene che attendano, minuto più o minuto meno. Vedila così, caro amico , al nostro arrivo il teatro sarà pieno e noi potremo cominciare senza intoppi. Avanti, non stare così giù.”
Il Maestro si era sporto verso il povero Piave, una mano sulla sua spalla dell’uomo nervoso e abbastanza in ansia , cercando di tranquillizzare quell’uomo . Non c’era da preoccuparsi, a parer di Verdi, ma Piave era comunque preoccupato.
Gli occhi del librettista si alzarono dalle proprie gambe verso gli occhi del Maestro. Com’erano diversi dai suoi. Erano così chiari, erano così vivi e così pieni di forza. Niente sembrava scuotere quell’uomo e i suoi occhi ne erano una prova : calmi ed eccitati.
Avrebbe voluto la sua forza il poeta, ma se avesse saputo leggere ancor di più nell’animo del compositore ci avrebbe trovato la Tempesta del Rigoletto.
Se Piave temeva per le parole che si sarebbe levate al loro arrivo, Verdi temeva le parole che si sarebbe levate contro l’Opera. Più pensava alla Traviata più pensava che le parole non si sarebbero dovute levare, ma tutto era possibile, anzi era quasi scontato che si sarebbero levate contro l’opera e soprattutto contro di lui, il musicista compositore.

Evidentemente le persone non amano vedersi sulla scena con i loro vizi e i loro peccati, stasera Verdi li avrebbe portatati tutti sul palcoscenico con il ruolo di protagonisti assoluti.
Le critiche, lo sapeva di già da quando a sant’Agata scriveva le prime parti dell’Opera, sarebbero piovute a migliaia , ma non doveva scalfirlo. Non si sarebbe lasciato scalfire dalle loro parole!
Un forte scossone fece sobbalzare Verdi e fece quasi cadere Piave contro il Maestro.
Fortunatamente i riflessi agli uomini non mancavano e non appena ci fu un leggero movimento della carrozza entrambi gettarono le mani in avanti come per evitare una brutta caduta e così fecero salvandosi da un brutto incidente l’uno contro l’altro.
Verdi osservò Piave : il povero uomo grondava sudore. Non bastavano tutte le preoccupazioni, ci mancava anche l’incidente!

“Tutto bene, Piave?” domandò Verdi senza esitazioni portando una mano verso Piave come a volerlo aiutare, ma il librettista scansò la mano portandosi la propria alla fronte grondante di sudore.
“ Non è destino stasera che arriviamo a Teatro!” sbottò lui contro il povero Maestro e tutta la serata, ma subito si pentì di quella sua uscita e con voce dispiaciuta a malinconica subito si corresse.
“Grazie Maestro, sono ancora vivo, ancora! Ci è mancato poco che non ci scontrassimo e ci capovoltassimo con tutta la carrozza!”
Ma mentre Piave parlava, Verdi, senza indossare nemmeno il soprabito, era volato fuori dalla carrozza per vedere cosa era accaduto.
Due carrozze si erano scontrate!
Bene, benissimo. E la loro, come da copione, aveva subito i danni più gravi! Una ruota era andata dritta al Creatore!
A passi veloci si diresse verso il conducente della carrozza che, smontato anche lui dalla sua postazione, stava controllando i danni.

“ Ma lei sa portare una carrozza oppure no?” lo incalzò il Maestro prendendolo per il bavero della camicia.
La rabbia era montata e aveva preso il sopravento ! Quella stessa rabbia che covava da 12 giorni da quando aveva messo piede a Venezia con lo spartito sotto il braccio!

“Ma Maestro. La colpa non è mia. Mi è venuta addosso quella carrozza. E’ un miracolo che non ci siamo capovolti” tentò di giustificarsi il povero conducente scansandosi dalle ire del Maestro.
Verdi si girò di scatto. Gli occhi fulminarono l’altra vettura.
Doveva controllarsi, doveva controllarsi, ma adesso come sarebbero arrivati alla Fenice? A piedi forse?
Piave smontò anche lui dalla vettura, lo sguardo perso verso la ruota distrutta della carrozza.
Voleva piangere. Stasera non era serata, punto. Non sarebbero arrivati a Teatro.
Il librettista osservò Verdi farsi avanti ed andare verso l’altra vettura coinvolta nello scontro.
Doveva stare calmo, doveva stare calmo altrimenti anche se là dentro ci fosse stato il Re di qualsivoglia Nazione, gliene avrebbe dette di tutti i colori! Parola d’onore!
Nello stesso frangente nel quale Verdi si accostava alla vettura, lo sportello si aprì.
Il compositore rimase immobile, il sangue bruciava nelle vene che sembravano scoppiare sotto la pelle.
Oh, adesso ne avrebbe cantato delle belle, oltre che Violetta nella Traviata.
Gli occhi erano fissi sulla persona intenta a scendere dalla carrozza.
Una donna.
Doveva stare ancora più calmo, doveva calmarsi.
La donna con passi veloci fu giù dalla carrozza, un piccolo balzo e i suoi piedi toccarono il suolo.
Il suo sguardo si posò sulla carrozza dei due poveri malcapitati, uno sguardo pieno di tristezza per l’accaduto.

“E’ stato un brutto incidente. Il mio cocchiere non conosceva bene la strada.. Mi rammarico di ciò che è accaduto. Spero che nessuno di voi si sia fatto male, altrimenti né io né il mio povero Armand riusciremmo mai a perdonarcelo. “
Verdi fissava la donna : i denti lentamente affondavano nel labbro inferiore, le dita si chiudevano ritmicamente in un pugno e i suoi occhi cercavano di mascherare la rabbia che aveva in corpo.
“ Signora, non sono tipo che fa storie solitamente. Mi dispiace che il suo conducente sia incapace di guidare una vettura in una strada illuminata come questa e di non riuscire a vedere nemmeno un’altra vettura a pochi passi dal suo naso, ma ..”
L’uomo non poté finire il suo discorso che la donna, alzando un mano, gli fece segno di tacere.
Come si permetteva? Nemmeno la sua Peppina era così sfrontata!
Doveva stare calmo, la sua indole di contadino non doveva prevalere sulla sua indole da gentiluomo, se esisteva in lui una vaga indole da gentiluomo!

“ Non si preoccupi. Le offro la mia carrozza. Ho combinato io il guaio e sarò io a togliervi da questo impiccio.
Dica dove deve andare e la porteremo lì!”
Verdi strabuzzò gli occhi. Una donna sfrontata e soprattutto disinibita. E poi si sarebbe contestata la sua Traviata? Misteri!
Piave, essendosi avvicinato al Maestro ed avendo recepito il passaggio che la donna intendeva dare ad entrambi, scappò verso la loro vettura inutilizzabile e prese entrambi i soprabiti ed entrambe le tube.
Poche parole al loro conducente : se ne poteva tornare a casa a piedi, lo avrebbe pagato e ripagato dell’accaduto l’indomani.

“Grazie Madame. Ve ne siamo grati!” con queste parole Piave fu di nuovo accanto a Verdi il quale, udendo le sue parole e la sua scelta, si voltò di scatto fulminandolo con occhi non propriamente benevoli.
Piave non ebbe paura dei suoi occhi : qualsiasi cosa purché si arrivi a teatro!
Il Maestro si rivoltò verso la donna, un lungo sospiro precedette un piccolo cenno del capo.

“ Va bene, Signora. Noi dobbiamo andare alla Fenice. Non è tanto distante da qui…”
Il tono usato da Verdi non era dei più convincenti, ma era l’unico che riusciva ad usare dopo l’accaduto, altrimenti se ne sarebbe tornato a casa di corsa! Già si prospettava una bellissima, magnifica serata.
Ci mancava questo ad abbellirla ancora di più!

“ Che casualità! Anche io debbo andare alla Fenice. Sarà per me un piacere accompagnarla , Maestro Verdi!”

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