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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    15/09/2013    1 recensioni
A Sinnoh sta succedendo qualcosa di strano, di molto strano: è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sembra accorgersene.
O forse nessuno ha il coraggio di parlare.
Saranno tre personaggi a dare il via ad una serie di lotte e vicissitudini, tra fedeltà e tradimenti, tra verità e menzogna, tra ciò che può essere svelato e ciò che deve essere tenuto segreto.
Tre allenatori provenienti dalle tre istituzioni più importanti della regione (Gare, Palestre, Lega), che sembra vogliano sbarazzarsi di loro: non sono i protagonisti canonici, ma potrebbero diventarli.
E così, mentre ci sarà chi vuole mettere loro i bastoni fra le ruote, altri più o meno popolari interverranno in loro aiuto, tutti per un unico scopo: il leggendario Cuore di Sinnoh.
...
(I personaggi non sono inventati ma appartengono al manga/videogioco/anime e saranno presenti, in generale, un pò tutti. Presenza di Crack Pairings.)
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Camilla, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
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Note Autrice:
Tento con questo capitolo, dove metto parecchia carne al fuoco ed inserisco molti altri personaggi.
Spero che possa piacervi e indurvi a continuare a leggere la storia, dal prossimo ci saranno veri e propri scontri ;)


 
~ Capitolo Uno

 
Sistemava frettolosamente qualche strumento in uno zaino, le iridi chiare apparentemente perdute nel nulla, mentre la sua mente alternava ragionamenti finissimi ad imprecazioni.
Non sapeva spiegarsi ciò che era accaduto, al momento tutto ciò che gli interessava era raggiungere l’amico e cercare di capirci qualcosa.
Aiutarlo in qualsiasi caso.
Si infilò distrattamente la solita giacca blu con qualche borchia color oro, per poi tenere lo zaino su una spalla ed avviarsi vero l’uscita: il suo sguardo determinato, la preoccupazione crescente nonostante lo sguardo perennemente impassibile, impenetrabile.
Conosceva quello sconsiderato di un ricciolone rosso, si era di sicuro ficcato in un guaio più grande di lui e come al solito avrebbe dovuto rimetterlo in riga, tralasciando quella sensazione spiacevole che la questione fosse effettivamente seria.
Si incamminò verso la porta, la superò ed un vento fresco gli accarezzò immediatamente la pelle del volto, quel profumo di mare che ogni volta sapeva quietargli l’animo.
«Rai…chuuu…» Ad attenderlo, seduto sulla ringhiera di quella balconata, c’era il suo compagno fidato.
Un Raichu imponente, la stessa luce di determinazione nello sguardo del proprio allenatore.
Corrado non disse nulla, si avvicinò ed appoggiò entrambi i gomiti al metallo freddo: si concesse ancora uno sguardo al mare, da quella meravigliosa vista che il Faro di Arenipoli gli concedeva.
«In che guaio ti sei cacciato…» Biascicò sconsolato e scocciato allo stesso tempo, un interlocutore indefinito che certamente non poteva udirlo.
E se non era venuto da lui significava che non volesse coinvolgerlo, ergo che la questione fosse piuttosto seria.
Restò lì, immobile per qualche minuto, sin quando il suono sordo della terra che si muoveva pericolosamente non lo mise in allerta.
D’istinto fece un passo indietro, seguito a ruota dal Pokémon elettro, sin quando uno Steelix dalle dimensioni spropositate non si innalzò davanti a loro.
«Scusa, ti ho spaventato?» La voce timida e quasi impacciata proveniva da una ragazza dai lunghi capelli nocciola, coperta da un abito verde acqua, la quale se ne stava comodamente seduta sul muso del grande Pokémon d’acciaio.
A quella vista Corrado si rilassò, emettendo un semplice sospiro sconsolato.
«Sempre queste entrate teatrali, Jasmine…» La sua voce era ancora distaccata nonostante fosse felice di vederla.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma probabilmente lei era l’unica che volesse accanto in quel momento: erano molte le similitudini fra loro e questo non poteva che avvicinarli un passettino alla volta.
Lei sorrise semplicemente, per poi farsi improvvisamente più seria, pacata, senza riuscire a nascondere un velo di dispiacere.
«Ho saputo di Vulcano…» Disse semplicemente e non fu necessario aggiungere altro.
Non appena aveva udito la notizia era corsa immediatamente dal Capopalestra di Arenipoli, consapevole del legame d’amicizia che aveva sempre legato Corrado al Superquattro.
Calò il silenzio per qualche attimo, il biondo dagli occhi celesti socchiuse appena le iridi, per poi tornare a volgere lo sguardo alla ragazza.
«Credo si sia cacciato in un bel guaio.» Si limitò a dire, spiccio e di poche parole come sempre.
Ma Jasmine non sembrava curarsi di quel fare distaccato e ben poco loquace, si limitò ad arricciare le labbra, pensosa, per poi picchiettare appena sulla testa dello Steelix.
Questo reagì avvicinando lentamente il capo alla balconata, lasciando neanche mezzo metro di vuoto.
«Allora dovremmo andare.» Gli rispose accennando ad un sorriso.
Lui ci rifletté parecchio, dubbioso, tanto che rispose inarcando un sopracciglio, quasi contrariato.
«Prevedo che non sarà una situazione semplice, forse non è il caso che tu…» Ma non finì la frase, poiché l’espressione prima dolce e timida della ragazza si trasformò in una colma di determinazione, quasi indispettita. «Io cosa?» Gli domandò metaforicamente, senza lasciargli il tempo di rispondere.
«Devo ricordarti che sono una Capopalestra anche io? E non una delle più deboli, tra l’altro!» Terminò incrociando le braccia sul petto, fingendo un’espressione stizzita.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un accenno di sorriso, incamminandosi verso lo Steelix assieme al proprio Raichu.
«Va bene va bene, hai vinto tu, Capopalestra di Olivinopoli.» Rispose con un’ironia ben mascherata, salendo sulla testa del grande Pokémon acciaio e sedendosi accanto a lei.
«Un’idea di dove trovarlo ce l’ho, comunque.»
 
 
(…)
 
Le offrì una tazza di tè caldo, fumante, mentre la faceva sedere comodamente su di un divanetto morbido, fatto soltanto di foglie, petali di fiori profumati ed altri elementi naturali.
Nell’ingresso di quella piccola capanna aleggiava un profumo intenso e ben definito, che chiunque avrebbe definito come sgradevole o addirittura puzzolente: chiunque, al di fuori di chi sapeva amare i Pokémon erba più di ogni altra creatura.
«Gloom, tesoro, chiudi le finestre per favore.» La voce cauta e dolce dell’allenatrice venne accolta piacevolmente dal Pokémon veleno, il quale procedette subito a chiudere i vetri delle varie finestre della stanza.
Erika si sedette poi davanti a quella che era stata una sua allieva, gli occhi di un verde intenso posati dolcemente su di lei. «Raccontami.» Le disse garbatamente, allungando una mano verso di lei per stringere la sua, movimenti sempre posati ed aggraziati che facevano di lei una figura estremamente raffinata, avvolta in quel kimono arancione.
Amelia bevve un sorso di quella bevanda calda, apprezzandone tutti gli aromi che la Capopalestra di Azzurropoli sapeva abilmente combinare.
Poi ispirò, prendendo forza e cominciando a parlare.
«E’… è stata una cosa strana, molto strana. Era come se io mi aspettassi che accadesse, ma al contempo non ne avessi la più pallida idea…»
 
Era Lunedì, uno dei giorni in cui la palestra non era aperta agli sfidanti.
Come ben sai, Gardenia ama profondamente le sue piante e pretende di potersene prendere cura adeguatamente tre giorni a settimana, nei quali dedica loro l’intera giornata di cure.
Noi allenatrici interne non siamo autorizzate ad entrare nell’edificio, in quei giorni, ma ad ognuna è stata naturalmente lasciata una chiave d’accesso.
Mi sentivo strana da qualche giorno, come se alternassi momenti di febbre ed altri in cui, invece, stavo benissimo, tutti nella stessa giornata!
Mi ero preoccupata, temevo che fosse legato all’evoluzione della mia Leafeon, così mi sono permessa di presentarmi comunque.
 La porta era chiusa, naturalmente, ho utilizzato la mia chiave per entrare e come sempre ogni luce era spenta, ad eccezione di quella che conduceva al corridoio dell’ufficio della capo palestra.
Mi sono incamminata cautamente, dopotutto non volevo disturbare il suo lavoro, ma giunta nei pressi della porta lasciata socchiusa mi sono accorta che non fosse sola.
La cosa mi insospettì, Gardenia in quelle giornate si chiudeva in un religioso silenzio con Pokémon e piante, per cui non ho resistito all’idea di appoggiare l’orecchio al legno della porta.
«Non è un po’ troppo frettolosa come conclusione, Gardenia?» La voce era maschile, piuttosto stridula e giovane.
L’avevo già sentita, ne ero certa, ma al momento non me ne ricordavo… Ma sicuramente non si trattava di alcuna persona che io sapessi vicina a lei, né tantomeno di qualche altro Capopalestra.
«No, ne sono quasi sicura. Lei è una dei tre Portatori…» La voce della capo palestra era leggermente strozzata, come se stesse ammettendo una colpa, qualcosa che la preoccupasse nel profondo.
Ci fu silenzio, e non mi fu per nulla chiaro di cosa stessero effettivamente parlando, un motivo in più per continuare ad ascoltare.
«L’hai vista… incontrarlo?» Le domandò ancora quello che sembrava un ragazzo, ma dal tono pareva piuttosto autoritario e sicuro di sé, non certamente di un qualsiasi allenatore che comunque Gardenia non avrebbe mai ricevuto.
«No, ma negli ultimi giorni non era in forma. La pressione le saliva e scendeva continuamente, la temperatura del corpo aumentava per poi crollare improvvisamente. Senza contare che le sia venuta quella strana voglia dietro il collo…» D’istinto mi toccai il collo, e soltanto ora mi resi conto che la capo palestra stava parlando di me.
Dunque si era accorta delle mie condizioni, nonostante mi impegnassi per nasconderlo.
E cosa ancora più impensabile aveva notato immediatamente quella strana voglia che mi era inspiegabilmente comparsa dietro il collo…
Volevo chiederle proprio di quello, se fosse una strana forma di malattia, ma da come ne stava parlando sembrava qualcosa di molto più serio.
Pensai ingenuamente che avesse chiamato uno specialista, che si fosse già informata o avesse preso provvedimenti, se la situazione era tanto grave. Ma non riuscivo a spiegarmi perché non me ne avesse parlato e soprattutto perché avesse citato questi “tre Portatori”.
Pensavo freneticamente a tutto questo, cercando di mettere in fila ogni tassello sin quando un gorgogliare strambo attirò l’attenzione di tutti.
«Cosa c’è, Toxicroak?» In quell’attimo un brivido freddo mi percorse la schiena, nel giro di pochi attimi la porta venne aperta da un leggerissimo spruzzare di fango proveniente dall’interno.
La luce all’interno della stanza illuminò la mia figura, mentre ero rimasta lì, impalata, pietrificata dalla paura e dallo stupore: il ragazzo che stava parlando con Gardenia in modo quasi confidenziale aveva i capelli blu, a punta ai lati, il fisico asciutto e la divisa del Team Galassia.
Saturno, il comandante in seconda di Cyrus.
Per quello che ne sapevo dovevano essere stati cacciati o imprigionati già da un anno ormai, ma a quanto pareva erano invece tornati e si erano già ben radicati di nuovo a Sinnoh.
Mi guardarono perplessi, almeno sul momento, l’espressione che Gardenia ebbe in quell’attimo mi è rimasta impressa come una cicatrice.
Un’espressione che da stupita e quasi preoccupata si trasformò immediatamente in rabbia.
«Cosa ci fai tu qui?!» D’istinto corsi via, lungo il corridoio, più veloce che potevo.
Sentivo che qualcosa mi inseguiva, probabilmente quel Pokémon rana, ma nel giro di qualche attimo Roselia mi precedette in fatto di tempestività ed uscì dalla sfera, paralizzandolo.
Corsi fuori assieme a lei a tutta velocità, senza sapere cosa dire, cosa pensare, dove andare…
Mentre dietro di me le urla di Gardenia mi intimavano ad andarmene e a non fare più ritorno, tra improperi ed insulti…
Ed il cuore che ancora mi batteva dalla paura.
 
«…e così sono venuta qui. Mi scusi, non sapevo dove andare, non sapevo più di chi dovessi fidarmi…» Abbassò lo sguardo e la mano di Erika strinse ulteriormente quella della ragazza.
Con l’altra le alzò dolcemente il mento, incrociando i suoi occhi chiari.
«Non devi avere paura, qui sei al sicuro.» La rassicurò con un sorriso.
Amelia le fu immensamente grata, non tanto per l’ospitalità in sé, quanto più perché sapeva che su di lei avrebbe sempre potuto contare.
Passò solo un attimo prima che Erika si alzasse dal divanetto, camminando pensosamente per la stanza.
«Comunque, da quello che ho capito, né quella voglia né le tue strane sensazioni psicofisiche sono frutto di un Pokémon. Avrei azzardato ad una malattia, ma quella voglia è troppo strana…»
La ragazza si portò di nuovo una mano alla macchia, leggermente in rilievo: anche Erika, come Gardenia, aveva avuto bisogno soltanto di uno sguardo per comprendere la stramba identità di quella voglia a forma di goccia.
«Cosa pensa che sia?» Le chiese in un misto di preoccupazione e al contempo curiosità, prendendo fra le braccia la Roselia che cominciò a strusciarsi, desiderosa di qualche coccola.
«Non lo so. Ma certamente se Gardenia ne parlava con un alto esponente del Team Galassia, le conclusioni sono semplici: stanno tramando qualcosa, e tu a quanto pare sei pienamente coinvolta.»
Non era una novità, dato quello che la ragazza aveva passato solo da una paio di giorni, eppure sentirselo dire tanto esplicitamente le aveva bloccato il fiato per un attimo.
Strinse ulteriormente la propria Pokémon al petto, lei istintivamente rilasciò un leggerissimo profumo tranquillizzante.
Nel mentre, Erika si era portata una mano alla tempia e rifletteva intensamente, l’altro braccio stretto sotto il seno.
«Se non conosco nemmeno cos’hai, non posso aiutarti a guarire, fisicamente soprattutto.» Constatò con un briciolo di disappunto: lei non solo era un’esperta di fiori, ma anche di rimedi naturali e piante medicinali, in molti le chiedevano qualche cura quando i farmaci non contavano.
«Andremo da Sabrina, forse lei capirà qualcosa.» Affermò convinta, nonostante il suo sguardo fosse ancora pensieroso.
Nell’udire quel nome sia Amelia che Roselia sgranarono gli occhi, riportando alla mente di chi si trattasse. «S-Sabrina? Lei è sicura che…» Ma lo sguardo deciso della sua mentore la fece tacere immediatamente, senza darle tempo e modo di replicare.
«Lei è l’unica che sono sicura essere imparziale, considerando che non le importi mai nulla delle questioni “umane”. Possiamo fidarci. La difficoltà starà nel convincerla ad aiutarci…»
 
(…)
 
 
«Guardate come dorme, povera, sarà stanchissima…»
«Ehi ma è ancora tutta bagnata, forse è il caso di toglierle i vestiti?»
«Barry, idiota, ti pare?!»
«Shhh, fate silenzio, così la sveglierete!»
Era un vociare continuo, bisbigli che si sopprimevano l’un l’altro senza riuscirci propriamente…
«mmmh?» Mugugnò qualcosa di apparentemente incomprensibile, sbattendo appena le palpebre.
Davanti a lei v’erano tre figure leggermente sfocate, una con i capelli biondi, una sul blu scuro e l’altra castani.
Sbatté le palpebre più volte, sin quando non riuscì a riconoscere pian piano i tre volti distinti: due ragazzi ed una ragazza, a lei noti.
«Dove… dove mi trovo?» Domandò confusa, trovando risposta nelle parole confortanti dell’amica Lucinda, che cordialmente le sorrideva dal fondo del letto.
«A casa di Lucas, a Duefoglie. Stai tranquilla» Ilenia tirò un sospiro di sollievo, socchiudendo nuovamente le palpebre per rilassarsi quando Barry le si parò improvvisamente davanti, con un garbo che lasciava del tutto desiderabile.
«Allora, cos’è successo? Eh?» Il solito entusiasmo che trapelava da ogni poro fece prendere un mezzo infarto alla povera giudice, tanto che Lucinda diede uno scappellotto in testa all’amico.
«E se non te lo dice la multi? Barry, un po’ di garbo, si è appena svegliata.» Lo ammonì la ragazza, le iridi di un blu scuro fisse sul biondo davanti a sé.
«Okay okay, scusate… però deve dircelo!» Ripeté alla fine scrollando le spalle, beccandosi un’occhiataccia degli altri due, con il solo scopo di ammonirlo.
«No, ha ragione…» Disse lentamente Ilenia, ancora scossa da quanto era successo.
Si trattenne dal scoppiare di nuovo a piangere poiché in pochi attimi il suo Pokémon scoiattolo saltò sul letto, cominciando a leccarle dolcemente una guancia.
«Sto bene, Pachirisu, grazie!» Gli disse coccolandolo, per poi volgere un’occhiata riconoscente e serena anche agli altri. «E grazie anche a voi. A te, Lucas, per essermi venuto a cercare…»
Gli disse trattenendo un velo di rossore, tanto che il ragazzo si trovò più in imbarazzo di lei.
«Di nulla, figurati! Era il minimo, dopo aver saputo quello che è successo…»
Cercò di declinare l’argomento, ma ormai era inevitabile doverlo affrontare.
Barry miracolosamente si trattenne dall’esprimere tutta la propria esuberanza, poiché fu Lucinda ad introdurre l’argomento, cercando di mantenere un tono tranquillo nonostante la questione fosse piuttosto delicata e preoccupante.
«Alla televisione ne hanno parlato tutti, Denis è stato di una durezza che nessuno avrebbe mai pensato, nei tuoi confronti…» Ma passò subito oltre, non volendo rattristare ulteriormente l’amica: era certa che quella situazione non le piacesse per niente e che di lacrime ne avrebbe versate ancora tante. «…ma ciò che ha sconvolto tutta la Regione è stata un’altra. Un giorno dopo l’altro, sono stati in tre ad essere cacciati in modo inspiegabile dalle loro istituzioni. Tu per prima, poi una certa Amelia della palestra di Evopoli ed infine il Superquattro Vulcano. E contro tutti e tre è in corso una campagna mediatica del tutto anomala, esagerata e violenta.» Descrisse con precisione e sintesi la situazione, senza riuscire a trattenere una nota di evidente perplessità.
Ilenia strabuzzò gli occhi nell’udire quel racconto, sollevandosi e mettendosi seduta sul letto: non avrebbe mai pensato che la situazione a Sinnoh fosse di questo tipo e per il momento non riuscì a formulare una propria opinione.
Lucas incrociò le braccia sul petto, la sua espressione che andava diventando sempre più seriosa man mano che si continuava a parlare dell’argomento.
«Ciò che non ci convince è che, improvvisamente, tre persone in vista ma non esageratamente popolari siano state cacciate con le scuse più disparate e che questo attacco mediatico sia evidentemente volto ad accanire la gente contro di voi. Lasciarvi soli, quasi a volervi indurre a fuggire lontano… Come se voi aveste un segreto pericoloso.»
Il suo ragionamento era lucido, preciso e soprattutto intuitivo.
Ilenia sbatté le palpebre più volte, sinceramente sbalordita da tali pensieri e parole: quando aveva incontrato Lucas più volte, durante le Gare, le aveva fatto subito una bella impressione… ma non pensava fino a questo punto.
Sospirò appena, abbassando lo sguardo, quasi si sentisse in colpa. «Sì, in effetti qualcosa c’è…»
Cominciò, per poi interrompersi improvvisamente e volgere uno sguardo quasi preoccupato verso i suoi amici, in un misto di ansia e al contempo sollievo nel vederli lì con lei.
«Ma se ve lo dico, poi potreste essere in pericolo!» Affermò d’improvviso, provocando un sorriso dolce in Lucinda e appena accennato in Lucas.
Per una volta, Barry intervenne nel momento giusto, portando il pugno chiuso davanti a sé con una certa determinazione.
«E da quando il pericolo ci fa paura? Abbiamo affrontato di peggio, e poi siamo tuoi amici!» Asserì convinto, strizzandole l’occhio.
Questo gesto rincuorò la ragazza, tanto che sorrise con quanta più sincerità avesse in corpo: mai avrebbe pensato che quei ragazzi, poco più che bambini solo qualche tempo fa, fossero capaci di qualcosa di tanto grande ed importante.
Non stavano salvando il mondo o compiendo qualche gesto eroico, ma prendersi cura di una persona per semplice affetto e coraggio era una qualità ben rara.
«Va bene» Disse, dopodiché si tirò su la manica, mostrando una strana voglia a forma di goccia proprio al centro dell’avambraccio, che i presenti osservarono senza capire poi molto.
«Mi è apparsa dal nulla, non l’avevo mai avuta prima.»Disse abbassando lo sguardo su quella stramba pigmentazione della pelle. «Ero nella Stanza dei Trofei, nella struttura che Ospita le Gare. E’ una zona che anche i visitatori, sotto prenotazione, possono vedere, poiché è aperta al pubblico. Lì sono custodite le coppe, i fiocchi e le fotografie di tutti i migliori coordinatori.» Descrisse brevemente, giusto per far comprendere il luogo a Barry, che non ricordava ne avesse mai affrontate, quelle Gare, concentrato com’era sulle singole lotte.
«Stavo guardando una fotografia in particolare, ritraeva un Mismagius con la sua allenatrice, di cui non ricordo il nome. Non ricordo perché mi avesse colpita, so solo che dopo pochi attimi mi sono sentita svenire, la vista si è annebbiata ed ho perduto i sensi…» Raccontava portandosi una mano alla tempia, quasi si sforzasse di ricordare dettagli di cui non sembrava avere memoria.
«E’ stato Denis a trovarmi… camminavo davanti a quella fotografia, come sotto ipnosi. Ma non ricordo nulla di ciò che è accaduto in quel frangente.»
Spiegò leggermente delusa da se stessa: non ricordava molto di quel giorno, ma il fatto che Denis l’avesse trovata e poi cacciata era sicuramente fonte di non poche perplessità.
Ma lei, naturalmente, questo non aveva avuto modo di spiegarlo, perché nessuno l’aveva ascoltata: era fuggita, senza una meta, ed era stata la forza d’animo dei suoi amici a salvarla dal baratro in cui volevano trascinarla.
Lucas e Lucinda ascoltarono in silenzio, perplessi, cercando di capirci qualcosa di quella situazione.
«Beh, di sicuro l’unica soluzione è cercare di farti ricordare…» propose Lucinda, ingenuamente.
«Oppure andare da Denis, cosa piuttosto difficile al momento, soprattutto per te.»
Propose Lucas, cercando di trovare qualche soluzione, ma non fecero in tempo a dire altro che un Barry leggermente preoccupato richiamò la loro attenzione, le iridi chiare volte oltre la finestra del primo piano.
«Ehm ragazzi… non per fare il guastafeste, ma abbiamo un problema. Anzi, più problemi!»
Ed il rumore di alcuni passi e versi tutt’altro che rassicuranti bastò per far capire loro la situazione: erano circondati.

 
  
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