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Autore: Sea    15/09/2013    0 recensioni
Una liceale qualsiasi custodisce un segreto che la porterà molto presto a spingersi oltre le proprie abitudini. Scoprirà luoghi e intrighi che credeva persi per sempre e la sua grande avventura comincia con un piccolo incidente. Dal simbolo che le segnerà a vita la mano, scaturiranno gli eventi segnati dal destino e si apriranno le porte di un mondo nuovo fatto di aria, fuoco, terra e...acqua.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Aaaaah! - Finalmente riabbraccio il mio letto. È stata una giornata davvero stressante. Tra scuola, compiti, ragazze stupide e incontri strani non so come riuscirò ad alzarmi domani. Sarà meglio andare a dormire, forse dimenticherò tutto. Almeno lo spero.
Con un sospiro decido di dimenticare le ultime quattro ore della mia vita e ogni domanda che mi è stata rivolta, mi tiro su le coperte ancora fredde e mi volto sulla sinistra dopo aver spento la lampada sul comodino. È così dolce l’aria di casa.

- Io so chi sei -
- Come fai a saperlo? Io non ti conosco -
- E’ vero -
- Allora, come fai a saperlo? -
- L’ho percepito -
- Cosa? Cosa hai percepito? Quando? Come? -
- Io so chi sei -
Chi sei?
Cosa è successo? Dov’è? Dov’è andato?
Ah, capisco, era solo un incubo. Mi sono improvvisamente ritrovata in camera mia, al buio e…sola. La foresta del mio sogno era molto più bella.
Ma cosa diamine mi sta succedendo? Sono le 3:00 e credo di star delirando. Basta, torno a dormire. Col fiato corto torno con la testa sul cuscino, impegnandomi  con tutta me stessa a dimenticare e a dormire.

Il suono assordante della sveglia mi penetra nei timpani rompendo ogni specchio della mia immaginazione. Non potevo scegliere un suoneria più fastidiosa, ma è l’unica che può farmi alzare ogni mattina nonostante mi provochi un senso di rifiuto verso il mondo. Ce la faccio ad alzarmi o ad aprire tutti e due gli occhi? No. Altri due minuti, ti prego!
Mi rituffo nel letto e torno fra le braccia di Morfeo.

- Sarah. Sarah? Sarah, ma dormi ancora? Svegliati! Sono le otto meno venti! -
Le otto meno venti…le otto meno venti?
- No! -
Mi alzo di scatto e mi metto seduta sul letto, realizzando che tra venti minuti devo essere in classe. Prima ora: Fisica. Che qualcuno mi aiuti!
Corro letteralmente in bagno, mi lavo i denti e la faccia di corsa ed evito di pettinarmi. Tiro fuori dall’armadio un jeans, una maglietta e una felpa. Infilo le scarpe, prendo la sciarpa e lo zaino; un leggero bacio a mio padre, un saluto a mia madre, e mi fiondo fuori dalla porta.
L’ascensore è occupato, prendo di corsa le scale. Accidenti quanto è tardi! Mancano solo cinque minuti. Esco dal cancello, supero la mia adorata scuola elementare, la salumeria, la farmacia e la pasticceria ormai chiusa. Comincia la salita, la parte più dura del percorso, dopodiché la curva. La curva dietro la quale l’auto di quel ragazzo è sparita. Mi blocco per un attimo guardandomi intorno, semplicemente osservando quel tratto di strada. Mancano due minuti alle otto. Devo smetterla di pensarci, è stato solo un incontro casuale, non ha importanza.
Riprendo a camminare ascoltando la musica dall’unica cuffia funzionante. Attraverso l’incrocio e ad un minuto alle otto ho perso le speranze.

Finalmente varco il cancello della scuola e salutando Tore “il bidello” fuggo in classe. La porta è ancora aperta, forse la professoressa non c’è. Sono fortunata, non è ancora arrivata. Entro nell’aula col fiato corto e subito abbandono lo zaino sul banco per salutare Rosa, Serena e il suo pancione che adoro e che contiene mia nipote, Giovanni, AnnaRita e tutti i pochi puntuali che rimangono. La III D è una classe un po’ bizzarra. Tra dieci minuti arriveranno Anna e Luciana. Racconto o non racconto? Racconto.
Le prime tre ore filano via tranquille e finalmente suona la campanella dell’intervallo. Scrocco una sigaretta e comincio a raccontare. Cerco di far capire a Luciana il motivo della mia preoccupazione e sembra lo colga.
- Ma dai, non preoccuparti. Sarà solo un caso -
Se lo dici tu. Spero sia così. L’intervallo è finito ed anche la mia sigaretta.
Queste ultime tre ore di lezione passano più lentamente e sono anticipatamente annoiata dai compiti da fare per domani. Finalmente suona la campanella delle due. Fuori aspettiamo che Dario arrivi.
- Ciao Amore, come va? -
- Ehi amore, solita giornata -
- Cosa è successo ieri? Sei tornata tardi? -

Non posso raccontargli tutto, potrebbe non avere una buona reazione. Ripeto per sommi capi la mia avventura, non ha una reazione particolare.
- Amore oggi devi studiare? -
- Uhm, dovrei -
- Dai ,comincia subito, così poi usciamo -

Diciamo che ci ho provato. Il sonno mi blocca i pensieri, il caffè non è servito a molto.  Come al solito non mi importa più di tanto ed esco con il mio adorato fidanzato. Litoranea, caffè del nonno, sigaretta, tante coccole e baci e poi tutti a casa per cena.
La solita giornata tranquilla, con l’unico inconveniente che qualcuno mi impegna i pensieri. Quel maledetto ragazzo mi ha messo strane idee in testa e non posso rimanere indifferente; se ciò che mi ha sussurrato fosse la verità, potrei cacciarmi nei guai. Devo sapere di più.
Facebook è un probabile mezzo per trovarlo.
- Vediamo: E, r, i, c. Ma si scriverà così? -
Ricordo bene il suo volto, come dimenticarlo, non posso dimenticarlo. Mi serve. Nessuno di questi è lui. Internet non mi aiuta. Cosa posso fare?

Sono le 16:00. Tornerò nel posto in cui l’ho incontrato. Cellulare, borsa ed esco.
- Ci vediamo dopo! -
- Dove stai andando? - La solita domanda di mia madre.
Prima di poter avere la sua risposta, la porta si è già chiusa. È un bel tragitto da qui, mi toccherà camminare un bel po’.  L’mp3 mi ha abbandonato.
Sono le 16:25 e qui fa caldo. Per quanto tempo dovrò aspettare?
Un’ora e mezza fa ero convinta che venendo qui avrei concluso qualcosa e devo dire che mi sbagliavo. Mi sbagliavo tanto. Chi credevo di trovare? Sarà meglio tornare indietro, Dario si starà chiedendo che fine ho fatto. Il sole che filtra tra le foglie violacee dell’alberello mi acceca per un attimo e appena faccio il primo passo sulla via del ritorno calpesto qualcosa. Abbasso lo sguardo e il mio piede urta un portachiavi, una minuscola palla da basket. Basket. T-shirt rossa, numero 83. L’albero…Eric! La mia mente si illumina improvvisamente e davanti a me vedo una lunga linea bianca disegnata a terra con una bomboletta. Un segno? Sarò impazzita, ma devo seguirla, non posso non tentare.
Raccolgo il piccolo pallone e lo infilo in borsa, il primo passo lungo quella linea mi da i brividi e mentre cammino sembra quasi che tutto intorno a me scorra troppo velocemente, mi sembra di stare affrontando una corsa contro il tempo. Come se quella linea possa sparire da un momento all’altro.
Mi fermo qualche secondo con la paura che ciò che penso sia vero. Terrorizzata abbasso lo sguardo e vedo la mia guida sparire sotto i miei occhi e senza neanche avere il tempo di pensarlo, le corro dietro mentre svanisce sotto i miei passi. La mia mente nel frattempo elabora le più improbabili, e forse non proprio impossibili, previsioni del futuro prossimo: un semplice idiota, un effetto ottico, il polline che mi ha dato alla testa, la mia immaginazione. Magia.
L’incrocio di via Cesare Battisti sempre trafficato mi costringe a rallentare un po’ la mia corsa e la linea si dissolve sempre più in fretta. Svolto a destra e superata l’edicola lascio andare le mie gambe alla discesa, ma d’un tratto la linea s’interrompe dopo avermi fatto attraversare la strada. Mi volto e l’autobus aspetta alla fermata con le porte aperte. Ci salgo appena in tempo prima della loro chiusura. Ma cosa sto facendo? Mi sono infilata in un bus senza motivo!
Non so perchè, ma mi sento davvero stupida e pentita di questa inutile corsa. Mi siedo e non posso fare altro che aspettare e vedere dove mi porta questo rottame.

Portici? Che diavolo devo fare qui? Le strade sono già trafficate e c’è afa. Non c’è nessuna linea bianca qui, dove devo andare? Mi guardo intorno sperando di trovare un segno ed eccolo che mi si fionda negli occhi. Eric è lì dall’altra parte del marciapiede, solo. Si dondola passeggiando avanti e indietro, facendo tre passi alla volta. Non mi ha visto, o forse non mi ha riconosciuto. Devo andare da lui. Metto piede sulle strisce pedonali, ma un enorme camion mi taglia la strada. Appena riesco a guardare oltre, Eric non c’è più, svanito nel nulla come se il vento lo avesse portato via. Attraverso comunque la strada per accertarmi di non essere pazza. Guardo a destra e a sinistra, ma niente da fare. Prendo alla mia sinistra e mi dirigo verso piazza San Ciro. All’angolo del marciapiede un rivolo d’acqua scivola lungo la strada ad ovest brillando al sole. Lo seguo fino al punto in cui si interrompe. Sto percorrendo una strada alberata: alla mia destra la villa comunale, alla mia sinistra il bosco. E’ aperto. Se ripenso a cosa mi ha portato fino a qui mi sento davvero una sciocca. Ma ancora una volta qualcosa mi trascina, un bambino brunetto con gli occhi verdi mi tira per un braccio e mi fa entrare. Superiamo il laghetto delle anatre e ci inoltriamo nel parco oltre la pista di pattinaggio. Siamo ai limiti del bosco e il bimbo non ha risposto a nessuna delle centinaia di domande che gli ho posto, è rimasto muto per tutto il tragitto. Mi lascia la mano e se ne va. Mi ha abbandonato sotto un enorme albero in mezzo al prato. Ancora incredula mi siedo sull’erba asciutta e aspetto che qualche altra stranezza colga la mia attenzione. Sono le 17:32 e c’è qualcosa che mi sfugge. Il bosco chiude alle sette, non c’è da preoccuparsi. Cos’è che sto dimenticando? Mentre ci penso sento che qualcosa mi sta bagnando la spalla. Ecco cosa mi sfugge: alle 17:30 comincia l’irrigazione del prato e io mi trovo in mezzo ad una cerchia di spruzzi. Mi alzo subito e cerco una via d’uscita correndo in mezzo all’acqua. Corro alla fine del prato, dietro un angolo nascosto illuminato dal sole, un piccolo paradiso. Cercando di recuperare il respiro mi getto sull’erba morbida davanti ad un piccolo laghetto. Mi avvicino alla riva e a gambe incrociate stendo la mia mano sull’acqua, ad un millimetro dalla sua superficie. Mi concentro più che posso, ci metto tutta me stessa, ma in cuor mio già so che non succederà. E infatti non succede niente. Una volta avrei potuto far vorticare l’acqua in aria a mio piacere, avrei potuto sbattere un’onda in faccia a chi lo avesse meritato, avrei potuto sollevare anche una sola goccia di questo laghetto e farla arrivare fino in Cina, avrei potuto giocare a fare disegnini d’acqua seguendo le linee del paesaggio.
Tutto questo però è sparito dalla mia vita già da un bel po’ di tempo.  Ritiro la mano dalla superficie, sfiorandola appena nel movimento di ritorno. L’acqua si increspa. Si increspa? Dovrebbe incresparsi, ma non lo ha fatto. È rimasta liscia come uno specchio. La sfioro ancora e non succede nulla, eppure non ho perso contatti con Ipse. Nemmeno lui sa darmi una spiegazione. Che sia giunta l’ora di dire addio al mare? La paura mi invade al pensiero di dover dimenticare tutto quello che è stato: le voci nella mia testa, la scoperta di Acqua, Fuoco, Terra ed Aria, l’amicizia nata tra me e lui, la magia della natura, il mio compito e la storia del mondo. No, non può essere giunto il momento, l’avrei sentito o un’onda me lo avrebbe detto. Forse tutto questo è collegato alle parole di Eric, “io so chi sei, me lo dirai”.
Appena pronunciato il suo nome nella mia mente, lo vedo riflettersi nel laghetto proprio alle mie spalle e questa volta, quando mi sono voltata, il vento non se l’era portato via. Lui è proprio qui a guardarmi dritto negli occhi.

- Vedo che ce l’hai fatta, Sarah -

La mia gola si è chiusa nel suo rifugio, la mia voce è fuggita in Africa, la mia bocca ha perso la facoltà di muoversi. Non riesco a rispondere e non riesco a trattenermi dal balbettare. I suoi occhi maliziosi mi guardano con totale disinvoltura.
Come fa ad essere così tranquillo? No, non è lui ad essere tranquillo, sono io che ho il batticuore. Devo dire qualcosa altrimenti farò la figura della scema.

- Ehm…oh…ce l’ho fatta? -
- Si -
Un momento. - Ce l’ho fatta a fare cosa? -
- Ad arrivare fino a qui. Un’altra come te ci avrebbe messo qualche giorno. Evidentemente la situazione ha compromesso i tuoi poteri, ma non il tuo istinto -

Son confusa, terribilmente confusa. Un’altra? “Situazione” e “poteri” posso immaginare a cosa siano riferiti, visto che ho appena avuto un’altra conferma, ma “istinto”?

- Adesso tu ti siedi qui, accanto a me, e mi dici tutto quello che sai, perché io non ci capisco più niente! Ho compreso che sai molte cose, ma non capisco in che modo -

Con un’espressione tranquilla, si sposta di qualche centimetro e si siede a gambe incrociare accanto a me.

- Dimmi cosa vuoi sapere -
I suoi occhi sembrano sinceri. - Risponderai a tutte le mie domande? -
- Se posso, lo farò. So che sei arrivata fin qui per sapere -
- Chi sei? -
- Io sono come te. Non sono il ragazzo che hai conosciuto sotto quell’albero l’altra sera e non sono nemmeno quello che ti ha guardato in quel modo quando sei scesa dalla macchina -
- Nemmeno quello che mi ha abbracciato? - Lo guardo un po’ sarcastica. Non mi risponde, semplicemente sorride guardandosi le scarpe.
- Io sono… -
S’interrompe all’improvviso aprendo un po’ di più gli occhi e senza che io possa fare niente, si alza di scatto e corre via, come se avesse percepito un pericolo imminente. Come un animale che fugge appena si accorge di essere osservato.
Cerco di corrergli dietro tra l’erba bagnata, ma giunta in mezzo al prato qualcosa mi blocca, non posso più proseguire.
Lo vedo lontano da me che mi guarda imponendo la mano sulla mia traiettoria. È lui a bloccarmi.
- Non seguirmi! -
- Eric, dove stai andando? Devi rispondere alle mie domande! -
- Un’altra volta! -

Un battito di ciglia ed è svanito nel nulla e insieme a lui svanisce la forza che mi blocca in mezzo al prato. Non appena ricado in avanti, raccolgo la borsa che mi era caduta e corro a più non posso per i sentieri del bosco. Mentre cerco di trovarlo, cosa in cui non spero, mille domande mi frullano per la testa. Cosa sa? Cosa vuole? Chi è? Come fa a sparire e apparire in quel modo? …cos’è?
Vorrei che questo mistero potesse risolverlo qualcun altro al posto mio.
Niente da fare, non lo trovo. È sparito davvero. Freno la mia corsa alla fine di un sentiero. La cementazione del percorso termina nonostante ci siano ancora prati. Strano. Mi fermo sull’orlo del sentiero e scruto la distesa di erba e alberi nella speranza di intravedere qualcosa, ma d’improvviso la terra comincia a tremare sotto i miei piedi. I sassolini rimbalzano sul posto, si percepisce un lieve rombo. Giro su me stessa per vedere cosa succede intorno a me e sembra che nessuno si accorga di quello che sta accadendo. Evidentemente lo sento solo io, il che per me è una cosa normale visto che nessuno può sentire ciò che sente un guardiano dell’acqua. Aspetto di vedere cosa succede.
Il terreno si crepa nello spazio tra le mie gambe piegate, pronte a scattare, e lentamente si apre e sprofonda in un buco nero. La gente ci passa su senza accorgersi di niente e nemmeno di me che ormai sono costretta a piegarmi fino a terra per non cadere. Mentre gli ultimi ammassi di terra finiscono nell’oscurità, il suolo smette di tremare e il vento dietro di me mi spinge ad avanzare. Azzardo, e scopro che in quel fosso non si cade. Cammino sui bordi ancora un po’ agitata, mentre una luce proveniente da quella profondità proietta un simbolo proprio al centro di quella circonferenza perfetta. È una forma strana, sembra quasi il portachiavi col pallone.
Un cerchio vuoto, una retta e un cerchio pieno. Lo prendo subito dalla borsa e lo faccio dondolare appeso al mio dito, in corrispondenza dell’ombra di luce e i due si sovrappongono perfettamente.
- Come mai non succede più niente? Che delusione, sembrava di essere in un film -
Deve esserci qualcosa che posso fare, forse devo usare il portachiavi. Non c’è nessuna linea, nessuna rientranza,nessuna porta, sono in piedi su un liscio specchio nero. Mi alzo e mi guardo ancora intorno, non so che fare. Mentre la mia testa si rassegna al fatto di non trovare una esplicita soluzione, sento il mio piede rialzarsi, spinto da qualcosa. Lo sposto e al centro del vuoto cresce una piantina, solo che cresce a vista d’occhio, cosa non possibile in natura. Diventa ogni secondo più grande, trasformandosi in un alberello e poi ancora in un albero e alla fine in un’enorme quercia. Un albero è appena cresciuto in venti secondi davanti a me e le sue lunghe radici sono sospese come me nel vuoto. Mi sembra chiaro, a questo punto, che mi trovo dinanzi a qualcosa di sovraumano. Qualcosa con cui forse non dovrei avere a che fare. Bene, ora cosa devo fare con questa quercia?
- Non sei tu a dover fare qualcosa con me -
Mi giro immediatamente al suono di quella voce così profonda e grave. Non può essere Eric.
- Chi parla? -
- Sono io a dover fare qualcosa con te! -
- Chi sei? Fatti vedere! -
- Mi hai qui davanti, bambina -
Qui davanti? Ma non c’è nessuno, il bosco sarà quasi deserto.
- Deserto? Se ci siamo io e te non può esserlo, bambina -
Può leggere i miei pensieri! Sono fottuta!
- Certo che posso leggere i tuoi pensieri, non sono mica un pero, sono una quercia! -
Sto sognando. Deve essere un sogno. Un incubo! Una quercia mi sta parlando e può leggere nella mia mente!
- Haha! Sarò anche diventato vecchio, ma non vorrete prendermi in giro ogni volta che rientrate. Avanti, bambina, comincia a farsi tardi. Non vorrai rientrare col buio -
Mi volto lentamente, attenta a non pensare a qualcosa che possa tradirmi. Ma come faccio? Forse la cosa migliore è far finta di non capire, a scuola funziona!
- Rientrare dove? -
- Ma come? Ad Evolah -
- Evolah? -
-
Ma tu chi sei, bambina? -
- Io sono Sarah -
Detto il mio nome, la quercia sembra pensierosa. Allunga una radice e ne pone la punta sulla mia fronte con facilità, visto che non riesco a muovermi. Una debole luce splende al contatto con la mia pelle, come se stesse illuminando la mia mente. So che è inutile divincolarsi, aspetto che dica qualcosa.
- Ma tu sei un’umana, bambina, come hai fatto ad arrivare qui? -
Mi scioglie dal suo incantesimo e ora riesco a respirare meglio. Sa che sono umana, eppure non sembra preoccupato, nonostante la sorpresa.
- Beh, non saprei. Sono arrivata e sei apparso tu. Perché sei sorpreso? -
- Mi dispiace, bambina, non posso dirtelo. Adesso devi consegnarmi la chiave e devi andare via -
- Quale chiave? Intendi forse questo? - Gli mostro il portachiavi di Eric.
- Esatto, proprio quello. Aspetta, ma quella è la chiave…Restituiscila immediatamente! - Tremo un po’ al suono possente della sua voce. Allunga una radice per prendere il piccolo pallone da basket dalle mie mani, ma io mi scosto. Devo assolutamente approfittare dell’occasione per scoprire qualcosa, anche se ho un po’ di paura.
- No, aspetta! Cos’è questo coso? Cosa apre? -
- Mi dispiace, non posso rivelarti nulla. Adesso fai la brava, bambina, non far stancare inutilmente una vecchia quercia -
- Io ho bisogno di sapere -
- Adesso basta, ragazzina, restituisci quella chiave -
- Aspetta! Io sono una guardiana dell’acqua! -
- Tu sei una guardiana? Una ragazzina così piccola? -
- Dimmi cosa apre questa chiave, ti prego! -
- Certo, essere una guardiana cambia la tua posizione, ma non capisco come fai ad avere quella chiave reale -
Chiave reale?
- Cos’è Evolah? -
- Non posso rivelarti nulla -
A mali estremi, estremi rimedi. - Allora arrivederci! -
- No, aspetta! Guardiana, perdona la mia diffidenza, ma ho degli ordini precisi. Finchè il principe non tornerà, non posso far entrare nessuno se non gli abitanti di Evolah. Anche se, senza chiave, non so come farà il principe a rientrare -
Abitanti. Dunque Evolah è una città, e se questo portachiavi è di Eric…allora il principe è lui!
- Qual è il nome del principe? -
- Il principe ha il nome del fondatore di Evolah, Eric -
Allora non ci sono più dubbi, Eric è il principe di Evolah. D’un tratto sento una voce chiamare.
- Syreo! Syreo! Aspetta, non chiuderti ancora! -
È lui!
- Ascoltami, ehm…Syreo, non dire ad Eric che sono qui. Sai, ehm…vorrei fargli una sorpresa -
- Ma… -
Mi sono già nascosta dietro di lui, senza lasciargli il tempo di controbattere. Appoggiata alla sua corteccia, sento i passi di Eric farsi più vicini fino a fermarsi.
- Syreo! Che fortuna! Ho perso la chiave. Se non ti avessi trovato fuori avrei dovuto passare la notte qui -
- Siete stato fortunato -
- Vogliamo rientrare? -
- Ecco, io... -
- Avanti Syreo, mio padre mi aspetta -
Senza aspettare un secondo in più, l’albero è costretto ad obbedire. Una forte luce bianca sorge dai bordi del cerchio e prima che quei due sparissero, mi aggrappo ad una radice.
In un tempo così breve da non poterlo definire matematicamente, ci catapultiamo nel buio della fossa. La sensazione di vuoto mi attanaglia la pancia.
Quando riapro gli occhi sono ancora aggrappata alla radice, ma non mi trovo più nel bosco. Sono in una piccola radura avvolta dalle ultime luci del tramonto.
- Grazie Syreo! -
- Di nulla, Eric -
Sbirciando dal mio nascondiglio, vedo che il ragazzo che cercavo sorride alla quercia per poi allontanarsi di corsa. Esco subito allo scoperto e comincio a corrergli dietro, ma qualcosa mi ferma.
- E tu cosa ci fai qui, guardiana? Come hai fatto ad arrivarci? -
- Mi sono semplicemente incollata ad una delle tue radici, ora lasciami andare -
- Cosa cerchi qui? Non c’è nulla che possa interessarti -
- Non cerco nulla, voglio solo sapere la verità -
- Ma non puoi scorrazzare dove ti pare, ti arresteranno! -
- Non importa, nel caso succeda qualcosa so di chi devo chiedere -
Non mi lascio trattenere oltre, mi libero dalla presa e fuggo via prima di perdere Eric di vista.
- Sta attenta! -
Non so dove mi trovo, cosa succederà, come farò a tornare indietro, ma non posso sprecare questa opportunità. Devo sapere.
  
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