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Autore: Sea    13/09/2013    0 recensioni
Una liceale qualsiasi custodisce un segreto che la porterą molto presto a spingersi oltre le proprie abitudini. Scoprirą luoghi e intrighi che credeva persi per sempre e la sua grande avventura comincia con un piccolo incidente. Dal simbolo che le segnerą a vita la mano, scaturiranno gli eventi segnati dal destino e si apriranno le porte di un mondo nuovo fatto di aria, fuoco, terra e...acqua.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I
Io so chi sei

 


- Sei solo una maleducata! - Giuro che è la verità.<br />
Che rabbia. Sono così arrabbiata che l’ucciderei. Le tirerei tutti quei capelli biondi e le farei smettere di insistere nella sua stupidità con quella risata da ragazzina ingenua, pacchiana, snob, menefreghista e, se vogliamo, anche volgare. Il bello è che Laura e Luciana non fanno nulla. Quanto tempo ancora devo sopportare questa presenza?<br />
La città è ancora illuminata dal tramonto, la gente gira ancora per strada piena di borse della spesa e di bambini per la mano. I vecchietti sono già spariti e i ragazzi stanno appena comparendo: la notte è lunga.<br />
Io, me ne sto andando.<br />
Stasera non riconosco questa città: se mi guardo in giro rivedo solo qualcosa, forse la chiesa di Santa Maria del Popolo, forse qualche strada, ma il resto sembra essermi misterioso e sconosciuto. Dove mi trovo?<br />
- Adesso basta, mi sono stancata. Me ne vado ad aspettare Dario da un'altra parte, lontano da qui -.<br />
Si, questa sono io che sto andando via. Non posso tollerare che lei semplicemente mi rivolga la parola, figuriamoci sentirmi dire certe cose. No, non è proprio il caso. Sento le panchine grigie e la piazza piastrellata allontanarsi alle mie spalle.<br />
- Ma quando arriva?-. I miei pensieri escono fuori dalla mia bocca senza che io me ne accorga. Sono all’uscita di un supermercato. Questo lo riconosco: sono a Corso Vittorio Emanuele III, ma queste luci così gialle, questi alberi così bassi e queste strade così piccole non li ricordavo.<br />
Cerco di non farci caso, per il momento. Quest’ansia che ho nel petto comincia a rendermi faticoso anche il respiro. Richiamo. Tu…tu…tu…tu…tu…no, non risponde.<br />
- Uffa! -. Allargo le braccia in segno di rassegnazione e cerco di non alzare troppo la voce nel fare i miei sospiri. Perché ho un fidanzato ritardatario?<br />
Ormai la luce del sole è quasi del tutto svanita, se ne riparlerà domani mattina. Eppure c’è ancora molta gente per strada. Sarà anche quasi estate, ma sono comunque le 19:40. L’unico lato positivo di questa serata è quest’arietta tiepida, mi da un senso di pace e mi ricorda i bei giorni d’Agosto. Adoro quando l’aria mi ricorda qualcosa. I ricordi sono la cosa più preziosa che ho. Ciò che abbiamo lasciato indietro è sempre ricordato con un sorriso. Ciò che ci attende, invece, ci fa paura.<br />
Sono stufa di aspettare, vado a farmi un giro. Come mai è così buio? Ah, mi sto facendo troppi problemi, meglio camminare e rilassarsi un po’, ho bisogno di distrarmi.<br />
Mi guardo intorno mentre cammino lentamente e non posso fare a meno di notare il mistero che stasera avvolge la città. Senza accorgermene, forse per abitudine, ho accelerato il passo e ora vado di fretta come se dovessi correre a casa a preparare la cena. Faccio un po’ di slalom tra la gente che mi cammina intorno senza far caso a chi mi guarda o a chi mi supera a sua volta. Ad un certo punto la mia mente si obnubila. Cado in uno strano stato di trans, ma continuo a camminare. Il miei occhi rimangono per un po’ in standby, ma il pensare continuo non mi abbandona. Ho le mani in tasca e non ricordo come sono vestita. Infondo non mi interessa. Cammino ancora, rallento un po’ il passo, ma ho sempre l’aria di chi deve correre a salvare il mondo.<br />
Camminare al centro del marciapiede non è proprio una grande idea, ti urtano troppe persone con le loro buste stracolme, le loro borse enormi, i loro bambini e la loro ciccia. Nonostante tu faccia di tutto per evitare lo scontro, il 70% delle volte colpiscono in pieno il bersaglio. Io nel frattempo sto affinando la mia tecnica per evitare di essere travolta.<br />
Mi sposto sulla sinistra del marciapiede, accanto alla strada, alle auto parcheggiate, ai lampioni gialli e agli alberi bassi che non ricordo. La luce quasi soffusa dei lampioni mi da l’aria di camminare in un vicolo buio e pericoloso. Continuo a dirigermi verso il centro, la gente comincia a dissolversi e posso proseguire un po’ più liberamente. Ad un tratto però, mi si presenta dinanzi un’immagine particolare: diversa gente ammucchiata sul bordo del marciapiede, disposta in semicerchio, che osserva incuriosita qualcosa che non giunge alla mia vista. Cosa succede?<br />
- Oh, Signore, ti prego! -<br />
- Povera signora -<br />
Mentre sto per giungere con aria indifferente a quella folla, vedo un agente della polizia che  si accinge ad intervenire, cercando di sgomberare la zona. Vedo persone chine a terra a guardare chi sa cosa. Prima del mio arrivo, il poliziotto riesce a far allontanare la gente, intimando di tornare ognuno alla propria casa. Altri cinque secondi e sono lì che passo accanto all’oggetto di tanto interesse, gli do uno sguardo sfuggevole cercando di non intralciare la calma appena ottenuta dall’uomo in divisa. Sorpassato quel vuoto tra le due auto parcheggiate continuo a camminare, ma d’improvviso il mio pensiero si ferma. La mia mente mi impone di ricondurre lo sguardo su ciò che mi sono lasciata alle spalle.<br />
A terra c’è un ragazzo.<br />
Continuando a camminare il mio cuore perde un battito per il senso di colpa provocato dalla mia indifferenza e mentre sto per arrestare il mio passo, tra il chiacchiericcio della gente riesce a giungermi una domanda formulata a voce molto alta da una donna.<br />
- C’è un medico? Qualcuno della Croce Rossa? -.<br />
La sua voce spezzata e il respiro affannoso mi riportano sulla terra e comprendo che non è una cosa da nulla. Ancora, l’agente ripete di continuo la stessa domanda cercando di contattare il distretto o l’ospedale, senza riuscirci.<br />
Immediatamente mi fermo e mi volto. Con un po’ di coraggio ma tanta paura nel cuore sto per preferire il futuro ai miei ricordi e con tutto il fiato che ho nei polmoni un po’ affaticati, urlo la mia risposta.<br />
- Io sono della Croce Rossa! -.<br />
Senza ben capire cosa sto per fare, comincio a correre verso l’agente che, non aspettando un secondo in più, mi indica da lontano dove devo dirigermi. Col cuore a mille termino la mia corsa e anche io prendo completa visione di cosa sta accadendo tra quelle due auto.<br />
Alla mia destra un bagagliaio aperto con al suo interno una borsa da donna, una coperta, un gilet catarifrangente, di quelli che si usano in autostrada in caso di emergenza, e una bottiglia d’acqua mezza vuota. Alla mia sinistra il cofano di un’altra macchina blu, lucida e vuota. Al centro, disteso tra le due auto, un ragazzo in tenuta sportiva che respira affannosamente. Il capo poggiato a terra, le braccia distese lungo i fianchi e le gambe abbandonate e senza forze.<br />
Ancora un po’ di gente si sofferma ad osservare questo spettacolo che mi stringe il cuore come non mi era mai successo, altra continua indifferente per la propria strada.<br />
Mi accovaccio accanto a quella che credo sia la madre del ragazzo e le chiedo cosa sia successo. Il suo volto pieno di lacrime mi dice che non ha la forza di rispondermi e dopo qualche istante la sua voce esplode in un singhiozzo, abbracciandomi. Cerco di rassicurarla e rialzandomi volgo il mio sguardo al volto di quel ragazzo.<br />
L’agente di polizia cerca di far andare via la gente curiosa che soffoca l’aria intorno a quelle auto. Appena in piedi afferro per il braccio un passante e senza lasciar trasparire il mio timore, gli dico con aria severa di chiamare il 118. Come un generale addito sette persone di quelle che si erano soffermate qualche minuto in più e gli ordino di disporsi in semicerchio, creando un recinto attorno a me, al poliziotto, alla signora e al ragazzo. I soccorsi sono stati chiamati e subito ritorno da lui.<br />
L’agente mi chiede di mostrargli un documento che attesti il mio titolo di pioniere, ma io con aria molto tranquilla gli rispondo di non averlo con me e che si trova a casa nella mia borsa.<br />
Rassegnato, mi risponde a sua volta - Non fa niente -.<br />
Ignorando ciò che succede intorno a me, comincio la mia opera. Chiedo a un passante di aiutarmi e lui subito risponde alla mia richiesta. Prendo la coperta dal bagagliaio dell’auto aperta e facendo alzare il corpo del ragazzo, la pongo sotto la sua schiena. Tornato a terra, il poliziotto si sposta sulla strada permettendomi di stare alla destra del ragazzo per constatare quale sia il suo stato.<br />
- Come si chiama? - chiedo seria alla signora.<br />
Un po’ sorpresa dalla domanda, mi risponde - Eric -.<br />
- Ciao Eric, - è cosciente - io mi chiamo Sarah e faccio parte della Croce Rossa. Adesso cercherò di aiutarti, ma dovrai cercare di rispondere a quello che ti chiedo -.<br />
Dopo aver pronunciato questa frase, apre gli occhi e mentre tenta di respirare normalmente fa un sorrisino. Si può dire che sia lui a tranquillizzare me. Mi sfugge un sorriso di ritorno.<br />
- Cosa ti è successo? -<br />
Sempre respirando affannosamente si porta una mano alla testa e mi risponde.<br />
- Stavo tornando a casa in auto e all’improvviso ha cominciato a girarmi la testa. Ho fatto appena in tempo a parcheggiare e ad uscire che sono caduto. Ho il corpo tutto intorpidito. -<br />
- Ok. -. Nel frattempo ho controllato il battito. - Hai fumato qualcosa? Hai bevuto o mangiato? Hai preso qualche medicinale? -<br />
- No, ma ho terminato da poco l‘allenamento - Forse si è solo affaticato troppo. La madre rimette giù le gambe che stava tenendo alzate.<br />
È buio e rimane solo la luce del lampione accanto all’auto. Non posso fare molto.<br />
Mi pongo alle sue spalle, poggiando la sua testa sulle mie gambe, lo copro con un lembo della coperta e, a sua richiesta, gli do un po’ d’acqua.<br />
- Stai tranquillo, arrivano i soccorsi. Nel frattempo cerca di tranquillizzarti. -<br />
Con un cenno della testa fa ciò che gli ho consigliato. Lascia pesantemente andare il capo sulle mie gambe, rilassa i muscoli. Sembra che sia riuscita a tranquillizzarlo almeno un po’. La madre mi è vicina e gli tiene la mano con una tale dolcezza e preoccupazione che perfino io mi sento al sicuro.<br />
Che strana sensazione. Il mio cuore batte all’impazzata eppure il peggio sta passando. Mi dispiace non poter fare di più.<br />
È passato qualche minuto, il battito è decelerato e sembra star meglio. Però è gelido. Trema.<br />
- Hai freddo? -<br />
- Un po’… -.<br />
Tolgo la giacca che avevo sulle spalle e lo copro come posso.<br />
- Non preoccuparti, a parte il venticello fresco che tira, il freddo è causato dallo shock, ma adesso mi pare che tu stia meglio. -.<br />
- Si, molto. Grazie -<br />
- Dovere -.<br />
Comincia a muovere le gambe e le mani. Non suda più. Ma dove sono i soccorsi?<br />
La madre comincia ad essere stanca, le dico di andare a riposarsi e che a lui ci avrei pensato io.<br />
Il poliziotto non si muove dal suo posto, continuando a proteggermi dalla strada.<br />
Dario ancora non arriva. Provo a richiamarlo.<br />
- Pronto? -<br />
- Amore, dove sei? -<br />
- Mi dispiace, sono rimasto bloccato qui. La macchina non parte! -<br />
- Ascolta, io sto soccorrendo un ragazzo, sono qui da diverso tempo e non so a che ora torno a casa. Ti chiamo appena arrivo. Ok? -<br />
- E brava la mia pioniera. Va bene amore, a dopo. Ti amo -<br />
- Ti amo! -<br />
E anche questa è andata.<br />
<br />
Niente. Non si vedono.<br />
I soccorsi a Torre del Greco non esistono. Roba da non credere.<br />
Nel frattempo ho cominciato ad accarezzargli distrattamente i capelli e sembra proprio che lui si sia addormentato. Il battito e il respiro sono tornati regolari, fortunatamente.<br />
- Come sta? -. La madre apprensiva sembra sia più rilassata. La gente va via ed io e l’agente ringraziamo per la collaborazione.<br />
- Sembra molto meglio, signora - Un sorriso spunta sulle mie labbra. - Ora dorme -.<br />
Ed ecco che i fatti mi dimostrano il contrario. Riportando lo sguardo sul suo viso, mi sono ritrovata osservata. Due occhi verdi mi scrutano tranquillamente, come quelli di un bambino assonnato. C’è una foresta in quegli occhi.<br />
Un po’ interdetta, prendo la parola per non lasciar trasparire il mio imbarazzo.<br />
- Ciao -<br />
- Ciao… -<br />
- Come stai? -<br />
- Grazie a te, bene. Scusami se ho creato tanto disturbo, non era mia intenzione farti rimanere tanto tempo. -<br />
- Non preoccuparti. Ora hai respiro e battito regolari. Hai qualche malessere oppure sei stanco? -<br />
- Mi sento molto debole. -<br />
- Allora riposati ancora un po’ -.<br />
Non mi risponde nemmeno che sta già portandosi sul lato sinistro, in posizione fetale, abbracciandomi le gambe. Che ragazzo strano.<br />
Fa sempre più freddo e il cielo comincia ad annuvolarsi. Sono molto stanca anche io, vorrei chiudere gli occhi anche solo per due minuti.<br />
Non ci ho nemmeno pensato che lentamente mi piego su di lui e comincio a dormire anch’io, circondandogli la testa con le braccia.<br />
Al mio risveglio mi ritrovo con la giacca del poliziotto sulle spalle, una madre che protesta per il ritardo dei soccorsi, un ragazzo sconosciuto che mi abbraccia, e il cellulare che squilla.<br />
- Pronto? -. È mia madre.<br />
- Si può sapere dove sei? -<br />
- Mà, sono per strada. Un ragazzo si è sentito male e l’ho soccorso. Ti spiego meglio quando tornerò a casa. Ciao! -<br />
- C’è molta gente che si preoccupa per te. Devi essere proprio una brava ragazza -. Si è svegliato.<br />
- E’ tutto normale, mi sembra. È…è da molto che sei sveglio? -<br />
- Abbastanza da vedere come dormi -.<br />
- Ei, ti avrò anche soccorso, ma nessuno ti da tanta confidenza -<br />
- Non si direbbe visto che mi hai accarezzato i capelli tutto il tempo -<br />
Ops. Ha ragione. Gli faccio una smorfia.<br />
Tenta di alzarsi, ma è ancora molto debole. Gli do una mano a mettersi seduto e con un po’ di fatica riesce nell’impresa poggiando la schiena contro l’auto blu.<br />
Pazienza, ormai ci sono dentro.<br />
È tardi e la città alle 22:00 non è proprio rassicurante. I soccorsi pare non arriveranno mai e per di più fa anche freddo.<br />
Il poliziotto ci consiglia di far terminare quest’attesa e di andare a casa visto che Eric sta meglio. Così, chiamo la madre e le dico di cominciare a rimettere tutto in macchina e che l’indomani sarebbe andata col figlio all’ospedale per gli accertamenti.<br />
Ora il problema è svegliare questo qui. Ho il suo alito sul collo e le braccia intorno alla vita. Che mammone!<br />
- Ei, sveglia! Sveglia! Dormirai a casa, avanti. -. Non ne vuole sapere.<br />
- Eric devi svegliarti, ora stai meglio! EI! -. Ecco, finalmente si è mosso.<br />
- Potresti smetterla di abbracciarmi, non sono mica tua sorella -.<br />
- Scusami! – è arrossito – Mi dispiace -<br />
- Dai, adesso cerca di alzarti -.<br />
Mi alzo per prima e una volta in piedi lo aiuto a rialzarsi, è ancora debole. Finalmente è in posizione eretta anche lui, non credevo fosse così alto. Col capo chino e le mani sulle mie spalle, cerca di trovare l’equilibrio e quando finalmente riesce, mi abbraccia. Dev’essere un vizio di famiglia.<br />
Sono un po’ sconvolta dal suo comportamento e il mio cuore sembra voglia fermarsi. D’istinto lo abbraccio anche io, anche se credo non sia molto opportuno abbracciare uno sconosciuto.<br />
Ho la testa poggiata sul suo petto, sento il suo cuore battere forte, il suo respiro di nuovo affannoso. Non va. Devo tenermi pronta, sta per crollare.<br />
E infatti, eccolo che barcolla. Per il suo peso e lo sforzo nel sostenerlo comincio ad affannare anche io. Cerco di tirarlo su, finché lui stesso decide di doversi svegliare e agitando un po’ la testa, come per tornare alla realtà, mi guarda negli occhi affannando ancora. È completamente appoggiato a me. Lo trascino accanto all’albero qui vicino per farlo appoggiare e con gli occhi cerco la madre. Ha appena finito di fare ciò che doveva ed è pronta a portare suo figlio a casa.<br />
- Eric, adesso possiamo andare. Ah, Sarah giusto? Vorrei almeno riaccompagnarti a casa dopo tutto quello che hai fatto per mio figlio -<br />
- Ma no signora, non si preoccupi, dovere -.<br />
Mi vergogno troppo. E poi sono estranei, non posso farmi riaccompagnare a casa. Tornerò a piedi, un po’ d’aria non mi farà male dopo quest’avventura.<br />
Infondo sono solo le 22:30.<br />
- NO! -. Sobbalzo vistosamente. Il suo sguardo impaurito mi fissa tutto d’un tratto, come se gli fosse stata negata l’aria. Il mio cuore perde un battito e non riesco a dire più una parola. Anche la madre lo guarda incredula. Forse non sono l’unica ad aver notato il suo strano comportamento.<br />
- Adesso noi ti riaccompagniamo a casa e non fare storie. Non lascio che una ragazza cammini sola per strada a quest’ora -. Dice sul serio. Questo ragazzo è proprio strano.<br />
La madre si è già diretta in auto, pronta a partire e lui, di tutta risposta, mi prende per mano e mi obbliga - visto che sono totalmente in preda all’imbarazzo e non riesco a proferire parola - ad entrare in auto. Da gran gentiluomo, mi apre lo sportello ancora un po’ barcollante, mi sorride – e che sorriso – e si conduce al suo posto dall’altra parte dell’auto. Si è seduto accanto a me. Sarà il freddo, ma io continuo a tremare.<br />
- Hai freddo? - La voce più premurosa di quella di un vecchio amico.<br />
- Un po’ - Spero che la mia voce non mi abbia tradito, come invece fa di solito.<br />
Si toglie la giacca e me la porge, ma ho quasi paura di accettare. Sembra quasi un invito a nozze: sposerei uno sconosciuto. Mai accettare la giacca di un ragazzo, nel momento in cui lo fai gli stai dicendo: si, ci sto.<br />
Almeno questo è quello che credo io, visto che mi è già capitato. Francesco, ad esempio, mi offrì la giacca e io da adolescente del tutto cotta, accettai. Ovviamente non era proprio il bravo ragazzo che credevo. Ora però basta, sto dilagando un po’ troppo e temo che Eric mi abbia parlato e io non abbia risposto. Meglio far finta di niente. Intanto mi stringo un po’ in me stessa aspettando che la signora giunga in centro per darle indicazioni.<br />
Psss. Psssss. Possibile che…?<br />
- Sarah? - Eric mi sta chiamando a bassa voce. Devo tornare con i piedi per terra, sono in macchina con due persone che non conosco e insisto a farmi problemi su una giacca. Piuttosto, cosa vorrà ancora?<br />
Rispondendo altrettanto a bassa voce, gli sussurro - Cosa c’è? -.<br />
Molto lentamente tenta di avvicinarsi a me senza farsi notare dalla madre. Scivola piano sulla parte del divanetto alla mia sinistra fino a giungere a qualche centimetro dal mio orecchio. Una volta ripreso il respiro comincia il suo sussurrare dicendomi:<br />
- Io forse so chi sei -<br />
Lo guardo con aria interrogativa. Ma cosa sta dicendo? Forse allude al fatto che…<br />
No, è praticamente impossibile.<br />
- C’è qualcosa, un segreto che custodisci gelosamente. Una parte della tua vita che pochi conoscono, solo i più fidati immagino -<br />
Mi trovo spiazzata. Questo ragazzo comincia a non piacermi più. Non può essere. Nessuno, ad eccezione delle mie amiche, sa a cosa lui si stia riferendo. Forse mi sta solo prendendo in giro. O forse no. E se sapesse davvero?<br />
- Non puoi nascondermelo, Sarah. E prima o poi me lo dirai tu stessa. Anche se forse ne so più io che tu -.<br />
Che aria maliziosa. Quel sorrisetto beffardo che tira fuori ogni tanto mi da un po’ fastidio. Sembra sicuro di sé, eppure non posso fare a meno di pensare che in realtà si stia solo divertendo alle mie spalle. Meglio lasciar cadere il discorso, non posso correre un tal rischio per un presuntuoso sconosciuto. La mia espressione sembra stata stampata in fabbrica. È proprio una di quelle che ti sbatte in faccia un bel “Ma sei scemo?”.<br />
Grazie alla mia recitazione, allontana il suo viso dal mio, sorprendendosi della mia reazione ed assumendo un atteggiamento di sorpresa e riflessione. Crede di essersi sbagliato su qualcosa, ma cosa? Cos’è che voleva dirmi?<br />
Che stupida che sono, mi sto preoccupando di un’eventualità abbastanza improbabile.<br />
Sembra passata un’eternità, questi cinque minuti son durati più del dovuto, ma almeno siamo arrivati in centro.<br />
- Adesso svolti a sinistra e poi prosegua dritto -<br />
Obbediente, la signora segue passo passo le mie indicazioni. Sono quasi a casa per fortuna. Le strade sono deserte e ormai il mio corpo mi segnala di dover riposare: sono le 22:45. Adesso la città sembra tornata normale, ne riconosco ogni angolo, anfratto e vicolo. Chi sa cosa è successo prima?  Sembrava tutto così offuscato e confuso. Ora, invece, i lampioni sono proprio quelli di Piazza Luigi Palomba e via XX Settembre è il solito borgo che d’estate è decorato di bandiere di ogni colore lasciate ad asciugare fino a notte inoltrata, sperando in un po’ di fresco.<br />
L’auto sobbalza inciampando in qualche fosso o vibrando su qualche tombino. Ad ogni buca mi sembra di essere più vicina a casa. È piombato un silenzio quasi luttuoso in auto, ma l’atmosfera stanca rende l’aria più respirabile. Voglio godermi il silenzio della città che mi accende i sensi e sentire il suo respiro sul volto.<br />
- Svolti a sinistra e accosti alla sua destra. Abito qui -<br />
Alle mie parole Eric sembrò riemergere dallo stato di trans in cui era precipitato da un po’. Sembra si sia appena svegliato da un sogno.<br />
Che aria strana che lo avvolge, sembra quasi di essere accanto ad un personaggio delle fiabe, uno di quelli di cui tutte le ragazzine si innamorano perdutamente. I capelli scuri e spettinati mi chiamano, vogliono incontrare ancora una volta le mie dita. Il suo sguardo invece mi dice che qualcosa è improvvisamente cambiato, mi osserva come mi vedesse per la prima volta e mi volesse giudicare: sembra quasi inorridito. Solo io posso incontrare tipi del genere.<br />
- Grazie mille per il passaggio. Buona notte! -<br />
Un sorriso sforzato mi fa alzare le guancie piene e quando mi giro e lo rincontro per l’ennesima volta stasera, si spegne. Un lunghissimo attimo avvolge i nostri sguardi, mentre apro lo sportello e cerco di buttarmi a calci fuori da quella macchina. La mia testa si svuota per un po’, per quel secondo eterno che ho impiegato per trovarmi fuori, e nel frattempo c’è una domanda che mi si presenta all’improvviso mentre lo guardo dirmi ‘ciao’: chi sei?<br />
<br />
L’aria è fresca. La macchina si allontana e la fisso incredula finchè non sparisce dietro la curva che percorro tutte le mattine. La luce gialla dei lampioni mi mette ansia, sarà meglio andare. Mi volto e dopo qualche passo supero il cancello, sparendo anch’io.<br />
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NOTE:<br />
Il titolo della storia è dovuto al fatto che gli avvenimenti narrati, li ho sognati davvero. Ho cominciato a scrivere questa storia quando ero all'ultimo anno di liceo ed ora la tiro di nuovo fuori per condividerla - finalmente - con qualcun altro.<br />
Mi auguro che il modo di scrivere da ragazzina non sia troppo evidente!<br />
Spero possa piacere, alla prossima!
  
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