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Autore: Dante_Chan    16/09/2013    0 recensioni
Questa storia nasce da un gioco di ruolo che sto facendo con delle mie amiche, per cui scrivendola seguo più o meno le vicende che stiamo disegnando assieme, inventando/cambiando qualcosa per rendere la trama appena abbozzata del gioco un racconto scritto.
Due ragazze e due ragazzi viaggiano assieme su un brigantino, con un gatto di nome Rufy come capitano, alla scoperta di varie Regioni/isole e alla ricerca di pokemon e avventure. Non so dire molto di più, dato che la trama si fa strada facendo xD
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Do you know what's worth fighting for? 
When it's not worth dying for? 
Does it take your breath away? 
And you feel yourself suffocating? 

Does the pain weigh out the pride?

And you look for a place to hide? 
Did someone break your heart inside? 
You're in ruins...



Le due ragazze giravano per la piccola città, osservando i pescatori che disponevano svariate casse di pesce e vasche di crostacei sui banconi del mercato; avevano intenzione di esplorare la campagna circostante per vedere che pokémon c’erano e in caso allenarsi un po’, ma visto che dovevano attraversare il villaggio tanto valeva dare un’occhiata in giro. Era ancora piuttosto presto, perciò i piccoli negozietti erano per la maggior parte ancora chiusi.
«Accidenti, io volevo comprare delle pokéball…» si lamentò Stecchina davanti a una serranda abbassata.
«Beh dai, apre tra un’ora, facciamo un giro e poi in caso torniamo.» rispose Ketchup. «Io credo sia meglio che prenda qualche pozione…».
«Ehi, perché non fai uscire Koda?».
«Sì, giusto! Così si gode un po’ di aria fresca anche lui.». Ketchup staccò una sfera dalla cintura porta-pokéball e chiamò fuori un bulbasaur, che si dimostrò subito entusiasta del bel tempo.
«A Koda piace molto il sole, vero?».
«Sì, diciamo pure che è meteoropatico!».
«Bulbasor!».
«Beh è normale, è d’erba…ma anche a me piace tanto il sole! Però io sono un piccolo dolce mew! Miù!! Caaaro!!».
«Sìì, è tanto carino…mi piacerebbe tanto avercelo! O almeno poterlo vedere!».
«Eh, domani…».
«Non si sa mai nella vita!!».
Le due ragazze continuarono a parlare frivolamente, accompagnate dalla gioia che quel viaggio, seppur iniziato da poco, stava donando loro. Lentamente si allontanarono dal centro, arrivando infine fuori città.
Una larga strada sterrata affiancata da prati, frasche e boschetti si perdeva all’orizzonte, dove la vista era infine fermata da un’imponente catena montuosa, che divideva la regione di Johto da quella più a est di Kanto.
«Diavolo, che bello…è il Monte Argento, quello laggiù più grande??» si stupì Ketch.
«Direi di sì, dev’essere lui! Allora…seguendo questa strada si arriva a Borgo Foglianova, che è addirittura più piccola di Fiorpescopoli…uh, dev’essere carina! È praticamente ai piedi delle montagne…» borbottò Stek in risposta, armeggiando con una mappetta. «Potremmo andarci volendo, non è così lontano. Potremmo fare la strada con calma, esplorare, cercare pokémon e quando arriviamo in caso pranzare lì. Che dici?».
«Va bene! Tanto sì, abbiamo tutto il giorno per cercare pokémon comunque!».
In realtà, di pokémon non ce n’era una grande varietà nella zona, come avrebbero notato con amarezza più tardi quello stesso giorno. C’erano molti pidgey, rattata, qualche sentret e, più a nord, dove c’erano più alberi, qualche coleottero; ma nulla che potesse seriamente interessare alle due allenatrici, che volevano incontrare qualche creatura rara o, quantomeno, carina o forte.
Erano passati forse quindici minuti da che erano uscite dalla città quando il pikachu si fermò perplesso, annusò l’aria un paio di volte e prese un’espressione allarmata; vedendolo, il bulbasaur fece lo stesso.
«Mmh? Che avete sentito?» domandò loro Stecchina.
«Pika!!». Spike scosse violentemente la testa facendo sbatacchiare le orecchie, poi sparì tra i cespugli della macchia. «Bulba!» lo seguì Koda.
Per le due ragazze fu difficile star loro dietro, e si procurarono parecchi graffi su gambe e braccia per inoltrarsi tra i tanti rametti spinosi. Arrivarono che il pokémon giallo stava sfiorando con la zampina, senza avere il coraggio di toccarla sul serio, la guancia di un ragazzo disteso prono tra la polvere.
«Ah?!».
«Oddio…ma è-è-è morto?».
«Quello è sangue??».
«C-credo di non sentirmi tanto bene, ugh…».
«Stek, non osare svenire!! Aiutami a capire se è vivo!!».
«N-no, ma io non lo tocco.».
«Ma nemmeno io!!».
«Avanti, Ketch, sei tu la più forte di stomaco tra noi due!».
«E se poi si sveglia di colpo?? E se invece è già freddo e duro??».
«No…g-guarda, mi pare che stia respirando…».
Ketchup prese coraggio e toccò il corpo con un piede; lo scosse un paio di volte, ma il ragazzo non diede segni di vita. La giovane allora si piegò e gli mise cautamente una mano sulla schiena, appena sotto la maglia. «È ancora caldo, sì.»; lo prese per le spalle e con circospezione lo girò a fatica, facendogli rotolare via dalla mano una pokéball, che Stecchina raccolse.
«Ahia…» commentò Ketchup, quando vide che il sangue gocciolato per terra veniva dalla sua gamba destra. «Non so cosa s’è fatto, ma…è tipo…cavolo, che buco! Come diavolo ha fatto??».
«NON farmi vedere quella ferita, Ketch!!» supplicò Stecchina con le gambe che le tremavano.
«È pallidissimo, credo che abbia perso un mare di sangue. E guardalo, dev’essere addirittura più giovane di noi…dobbiamo cercare aiuto! Portiamolo in città!».
«Poverino…ma…per le gambe lo prendi tu…».
«Uff! Aiutami a mettermelo sulle spalle, lo porto io.».
«Ma non ce la fai da sola…».
«Ce la faccio, in qualche modo ce la faccio. Avanti, è urgente! Aprimi la strada, tu, però. E prendi anche quel cappello, che dev’essere suo.».
Così Ketchup e Stecchina trotterellarono velocemente verso la città, assieme a quello che, pensarono, doveva essere un allenatore: aveva con sé due pokéball, quella che teneva in mano e un’altra attaccata alla cintura.
«Certo che…anf…» si lamentava Ketch, dopo un po’ di strada «sembrava più leggero a vederlo! Pant…». Ma presto furono in città e solo allora si resero conto di non sapere dove portarlo, in quanto quel villaggetto era piccino e non aveva un ospedale; lo portarono così alla nave, il primo posto che venne ovviamente loro in mente. Mentre Stek correva fuori a cercare un medico o una guardia o qualcuno che potesse aiutarle, Ketch posò il ferito sul letto di una delle cabine vuote e gli tolse gli abiti che, a ben guardare, erano parecchio curiosi: a parte i guanti indossati a fine maggio e gli stivali in pieno stile Akira Toriyama, la grande R rossa sulla maglia nera voleva probabilmente indicare qualcosa che le sfuggiva.
La ragazza non ebbe nemmeno il tempo di inorridirsi troppo per il buco sull’interno della gamba –da cui non usciva quasi più sangue: non capiva se era un buon segno o se fosse semplicemente già uscito tutto– che Stecchina tornò assieme a un uomo con pochi capelli in testa, di circa sessant’anni.
«Lui è un dottore! È stata una fortuna, l’ho trovato proprio nella piazza qui davanti, che c’aveva visto arrivare alla nave!».
«Stavo andando ad aprire lo studio, stamattina devo andare lì, nella valigetta ho solo poche cose. Se si sta veramente dissanguando io posso fare poco o nulla...». Il medico si avvicinò al ragazzo e sembrò tranquillizzarsi subito; osservò la ferita, auscultò il battito, gli puntò una lucina in un occhio aprendogli le palpebre dopodiché sospirò: «No, va bene, non è in pericolo. Ha perso molto sangue, ma non tanto da giustificare la perdita dei sensi: se è svenuto è stato più probabilmente per la tensione e la paura.».
«Che può essergli successo?».
«Ha un proiettile nella gamba.».
Stecchina sobbalzò: «Poverino…».
«E allora cosa fa?» chiese Ketchup, vedendo che l’uomo riempiva una siringa con un liquido lattiginoso.
«Beh, glielo tolgo. Prima di tutto devo sedarlo: non troverebbe simpatico rinvenire mentre gli lavoro su quella ferita. Solo che…ho solo propofol, non andrebbe bene…».
«…eh?».
«L’anestetico, non va bene se ha perso sangue. Una di voi due sarebbe così gentile da rimanere qui e tenere d’occhio la sua respirazione?».
«Certo.» rispose pronta Ketch.
«Allora…io vado a lavare quei vestiti, intanto. Ketch, anche la tua maglia si è sporcata di sangue…».
«Non importa, me la cambio dopo, non preoccuparti.».
«Uh, è stato fortunato.» disse il medico, una volta che ebbe iniziato ad armeggiare. «Un centimetro più avanti e il proiettile avrebbe preso l’arteria femorale. A quel punto sì che si sarebbe dissanguato.».
Lavorò velocemente e all’incirca in quindici minuti estrasse la pallottola e ricucì la lesione. [no, non chiedetemi perché un medico di base abbia con sé robe per operare, me lo sono immaginato molto in stile veterinario :°D o medico dell’Ottocento, ecco xD Watson *____* nda]
«Ecco…dovrebbe svegliarsi in poco tempo, l’anestetico ha effetto breve, e dovrebbe rinvenire già lucido.» comunicò a Ketch, mentre salivano assieme sul ponte, lasciando il giovane sul letto, coperto dalle lenzuola. «Dovrebbe prendere antibiotici, sicuramente, e forse anche una dose di analgesici lo farebbe stare meglio, ma non ho con me nessuno dei due.».
«Già fatto??» venne loro incontro Stek, con le mani insaponate.
«Eh sì! E quindi?».
«Quindi, io devo correre ad aprire lo studio, sono in ritardo. Se una di voi due viene con me posso darglieli direttamente, così evitate di comprarli.».
«Va bene, vengo io se vuole.» si offrì sempre Ketchup.
«Devi cambiarti la maglietta prima, ti ricordo…» le raccomandò l’amica.
«Hai ragione…! Faccio in un lampo!».
Così, Ketchup seguì il medico, mentre Stecchina stette alla nave in attesa che il ragazzo si svegliasse.
La ragazza e il vecchio, camminando a passo spedito, raggiunsero lo studio del secondo in una decina di minuti; fuori ad aspettare l’uomo c’erano già otto persone tra vecchietti e vecchiette, più una madre con bambino, che stavano iniziando seriamente a chiedersi se il dottore quel giorno non si sarebbe presentato senza nemmeno aver messo un avviso.
«Eccomi, eccomi! Scusate! Ho avuto un contrattempo, questa giovane mi ha chiesto aiuto per un intervento urgente!» si giustificò lui.
«Bene, bene! Cominciavamo a preoccuparci, signor dottore!» disse con energia un vecchio stempiato.
«Vado a prenderti le cose, torno subito. Aspetta qui in sala d’attesa.» si rivolse gentilmente il medico a Ketch. Dato che qualche paziente la guardava con aria leggermente torva, sentendosi sotto accusa anche la ragazza chiese perdono, spiegando il breve la situazione: «Scusate, davvero. Io e una mia amica abbiamo trovato un ragazzo svenuto che perdeva sangue e ci sembrava che dovesse morire dissanguato da un momento all’altro! E qui non c’è nemmeno un ospedale e non sapevamo cosa fare, e per fortuna abbiamo trovato proprio quel medico gentile!».
«No perché sai, giovane» le rispose il vecchietto che si era già rivolto al dottore «noi ci stavamo preoccupando pensando che magari gli era successo qualcosa, che non si sa mai che ‘sti criminali se la prendono con le brave persone. Hai sentito, no?».
«Nno, veramente no. È successo qualcosa? Sapete cosa è successo? Quel ragazzo, magari…potrebbe essere stato coinvolto…».
«È passato il Team Rocket vicino alla città stanotte!» spiegò l’uomo, mentre già il dottore usciva dal proprio studio con in mano antidolorifico e antibiotico. «Cos’è che è successo??» domandò consegnando le medicine alla ragazza.
«Sì, son passati qui vicino, appena più a nord. Pare abbiano rubato un pokémon dal laboratorio di Borgo.».
«Ma anche» si aggiunse un secondo «ma anche, un de lori xe stà quasi arestato, ma xe riusì a scapare nonostante l’abian ferito co’ ‘na sciopetata.».
«Cos’è il Team Rocket?» chiese la ragazza, senza che nessuno la ascoltasse.
«Non avevo ancora sentito nulla…» mormorò il medico, cercando poi lo sguardo di Ketchup, terrorizzato.
«Lo sa tuta la cità oramai! Le notisie qui te le cati facilmente.».
«Senti.» parlò velocemente il dottore, agitato «Gli avete tolto voi i vestiti, vero? Com’erano?».
«Un po’ ssstrani. Neri, guanti bianchi…e una R rossa qui…». Tutti guardarono Ketchup basiti; il medico ora era atterrito: «Oddio…è lui, per forza.».
«Oh porca…e adesso…? M-ma che tipo di criminale è…? Cioè, io non so nulla di questo- ma aspetta, Stek è rimasta con lui! E se si sveglia e le fa qualcosa??».
«Guarda. Vai, corri dalla tua amica che non si sa mai! Io chiamo la polizia e vedrai che arriverà subito! Corri, però! E fa’ attenzione anche tu!».
Ketch ora era davvero agitata. Ringraziò di volata l’uomo e partì lesta verso il porto, con ancora le medicine in mano, sperando che, nel peggiore dei casi, il bulbasaur e il pikachu potessero essere d’aiuto all’amica.

                                                                                          ***
Si destò di soprassalto, senza capire per un secondo perché fosse così agitato; poi si ricordò di quello che era successo e scattò a sedere.
Si trovava in una piccola stanza: tutto attorno a lui era di legno, dalle pareti leggermente bombate ai pochi mobili presenti; non c’erano finestre, se non un oblò a destra rispetto al letto sul quale era seduto.
Scostò le lenzuola per guardarsi la gamba e si ritrovò con solo le mutande addosso, restando interdetto per qualche istante; portò poi lo sguardo alla ferita, scoprendo un cerottone che, a primo impulso, per un non ben specificato motivo, stava per strapparsi via con rabbia; un briciolo di buon senso, fortunatamente, fermò la sua furia momentanea. Si guardò intorno, fece per alzarsi in piedi ma si bloccò di colpo: aveva notato il gatto tigrato che, seduto sulla piccola scrivania vicino alla finestrina, lo stava osservando immobile; il ragazzo ricambiò glaciale lo sguardo del felino, come sfidandolo a non abbassare gli occhi; Rufy rimase impassibile, continuando a studiarlo; a quel punto, l’umano fece una smorfia: i gatti non gli stavano particolarmente simpatici.
Si alzò e si mise a cercare con gli occhi i suoi vestiti; fece un paio di giri della stanzetta, guardando fino in ogni angolo, così come nel bagnetto attiguo, senza trovarli; strinse i denti per il fastidio e decise, quanto meno, di dover capire dove fosse. Era ovvio che qualcuno l’aveva trovato e soccorso, ma non aveva idea di chi avrebbe potuto farlo: era un Rocket, e nella Regione tutti conoscevano la sua organizzazione. Nessuno avrebbe voluto aiutarlo e lasciarlo addirittura in una stanza da solo, senza qualcuno di guardia. A parte il gatto, vabbé, che però non conta, su! Forse almeno la porta era chiusa a chiave?
E perché mai gli avevano portato via i vestiti?
Si avvicinò zoppicando all’oblò, dando un’occhiata fuori: si vedeva solo mare.
“Dev’essere…una nave…? Perché sono su una nave…?”.
Ciò era proprio strano. Non riusciva a immaginarsi un marinaio nerboruto soccorrerlo. Poi a Fiorpescopoli le navi erano tutte pescherecci…o yacht, ma quello sicuramente non era uno yacht.
“La polizia al massimo ha barche, non navi…e comunque, non sarei certo trattato così…”.
Si sentiva senza forze, vulnerabile; chiunque avrebbe potuto stenderlo con una sola mano. Era una brutta sensazione, sentiva di non potersi difendere se ce ne fosse stato bisogno. Le gambe lo reggevano appena, tremando, e il suo cuore batteva veloce tentando di sopperire alla diminuzione di volume del sangue. Ancora, non riusciva a ragionare lucidamente.
Si fermò sull’oblò a guardare le onde piuttosto agitate del mare per qualche momento, incantandosi infine con lo sguardo posato su un wingull che, ammollo, si puliva le penne; poi ad un tratto trasalì, ricordandosi dei suoi pokémon: anche le pokéball erano sparite assieme ai vestiti. Fu subito assalito da una rabbia furibonda al pensiero che potessero averglieli sottratti, ancora di più per il fatto che per uno di loro aveva rischiato la vita; senza vederci più, con forze magicamente ritrovate, corse alla porta della cabina, che non era chiusa a chiave, più sfondandola che aprendola, risalì velocemente il corridoietto e le scale e arrivò all’aperto, sul ponte. Lì si tranquillizzò subito: davanti a lui il suo rattata stava sbraitando contro un bulbasaur e un pikachu, tentando di tenerli lontani da sé; il totodile rubato se ne stava invece in un angolino, spaesato.
Appena lo vide, il ratto esclamò «Ra-rada!» e gli corse ai piedi, lanciando poi un’occhiata seccata agli altri due pokémon. Il ragazzo lo fissò per un secondo, dopodichè senza dire nulla distolse lo sguardo e si accorse che la nave non era un peschereccio, restando di stucco: si trovava su un vero e proprio veliero a due alberi, piccolo ma maestoso nel suo aspetto così fuori dal tempo. Non aveva mai visto nulla di simile, non sapeva cosa pensare; guardava con stupore le vele ammainate muoversi al vento facendo un rumore sordo, senza riuscire a credere che esistesse ancora qualcuno che usava navi di quel genere. Ripresosi dallo stupore, vide che la nave era ancora attraccata al porto.
Verso poppa non c’era nessuno, a parte i pokémon; la prua era nascosta dalla tuga, per cui il ragazzo non poteva esser sicuro che non ci fosse alcuna persona sul ponte all’infuori di lui stesso. Era curioso di sapere chi mai l’avesse raccolto, ma invece di fare un giro della nave preferì avvicinarsi al totodile, che lo guardava interrogativamente quasi a chiedersi se fosse quello il suo allenatore.
«Ciao.» gli mormorò accucciandosi (goffamente, per via del dolore) davanti a lui. «Sei mio adesso.». Gli posò una mano sulla testa, fissandolo negli occhi rossastri. Il pokémon si tranquillizzò un poco, sentendosi un attimo più sicuro avendo trovato un punto di riferimento: «Toodà…».
«Beh, non so nemmeno io dove siamo.» continuò la recluta del Team Rocket indovinando il suo stato d’animo, parlando anche al rattata che gli si era avvicinato. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma la voce di Stecchina bloccò la sua: «Ah! Ti sei già svegliato? Ci hai messo poco!». Il giovane si girò di scatto e si alzò, restando di sasso vedendo la brunetta che si avvicinava.
«Allora, come stai? Riesci a camminare? Io credo che sarebbe meglio se tu tornassi a-».
«Ma…! Sei una ragazza!» esclamò, ricordandosi improvvisamente di essere in mutande.
«Mmh? Sì, e allora?».
«N-no! NON ti avvicinare!» bloccò la giovane, parando un braccio davanti a sé e indietreggiando, finendo con la schiena addosso al parapetto.
«Cosa c’è? Non essere nervoso…sei tra amici, tranquillizzati.».
«Sul ponte del tuo veliero c’è uno sconosciuto azzoppato e mezzo nudo e gli chiedi anche cosa c’è??».
«Ahah! Non ho intenzione di stuprarti, sai!» scherzò Stecchina.
«N-n-n-non è per questo.» arrossì il ragazzo. «È che…non mi aspettavo una femmina. Di solito i marinai sono uomini.».
«Ma scusa…sei ferito e mezzo nudo sulla nave di uno sconosciuto e noti il sesso dell’equipaggio?».
«B-beh, s-…tsk.». In realtà, il fatto di trovarsi davanti a una ragazza lo confortava: si sarebbe sentito più in pericolo con degli uomini.
Seguì qualche secondo di silenzio, rotto infine dal giovane ancora imbarazzato:  «…sei il capitano di questa nave?».
«Tecnicamente, il capitano è il mio gatto, Rufy.».
«…hai voglia di prendermi per il culo?».
«No, sul serio! Questa è la HappyTappo, e io e la mia amica Ketchup formiamo la Ciurma di Rufy!».
«Pff. Ok. Va bene. Forse comincio a capire perché mi avete aiutato: non dovete essere normali. Se mi ridai i vestiti tolgo il disturbo.».
«No, no, no! Stai qui. Non ti faccio andare via quando dovresti stare a letto, solo una ventina di minuti fa Ketch è andata via col medico che abbiamo chiamato per farti curare e tra non molto sarà di ritorno con degli antibiotici, perciò faresti bene a riposarti piuttosto; in ogni caso i tuoi vestiti li ho appena stesi ad asciugare, erano inzuppati di sangue e di non so che altro, perfino uno degli stivali, quindi li ho lavati e non posso darteli. Piuttosto mi spieghi perché per averti aiutato non dovremmo essere normali e soprattutto ti calmi un po’ e vedi di essere un po’ più grato a chi ti ha salvato.».
«Beh, non ho chiesto io di essere aiutato.».
«Ma! Senti…! Non l’hai fatto perché non potevi! È un po’ tardi per fare il duro adesso, quando ti abbiamo trovato in quelle condizioni, svenuto, pallido e col volto rigato di lacrime!».
Queste poche parole bastarono a zittire l’ingrato, che si sentì colpito nell’orgoglio e guardò offeso l’interlocutrice.
«Bene! E ora spiegami.» continuò Stecchina vedendo d’averlo domato, con cipiglio severo.
Lo sconosciuto roteò gli occhi, seccato: «Sono del Team Rocket, che cavolo! Che c’è da spiegare?? L’hai vista la mia divisa o sei cieca??».
Stecchina lo guardò confusa: «Ma calmati, ciccio! Non ho idea di cosa sia questo Team Rocket.».
«Rivoglio i miei vestiti, devo andarmene.».
«Ma mettiteli bagnati allora! Oppure vattene in mutande, fa’ un po’ come vuoi. Perché hai tutta questa fretta, accidenti?? Sei ferito, sta’ calmo un po’!».
L’altro fece un gesto nervoso con la mano, sbuffò e infine si buttò per terra, sedendosi. «Quanto ci mettono ad asciugarsi?».
«…sono al sole, fa caldo. Non credo ci vorrà moltissimo.». La ragazza osservò in silenzio l’arcigno giovane, che tentava di ignorarla concentrando la sua attenzione sul rattata, che si stava pulendo a mo’ di criceto. «Mi spieghi cos’è questo Team Coso di cui dicevi? Perché non avremmo dovuto aiutarti per quello?» gli chiese poi. «E cosa ti è successo?».
Altro sbuffo. «Tu non sei di Johto, vero? E nemmeno di Kanto.».
«No…perché?».
«Perché altrimenti non mi faresti questa domanda.».
Silenzio.
«Oh ma allora vuoi spiegarmi o no??».
«…credo che nessuno che ci conosce mi avrebbe aiutato.».
«Perché? Siete così…odiati, non so?».
«…mh-mh…».
«…che hai fatto? Sei…non sarai…un assassino, qualcosa…?».
«Tch! Non sono ancora COSÌ feccia.».
Stecchina si sentì un poco sollevata, e aspettò che lo sconosciuto aggiungesse informazioni. Questi non doveva essere una persona particolarmente furba, perché non s’inventò una balla e sbandierò invece allegramente la verità: «Ruba i pokémon per profitto. Sfrutta i pokémon per profitto. Tutti i pokémon esistono per la gloria del Team Rocket. È questa la prima cosa che ti insegnano.».
«Oh, ma è orribile!!».
«Si rubano i pokémon rari e li si vende per profitto. Beh, io che sono solo una recluta faccio il lavoro sporco e mi becco una minima parte, giusto per sopravvivenza. E non guardarmi così, non mi diverto, è uno schifo di vita, si rischia e basta. È solo…l’unica cosa che ho potuto fare. Ma tant’è, non voglio giustificarmi.». L’espressione del ragazzo diventò ancora più torva di quel che già era e il suo sguardo si perse a fissare arrabbiato il pavimento. «In fondo, forse quel poliziotto ha fatto bene a spararmi…» continuò sussurrando, parlando più a se stesso.
«È…stato un poliziotto? Stavi fuggendo dalla polizia??».
«…sì. Hai intenzione di chiamarla, vero?».
Stecchina ignorò la sua domanda. «…non mi sembra di capire che così tu sia felice, scusa se mi permetto.».
Il ragazzo la guardò sbigottito e un poco scocciato prima di sibilare acidamente: «Che t’interessa? Se non volessi farlo non lo farei.».
«E allora perché lo fai? Hai appena detto che lo fai solo perché non puoi fare altro, ti fai pena da solo! Vedo le tue espressioni, sai?».
«Non è vero che mi faccio pena! Io sono così perché i fatti mi hanno portato a diventare quello che sono. Non ho rimpianti, e non mi vergogno. Per come mi sento, va bene così. Non riuscirei a essere una persona normale nemmeno se cercassi di esserlo. E comunque, perché ti sto dicendo tutte queste cose?? Lasciami in pace e va’ a chiamare gli sbirri, scema!». Il ragazzo si alzò nuovamente in piedi, rivolto verso Stecchina.
«Cosa significa “persona normale”? Ti sei mai dato una qualche possibilità, hai provato a reagire, a cambiare vita? Se dici che non ti piace, accidenti!! Io credo che tu sia così perché non hai provato a cambiare. Forse hai continuato a seguire la strada che ti sembrava più facile, non so.».
«Strada che mi sembrava più facile?? Facile?? Mi sono ritrovato a far parte del Team Rocket proprio perché ho provato a reagire! Restare dov’ero, quello sarebbe stato facile! Ed è stata una merda, e ora sono qui, ferito, per lo stesso cazzo di motivo! Uno prova a reagire, a cambiare una cazzo di situazione che gli fa schifo e va a finire che si trova solo peggio! Quindi, ora che mi ci fai pensare mi chiedo se sia furbo tentare di farlo!».
«Non so di cosa tu stia parlando, perciò non po-».
«Ecco, quindi sta’ zitta e non provare a capirmi! E comunque se vuoi saperlo praticamente a nessuna recluta piace come lavoro, lo fai solo perché sei un disperato! Cosa credi?! Che esista gente che così, per propensione naturale, provi piacere e godimento nel fare azioni criminali? Rischiando la libertà e a volte persino la vita» qui si indicò la gamba offesa «quando potrebbe avere la possibilità di fare altro?? CAZZATE! La vita non è un cartone animato, non esistono i cattivi! Esistono i poveracci, i disadattati, gli antisociali, che per rancore o difficoltà o più raramente educazione si ritrovano ad essere la cloaca del sistema!». Improvvisamente sembrava aver perso il controllo di sé; rosso in volto, vomitava con rabbia quelle parole sulla povera Stecchina, che non riusciva a fare altro se non fissarlo basita. «Ma cosa ne sa la “gente per bene”? COSA?? Uno è un criminale e deve marcire in gattabuia, chi se ne frega del perché sia così! È un pericolo, l’importante è fermarlo! Se poi gli si spara e muore forse è anche meglio, uno in meno! Ah, ma com’è bella la civiltà, come funziona bene la legge!!».
Quando il ragazzo ebbe finito di esprimere tutto il suo sdegno, i due si fronteggiarono in silenzio per una manciata di secondi, l’uno furioso, l’altra desolata. Stek avrebbe potuto rispondere in molti modi ribaltando il ragionamento, ma la parte di verità che solitamente veniva taciuta le era stata sbattuta davanti con tanta forza che si sentiva un poco impressionata e confusa. «Non so cosa ti abbia portato a questa situazione» disse infine «ma io credo che nulla possa giustificare una condotta criminale intrapresa volontariamente, perché non è una soluzione, anzi. Se vuoi cambiare la tua vita devi darti da fare.».
«Questa è l’idea tipica dei non criminali. Ma la realtà è ben diversa.» bofonchiò l’altro.
«Ah sì? Bene.». Stecchina non aveva altro da aggiungere; frugò in una tasca e gli lanciò due pokéball: «Queste sono le sfere dei tuoi pokémon. Per il resto, fa’ quello che vuoi. Arrangiati. E cerca di pensare a quello che ti ho detto…non sei irrecuperabile.».
La recluta guardò incredulo prima le pokéball, poi la ragazza: davvero non avrebbe chiamato gli sbirri?
Fu sul punto di chiederle come mai non tentasse di farlo arrestare: non era la paura verso di lui a trattenerla, si vedeva, anzi, di paura proprio non ne aveva; ma decise infine che era meglio approfittare della situazione ed evitare di farle cambiare idea con domande poco opportune. Fece rientrare nelle sfere il rattata e il totodile, poi si perse per un paio di minuti a osservare il porto, pensando a come sarebbe potuto uscire dal villaggio in pieno giorno senza farsi notare e rendendosi sempre più conto dell’impossibilità della cosa. Venne ridestato dalla ragazza, che gli lanciò tra le braccia un accappatoio rosa.
«Mettiti questo finché non hai altro. Non ce l’ho di un altro colore. E poi, ti consiglio di andare a stenderti sul letto finché non torna Ketch…deve farti male quella gamba.».
«…il rosa mi piace…e comunque voglio andarmene il prima possibile. Fa caldo, tra un’ora i miei vestiti per lo meno non saranno fradici.».
«Quindi non vuoi proprio ascoltarmi, vero? Ti rimetti quella roba e torni a sprecare la tua vita?». Il ragazzo vide l’espressione contrariata di Stecchina, ma le diede la schiena per ignorarla; indossò l’accappatoio, che gli andava bene perché non superava la ragazza in altezza se non forse di un paio di centimetri, mise le pokéball rimpicciolite in una delle due tasche, poi guardò di nuovo verso il porto e lo stesso fece Stecchina, perché Ketchup stava tornando alla nave di corsa chiamando l’amica a gran voce.
«Oh, eccola! È già qui!».
«Steeek!». Ketchup pareva agitata; aveva il fiatone ed era sudata e rossa in volto. «Stek! Stai bene!» esclamò una volta sul ponte, prendendo le mani all’amica. Stecchina non capiva quel comportamento.
«Che dici? Non sono io quell-».
«Sta’ lontana da quel tipo! È un criminale!».
«Lo so che-».
«Koda, non star lì a far niente! Bloccalo!».
Il ragazzo fu preso alla sprovvista da tutto questo furore e non ebbe il tempo di reagire: il bulbasaur rispose velocemente al comando dell’allenatrice, legandogli assieme i polsi con le liane prima ch’egli potesse chiamare il suo rattata per fronteggiarlo. «Ahi! Merda…! Lasciami, bastardo!» sbraitò dando un paio di strattoni nella speranza di riuscire a liberarsi.
«Ketch, NO!!» s’intromise Stecchina.
«Ma “no” cosa?? È scappato stanotte alla polizia, la notizia già la sanno tutti al villaggio! Quel dottore ancora non lo sapeva probabilmente perché era appena uscito di casa, ma quando gli ho descritto quello che indossava ha detto che è la divisa di un’organizzazione criminale che conoscono tutti qui! Ma adesso stanno arrivando, è andato a chiamare la la polizia! Io sono corsa avanti per paura che potesse farti qualcosa!».
«Non mi ha fatto niente…». Stecchina guardò il giovane: nei suoi occhi c’erano paura e rassegnazione allo stesso tempo; non stava nemmeno provando a liberarsi seriamente…
Era giusto, se era un ladro dovevano occuparsene le Forze dell’Ordine. Chissà quanti crimini aveva commesso fino ad allora…
Però…
«Se io ti aiuto, lascerai il Team Rocket?».
«…scusa…?».
«Stek??».
«Ti nasconderemo e ti aiuteremo a fuggire, ma…poi basta. Puoi cambiare, lo so. VUOI cambiare. Molla il Team, ricomincia da capo, va’ a casa e trovati qualcosa da fare…puoi essere una “persona normale”, io credo.».
«A casa…» sogghignò il ragazzo, abbassando lo sguardo. «…dici sul serio?».
«Sul serio. Ma tu devi giurare.».
«Ahah…! Ma certo! …ma certo, hai la mia parola!».
«Stek, dimmi che ti ha drogato. Cosa stai dicendo??».
«Per favore, Ketch! Non lo so il perché, ma fidati! Ha bisogno di una possibilità, c’ho parlato!».
«Guarda che in carcere mica lo ammazzano. Scusami, ma non riesco a fidarmi di lui.».
«E allora fidati di me, sarò io a fidarmi di lui!».
«Tu sei brava a capire le persone…ma in questo caso io non riesco a capire te.».
Stek guardava l’amica con aria determinata e allo stesso tempo quasi supplichevole. Anche il ragazzo la guardava, col cuore in gola.
«Ketch, c’è pochissimo tempo, ti prego…».
«…Koda.» disse infine Ketchup dopo qualche secondo, facendo un cenno al bulbasaur; questo lanciò un’occhiataccia al suo prigioniero ma eseguì subito dopo l’ordine della ragazza, lasciando la presa; anche il piccolo Spike non era tranquillo, e lo teneva sotto controllo con le sacche piene di elettricità pronte ad esplodere. «Ce ne pentiremo. Vedrai che ce ne pentiremo.» indovinò Ketch. «E ora cosa credi di fare?».
«Stanno arrivando, è troppo tardi.» sibilò il giovane. «Se scendessi dalla nave mi vedrebbero.». Era vero: in lontananza, dall’alto della nave, già si intravedevano un paio di volanti avvicinarsi.
«Non puoi scendere in accappatoio, comunque, a meno che tu non voglia attirare l’attenzione! Insomma, Stek! Anche se lo nascondiamo e diciamo che se n’è andato, perquisiranno la nave e lo troveranno, e allora finiremo nei guai anche noi!». Stecchina non rispose e corse al ponte di batteria dove stavano le cabine; tornò subito dopo con una maschera da snorkeling.
«Mettila, veloce! Buttati in acqua e sta’ il più vicino possibile al fianco della Tappo, sott’acqua ovviamente! In questo modo non dovrebbero riuscire a vederti. Ma sbrigati!».
«Oh, geniale!».
«Ma è acqua di porto!» brontolò il ragazzo. «È una schifezza! Se ci entro poi la gamba farà infezione e dovranno amputarmela! E poi chissà quanto tempo dovrò rimanerci dentro!».
«Ma allora fatti prendere e non rompere, scassa-coglioni!!!» berciò Ketch.
Anche Stek aveva perso la pazienza: «Togliti subito quell’accappatoio e tuffati!!!!».
«M-ma è alto!».
«…!!! Spike!!».
«Ok, ok, vado, vado, vado!».
Ketch certo se l’era immaginato più feroce; mentre si toglieva scocciato l’accappatoio e lanciava uno sguardo schifato all’acqua, quel ragazzo sembrava tutt’altro che un criminale appartenente a chissà quale terribile organizzazione.
«Morirò per infezione e voi mi avrete sulla coscienza.» profetizzò prima di ficcarsi finalmente il boccaglio in bocca e tuffarsi.
«Dopo mi spieghi bene il perché di tutto questo.» brontolò Ketchup rivolta all’amica.
«Non saprei spiegarti meglio…ma fa’ finta di niente adesso.».
Appena due minuti dopo, tre agenti erano a bordo della HappyTappo.
«Mi dispiace! Io…non lo sapevo, non potevo saperlo. Non mi sono nemmeno accorta che si era svegliato…» mentì Stecchina.
«Quando sono tornata alla nave l’ho messa in guardia e siamo andate nella cabina dove l’avevamo lasciato per, non so, vedere com’era la situazione, chiuderlo dentro, ma già non c’era più. Dev’essersi svegliato, e poi è scappato senza che lei se ne accorgesse.» continuò Ketchup.
«Già…sono veramente mortificata!».
«Ehh…che situazione imbarazzante…» si grattò la testa l’agente che sembrava detenere il comando. «Non abbiamo un mandato di perquisizione, ma possiamo chiedervi il permesso di ispezionare la nave? Che non si sia nascosto da qualche parte, sapete…anche per la vostra sicurezza…».
«Certo, fate pure.» acconsentì Ketch. «Ma sinceramente dubito che possa essere ancora a bordo…cioè, io credo che scapperei, no?».
«No vedi…sono stupidi. Il problema loro è che hanno una divisa riconoscibile, perciò muoversi in una cittadina allarmata alla luce del sole sarebbe problematico. Dev’essere abile se è riuscito a uscire dalla città senza farsi vedere, oppure invisibile.».
Già. Però la divisa era ancora a prua ad asciugare, e le due ragazze dovettero farlo notare ai poliziotti che, una volta che ebbero finito di perquisire la nave ed ebbero guardato in ogni angolo, si chiedevano perplessi come aveva fatto un uomo mezzo nudo a girare per la città senza dare nell’occhio. La cosa era parecchio sospetta, ma non riuscivano a venirne a capo. Le ragazze sembravano sincere e dissero loro, dopo aver controllato i propri vestiti, che nemmeno una canottiera era sparita.
«Ehm, vabbé…sulla nave non c’è…».
«Potrebbe essere scappato a nuoto, effettivamente.» suggerì uno dei tre. «Ci converrebbe controllare la costa.».
«Hai ragione. Chiama la centrale e fa partire un elicottero che controlli il mare. Dev’essere in giro, al massimo appena fuori città, ma non credo: se ha una gamba fuori uso non dev’essergli facile nuotare. In quanto a voi, signorine…dovreste seguirci in questura per deporre.».
«Oh, ehm, tutte e due…?».
«Tutte e due, sarebbe meglio, sì.».
Ketchup e Stecchina si lanciarono un’occhiata di traverso, ma non avendo altra scelta dovettero accontentare la richiesta. Richiamarono i loro due pokémon nelle sfere e seguirono gli agenti, lasciando la nave con non poca preoccupazione.
   
 
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